Pubbl. Ven, 28 Mag 2021
Le madri che abbandonano: la rinuncia al proprio figlio e le conseguenze della perdita
Modifica pagina
Edoardo Scianò
L’abbandono e l’adozione rappresentano due momenti critici nella vita del bambino, che sono intimamente legati l’uno all’altro. Il primo precede logicamente il secondo, ma in entrambi rilevano anche le conseguenze di questa rottura di affetti con la madre biologica, che interesseranno il bambino e la famiglia adottiva per tutta la loro vita. La scelta dell’abbandono, da parte della madre, non è sempre consapevole e ponderata, ma spesso è figlia delle circostanze socio-economiche contingenti, ma anche emotive e personali in cui viene maturata questa decisione. La ferita che, inevitabilmente, si viene a creare riguarda sia la madre che abbandona, sia il bambino che viene abbandonato, e poi adottato. Qual è il destino delle cd. “madri di nascita”, una volta abbandonati i propri figli?
Sommario: 1. Introduzione; 2. Le madri che abbandonano: il loro ruolo nel cd. triangolo adottivo; 2.1 Le motivazioni dell’abbandono; 2.2 Le madri che abbandonano: non sempre una scelta consapevole; 2.3 L’abbandono: le conseguenze della perdita; 3. Il progetto Mamma Segreta: una possibile soluzione; 4. Conclusioni e proposte operative.
1. Introduzione
L’abbandono e l’adozione costituiscono due momenti intimamente legati tra loro, che caratterizzano il vissuto del bambino. Questo avviene, da un punto di vista logico, in quanto l’adozione è conseguenza del previo abbandono, ma anche per gli effetti derivanti dalla rottura del legame affettivo con la madre biologica1, con i quali il bambino e i genitori (sia biologici che adottivi) dovranno confrontarsi per tutta la vita.
Nancy Verrier definisce "ferita originaria" la profonda ed intima sofferenza che segna gli adottati, ed è allo stesso tempo "fisica, emotiva, psicologica e spirituale"2.
Tuttavia, anche la madre che abbandona il proprio figlio subisce la stessa ferita, che la segnerà per il resto della vita, così come accadrà al bambino.
Infatti, non va dimenticato che il termine “abbandono” viene utilizzato, etimologicamente, per indicare soprattutto il rifiuto, l’indifferenza e la non cura, ma anche la rinuncia a qualcosa o addirittura la delega.
Spesso questi significati vengono confusi, dando origine a pregiudizi e stereotipi sociali circa le madri che abbandonano, stigmatizzandole per una scelta non sempre consapevole e ponderata3.
2. Le madri che abbandonano: il loro ruolo nel cd. triangolo adottivo
Una prima domanda che sorge spontanea riguarda le motivazioni e i contesti socioculturali, che spingono queste madri ad abbandonare il proprio figlio. Queste ragioni sono spesso rimaste nell’ombra in passato, relegate nel pregiudizio e nello stereotipo, e spiegano l’abbandono riconducendolo a cause socioeconomiche o a differenze culturali.
In realtà, i motivi che hanno spinto a non indagare in modo approfondito le motivazioni di queste madri vanno ricercati, innanzitutto, in un modello di adozione, quello italiano, fondato sul segreto delle origini biologiche4.
L’obiettivo di questo modello rispondeva, all’epoca, al tentativo sociopsicologico di rimuovere le differenze socio-economiche e culturali tra il bambino adottato e la famiglia adottiva.
L’idea alla base era di nascondere, così, le origini del minore, come se fosse figlio biologico e non adottivo. In secondo luogo, un’altra spiegazione - che ha portato a non investigare ulteriormente sul tema - si rintraccia nella parziale percezione della complessità dell’adozione.
Nella società di allora, la famiglia adottiva - a volte inconsapevolmente ed altre no - tendeva a non riconoscere il bisogno dell’adottato ad essere aiutato nell’elaborare il proprio vissuto, e quindi l’abbandono.
In passato, nella letteratura e nella società, si è sempre discusso dell’adozione come se i reali protagonisti di questa vicenda fossero soltanto due, il bambino e i genitori adottivi, trascurando il “potere” e l’importanza di quelli naturali.
Contrariamente, ormai da diversi decenni è stata introdotta la nozione del cd. "triangolo adottivo"5, che definisce la famiglia adottiva come composta da una triade: vi sono i genitori adottivi, il figlio adottato e i "genitori di nascita"6.
In questa differente visione i protagonisti del percorso adottivo sono tre, quindi l’accento deve essere necessariamente posto sull’importanza di recuperare la storia del bambino precedente all’adozione, allo scopo di stabilizzare il suo sviluppo psico-affettivo.
Nonostante questa necessità sia di indubbio valore psicologico e affettivo, essa si scontra con la compresenza di interessi differenziati, benché tutti meritevoli di tutela.
Così, come può avvenire in una qualunque famiglia naturale, anche all’interno dell’adozione intesa come triangolo gli interessi affettivi di questi possono confliggere tra loro.
In primo luogo, troviamo il bisogno dei genitori adottivi di sentirsi confermati e riconosciuti nel proprio ruolo, come “veri genitori”, con la conseguente difficoltà di doversi interfacciare con quelli biologici.
Chiaramente, questo bisogno ancestrale di conferma genitoriale, da parte della famiglia adottiva, non può non entrare in contrasto con il bisogno del bambino ad essere aiutato ad integrare la sua doppia identità (biologica e adottiva).
Non solo, ma, come vedremo, entrerà in conflitto anche con il bisogno della madre naturale ad essere rappresentata con la dignità che merita.
Un simile conflitto di interessi si rintraccia a volte, anche, presso gli stessi operatori dei servizi sociali che seguono l’iter adottivo.
Infatti, questi rischiano, talvolta, di identificarsi nell’utente che hanno preso in carico (il genitore biologico, il bambino abbandonato, o il genitore adottivo), sottovalutando l’enorme complessità del percorso stesso7.
A questo riguardo sono, sicuramente, significative le diverse prassi seguite circa l’utilizzo delle informazioni sul genitore che abbandona. Da un lato, vi sono alcuni servizi sociali che non trasmettono all’Autorità Giudiziaria nessuna informazione relativa alla storia personale, sociale e familiare della donna che decide di abbandonare il neonato.
Solitamente, chi predilige una simile posizione ritiene prioritario tutelare il diritto del genitore biologico alla riservatezza e all’anonimato, come previsto dalla legge. Invece, dall’altro lato, vi sono servizi sociali che, pur tutelando il diritto all’anonimato della madre, raccolgono e trasmettono all’autorità giudiziaria informazioni circostanziate sulla storia personale della donna, e sul contesto emotivo e sociale in cui è maturato l’abbandono8.
2.1 Le motivazioni dell’abbandono
Restando fermo quanto fino ad ora osservato, è necessario indagare a fondo le motivazioni dei genitori che abbandonano, perché solo avendo chiaro il quadro di riferimento, sarà possibile, come operatori, rappresentare correttamente queste donne, trasmettendo ai genitori adottivi un’immagine realistica e veritiera. Lo scopo ultimo sarà quello di potere impostare correttamente la relazione tra famiglia adottiva e adottato, così che la stessa adozione costituisca un valido supporto per potere elaborare l’esperienza dell’abbandono da parte dell’adottato.
Tuttavia, non è necessario, soltanto, indagare le motivazioni della madre biologica, ma anche avere chiaro il contesto emotivo e affettivo in cui viene maturata la scelta dell’abbandono, le relative circostanze e i diversi scenari in cui questo si verifica.
Esistono tre principali tipologie di abbandono: l’abbandono come inadeguatezza, l’abbandono come agito, e l’abbandono come rinuncia.
L’abbandono come inadeguatezza è molto frequente e prevalente, rispetto alle altre, nella realtà nazionale.
Si configura laddove le madri abbiano messo in atto una serie di gravi trascuratezze, maltrattamenti o abusi sessuali verso il minore.
Inoltre, queste stesse madri non hanno risposto positivamente ai tentativi dei servizi sociali di avviarle ad un trattamento delle rispettive problematiche personali e relazionali, o di sostenerle in un percorso di recupero della propria genitorialità.
In questi casi, l’autorità giudiziaria minorile definirà lo stato di abbandono del minore, prendendo atto che le risorse (affettive ed economiche) del nucleo familiare biologico, anche se supportato, non sono sufficienti a garantire un’adeguata crescita del bambino.
L’abbandono come agito, invece, si verifica quando la madre non riesce a costruire con il neonato una relazione significativa, perché le sue energie emotive sono impegnate a fare fronte a relazioni problematiche, disturbate, o irrisolte con il partner o con la propria famiglia di origine.
Per queste madri il pensiero del figlio diventa un tormento profondo e dilaniante, laddove immaginino di perderlo, e se vedono rispecchiata nel rapporto con lui la propria triste infanzia.
Infine, l’abbandono come rinuncia viene agito dalla madre al momento della nascita, quando rinuncia a crescere il figlio, che viene così registrato all’anagrafe come figlio di persona che non vuole essere nominata e di padre sconosciuto.
A questo riguardo è interessante osservare come il termine "rinuncia"9 significhi "potere di un soggetto di abbandonare un diritto di cui è titolare": l’accento è posto sul diritto di chi rinuncia, in questo caso di essere genitore, ma non viene presa in adeguata considerazione il diritto di chi viene abbandonato, ovvero il figlio.
Ad ogni modo, la rinuncia è un atto che incide radicalmente sulla vita di entrambi: la madre che abbandona e il figlio che viene abbandonato10.
2.2 Le madri che abbandonano: non sempre una scelta consapevole
Cosa troviamo, quindi, alla base dell’abbandono e della rinuncia di queste madri?
Solitamente, i genitori che abbandonano il proprio figlio non hanno elaborato efficacemente le proprie esperienze infantili11, perciò risultano incapaci di costituirsi a loro volta come valide figure di attaccamento nei confronti dei loro figli.
Tuttavia, nonostante quanto appena accennato, risulterebbe controproducente e fuorviante stabilire dei rigidi nessi deterministici di causa effetto tra il vissuto delle madri e l’abbandono dei propri figli.
Quindi, dobbiamo ipotizzare che queste madri, non solo, abbiano avuto attaccamenti traumatici, ma non abbiano mai incontrato nella loro vita altre opportunità compensative e riparative12.
Quindi, le madri che abbandonano vogliono, in realtà, proteggere il proprio bambino?
Come ci informa la letteratura in materia, il compito centrale di ogni genitore è proteggere i propri figli fino al raggiungimento della loro maturità. Tuttavia, la genitorialità viene spesso influenzata dal modo in cui il genitore ha imparato a proteggersi dal pericolo.13
Solitamente, in presenza di un abbandono la funzione di protezione viene distorta.
Spesso i comportamenti inadeguati di un genitore possono essere considerati dei meccanismi distorti per proteggere sé stessi dal pericolo, ma a danno del proprio figlio. Infatti, genitori insicuri o irrisolti risultano fortemente influenzati dalle proprie esperienze, tendono ad agire in base a queste piuttosto che alla situazione attuale, e risultano maggiormente guidati dai propri stati emotivi, anziché pensare ai bisogni emotivi del proprio figlio.
Questi genitori, non avendo elaborato la propria esperienza traumatica, non riescono a rappresentarsi il bambino e i suoi bisogni, perché tendono a rispecchiare nel figlio il proprio vissuto irrisolto. In questi casi prevale l’esigenza del genitore di proteggere sé stesso.
Le madri che abbandonano si trovano in situazioni di forte stress, si sentono minacciate nella loro integrità e nelle possibilità di sopravvivenza, quindi non riescono a “visualizzare” il proprio figlio.
In una siffatta dinamica, queste madri falliscono nel percepire e nel sintonizzarsi emotivamente con il proprio bambino, e tendono a sperimentare un’esperienza assimilabile alla dissociazione (centratura totale su di sé e sui propri bisogni).
Quindi, nonostante gli effetti e le conseguenze psico-sociali dell’abbandono potranno essere diverse tra la madre e il bambino, entrambi risulteranno segnati, spesso a vita, da questo evento.14
Profilata la figura, assolutamente non generalizzabile, della madre che abbandona, analizziamo la sua esclusione - molto frequente - dal collocamento in adozione o dall’affidamento.
Risulta abbastanza diffusa la tendenza, ad opera dei servizi, di escludere le madri di nascita dall’accompagnamento del bambino al collocamento adottivo.
Prevale, nei fatti, l’abitudine ad affrontare e gestire la separazione madre-figlio con una modalità di cesura netta dei rapporti e con tempistiche molto rapide.
Questa prassi, utilizzata anche in altri contesti (collocamento in comunità o affidamento familiare), risulta funzionale alla necessità di limitare il più possibile la sofferenza, favorendo dei distacchi il più possibile rapidi e indolori.
Vengono così eliminati, anche se solo in superficie, sentimenti di tristezza, dolore o rabbia, evitando o negando la sofferenza delle madri che abbandonano.
Questa pratica comporta, nella sostanza, una conseguenza dai confini poco chiari: queste donne non si sentono in alcun modo legittimate ad affrontare le difficoltà della perdita, e a gestire il "lutto" che ne deriva.
Alcune motivazioni, poste alla base di questa prassi, riguardano le premesse degli operatori dei servizi, che prediligono la celerità del procedimento all’elaborazione di quest’importante fase della vita.
Si presume, ad esempio, che la madre possa boicottare o ostacolare il collocamento adottivo. Oppure, possono effettivamente sussistere esigenze di riservatezza, di privacy, nei confronti della famiglia adottiva, così come il timore che la madre possa acquisire informazioni sul collocamento adottivo, e violarne la segretezza15.
Tuttavia, è fondamentale dovere ripensare queste prassi, in modo tale che madri e bambini siano messi nelle condizioni migliori per potere affrontare questa perdita, che esiste, è tangibile, e come tale va riconosciuta e gestita16.
2.3 L’abbandono: le conseguenze della perdita
Sono evidenti le conseguenze psicologiche, che ricadono sul figlio adottato in seguito all’abbandono. Ad ogni modo, sono altrettanto dolorose le ferite che può riportare una madre che decide di abbandonare il proprio figlio.
A queste conseguenze si aggiunge lo stigma sociale e l'infamia con i quali queste donne vengono condannate dalla società per questa loro scelta17.
Anche se entrambi soffrono di questo abbandono, probabilmente la gestione e l’elaborazione della perdita ha un’incidenza maggiore sulla madre, piuttosto che sul figlio.
Infatti “ciò che rende più difficile elaborare la perdita, anche per le madri, è che, a differenza del lutto, i figli ci sono, sono vivi, non sono nell’aldilà”18.
L’abbandono si configura come una perdita, anche se non permanente, a differenza della morte.
Proprio per questo motivo, tale perdita, per come si verifica, risulta poco chiara e alimenta nella donna fantasie di ricerca e di riunione con il proprio figlio.
Sono frequenti nelle madri che abbandonano alcuni problemi che costituiscono una vera e propria sindrome, la cd. "sindrome delle madri di nascita"19, che si caratterizza con alcuni tratti tipici. 20
Come abbiamo potuto osservare, il quadro generale in cui si sviluppa e si concretizza il fenomeno dell’abbandono è preoccupante e singolare.
Sicuramente, rispetto al passato, i cambiamenti socioassistenziali e politico-culturali che si sono succeduti nei decenni, hanno concesso un maggiore ventaglio di possibilità alle donne che vogliono affrontare una gravidanza non voluta21.
Tuttavia, attualmente, il nostro ordinamento giuridico e la rete dei servizi sociali non si occupano più delle madri che abbandonano, una volta pronunciata l’adozione e collocato il minore presso la famiglia adottiva o affidataria.
Queste donne vengono lasciate al loro destino, spesso infausto, prive di mezzi tramite i quali potere affrontare l’abbandono, ma soprattutto con la necessità - nell’immediato, e soprattutto negli anni successivi - di un sostegno psicologico e sociale, che le aiuti a riconoscere la propria decisione, e a perdonare sé stesse22.
Perciò, è naturale porsi dei quesiti fondamentali, dalla risposta non immediata, ovvero chi si occupa delle cd. “madri di nascita”?
E soprattutto, procedendo verso un futuro dai margini indefiniti e poco chiari, da un punto di vista socioassistenziale, quale sarà il loro destino?
3. Il Progetto Mamma Segreta: una possibile soluzione
Una prima risposta ai quesiti posti nel paragrafo precedente la possiamo rintracciare nel “Progetto Mamma Segreta”23, promosso dalla Regione Toscana ormai da diversi anni.
L’obiettivo del progetto consiste nel prevenire l’abbandono di minori, sostenendo le gestanti e le madri in grave difficoltà, garantendo loro tutto il sostegno possibile da parte dei servizi territoriali e ospedalieri presenti sul territorio regionale.
Il progetto, dopo una prima fase sperimentale avviata nel 1999, in collaborazione con il Comune e con l’ASL del Comune di Prato e con l’Istituto degli Innocenti di Firenze, diventa operativo nel 2005 con l’obiettivo di coinvolgere l’intero territorio regionale.
L’obiettivo centrale è quello di fornire un percorso di prevenzione e di tutela, che permetta alla donna in difficoltà di affrontare con consapevolezza la propria gravidanza, sia che decida di portarla a termine, tenendo il bambino, sia che decida di non riconoscerlo, partorendo in anonimato.
Infatti, la legge italiana garantisce il diritto per tutte le donne (incluse extracomunitarie e donne in condizione di clandestinità) di partorire in anonimato gratuitamente, ricevendo la necessaria assistenza sanitaria per loro stesse e per il loro bambino.
Il progetto offre, in particolare, informazioni, sostegno e accompagnamento durante la gravidanza a donne in difficoltà sociopsicologica, che potranno rivolgersi al servizio in completo anonimato e gratuitamente24.
Possono accedere al percorso tutte le donne in gravidanza (straniere, italiane, residenti, non residenti, clandestine, nubili o coniugate), senza limiti di età e in qualsiasi condizione socio-familiare.
Il progetto viene attuato attraverso il coinvolgimento dei comuni di Firenze, Prato, Pisa e Siena, in qualità di comuni capofila delle relative aree vaste: è loro compito coordinare le iniziative di informazione e formazione, in modo da raggiungere tutti gli operatori, sia dei servizi sociali territoriali che dei presidi ospedalieri25.
Nel corso degli ultimi anni si è cercato di implementare gli obiettivi che il progetto Mamma Segreta cerca di raggiungere, presentando una serie di proposte operative26 per rendere maggiormente edotta la madre biologica sulla propria scelta e sulle conseguenze di questa decisione.
In primo luogo, per quanto riguarda le modalità del parto anonimo, l’assistenza che la donna riceverà durante la gravidanza e nella fase successiva, ma soprattutto la fase dell’eventuale interpello27 ad opera del figlio: quali diritti ha la madre biologica, come li può esercitare, e come potrebbe avvenire l’eventuale contatto con il figlio abbandonato.
A questo riguardo, le proposte operative per raggiungere questi obiettivi sono state diverse.
Innanzitutto è stato proposto di aggiornare le linee guida regionali del percorso Mamma Segreta, rispondendo, così, alla necessità di una maggiore informazione sul possibile interpello della madre, comunicandole la disponibilità dei servizi per il sostegno successivo al non riconoscimento.
In secondo luogo, condividere le modalità adeguate per creare una continuità nei rapporti con il bambino (es. lettera o altro tipo di documentazione, se possibile), ma anche sostenere la madre nel suo percorso di rielaborazione post non riconoscimento.
In terzo luogo, è stata proposta l’elaborazione e la condivisione, fra Tribunali minorili e servizi sociali, di procedure e prassi per l’indagine e il colloquio con le madri biologiche nella fase di interpello. L’obiettivo è quello di condividere una serie di prassi comuni e uniformi per tutti i Tribunali minorili collocati sul territorio toscano28.
Quest’ultimo obiettivo risulta di particolare importanza, se consideriamo la peculiarità del progetto Mamma Segreta, secondo due principali motivazioni.
Innanzitutto, rappresenta ad oggi un unicum a livello nazionale.
Infatti, nessun’altra regione ha predisposto un simile piano di intervento e di tutela nei confronti della madre che abbandona il proprio figlio alla nascita29.
Inoltre, mancando delle prassi condivise tra tutti i Tribunali minorili, sarebbe auspicabile addivenire ad una soluzione unanime riguardo a come è necessario muoversi in casi di abbandono.
Altrimenti, se ogni singolo Tribunale minorile dovesse autoregolarsi in autonomia, come sta avvenendo al momento, senza linee guida condivise da seguire, il progetto stesso continuerebbe ad avere un’efficacia solo parziale.
«Sulla base di questi primi obiettivi di riforma, si è addirittura pensato di attribuire una delega più ampia alla Polizia Giudiziaria, nella fase di raccolta delle informazioni preliminari sulla situazione attuale della madre biologica (situazione anagrafica, stato di salute, ecc.)30.
Infine, sarebbe di estrema importanza ed utilità condividere con il Tribunale minorile procedure che facilitino l’incontro del giudice con le madri: sarebbero presenti l’assistente sociale che ha curato la fase preliminare dell’interpello, ed uno psicologo.
Inoltre, risulta fondamentale garantire un percorso di accompagnamento post-incontro31 curato dai servizi sociali, e soprattutto creare un’equipe integrata e specializzata di operatori tra Tribunale minorile e servizi sociali»32.
4. Conclusioni e proposte operative
Come abbiamo potuto osservare, il fenomeno dell’abbandono presenta una complessa dinamica e coinvolge più soggetti.
In primis, la madre biologica trova un supporto nei servizi sociali solo al momento dell’abbandono e della scelta per l’anonimato, mentre per il resto della sua vita resta assolutamente priva di sostegno e di aiuto.
In secondo luogo, il figlio adottato, che è stato abbandonato, ha l’estrema necessità di comprendere, affrontare ed elaborare il più possibile il proprio passato preadottivo, e quindi l’esperienza dell’abbandono.
Infine, anche i genitori adottivi dovranno essere in possesso degli strumenti necessari per aiutare il figlio ad elaborare questo passato spesso traumatico.
A tale riguardo, risulta essenziale che la famiglia adottiva venga preparata, “formata” e informata, da parte dei servizi, circa il passato del proprio figlio e del contesto in cui la madre ha vissuto, e ha maturato la propria decisione.
È di fondamentale importanza che i genitori adottivi aiutino il proprio figlio ad elaborare la sua esperienza di abbandono.
Una domanda sorge spontanea, parlando di abbandono e di madri cd. “di nascita”, ovvero qual è il destino delle madri che abbandonano i propri figli?
Una possibile risposta a questa domanda la possiamo rintracciare nel Progetto Mamma Segreta, promosso dalla Regione Toscana e dall’Istituto degli Innocenti di Firenze, che fornisce un supporto e un sostegno completo, psico-sociale e assistenziale, alla donna in stato di gravidanza, qualunque sia la sua decisione.
Il progetto è sicuramente all’avanguardia, per la sua gratuità e per la garanzia di anonimato per la donna; è attivo dal 1999, e rappresenta un unicum a livello nazionale.
Proprio per questo motivo sarebbe auspicabile che anche le altre regioni si adeguassero, promuovendo progetti di sostegno e aiuto simili al modello toscano.
Attualmente, fatta eccezione per la regione Toscana, soltanto la Città metropolitana di Milano nel 1997 ha promosso un progetto simile a sostegno della difficoltà materna, che è rimasto attivo fino al 2015.
Se ogni regione disponesse di uno strumento simile, organizzato e diffuso capillarmente, le madri che abbandonano avrebbero un sostegno fondamentale in questo difficile momento della loro vita.
Non solo, ma come abbiamo potuto osservare, un simile sostegno è sicuramente centrale nel momento della gravidanza e della decisione della donna (anonimato o riconoscimento), ma è ancora più fondamentale e importante che essa stessa riceva assistenza nel post-non riconoscimento.
Infatti, è proprio in questo momento che la donna si sente più sola e abbandonata, e necessita del maggiore supporto possibile, sia psicologico che socioassistenziale.
Un’altra problematica, che si lega alla precedente, concerne la mancanza al momento di prassi operative e di linee guida condivise dai tribunali minorili e dai servizi sociali sul territorio toscano.
Soltanto laddove tutti i soggetti istituzionali interessati avranno condiviso delle linee guida da seguire all’unanimità, allora sarà possibile fornire un servizio realmente efficace alle madri che abbandonano.
Quindi non si può negare la necessità di una giustizia cd. riparativa33, ovvero «[...] di percorsi di riconciliazione e perdono, che possono aprire a possibilità di resilienza34, che non abbiano forma solo privatistica, ma che trovino uno spazio pubblico in cui esprimersi ed essere legittimati»35.
In questo medesimo scenario, un utile strumento di raccordo tra i diversi soggetti, non solo istituzionali, coinvolti in questa complessa vicenda, potrebbe essere il ricorso alla mediazione familiare.
La figura del mediatore familiare potrebbe essere inserita nell’equipe specializzata, appositamente formata, che accoglierà la donna che ha deciso di rivolgersi al progetto, mettendo a disposizione professionalità e competenze specifiche.
Chiaramente, il supporto di un servizio di mediazione familiare sarebbe utile alla donna qualunque sia la sua decisione.
Questo vale sia nel caso in cui la donna abbia scelto di partorire in anonimato, sia laddove abbia dei dubbi sul da farsi, oppure decida di tenere il bambino, ma risulti comunque bisognosa di supporto.
Infine, il mediatore familiare sarebbe di indubbia utilità nel momento dell’interpello, unendo la sua figura professionale alle altre due già presenti in questa sede, l’assistente sociale e lo psicologo.
Questi operatori informeranno adeguatamente la donna interpellata, dal figlio abbandonato, su quali sono i suoi diritti e la sua posizione in quanto madre biologica.
1 P. MILANI, La famiglia naturale: cosa resta dopo la perdita di un figlio, in Minorigiustizia, 2017, 4, 91 ss.
("La madre biologica viene tutelata dalla legge (L. n. 184/83, poi novellata dalla L. n. 149/2001) nel suo diritto a scomparire, preoccupandosi che non le venga richiesto, nemmeno dal figlio, di tornare 'visibile'. Nel discorso sociale, ma soprattutto in quello giuridico, la madre biologica viene stigmatizzata a prescindere: sulla scena adottiva è la grande assente, mentre nel cuore del figlio adottato è l’eterna presente. Invisibilità e presenza sembrano, quindi, essere direttamente proporzionali").
2 N. VERRIER, The primal wound, Baltimore, Maryland, 1999.
3 F. VADILONGA, Madri che lasciano: la parte dimenticata dell’adozione, in S. Breschi, (a cura di), Identità in costruzione - La ricerca delle informazioni sulle origini nell’adozione: vissuti, sostegno professionale e prospettive di sviluppo, Istituto degli Innocenti, Firenze, 2018, 81 ("L'abbandono e l'adozione sono due atti strettamente collegati tra loro. Non solo logicamente, in quanto il secondo è conseguenza del primo, ma soprattutto per gli effetti derivanti dalla rottura del legame affettivo con i quali il bambino e i suoi genitori di nascita, e di conseguenza anche i genitori adottivi, dovranno fare i conti tutta la vita.
Nancy Verrier (1999) definisce "ferita originaria" quella profonda sofferenza che segna gli adottati e che è allo stesso tempo "fisica, emotiva, psicologica e spirituale".
Riprendendo questa definizione potremmo dire che anche le madri che abbandonano sono segnate da questa stessa ferita.
Il termine abbandono è utilizzato per definire sia il rifiuto, l'indifferenza e la non cura, ma anche la rinuncia e la delega; sovente tali significati sono confusi e mescolati, dando luogo a pregiudizi e stereotipi sociali, relativamente alle madri che abbandonano.").
4 N. FALLACI, Di mamma non ce n’è una sola, Milano, 1982, 330, nota n. 1. ("Negli anni ’60 il giurista Padre Salvatore Lener pubblicò, sulla rivista “La Civiltà Cattolica”, due contributi in materia di adozione. L’autore paragona l’adozione all’innesto, che fa attecchire su una pianta parte di un’altra pianta, in modo da ottenere un solo individuo, senza più rapporto con la radice originaria"); M. CROTTI, Adottare e lasciarsi adottare, Milano, 2006, 17 ss.
5 A. SOROSKY, A. BARAN, R. PANNOR, (rev. Ed.) The adoption Triangle, New York, 1984.
6 Cfr. F. VADILONGA, cit., 82, nota n. 41. ("Quest’espressione viene tradotta così, da alcuni autori, dall’inglese birth parents, termine introdotto negli Stati Uniti dal movimento per la cd. open adoption (adozione aperta), entrato da tempo nel linguaggio comune, e preferito alle più tradizionali definizioni" (es “genitori biologici”, “genitori naturali”, o secondo altri, nel caso delle madri, “madri di pancia”, da distinguersi dalle “madri di cuore”, ovvero la madre adottiva).
7 Si osserva che, nonostante la legge sull’adozione (L. n. 184/1983, novellata con L. n. 149/2001) disciplini il parto anonimo, il legislatore non ha espressamente previsto alcunché in merito alla ricerca delle origini da parte dell’adottato non riconosciuto alla nascita, se non un netto divieto di accesso alle informazioni sulla madre biologica.
Nel 2012 è intervenuta la Corte EDU, con il celebre caso Godelli c. Italia, riconoscendo un simile diritto all’adottato. In seguito, si è mossa, negli stessi termini, anche la giurisprudenza italiana.
Tuttavia manca ancora una legge che disciplini, espressamente, questo diritto dell’adottato in quanto tale.
Non esistono, però, prassi uniformi, a livello nazionale, per i servizi sociali, circa la raccolta di informazioni sulla madre biologica al momento del parto anonimo. In mancanza di linee guida condivise da seguire, ogni servizio ha scelto di muoversi individualmente.
8 F. VADILONGA, cit., 82-83 ("[...]Le ragioni e gli scenari che conducono i genitori biologici a rifiutare il proprio figlio sono rimaste a lungo nell'ombra, poco indagati, lasciati al territorio del pregiudizio e degli stereotipi che individuano all'origine dell'abbandono cause socio-economiche o differenze culturali nei modelli di accudimento.
I motivi che hanno portato a non indagare in modo approfondito le motivazioni dei genitori che abbandonano i propri figli sono da ricercare, innanzitutto, in un modello di adozione fondato all'origine sul segreto. Tale modello corrispondeva al tentativo sociale e psicologico di rimuovere le differenze e annullare la diversità tra il bambino adottato e i propri genitori adottivi.
Tra i motivi che hanno portato a non indagare in modo approfondito le motivazioni dei genitori che abbandonano i propri figli vi è quindi la percezione parziale della complessità dell'adozione e l'assenza di consapevolezza relativamente al bisogno del bambino di essere aiutato a elaborare il suo abbandono. Oggi analogamente si potrebbe dire altrettanto relativamente al bisogno delle madri che abbandonano di essere aiutate a elaborare la loro perdita.
Per lungo tempo si è ragionato come se i protagonisti dell'adozione fossero solo due, il bambino e i genitori adottivi, trascurando di prendere in considerazione i genitori biologici, che conservano per tutta la vita dell'adottato un'importanza e un "potere" eccezionale.
Sorosky, Baran e Pannor (1984) hanno introdotto la nozione di "triangolo adottivo" per definire la famiglia adottiva intesa come una triade costituita dai genitori adottivi, dal figlio adottato e dai "genitori di nascita". I protagonisti del percorso adottivo, in questa concezione, sono dunque tre e l'accento può essere posto sulla necessità di recuperare la storia del bambino come fattore di stabilizzazione nel suo sviluppo psico-affettivo. Ma tale necessità si scontra con la presenza di interessi affettivi diversi, tutti ugualmente meritevoli di tutela. La famiglia, come sappiamo, è un luogo in cui coesistono interessi emotivi diversi, di cui i vari membri sono portatori, e questi, a volte, possono entrare in conflitto (Boszormeny-Nagy, Spark 1988). Anche nell'adozione intesa come "triangolo" gli interessi possono essere conflittuali: il bisogno dei genitori adottivi di sentirsi confermati nel ruolo genitoriale come i "veri genitori" con la conseguente difficoltà a confrontarsi con i genitori di nascita, può confliggere con il bisogno del bambino di essere aiutato a integrare la sua doppia identità e come vedremo anche con il bisogno delle madri di nascita di essere rappresentate con dignità.
Il conflitto di interessi a volte si rispecchia anche negli operatori dei servizi che seguono l'adozione nelle sue diverse fasi. Essi, infatti, rischiano di identificarsi con l'utente che in quel momento hanno in carico (i genitori di nascita, il bambino abbandonato o il genitore adottivo) trascurando la complessità dell'intero percorso.
Sono significative, per esempio, le differenti prassi seguite rispetto all'utilizzo delle informazioni sulla storia del genitore che abbandona in diversi contesti; alcuni servizi non trasmettono all'Autorità Giudiziaria informazioni relative alla storia personale, sociale e familiare in cui matura la decisione della donna di abbandonare il neonato. Chi sostiene una simile posizione ritiene che sia preminente tutelare il diritto del genitore biologico alla riservatezza e all'anonimato, come la legge prevede.
Altri servizi invece, pur tutelando il diritto del genitore biologico all'anonimato raccolgono e trasmettono all'autorità giudiziaria circostanziate informazioni sulla storia personale della madre e sul contesto emotivo in cui è maturato l'abbandono").
9 Lo Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, 2003.
10 F. VADILONGA, cit., 83-84, 87, 89 ("Dobbiamo indagare a fondo le motivazioni dei genitori che abbandonano i propri figli perché, solo avendone chiarezza noi operatori, potremo rappresentarci correttamente le madri di nascita, al fine di trasmettere ai genitori adottivi una rappresentazione realistica e veritiera, affinché essi impostino correttamente la relazione con il loro bambino e l'adozione si costituisca come un valido supporto elaborativo.
Per questo è opportuno non solo comprendere meglio le motivazioni dei genitori che abbandonano i propri figli, ma aver chiaro il contesto emotivo e affettivo in cui matura l'abbandono, le circostanze in cui avviene e le costanti di così differenti scenari.
[...] ..tre differenti casi per illustrare le tre tipologie di abbandono più diffuse.
L'abbandono come inadeguatezza.
Si tratta di una tipologia molto frequente e che, pur in assenza di dati statistici, si può presumere sia prevalente rispetto alle altre nella realtà nazionale. Queste madri hanno messo in atto gravi trascuratezze, maltrattamenti o abusi sessuali, e non hanno risposto positivamente ai tentativi dei servizi di avviarli a un trattamento delle proprie problematiche personali e relazionali, nonché di sostenerli in un percorso di recupero della genitorialità. Lo stato di abbandono è stato definito dall'autorità giudiziaria minorile che ha preso atto che le risorse del nucleo biologico, anche se supportato, non sono sufficienti a garantire una adeguata crescita del bambino. [...]
L'abbandono come agito.
L'abbandono può essere agito dalla madre quando vengono a cadere le illusioni costruite sulla nascita del bambino. La madre non riesce ad instaurare con il neonato una relazione significativa in quanto le sue risorse emotive sono impegnate a fare fronte a relazioni problematiche, disturbate o irrisolte con il partner o con membri significativi della sua famiglia di origine. Il pensiero del figlio diventa per queste madri un tormento profondo sia che immaginino di perderlo, sia che si rispecchino nel rapporto con lui relativamente alla propria triste infanzia. [...]
Abbandono come rinuncia. L'abbandono alla nascita può essere scelto dalla madre, che rinuncia al compito di crescere il figlio; il bambino viene quindi iscritto all'anagrafe come figlio di persona che non vuol essere nominata e padre sconosciuto.
La parola rinuncia significa "potere di un soggetto di abbandonare un diritto di cui è titolare"; l'accento è quindi posto sul diritto di chi rinuncia, in questo caso ad essere genitore, ma non viene preso in considerazione il diritto di chi viene abbandonato di essere figlio. La rinuncia, tuttavia, è un atto che incide radicalmente sulla vita di due persone e non solo su quella di chi rinuncia").
11 Ibid, cit., 91. ("Tra queste si ricordano: il fallimento della relazione di attaccamento con i care-giver; esperienze di abbandono e/o istituzionalizzazione; carenza di esperienze di comprensione empatica; traumi e perdite irrisolte; mancata elaborazione delle esperienze traumatiche e delle perdite subite").
12 Ibid. ("Ad es. è mancato nella relazione di coppia una compensazione sul piano affettivo, per fronteggiare l’insicurezza e la fragile autostima della donna.
Oppure, molte di queste madri si legano sentimentalmente a uomini violenti, che le maltrattano, sottoponendole ad ulteriori umiliazioni e svalutazioni, e con i quali strutturano rapporti di dipendenza emotiva, annullandosi per compiacerli").
Cfr. P. MILANI, cit., 96. «La realtà di queste donne è plurale ed estremamente varia».
13 P. M. CRITTENDEN, Raising Parents. Attachment, parenting and child safety, UK, 2008.
("Il compito centrale dei genitori è proteggere i figli fino al raggiungimento della maturità. La genitorialità è influenzata dal modo in cui la persona ha imparato a proteggersi dal pericolo e i comportamenti inadeguati possono essere considerati come delle distorte strategie di protezione dal pericolo [...]").
14 F. VADILONGA, cit., 92 ("[...] quando c'è abbandono, la funzione della protezione è di solito distorta. I genitori insicuri o irrisolti sono fortemente condizionati dalle loro passate esperienze e tendono ad agire, in base a queste piuttosto che alla situazione attuale; tendono ad agire maggiormente guidati dai propri stati emotivi piuttosto che pensare ai bisogni emotivi dei bambini. Pertanto, non sono in grado di rappresentarsi il bambino e i suoi bisogni in quanto prevale il bisogno di proteggere sé stessi; in questo caso la rappresentazione del genitore riflette la sua esperienza passata irrisolta e non elaborata. Le madri che abbandonano si trovano in situazioni di stress, si sentono minacciate nella loro integrità e nelle possibilità di sopravvivenza; viene meno la capacità di rappresentare e simbolizzare e quindi non riescono a mentalizzare il figlio. Falliscono nel percepire e nel sintonizzarsi emotivamente con il proprio bambino; si potrebbe ipotizzare che in quella situazione vivono una esperienza assimilabile alla "dissociazione" (centratura totale su di sé e i propri bisogni).
Tuttavia, anche alla luce dell'introduzione in futuro di forme di adozione aperta, possiamo affermare che per quanto l'abbandono danneggi il bambino, il comportamento della madre che abbandona può essere sostenuto da intenzioni e significati diversi o addirittura opposti rispetto all'effetto che quel comportamento ha sul figlio").
15 Cfr. E. SCIANÓ, Adozioni e social network: nella ricerca delle origini possibili pericoli per la famiglia adottiva, in, Cammino Diritto (Soc. Gen.), 2021, 2.
16 F. VADILONGA, cit., 92-93 ("É esperienza diffusa di molte madri di nascita di essere escluse dall'accompagnamento del bambino al collocamento adottivo.
Prevale la tendenza ad affrontare e gestire la separazione attraverso un taglio netto e tempi rapidi. Tali prassi, utilizzata anche in altri contesti quali il collocamento in comunità, la conclusione di un affidamento familiare (Vadilonga 2012), è funzionale alla presunta esigenza di limitare la sofferenza e favorire distacchi 'funzionali'. Sembra che le normali reazioni di tristezza, dolore, rabbia che le persone manifestano nell'affrontare la perdita siano negate alle madri che lasciano e a volte anche ai bambini che sono lasciati. Con queste prassi vengono inibiti i sentimenti di tristezza e vengono sostenute le difese di evitamento e negazione della sofferenza. Le madri non si sentono legittimate nell'affrontare umanamente le difficoltà e gestire la perdita.
Alcune motivazioni riguardano le premesse degli operatori quale per esempio il timore che la madre possa boicottare/ostacolare il processo di collocamento adottivo. Possono essere presenti esigenze di riservatezza, di privacy nei confronti della famiglia adottiva e il conseguente timore che la madre possa acquisire informazioni sul collocamento adottivo e possa venire violata la segretezza.
Tuttavia bisogna ripensare le prassi affinché madri e bambini siano messi in condizioni di affrontare la perdita").
17 Non è necessario percorrere, a ritroso, la storia della nostra società, ma è sufficiente leggere i numerosi casi di cronaca che ogni giorno occupano le pagine dei quotidiani.
18 D. M. BRODZINSKY, D. W. SMITH, A. B. BRODZINSKY, Children’s Adjustment to Adoption, Developmental and Clinical Issues, California, 1998.
19 M. BLOCH JONES, Birthmothers: Women Who Have Relinquished Babies for Adoption Tell Their Stories, Chicago, 2000.
20 F. VADILONGA, cit., 93-94 ("[..] Essendo una forma di perdita non permanente risulta poco chiara e alimenta le fantasie di ricerca e di riunione. Alcuni problemi riscontrati nelle madri di nascita ricorrono così spesso che raggruppati possono comporre il profilo di una sindrome specifica. La sindrome delle madri di nascita.
Negli anni seguenti l'abbandono o la cessione del bambino, la sindrome si manifesta con alcuni tratti tipici: Segni di dolore irrisolto, come una negazione persistente, rabbia o depressione; Sintomi di PTSD come flashbacks, incubi, ansia, evitamento, o reazioni fobiche; Diminuita autostima, passività, mancanza di progettualità, impotenza, indegnità, vittimizzazione; Identità doppia, divisa tra pretese esterne di perfezione o normalità e sentimenti interni di vergogna, autocondanna e isolamento; Arresto dello sviluppo emozionale; Auto punizioni spesso inflitte attraverso la partecipazione a relazioni abusanti, abuso di alcol o droghe, disordini alimentari, o altri comportamenti autodistruttivi; Vivere o vacillare tra vari estremi; Astinenza/promiscuità sessuale; Relazione ipercoinvolgenti o eccessivamente distanzianti; Ripetute gravidanza e procreazioni versus astinenza/impossibilità procreativa").
21 Si fa riferimento non solo all’aborto, divenuto legale in Italia con L. n. 194/78, ma anche all’adozione e quindi al parto in anonimato. Lo scopo sociale di istituti quali l’adozione o il parto anonimo è evidente: scongiurare eventuali infanticidi o abbandoni di minori in condizioni pericolose, sia per la madre che per il nascituro.
22 F. VADILONGA, cit., 94-95 ("I cambiamenti nel contesto sociale potranno rendere più facile affrontare gravidanze non volute; già oggi minor stigma.
[...] il nostro sistema giuridico e la rete dei servizi non si occupa più delle madri di nascita una volta decretata l'adozione e collocato il bambino. Queste donne sono lasciate al loro destino
Oltre a ovvie considerazioni di carattere preventivo, sappiamo infatti come una nuova gravidanza sia l'agito più frequente per riparare la perdita, bisogna riflettere anche sugli aspetti etici. Vissuti di rabbia, atteggiamenti rivendicativi, biasimo verso il contesto sociale (giuridico o professionale) o vissuti di colpa e di vittimismo possono essere elaborati singolarmente e in gruppo.
Serve loro una spalla su cui piangere e mani che le tengano; essere aiutate a riconoscere e perdonare sé stesse").
23 Delibera G. R., 3 settembre 2012, n. 792, Percorso regionale integrato di sostegno ed intervento Mamma Segreta - Indirizzi metodologici in materia di prevenzione degli infanticidi e degli abbandoni traumatici alla nascita, diritto al non riconoscimento e tutela del neonato.
24 Cfr. www.minoritoscana.it per consultare Delibera G. R., 3 settembre 2012, n. 792.
In particolare, alle pp. 14 ss. viene descritto nel dettaglio l’iter, che dovrà seguire la donna che sceglie di partorire in anonimato, e come gli operatori si dovranno rapportare a questa decisione.
25 Cfr. www.regione.toscana.it La Regione Toscana ha realizzato un opuscolo informativo tradotto in sette lingue, che è stato diffuso capillarmente su tutto il territorio regionale.
26 A causa dell'attuale emergenza pandemica, la revisione delle linee guida del progetto "Mamma Segreta", incluse queste proposte operative, in collaborazione con il settore sanitario regionale, è stata sospesa.
Tuttavia, recentemente, l'esame di queste proposte è stato ripreso, in attesa di un'approvazione definitiva.
27 In seguito al riconoscimento in Italia della pronuncia sul caso Godelli (Corte EDU, Godelli c. Italia, 25.09.2012) da parte della nostra giurisprudenza (Corte Cost. sent. 22.11.2013, n. 278; Corte di Cass. Civ. S.U., sent. 25.01.2017, n. 1946), è stato inserito nel nostro ordinamento giuridico lo strumento dell’interpello, allo scopo di sondare la volontà attuale della madre biologica a mantenere l’anonimato.
Ai sensi dell’art. 28, cc. 5, 7, L. n. 184/83, una volta che il figlio, adottato e non riconosciuto alla nascita dalla madre biologica, presentata apposita istanza - presso il Trib. Min. di residenza - di accesso alle informazioni sulle proprie origini, il Tribunale minori adito, coadiuvato dalla Polizia Giudiziaria, procederà a svolgere una serie di ricerche per individuare la donna.
Sia che questa abbia intenzione di restare anonima, sia che voglia svelare la propria identità, verrà convocata presso il Tribunale minori dal giudice incaricato, affinché le siano presentati - in un apposito setting che tuteli la propria riservatezza, insieme ad uno psicologo e ad un’assistente sociale - quali sono i suoi diritti e le conseguenze di un’eventuale svelamento della propria identità.
28 Questa è una personale rielaborazione del contributo di S. BRESCHI, Dalla formazione alcune proposte operative per lo sviluppo del modello di intervento regionale, (a cura di), Identità in costruzione - La ricerca delle informazioni sulle origini nell’adozione: vissuti, sostegno professionale e prospettive di sviluppo, Istituto degli Innocenti, Firenze, 2018, 121.
29 La Città metropolitana di Milano ha promosso, dal 1997 al 2015, attraverso l’Assessorato al Welfare e alle Pari Opportunità, lo sportello “Madre Segreta”, poi sospeso definitamente a causa dei tagli al bilancio.
L’obiettivo è identico: promuovere nelle reti locali un supporto ai servizi sociali e sanitari del territorio, con attività di formazione, consulenza e promozione.
E’ stato previsto un osservatorio permanente sulle nascite senza riconoscimento nelle province di Milano e Monza, ed una biblioteca tematica aperta alla consultazione del personale socio-sanitario.
Inoltre, è stato approntato un lavoro di documentazione e ricerca, con la realizzazione di pubblicazioni in materia, come strumento di supporto agli operatori socio-sanitari.
Cfr. www.cittametropolitana.mi.it
30 L’obiettivo di questa proposta consiste nel formare, appositamente, la Polizia Giudiziaria, allo scopo di comprendere la delicata indagine che andranno a svolgere nei confronti della madre biologica.
In particolare, gli agenti dovranno essere consapevoli che la madre, nel frattempo, potrebbe essersi costruita una nuova famiglia e una nuova vita. Talvolta la famiglia non sarà a conoscenza della sua scelta passata.
La situazione è molto delicata, perciò le indagini dovranno essere svolte nella massima attenzione e discrezione, nel rispetto della madre biologica, della sua riservatezza e di quella della sua famiglia.
31 Laddove la madre biologica accetti di sciogliere il proprio anonimato, il primo incontro tra lei e il figlio adottato dovrà svolgersi con tutte le precauzioni necessarie.
L’incontro non potrà essere lasciato al caso, ma dovrà essere appositamente organizzato all’interno di un setting specifico.
Purtroppo, sul punto non vi sono linee guida condivise, e mancando una legge ad hoc che disciplini questo delicato momento, ciascun Tribunale minori ha previsto delle proprie prassi operative.
Alcuni Tribunali minorili, addirittura, non disciplinano affatto questo momento, con tutte le conseguenze che ne possono derivare, sia da un punto di vista psicologico che personale.
Altri ancora, invece, si sono dimostrati particolarmente ricettivi al tema della ricerca delle origini.
32 S. BRESCHI, cit., 121.
33 In quest’ottica riparativa, per quanto si distanzi nettamente dal Progetto “Mamma Segreta”, non si può non menzionare, per completezza, il Programma P.I.P.P.I. (Programma di Intervento per la Prevenzione dell’Istituzionalizzazione),nascente dalla collaborazione interistituzionale tra Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il Laboratorio di Ricerca e Intervento in Educazione Familiare dell’Università di Padova, e i servizi sociali e di tutela dei minori.
Cfr. www.minori.gov.it
34 Cfr. G. FACCHI, Resilienza e adozione, 2020, in www.italiaadozioni.it, 18 ottobre 2020.
("Il vocabolo, traslato in ambito psicologico, si riferisce alla capacità dell’individuo di superare le avversità e continuare il proprio sviluppo normale, talora con maggiori risorse.
Resilienti sono bambini, giovani, adulti che hanno un funzionamento emotivo e sociale adeguato nonostante siano stati esposti a gravi avversità o condizioni di rischio, tali da compromettere il loro adattamento. Persone che hanno un’evoluzione favorevole, nonostante abbiano subito una forma di stress che nella popolazione generale comporta un serio rischio di conseguenze sfavorevoli (Rutter M. 1993) […]. Allo sviluppo della resilienza concorrono sia le capacità dell’individuo sia il contributo del contesto familiare e socioculturale.
Una definizione comprensiva sottolinea il ruolo sia dell’individuo (attributi personali e disposizionali), sia dei fattori familiari, sociali, culturali, relazionali (sistemi di supporto familiare ed ambientali che offrono nuove opportunità e possono trasformarsi in fattori decisivi di cambiamento), presenti di fronte al rischio. La resilienza come capacità di adattarsi a situazioni biologiche e sociopsicologiche avverse e di sviluppare competenze collegate a risorse interne ed esterne, non si riferisce ad un tratto o ad una singola caratteristica, ma ad un processo dinamico".
Cfr. A. VINAY, Traiettorie della vita adottiva: età adulta e resilienza? in Minorigiustizia, 2017, 4, 18-26.
35 P. MILANI, cit., 97.