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Pubbl. Mer, 14 Lug 2021
Sottoposto a PEER REVIEW

Eredità digitale: il Tribunale di Milano ordina ad Apple di sbloccare i dati del figlio deceduto

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Davide Cavicchi



Un’ordinanza del Tribunale di Milano, pronunciata in via d’urgenza, affronta, per la prima volta in Italia, il problema dell’accesso ai dati personali di una persona defunta e delle modalità di esercizio dei diritti del titolare di questi dati da parte dei suoi eredi. Il tema, particolarmente delicato per le implicazioni sia emotive che giuridiche che comporta, pone il problema della disciplina della successione mortis causa, legittima o testamentaria, che abbia per oggetto beni c.d. digitali, i quali nel loro complesso, riferiti al fenomeno successorio, costituiscono quella che oggi viene definita l’eredità digitale.


ENG An order of the Court of Milan, issued with urgency, deals for the first time in Italy with the problem of access to the personal data of a deceased person and the manner in which the heirs of the deceased can exercise their rights in regard to that data. The issue, that is particularly delicate due to both its emotional and legal implications, poses the problem of the regulation of succession mortis causa, be it testate or intestate, that regards so-called digital goods, which as a whole, referring to the matter of succession, constitute what today is defined as digital inheritance.

Sommario: 1. Premessa; 2. La decisione del Tribunale di Milano; 3. Il caso americano; 4. Il caso tedesco; 5. Le questioni giuridiche sottese ai casi esaminati: la c.d. eredità digitale; 6. Il problema della ricostruzione del patrimonio digitale: l’accesso ai dati; 7. La successione nel patrimonio digitale; 8. Conclusioni.

1. Premessa

Nel febbraio del 2020, a seguito di un grave incidente stradale, un giovane perde la vita.

Com'è facile immaginare, egli era solito utilizzare, per motivi sia personali che professionali, un telefono cellulare di ultima generazione, divenuto, nel tempo, deposito di messaggi, foto, riprese video, appunti, documenti in forma di file, e così via.

La vittima, inoltre, conservava i propri dati anche in spazi virtuali messi a diposizione da sistemi di sincronizzazione online, il c.d. cloud.

I genitori superstiti si attivano per tentare di recuperare tutto o parte del patrimonio di ricordi e tracce sensibili della vita del figlio, accedendo al suo telefono cellulare, dovendo però prendere atto che il dispositivo è andato distrutto a causa dell’impatto conseguito al sinistro.

Per questo motivo tentano di  recuperare le credenziali di accesso al servizio cloud annesso all’uso del telefono cellulare del figlio onde accedere ai dati ivi conservati.

Il procedimento però si rivela troppo macchinoso, le credenziali non rinvenibili, e il tentativo fallisce.

I genitori si rivolgono, allora, alla Apple Italia Srl, quale società appartenente al gruppo Apple - tramite cui opera la Apple Distribution International LTD - e chiedono il recupero dei dati personali dagli account del figlio[1].

La società interpellata però risponde con un rifiuto, affermando che, per consentire l’accesso ai contenuti nell’ID Apple, occorre un ordine di un Tribunale contenente determinati requisiti.

Ai genitori non rimane allora che la via giudiziaria: adiscono il Tribunale di Milano al fine di ottenere un provvedimento che condanni la Apple Italia Srl a fornir loro assistenza per il recupero dei dati dagli account del figlio.

Il provvedimento viene chiesto in via d’urgenza, con ricorso ai sensi dell’art. 700 c.p.c., in quanto la società aveva fatto presente che i propri sistemi, dopo un periodo di inattività dell’account cloud sarebbero stati automaticamente distrutti, onde il pericolo di un pregiudizio grave ed irreparabile all’esercizio dei diritti connessi ai dati personali dell’utente.

Il ricorso - nella contumacia della resistente - viene accolto, con ordinanza della prima sezione del Tribunale di Milano, del 9 febbraio 2021, con le motivazioni che si vanno qui di seguito a spiegare.

2. La decisione del Tribunale di Milano

Il fumus boni iuris, che il Tribunale ha ritenuto sussistente nel caso di specie, ha fondamento nella normativa di cui al Codice della privacy contenuto nel d.lgs. 30 gennaio 2003 n. 196. Più in particolare, la norma di interesse è l'art. 2-terdecies, introdotto dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101 e riguardante la tutela dei diritti delle persone decedute e l’accesso ai dati personali del defunto. Detta disposizione richiama gli articoli da 15 a 22 del Reg. (UE) 2016/679 del 27 aprile 2016 del Parlamento Europeo e del Consiglio e stabilisce chi possa esercitare i diritti tutelati da questi articoli nel caso in cui la persona che ne è titolare muoia2.

La disposizione riproduce, adattandola al sopravvenuto regolamento europeo del 2016, quella già contenuta nel terzo comma dell’abrogato art. 9 del Codice della privacy, e conferma la regola generale della sopravvivenza, alla morte del titolare, dei diritti ivi menzionati, i quali, quindi, possono essere esercitati da parte di determinati soggetti individuati dalla stessa norma.

L’ordinanza del Tribunale riconosce come il legislatore non chiarisca se si tratti di un acquisto mortis causa o di una legittimazione iure proprio. Sicuramente sancisce una persistenza dei diritti in parola e dei rimedi esperibili, oltre la vita del titolare.

L’autonomia del titolare di detti diritti si estrinseca nella circostanza che, ai sensi del secondo comma del citato art. 2-terdecies Codice della privacy, detto soggetto può impedire ai soggetti legittimati di cui al primo comma l’accesso ai propri dati personali e quindi l’esercizio dei correlati diritti3.

Si richiede, a tal fine, una dichiarazione scritta trasmessa al titolare del trattamento o a quest’ultimo comunicata, dalla quale la volontà libera, informata e specifica, di impedire l’esercizio dei diritti, risulti in modo non equivoco4

Il Tribunale riconosce che detta normativa pone l'accento sulla tutela della dignità e dell’autodeterminazione del soggetto in relazione ai propri dati personali, che sono riconosciuti come parte fondamentale della persona stessa5.

La volontà espressa dall’interessato può sempre essere revocata o modificata.

L’ultimo comma della disposizione considerata contiene una norma che assolve ad una funzione di bilanciamento. Più in particolare, stabilisce che il divieto dell’interessato non può comportare un pregiudizio per i terzi che esercitino diritti patrimoniali derivanti dalla morte dell'interessato o che difendano i propri interessi in giudizio.

Dato atto di questo quadro normativo, il Tribunale di Milano ha riconosciuto ai genitori del de cuius la legittimazione ad esercitare il diritto di accesso ai suoi dati personali.

Nel caso di specie, è emerso in modo chiaro che il de cuius non avesse espressamente vietato l’esercizio post mortem dei diritti connessi ai suoi dati personali, per cui, non essendovi alcun ostacolo formale all’esercizio dei diritti, questa legittimazione discende dalla ricorrenza di motivi familiari che risultano meritevoli di tutela.

Dalla lettura dell’ordinanza si evince che tali ragioni si fondano sia sul legame naturalmente esistente tra genitori e figli, sia sulla circostanza che, nel caso in esame, i genitori sono animati dalla finalità di recuperare le immagini relative all’ultimo periodo di vita del figlio, al fine anche di realizzare una raccolta delle sue ricette originali di modo da mantenerne vivo il ricorso.

Il Tribunale supera anche una specifica eccezione che la Apple Italia Srl aveva sollevato, in via stragiudiziale, per giustificare il diniego, ai genitori, di acceso ai dati personali del figlio.

La società aveva, infatti, comunicato che il diniego si fondava sulla necessità di tutelare la sicurezza dei clienti, e sul fatto che il Reg. 2016/679 non si applica, per espressa previsione del Considerando n. 27, ai dati personali delle persone decedute, con la conseguenza che unico soggetto legittimato a chiedere l’accesso sarebbe stato il titolare dei dati.

Il Tribunale chiarisce, però, che lo stesso Considerando n. 27 nel periodo successivo riconosce libertà decisionale agli Stati membri in relazione al trattamento dei dati personali delle persone decedute. Di conseguenza, è applicabile la normativa sopra richiamata del Codice sulla privacy.

In secondo luogo, è lo stesso Regolamento che all’art. 6, par. 1, lett. f), autorizza il trattamento dei dati personali necessario al raggiungimento dell'interesse del titolare o di terzi. Nel caso di specie, le ragioni familiari meritevoli di protezione integrano un’ipotesi di legittimo interesse in capo ai terzi, configurando il presupposto applicativo della citata norma.

Come anticipato, la Apple aveva subordinato l’accesso ai contenuti dell’ID del de cuius  alla presenza di un ordine del Tribunale contenente determinati requisiti. Più in particolare, si chiedeva che il Tribunale specificasse, tra l’altro, che il defunto fosse il proprietario di tutti gli account associati all’ID Apple, che il richiedente fosse amministratore o rappresentante legale del patrimonio del defunto e che agisse come agente del defunto, in modo che l’autorizzazione fosse fondata su un consenso legittimo secondo le definizioni rinvenibili nell’Electronic Communications Privacy Act.

Il Tribunale ha considerato non accoglibili queste richieste sulla base essenzialmente di due motivazioni. Innanzitutto, la società poteva essere a conoscenza del fatto che il defunto fosse il proprietario degli account in parola.

In secondo luogo, nell'ordinamento italiano non è possibile rinvenire un amministratore o rappresentante legale del patrimonio del de cuius e neppure un agente di quest'ultimo. Inoltre, la normativa italiana non prevede la necessità del rilascio di un'autorizzazione di un agente del defunto oppure di un consenso legittimo al fine dell'esercizio di tali diritti.

La pretesa della società è stata quindi considerata illegittima, in quanto volta a subordinare l’esercizio di un diritto, riconosciuto dall’ordinamento giuridico italiano, alla presenza di requisiti estranei all’ordinamento stesso.

Si è, così, ritenuto sussistente il fumus boni iuris.

Quanto al periculum in mora, esso è stato considerato ricorrente in quanto la Apple aveva fatto presente che i propri sistemi si sarebbero automaticamente estinti dopo un certo periodo di inattività dell’account cloud: per cui, il pericolo di un pregiudizio grave ed irreparabile ai diritti sottesi, doveva considerarsi in re ipsa.

Da qui l’accoglimento della domanda cautelare e la condanna della Apple Italia S.r.l. a fornire assistenza ai genitori del de cuius nel recupero dei dati dai suoi account, nella procedura c.d. trasferimento, volta a consentire ai ricorrenti l’acquisizione delle credenziali di accesso all’ID Apple del de cuius stesso.

La decisione del Tribunale di Milano rappresenta il primo precedente in materia in Italia, ma, in letteratura, si rinvengono almeno altri due casi giudiziari simili, che hanno riguardato la successione mortis causa rispettivamente di un cittadino americano e di una cittadina tedesca, ed ai quali, per comodità, possiamo attribuire il nome di caso americano e caso tedesco emblematici per comprendere appieno le problematiche sottese alle controversie questo genere.

3. Il caso americano 

Il caso giudiziario americano trae origine dalla morte di un giovane marine, avvenuta in Iraq nel 2004.

Il giovane era solito comunicare con i propri cari tramite posta elettronica, e per questo dopo la sua morte i genitori, suoi eredi legittimi, domandarono alla società che gestisce il provider Yahoo! di poter accedere all’account del figlio, in modo da recuperare il contenuto delle conversazioni intercorse ed altri eventuali dati e informazioni di possibile contenuto patrimoniale.

Come accaduto in Italia con la Apple, anche Yahoo! negò l’accesso, fondando la decisione sulla circostanza che il contratto di servizio era stato sottoscritto elettronicamente dal de cuius con una clausola che vietava il trasferimento dell’account e di ogni diritto su di esso e sui suoi contenuti - no right of survivorship and no trasferibility - con conseguente estinzione dell’account stesso alla morte del contraente.

Inoltre, una diversa clausola dello stesso contratto prevedeva che il gestore avrebbe potuto comunicare a terzi le informazioni contenute nell’account solo in presenza di un ordine giudiziale.

I genitori, nonché eredi del de cuius si rivolsero, allora, all’autorità giudiziaria, sostenendo, tra l’altro, la tesi per cui la casella di posta elettronica doveva considerarsi alla stregua di una cassetta di sicurezza, ed in ragione di ciò il suo contenuto sarebbe dovuto ricadere nell’asse ereditario.

La lunga e complessa vicenda giudiziaria si concluse con una pronuncia della Probate Court della contea di Oakland Country7 che negò ai genitori il diritto di ottenere la password per accedere all’account del figlio, ma ordinò al provider di consegnare, agli stessi le e-mail ricevute dal figlio, su supporto CD.

A questo caso si fa risalire l’emersione del problema della c.d. morte digitale e, con essa, della c.d. eredità digitale.

4. Il caso tedesco

La morte di una giovane donna tedesca, travolta da un treno della metropolitana di Berlino, è all’origine di un altro caso giudiziario8.

I genitori della giovane, in qualità di suoi unici eredi, domandarono alla società che gestisce la piattaforma social Facebook di ottenere copia dei contenuti del profilo della figlia mediante accesso ai dati personali della stessa.

Ciò anche al fine di acquisire tutte le informazioni utili per ricostruire le possibili cause della morte, posto che si sospettava un’ipotesi di suicidio.

La società negò l’accesso, ed anche in questo caso gli eredi ricorsero in giudizio.

La difesa della convenuta si fondò sulla circostanza che le policy aziendali e le condizioni generali di contratto sottoscritte dall’utente al momento della registrazione, escludevano il trasferimento mortis causa dell’account.

Inoltre, avrebbe impedito l’accoglimento dell’istanza anche un generale divieto legislativo di divulgazione dei contenuti, presente nell’ordinamento giuridico tedesco, unito ad un dovere di tutela della personalità della defunta.

La domanda dei genitori è stata accolta, in via definitiva, dalla Suprema Corte Tedesca9, la quale ha sancito importanti principi in materia.

Il ragionamento sotteso alla decisione si basa sulla convinzione che, in applicazione del principio di universalità della successione - ricavato dalla disposizione di cui al § 1922 BGB -  gli eredi dell’utente defunto succedono in tutti i rapporti giuridici a lui facenti capo, tra cui è ricompreso il contratto originariamente stipulato con Facebook.

I contenuti digitali, d’altro canto, sono equiparabili ai beni immateriali e il profilo Facebook di un soggetto può essere considerato alla stregua di un diario di memorie cartaceo, il quale - ai sensi dei §§ 2372 e 2047 BGB - entra in successione, anche quando contiene dati e informazioni strettamente personali o confidenziali.

Per la Corte tedesca, quindi, non si pone neanche un problema di violazione delle norme sulla privacy, in quanto l’erede, succedendo nell’intera posizione giuridica di una delle parti contrattuali, non è terzo rispetto al rapporto in parola10

Né la successione de qua, prosegue la Corte, è impedita dalle norme del Reg. UE 679/2016 (GDPR): infatti, tale Regolamento è volto a disciplinare gli interessi delle persone in vita non quelli degli eredi dell’utente defunto.

Questi ultimi, anzi, succedendo nel rapporto contrattuale, hanno accesso diretto ai dati ai sensi dell'art. 6, par. 1, lett. b) del predetto Regolamento, il quale sancisce che il trattamento dei dati personali si configura come lecito nel caso in cui sia volto a dare esecuzione ad un contratto nel quale il soggetto è parte oppure a porre in sede le misure precontrattuali che sono adottate in seguito ad espressa richiesta del soggetto stesso.

Il diritto degli eredi al trattamento trova poi fondamento nella lettera f) della stessa disposizione, la quale stabilisce che il trattamento dei dati è lecito nel caso in cui si configuri come propedeutico al soddisfacimento di un interesse legittimo del titolare del trattamento. Allo stesso tempo detta norma prevede, altresì, che tale trattamento sia ostacolato nel caso in cui lo stesso si ponga in violazione di diritti o libertà fondamentali dell'interessato stesso, soprattutto nell'ipotesi in cui quest'ultimo sia minore. Infatti, se detti diritti o libertà prevedono la tutela della privacy quest'ultima non può essere violata.

Nel caso di specie, il legittimo interesse è stato individuato nell’interesse dei genitori ad accedere alle comunicazioni della figlia, anche al fine di indagare sulle cause della sua morte. 

Da ultimo, la Corte tedesca ha precisato che le condizioni sottoscritte dagli utenti con la società dell’informazione, spesso si caratterizzano per una sensibile disparità di forza contrattuale, a favore della società predisponente e contro l’utente sottoscrittore: l’asimmetria è tale da intaccare il principio di universalità della successione e pregiudicare i diritti dell’utente e dei suoi eredi. 

5. Le questioni giuridiche sottese ai casi esaminati: la c.d. eredità digitale

Si suole definire l’attuale epoca come digitale. Detta espressione è da intendere nel senso che al mondo reale, inteso come mondo che si manifesta ai sensi dell’uomo attraverso la materia, si affianca una nuova dimensione, composta di reti interconnesse, alla quale si attribuisce il nome di infosfera o cyberspazio.

Quest’epoca utilizza nuove modalità di conservazione, elaborazione e trattamento di dati e informazioni, in quanto, come si è efficacemente affermato11, dati e informazioni sono trattati con un nuovo alfabeto, quello c.d. binario, composto di unità elementari di memoria dette bit12, combinati al fine di corrispondere ai caratteri alfanumerici del linguaggio naturale. Detto nuovo alfabeto è poi trattato con un nuovo inchiostro costituito da flussi di elettroni. Ha, infine, un nuovo supporto, una nuova carta, costituita dalle memorie elettroniche, magnetiche od ottiche, contenute in dispositivi di vario genere.

La trasmissione e la raccolta di dati e informazioni attraverso questa modalità crea quella dimensione virtuale - diversa da quella materiale - che prende il nome di datasfera.

È noto come il fenomeno della digitalizzazione abbia investito ogni settore della vita, come la comunicazione privata, quella pubblica, il commercio con le sue transazioni e offerte, e coinvolga, oggi, praticamente qualsiasi aspetto della dimensione umana.

Questa dimensione virtuale si connota, anzi, per essere diventata uno scenario in cui si estrinseca, con sempre maggiore frequenza, la personalità umana, le cui manifestazioni vengono quindi incorporate in un supporto di natura telematica13.

Benché si verifichi una sorta si smaterializzazione di siffatte manifestazioni, esse rimangono pur sempre riferibili all’individuo da cui promanano, cioè riferibili alla persona fisica; e questa stretta inerenza alla persona ha indotto autorevole dottrina ad affermare che il dato immesso in rete costituisca una sorta di parte del corpo digitale dell'utente14.

Il proliferarsi di questo fenomeno è certamente favorito dal sempre più intenso uso delle piattaforme sociali, che amplificano l’esposizione e la condivisione dei dati che connotano l’identità individuale, sì da implicarne quasi una sorta di tacita cessione da parte dell'utente15.    

Quindi è naturale che il diritto sia investito del compito di approntare adeguati mezzi di regolamentazione dei (nuovi) rapporti che ne scaturiscono, i quali fanno emergere nuove esigenze di disciplina e di tutela dell’identità personale.

Non sfugge a questa esigenza il diritto delle successioni, che pone almeno due ordini di problemi.

Anzitutto, l’adattabilità, alle nuove forme di supporto, del negozio testamentario, il quale, come noto, esige l’autografia, la quale sembra imporre il carattere della materialità sia al supporto sul quale si trovi espressa la volontà del testatore sia al mezzo attraverso il quale essa venga manifestata nel mondo sensibile16.

In secondo luogo, ed in termini più generali, si pone il problema di disciplinare il fenomeno della successione mortis causa - sia essa legittima o testamentaria - che abbia per oggetto, non più solo beni appartenenti al mondo c.d. analogico, ma anche beni c.d. digitali, i quali nel loro complesso costituiscono il c.d. patrimonio digitale17 e, riferiti al fenomeno successorio, la c.d. eredità digitale.

Siffatta eredità, come evidenziato in dottrina18, ha contenuto eterogeneo e peculiare, ed anche in ragione di queste sue caratteristiche si pone il problema dell’applicabilità e dell’adattamento delle norme in tema di successione a questi nuovi contenuti, riferibili alla persona del de cuius e al suo patrimonio.

Comprendere quale sia il (possibile) contenuto di un’eredità digitale, è il primo passo per verificare se, e in che misura, le siano applicabili le (tradizionali) norme in tema di successione; e sotto questo aspetto si rinvengono, in letteratura, già ampi contributi che prospettano ipotesi di classificazione e inquadramento giuridico19.

Una dottrina20 propone la ricostruzione di un vero e proprio oggetto della successione digitale e pone l’attenzione sulla necessità di distinguere, al suo interno, i seguenti elementi: i beni digitali - e i correlativi diritti di cui tali beni costituiscono oggetto - i rapporti contrattuali per l’utilizzazione di servizi connessi agli account, i supporti di memorizzazione dei dati. 

I beni digitali vengono descritti come elementi rappresentati in formato binario, cioè da una serie di 0 e 1, dei quali un soggetto possieda i diritti di utilizzo, contenuti all’interno di un dispositivo di utilizzazione fisico o virtuale.

Tali beni rilevano in quanto dati che siano stati creati dal defunto o su cui lo stesso potesse vantare un diritto di proprietà.

Vi appartengono i documenti informatici di testo (identificati con gli acronimi: .doc, .pdf, .txt, ecc.), le immagini (identificate con gli acronimi: .jpg, .jpeg, .bmp, ecc.), i video (identificati con gli acronimi: .mp4, .avi, ecc.), gli e-books, la corrispondenza elettronica (e-mail).   

Essi possono avere contenuto patrimoniale, dunque essere suscettibili di valutazione economica, ovvero non patrimoniale, cioè avere mera valenza personale o familiare.

Rientrano nella prima categoria, ad esempio, i beni digitali acquistati on line, i nomi a dominio, le opere dell’ingegno create con strumenti digitali, le fotografie digitali appartenenti a un fotografo professionista, i bitcoin.

Sono invece privi del carattere della patrimonialità i c.d. ricordi digitali in genere, come le fotografie e i filmati di famiglia non aventi valore artistico e che non siano opere dell’ingegno, le memorie personali e gli scritti intimi impressi su un documento informatico di testo, la corrispondenza su posta elettronica.

Nulla esclude, poi, che qualcuno di questi beni abbia, al tempo stesso, carattere patrimoniale e non patrimoniale (si pensi ad una fotografia digitale di famiglia avente valore artistico e dunque un certo possibile valore di mercato).

Si fanno rientrare nel patrimonio digitale anche i rapporti contrattuali in forza dei quali un dato fornitore concede ad un dato utente la fruizione di un servizio on line di informazione e/o di uno specifico ambiente virtuale avente determinati contenuti e funzionalità.

Più specificamente, il servizio può avere ad oggetto la ricezione, la conservazione o il processamento di informazioni, dati personali e contenuti digitali relativi a o d’interesse per l’internet user21, ed a tale servizio si suole accedere attraverso il c.d. account, che altro non è se non un sistema di riconoscimento dell’utente22.

Ne sono noti esempi gli account per usufruire di un servizio di posta elettronica (come Gmail ed altri), quelli per  l’utilizzo di piattaforme sociali (come Facebook o Twitter), o per ricevere notizie (come Il Sole24Ore o La Repubblica), o per eseguire operazioni bancarie on line o archiviare i propri dati digitali (iCloud o Dropbox).

La conclusione di un contratto per la prestazione di questi servizi implica che l’utente comunichi al fornitore una serie di informazioni sulla propria persona (in genere, almeno i propri dati anagrafici) e che il contraente scelga dei codici, necessari per l’accesso, da inserire, di volta in volta, in appositi campi: si tratta del nome identificativo (c.d. user-id o username) e di una parola di riconoscimento alfanumerica (c.d. password) che assolve allo scopo di proteggere i contenuti, rafforzando l’autenticazione.     

La combinazione di password ed username, talvolta associata ad altri codici come il Personal identification number (PIN) e/o la One time password (OTP), dà luogo alle c.d. credenziali di accesso, cioè l’insieme dei codici predisposti e richiesti per accedere, per l’appunto, ad un account, ma anche ad uno specifico bene digitale o ad un supporto di memorizzazione23.

Tornando all’account, si suole precisare che esso, in forza del contratto sottoscritto tra l’utente ed il fornitore, rimane di proprietà di quest’ultimo, ed il suo uso è regolamentato da clausole che, come è stato possibile osservare nel caso del Tribunale di Milano, possono impedirne o limitarne l’accesso agli eredi24.

Tra gli elementi del patrimonio digitale si fanno rientrare anche i supporti di memorizzazione25, che possono essere fisici - ed in quanto tali se ne rileva la natura giuridica di beni mobili: dischi rigidi magnetici, dischi a stato solido, memorie flash, dischi ottici - o virtuali.

Questi ultimi costituiscono degli spazi virtuali di memorizzazione, detti cloud, messi a disposizione dell’utente da un fornitore, atti a contenere ogni genere di dato, accessibili in qualsiasi momento ed in ogni luogo tramite un account.

Al di là delle possibili classificazioni, si comprende come l’insieme degli elementi del patrimonio digitale sia estremamente eterogeneo, e si comprende altresì come tale eterogeneità incida sia sull’attività di ricostruzione di siffatto patrimonio26 sia sulla qualificazione dei beni rientranti nell’asse ereditario.

Di ciò si darà conto nei paragrafi che seguono.     

6. Il problema della ricostruzione del patrimonio digitale: l’accesso ai dati

La ricostruzione del patrimonio del defunto, digitale o non digitale, è operazione necessaria per comprendere quali beni o rapporti possano considerarsi come facenti parte dell’asse ereditario e dunque possano trasferirsi agli eredi.

L’operazione è duplice. Da un lato, occorre comprendere di quali elementi sia composto, e dall’altro occorre qualificare tali elementi, indagarne la natura giuridica - fattispecie - al fine di farne derivare le adeguate conseguente giuridiche - disciplina.

Il problema sembra non porsi in termini di novità per quanto concerne i supporti fisici di memorizzazione di proprietà del de cuius27: essi - rectius: il diritto di proprietà su di essi - cadono in successione in quanto beni mobili non registrati e gli eredi ne diventano i nuovi proprietari.

Acquisito il possesso di tali beni, gli eredi potranno accedere alla memoria e verificarne il contenuto, che costituisce bene digitale a sé stante.

Va da sé che, in presenza di credenziali di accesso non conosciute, si renderà necessario l’intervento di un tecnico.   

Se, invece, i supporti non sono di proprietà del de cuius - in quanto, ad esempio, li deteneva in forza di una locazione, di un comodato o di un uso connesso alla sua qualità di dipendente - essi non cadono in successione e si porrà il problema di accedere alla memoria per scindere il contenuto che possa dirsi riferibile alla persona e al patrimonio del de cuius da quello riferibile e appartenente al proprietario del supporto - locatore o datore di lavoro28.

Qualora i beni digitali (o alcuni di essi) non siano contenuti all’interno di un supporto fisico di memorizzazione, o qualora si riveli tecnicamente impossibile estrarli da tale supporto, occorrerà accedere ai contenitori virtuali di questi dati, che si è visto essere supporti di memorizzazione virtuali (cloud), profili personali o professionali creati all’interno di piattaforme sociali (Facebook, Instagram, LinkedIn, ecc.) o commerciali (Amazon, Ebay, ecc.).

A questi profili, come si è detto, si accede tramite un account creato dal de cuius, o comunque a suo nome, onde si pone il problema della legittimazione di terze persone a tale accesso: problema che, come visto, è stato oggetto della decisione del Tribunale di Milano in commento.

Un rimedio empirico che è suggerito29 è quello di tentare l’accesso a tali account dai dispositivi fisici che fossero in qualche modo ancora utilizzabili. Spesso tali apparecchi mantengono in memoria le credenziali di accesso ai servizi in rete, e consentono così a chiunque ne abbia la disponibilità di accedere all’account.

Ma, in difetto, non rimane che rivolgersi al fornitore del servizio proprietario dell’account stesso e le difficoltà che potrebbero sorgere sono simili a quelle affrontate dai genitori-eredi che hanno adito il Tribunale di Milano.

In soccorso viene, a questo punto, proprio la normativa considerata in precedenza30 ed applicata dall’ordinanza del Tribunale di Milano, vale a dire il combinato disposto dell’art. 2-terdecies del Codice della Privacy, e delle disposizioni di cui agli articoli da 15 a 22 del Reg. (UE) 2016/67931.

Queste norme, come visto, attribuiscono il potere di esercitare una serie di diritti relativi ai dati personali del titolare - accesso ai dati, rettifica, ecc. - anche a terzi soggetti, individuati come coloro che abbiano un interesse proprio, o agiscano a tutela dell’interessato, in qualità di mandatari, o siano portatori di ragioni familiari meritevoli di protezione.   

I soggetti interessati e legittimati ad accedere ai dati contenuti negli account del defunto, o ad estrarne copia, possono quindi rivolgere formale istanza al fornitore del servizio comprovando il loro interesse e la loro legittimazione, secondo le comuni regole probatorie, combinate con le specifiche istanze del fornitore stesso.

Invero, il diritto ad accedere ai dati in parola è stato sostenuto in dottrina anche per altra via, ovvero richiamando le disposizioni dell’art. 6, par. 1, lett. b) ed f) del Reg. (UE) 2016/679.

Sull’assunto per cui il contratto per la fornitura di un servizio o di un bene digitale si trasferisce mortis causa agli eredi, alla stregua di qualsiasi altro rapporto contrattuale, si afferma che la legittimazione degli eredi al trattamento dei dati del defunto originerebbe proprio dal contratto stipulato da questi con il fornitore, di cui gli eredi sono quindi continuatori32.  

L’affermazione merita, forse, una precisazione.

Anzitutto, è possibile che il contratto in parola venga considerato come intuitu personae ed in quanto tale non trasmissibile agli eredi.

In secondo luogo, anche postulandone la trasmissibilità, i soggetti interessati dovrebbero dimostrare la loro qualità di eredi, non essendo sufficiente, al subentro nella posizione contrattuale, la qualità di chiamati all’eredità.

L’accesso ai dati però potrebbe anche avere una funzione esplorativa, ovvero essere funzionale alla decisione se accettare o meno l’eredità33. Allora richiamare la disposizione di cui alla citata lett. b) significherebbe porre i terzi interessati nella condizione di accettare l’eredità prima di aver terminato la ricostruzione del patrimonio digitale, con possibile nocumento per gli stessi.

Oltre a ciò, chiedere l’accesso ai dati, invocando l’esecuzione di un rapporto contrattuale già facente capo al de cuius, potrebbe implicare un’accettazione tacita dell’eredità, che i chiamati potrebbero non volere dopo aver preso visione ed avere conosciuto i dati stessi.

La legittimazione basata sull’art. 2-terdecies del Codice della Privacy evita invece queste implicazioni, tanto più che siffatta legittimazione, che la disposizione riconosce ai soggetti superstiti, deve considerarsi del tutto indipendente dalla loro qualità di eredi34.

Come visto, l’esercizio dei diritti di cui agli artt. 15-22 Reg. (UE) 2016/679, spetta anche a chi agisca come mandatario del de cuius, ma la norma non fa alcuna menzione della fonte del rapporto da cui dovrebbero originare i poteri del mandatario.

In dottrina, si è sostenuto che una simile nomina possa essere contenuta in un testamento, con il quale il testatore potrebbe anche far ricorso alla figura dell’esecutore testamentario35.

In alternativa, il titolare potrebbe porre in essere un atto di ultima volontà diverso dal testamento, contenente disposizioni di carattere non patrimoniale, dunque svincolato delle forme di cui agli artt. 601 ss. c.c., avente una qualsiasi forma, purché idonea allo scopo36.

Si è anche sostenuta l’ammissibilità di un mandato post mortem37, ritenuto strumento più agile e più adeguato agli scopi perseguiti dall’art. 2-terdecies Codice della Privacy28; il quale mandato, naturalmente, per essere valido e non incorrere nel divieto dei patti successori, non dovrà essere finalizzato all’attribuzione di diritti patrimoniali successori39.

Si consideri, poi, che la prassi già conosce meccanismi, di cui si avvalgono soprattutto le società che gestiscono social network, volti ad individuare, attraverso una nomina ad hoc effettuata dall’utente, il soggetto a cui venga attribuito il diritto di accedere ai dati personali, talvolta connesso con l’attribuzione ad esso di alcune facoltà (ne costituisce esempio il c.d. "contatto erede", istituito da Facebook).

La qualificazione di tali nomine oscilla tra l’atto di ultima volontà40 ed il contratto a favore di terzi41, ove il beneficiario sarebbe colui che viene autorizzato alla gestione del profilo dell’utente al momento della morte di questi.

Dato il quadro esposto, può dirsi che l’accesso ai dati, funzionale alla ricostruzione del patrimonio digitale, può fondarsi su diversi titoli: legittimazione ex lege; testamento; atto di ultima volontà diverso dal testamento; mandato post mortem; sottoscrizione di clausole con il gestore del servizio.

Gli interessati, invocando di volta in volta la loro qualità di chiamati all’eredità o di eredi o di mandatari o di portatori di un proprio interesse, se intendono inventariare il patrimonio digitale del de cuius avranno l’onere di contattare la società che ha stipulato il contratto di utenza col de cuius, indicando la fonte della loro legittimazione, quale sia l’interesse che li muove, apportando adeguati elementi probatori a sostegno della loro richiesta.

Avuto accesso ai dati, individuati i beni digitali, si pone il problema del se e come essi siano oggetto di successione.      

7. La successione nel patrimonio digitale

Una volta ricostruito il patrimonio ereditario digitale, si pone il problema dell’applicabilità, se pure con gli opportuni adattamenti, delle norme e dei principi propri della materia successoria.

Come detto in precedenza, nessun problema si pone per i supporti fisici di proprietà del de cuius, che cadono in successione in quanto beni mobili non registrati ai sensi dell’art. 812 c.c.

Quanto ai beni più propriamente digitali, si ritiene corretta e condivisibile la ricostruzione sistematica42 che li annovera nella categoria dei beni immateriali, riconducibili alla disposizione di cui all’art. 810 c.c.

Invero, già in altra sede si è avuto modo di evidenziare come, secondo una ricostruzione, la disposizione in parola consenta di tenere distinti i concetti di cosa e bene43.

Cosa è nozione metagiuridica: è cosa qualsiasi elemento della realtà materiale, qualsiasi entità caratterizzata dal requisito della corporalità.

Se, ad esito di una valutazione da parte dell’ordinamento, la cosa può considerarsi oggetto di un interesse giuridicamente rilevante, allora essa si qualifica come bene44.

Per questo si è affermato che l’art. 810 c.c. ha la funzione di scegliere all'interno della categoria generale cose i beni, vale a dire le cose che assumono rilevanza dal punto di vista giuridico45.

Si è però precisato che la norma non esclude affatto dal novero dei beni le entità diverse dalle cose: non solo queste ultime, infatti, rientrano nella categoria dei beni ma anche altre e diverse entità, non dotate del carattere della corporalità, che siano idonee  a costituire in generale oggetto di diritti46.

Ecco allora che anche un’entità non materiale può essere (giuridicamente) un bene, se su di essa si appunta un interesse giuridicamente rilevante: essa sarà un bene immateriale.

La categoria dei beni immateriali è tale da ricomprendere non solo le invenzioni, le opere dell’ingegno, i brevetti, i marchi, ecc., ma anche47 a quelle entità emergenti dall’evoluzione della scienza, della tecnica e della tecnologia informatica e telematica48 tra le quali - e torniamo a noi - i dati, le informazioni, le entità in genere che appartengono al patrimonio digitale. 

Si conviene, allora, con chi49 afferma che i beni digitali rientrino a pieno titolo nel patrimonio in senso tecnico di un soggetto: ne costituiscono la componente digitale, che non priva il patrimonio del suo carattere unitario né provoca una deviazione della disciplina ad esso applicabile; essendo necessario, semmai, un adattamento dei principi e delle regole proprie del nostro ordinamento.

Se questo è il punto di partenza per una ricostruzione del fenomeno successorio riferito al patrimonio digitale, il suo sviluppo non può che snodarsi seguendo il percorso tracciato dalle regole e dai principi consolidati in materia.

E così, cadranno in successione quei beni digitali - rectius: i diritti sui beni digitali - che abbiano valore patrimoniale, dunque che siano suscettibili di valutazione economica.

Si trasferiranno altresì, di regola, le posizioni contrattuali che non si fondino sull’intuitu personae, di talché gli eredi subentreranno nei rapporti contrattuali che hanno generato l’account del de cuius o nel contratto atipico di social network50.

Si è rilevato come alcuni di questi contratti contengano la clausola di intrasmissibilità del rapporto contrattuale agli eredi, spesso accompagnata dalla previsione della possibilità, per la società dell'informazione, di trattenere per sé o distruggere i dati dell’utente.

Queste clausole, in astratto, possono considerarsi valide e sono conosciute dal nostro ordinamento51.

Nel caso specifico dei contratti stipulati con la società dell’informazione, la non trasmissibilità agli eredi viene giustificata dal carattere personale del rapporto instauratosi nonché dall'esigenza di tutelare la privacy dell’utente stesso.  

In dottrina, tuttavia, se ne è sostenuta la nullità, che ricorrerebbe allorquando le clausole in parola siano frutto di un’illegittima asimmetria contrattuale - la contrattazione in rete non prevede di regola una trattativa tra le parti - o non prevedano un’equa distribuzione dei diritti delle parti52.

Può aggiungersi che occorrerebbe verificare, di caso in caso, se sia o meno applicabile la normativa a tutela del consumatore, laddove l’utente abbia contratto per fini estranei alla sua professione.

Si rileva comunque che clausole di questo tipo, anche laddove fossero valide, non potrebbero mai impedire la trasmissione di diritti già esistenti nel patrimonio del de cuius (tra i quali, come si è visto, il diritto di accesso ai dati personali) in quanto ciò contrasterebbe con i principi inderogabili in materia successoria.  

Quanto alla corrispondenza contenuta nella posta elettronica o nelle chat in genere, a mio avviso, nulla osta a che la stessa venga considerata alla stregua delle corrispondenti lettere cartacee.

Ne consegue che tali missive digitali, così come accade per quelle cartacee53, cadono in successione e devono essere consegnate agli eredi, con applicazione, in caso di corrispondenza di carattere strettamente personale, della disciplina di cui all’art. 93 L. 22 aprile 1941, n. 633, legge sul diritto d'autore54.

Quanto ai beni digitali protetti dal diritto di autore, troveranno applicazione gli artt. 2355 e 2456 della citata legge57.

In merito, invece, alle fotografie digitali, i ritratti, le immagini che siano mere manifestazioni della personalità del de cuius - c.d. beni familiari - la questione, che in questa sede non può essere indagata a fondo, circa la loro sorte dopo la morte del loro autore o proprietario, può dirsi dubbia e aperta.

Ed invero, se si attinge alla letteratura di settore, formatasi in riferimento ai corrispondenti beni familiari materiali, emerge che la dottrina sul punto è stata storicamente divisa tra coloro che ne affermano l’inclusione nel patrimonio ereditario e coloro che la negano58.

Per cui, la risposta dipende dalla posizione che si intende assumere sul piano più generale, per poi ricavarne il corollario riferibile all’eredità digitale.

Si noti che il problema si pone per quei beni che abbiano un puro valore affettivo, cioè che non abbiano valore patrimoniale e non si possano considerare come tutelate dal diritto d’autore, in quanto qualora ricorra almeno una di queste caratteristiche l’inclusione nel patrimonio ereditario non potrebbe mettersi in dubbio.      

8. Conclusioni

Ad esito di un percorso argomentativo, che ha preso spunto dalla decisione di un Tribunale italiano in punto di eredità digitale, si è cercato di dare alcune risposte, necessariamente parziali, alle problematiche che si pongono in simili casi.

Un dato certo è che, oggi, alla morte di una persona, conseguono esigenze e necessità del tutto sconosciute fino a qualche anno fa.

Ogni persona dell’epoca attuale conserva dati, informazioni, documenti, tracce della propria vita all’interno di memorie, per mantenere le quali occorre interagire con una società dell’informazione, onde la necessità di rapportarsi con essa per il reperimento di quanto in quella memoria contenuto.  

Si è visto che una specifica normativa consente l’accesso ai dati e quindi l’espletamento delle operazioni di inventario del patrimonio ereditario digitale.

La legittimazione a tale accesso non si fonda solo sulla qualità di erede ma, ritengo, anche su quella di chiamato all’eredità, ovvero di soggetto portatore di un interesse meritevole di tutela alla stregua dell’art. 2-terdecies Codice della Privacy.

Il chiamato all’eredità può essere interessato a conoscere il contenuto di documenti che comprovino che il de cuius è titolare di un patrimonio digitale o ha perfezionato una transazione commerciale con mezzi digitali e quindi, allegando il suo interesse alla ricostruzione del patrimonio ereditario, può avere accesso ai dati in parola.

Avvenuta la ricostruzione del patrimonio ereditario, le regole ed i principi sulla successione mortis causa, se pure sorti per disciplinare la trasmissione di beni di diversa natura, possono trovare applicazione, con gli opportuni adattamenti, anche per i beni digitali, i quali possono considerarsi beni immateriali e dunque rimangono soggetti alle disposizioni del libro II del codice civile o delle leggi speciali, ove ne ricorrano i presupposti applicativi.


Note e riferimenti bibliografici

1. Nel provvedimento in oggetto si legge testualmente, al fine di: «colmare - almeno in parte - quel senso di vuoto e l’immenso dolore che si accompagna alla prematura perdita di un proprio caro». I genitori spiegano anche che il loro figlio «era solito scrivere sui predetti dispositivi le ricette dallo stesso sperimentate e che (…) avevano interesse a recuperare le ricette allo scopo di realizzare un progetto dedicato alla sua memoria (ad esempio, un libro di ricette)». Trib. Milano, Sez. I, 9 febbraio 2021, nel procedimento R.G. 44578/2020, dott.ssa Martina Flamini, in DeJure.it e in Ridare.it, 20 aprile 2021, con nota di S. CIARDO, Privacy e tutela dei dati personali memorizzati nell’account della persona deceduta.

2. Si tratta del diritto di accesso dell’interessato (art. 15), del diritto di rettifica (art. 16), del diritto alla cancellazione: c.d. diritto all’oblio (art. 17), del diritto di limitazione di trattamento (art. 18), dell’obbligo di notifica a carico del titolare del trattamento in caso di rettifica o cancellazione dei dati personali o di limitazione del trattamento (art. 19), del diritto alla portabilità dei dati (art. 20), del diritto di opposizione (art. 21), del diritto dell’interessato a non essere sottoposto a una decisione basata unicamente su un trattamento automatizzato (art. 22).

3. L’esercizio dei diritti, precisa la norma, non è ammesso anche quando sia la legge a vietarlo.

4. In questi termini, il terzo comma del suddetto art. 2-terdecies.

5. Analogamente, rileva sempre il Tribunale, a quanto previsto, per la tutela della dignità correlata alla dimensione fisica della persona, dalla legge sulle direttive anticipate di trattamento: L. 22 dicembre 2017, n. 219, il cui art. 4 consente ad ogni persona, maggiore d’età e capace d’intendere e di volere, di «esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari».

6. Menzionato in: A. MANIACI, in A. Maniaci e A. d’Arminio Monforte, L’eredità digitale tra silenzio della legge ed esigenze di pianificazione negoziale, in Corr. giur., 2020, 1368. Si veda anche: I. SASSO, Privacy post mortem e “successione digitale”, in AA.VV., Privacy Digitale, Riservatezza e protezione dei dati personali tra GDPR e nuovo Codice Privacy, a cura di E. Tosi, Milano, 2019, 559 ss.; G. ZICCARDI, Il libro digitale dei morti, memoria, lutto, eternità e oblio nell’era dei social network, Torino, 2017, 101.

7. In re Estate of Elisworth, No. 2005-296, 651-DE - Mich. Prob. Ct. Mar. 4, 2005.

8. Sul quale: A.A. MOLLO, Il diritto alla protezione dei dati personali quale limite alla successione mortis causa nel patrimonio digitale, in www.juscivile.it, 2020, 2, 445 ss; R. MATTERA, La successione nell’account digitale. Il caso tedesco, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 703 ss; G. RESTA, La successione nei rapporti digitali e la tutela post mortale dei dati personali, in Contr. e impr., 2019, 90. Cenni anche in A. MANIACI, op. cit., 1371.

9. BGH 12 luglio 2018, n. 183/17, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 691.

10. TGK Par. 88 Fernmeldegeheimnis: (1) Dem Fernmeldegeheimnis unterliegen der Inhalt der Telekommunikation und ihre näheren Umstände, insbesondere die Tatsache, ob jemand an einem Telekommunikationsvorgang beteiligt ist oder war. Das Fernmeldegeheimnis erstreckt sich auch auf die näheren Umstände erfolgloser Verbindungsversuche.

(2) Zur Wahrung des Fernmeldegeheimnisses ist jeder Diensteanbieter verpflichtet. Die Pflicht zur Geheimhaltung besteht auch nach dem Ende der Tätigkeit fort, durch die sie begründet worden ist.

(3) Den nach Absatz 2 Verpflichteten ist es untersagt, sich oder anderen über das für die geschäftsmäßige Erbringung der Telekommunikationsdienste einschließlich des Schutzes ihrer technischen Systeme erforderliche Maß hinaus Kenntnis vom Inhalt oder den näheren Umständen der Telekommunikation zu verschaffen. Sie dürfen Kenntnisse über Tatsachen, die dem Fernmeldegeheimnis unterliegen, nur für den in Satz 1 genannten Zweck verwenden. Eine Verwendung dieser Kenntnisse für andere Zwecke, insbesondere die Weitergabe an andere, ist nur zulässig, soweit dieses Gesetz oder eine andere gesetzliche Vorschrift dies vorsieht und sich dabei ausdrücklich auf Telekommunikationsvorgänge bezieht. Die Anzeigepflicht nach § 138 des Strafgesetzbuches hat Vorrang.

(4) Befindet sich die Telekommunikationsanlage an Bord eines Wasser- oder Luftfahrzeugs, so besteht die Pflicht zur Wahrung des Geheimnisses nicht gegenüber der Person, die das Fahrzeug führt oder gegenüber ihrer Stellvertretung.

11. A. MANIACI, op. cit., 1368.

12. Espressione sincratica di binary digit.

13. G. PASCUZZI, Internet (dir. civ.), in Dig. disc. priv., Agg., Torino, 2000, 225 ss.; F. TROLLI, La successione mortis causa nei dati personali del defunto e i limiti al loro trattamento, in www.juscivile.it, 2019, 4 313.

14. G. ALPA, L'identità digitale e la tutela della persona. Spunti di riflessione, in Contr. e impr., 2017, 726. Sul punto anche: S. RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, 2012, 396.

15. F. TROLLI, op. cit., 314.

16. Sul punto, che in questa sede non può essere adeguatamente approfondito, si veda: S. PATTI, Il testamento olografo nell’era digitale, in Riv. dir. civ., 2014, 1008 ss; C. VERDE, Testamento epistolare e nuove tecnologie, in Riv. dir. priv., 2016, 396 ss..

17. Come già rilevato in dottrina - A.A. MOLLO, op. cit., 431 - l'espressione "patrimonio digitale" è stata utilizzata per la prima volta in: M. CINQUE, La successione nel "patrimonio digitale": prime considerazioni, in Nuova giur. comm., 2012, 645 ss, ove si traduce l'espressione digital assets, già in uso nella letteratura di settore americana, la quale suole distinguere tra patrimonio digitale on line - composto di beni digitali presenti in rete -  e patrimonio digitale off line - composto di beni digitali conservati in supporti fisici.

18. A. MANIACI, op. cit., 1370.

19. A. D’ARMINIO MONFORTE, in A. Maniaci e A. d’Arminio Monforte, L’eredità digitale tra silenzio della legge ed esigenze di pianificazione negoziale, in Corr. giur., 2020, 1373 ss; Id., La successione nel patrimonio digitale, Pisa, 2020, 69 ss; F. MASTROBERNARDINO, Il patrimonio digitale, Napoli, 2019, 119 ss.; A. SERENA, Eredità digitale, in AA.VV., Identità ed eredità digitali, stato dell’arte e possibili soluzioni, Aracne, 2016, 111 ss.

20. A. D’ARMINIO MONFORTE, La successione … cit., 70 ss, a cui si debbono le classificazioni e le menzioni che seguono nel testo.

21. A. D’ARMINIO MONFORTE, La successione … cit., 76.

22. A. SERENA, op. cit., 113.

23. Per un approfondimento: P. PERRI, Sicurezza giuridica e sicurezza informatica dal d. lgs. 196/03 al Regolamento generale sulla protezione dei dati, in AA.VV., Tecnologia e Diritto, II, Informatica giuridica, Milano, 2019, 3 ss.

24. A. D’ARMINIO MONFORTE, La successione … cit., 77.

25. F. MASTROBERNARDINO, op. cit., 180; ma si veda anche A. D’ARMINIO MONFORTE, La successione … cit., 81-85.

26. Per un’ipotesi di inventario del patrimonio digitale, si veda: A. D’ARMINIO MONFORTE, La successione … cit., 91-94.

27. Rappresentati, come si è visto nel paragrafo precedente, da dischi rigidi magnetici, dischi a stato solido, memorie flash, dischi ottici, personal computer, tablet, telefono cellulare.

28. A. D’ARMINIO MONFORTE, La successione … cit., 113.

29. Id., 102.

30. Supra: § 2.

31. Per una prima disamina di queste ultime disposizioni si veda: F. TROLLI, op. cit., 328-333

32. G. RESTA, op. cit., 99; A. D’ARMINIO MONFORTE, La successione … cit., 105; R. MATTERA, op. cit., 700.

33. Verificare, ad esempio, la consistenza di ipotetici bitcoin acquistati dal de cuius per decidere se accettare o meno l'eredità

34. Lo stesso Garante per la protezione dei dati personali, se pur con riferimento all'abrogato art. 9 Codice della Privacy, ha affermato che «il diritto di accedere ai dati personali del defunto (...) è riconosciuto anche a prescindere dallo status di erede»: Provvedimento del Garante n. 602 dell'11 dicembre 2014, rinvenibile in garanteprivacy.it.

35. A. MAGNANI, L'eredità digitale, in Notariato, 2014, 529

36. V. BARBA, Interessi post mortem tra testamento e altri atti di ultima volontà, in Riv. dir. civ., 2017, 319.

37. Cioè quel mandato con il quale il mandatario assume l'obbligo di compiere atti giuridici per conto del mandante, da eseguirsi dopo la morte di questi.

38. A. MAGNANI, op. cit., 530; C. CAMARDI, L'eredità digitale. Tra reale e virtuale, in Dir. inf., 2018, 85.

39. Per il possibile contenuto e i limiti di validità del mandato post mortem: A. MONCALVO, I negozi connessi alla morte. Il mandato post mortem, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, diretto da G. Bonilini, Milano, 2009, 225-250.

40. V. BARBA, op. cit., 319.

41. F. TROLLI, op. cit., 325.

42. A.A. MOLLO, op. cit., 434 ss.

43. D. CAVICCHI, Dei beni in generale. Commento agli artt. 810-816, in Comm. cod. civ., a cura di P. Cendon, Milano, 2009, 5 ss.

44. V. ZENO-ZENCOVICH, Cosa, in Dig. disc. priv., IV, Torino, 1989, 443. Per una riflessione critica sul tema: F. PIRAINO, Sulla nozione di bene giuridico in diritto privato, in Riv. crit. dir. priv., 2012, 459 ss.

45. D. CAVICCHI, op. cit., 7.

46. S. PUGLIATTI, Cosa (Teoria generale), in Enc. dir., XI, 19;  F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, 1966, rist. 1997, Napoli, 55; C.M. BIANCA, La proprietà, in Diritto civile, 6, 2017, Milano, 36; O.T. SCOZZAFAVA, I beni, in Tratt. dir. civ. del Cons. Naz. Notariato, diretto da P. Perlingieri, III, 1, 4.     

47. Come rilevato da A.A. MOLLO, op. cit., 435.

48. L. GATT, Dei beni in generale. Commento agli artt. 810-812, in Comm. cod. civ., diretto da C.M. Bianca, Roma, 2014, 5 ss.

49.  A.A. MOLLO, op. cit., 436, ove le affermazioni di cui nel testo sono corroborate da una comparazione diacronica riferita al diritto romano e alle res incorporales che tale diritto conosceva. 

50. A. D’ARMINIO MONFORTE, La successione … cit., 111.

51. Sull'argomento, in termini generali: F. PADOVINI, L'oggetto della successione. Le posizioni contrattuali, in Tratt. dir. delle successioni e donazioni, diretto da G. Bonilini, Milano, 2009, 525 ss. 

52. A. D’ARMINIO MONFORTE, La successione … cit., 112, il quale richiama le ragioni poste a fondamento della Suprema Corte tedesca nel caso sopra esaminato: supra § 4.

53. Sul punto si veda: F. MORRI, L'oggetto della successione. Il diritto d'autore. Le lettere missive riveute dal de cuius, in Tratt. dir. delle successioni e donazioni, diretto da G. Bonilini, Milano, 2009, 698 ss..

54. Il quale stabilisce che: «Le corrispondenze epistolari, gli epistolari, le memorie familiari e personali e gli altri scritti della medesima natura, allorché abbiano carattere confidenziale o si riferiscano alla intimità della vita privata, non possono essere pubblicati, riprodotti od in qualunque modo portati alla conoscenza del pubblico senza il consenso dell'autore, e, trattandosi di corrispondenze epistolari e di epistolari, anche del destinatario.

Dopo la morte dell'autore o del destinatario occorre il consenso del coniuge o dei figli, o, in loro mancanza, dei genitori; mancando il coniuge, i figli e i genitori, dei fratelli e delle sorelle, e, in loro mancanza, degli ascendenti e dei discendenti fino al quarto grado.

Quando le persone indicate nel comma precedente siano più e vi sia tra loro dissenso, decide l'autorità giudiziaria, sentito il Pubblico Ministero.

È rispettata, in ogni caso, la volontà del defunto quando risulti da scritto». 

55. «Dopo la morte dell'autore il diritto previsto nell'art. 20 può essere fatto valere, senza limite di tempo, dal coniuge e dai figli, e, in loro mancanza, dai genitori e dagli altri ascendenti e dai discendenti diretti; mancando gli ascendenti ed i discendenti, dai fratelli e dalle sorelle e dai loro discendenti.

L'azione, qualora finalità pubbliche lo esigano, può altresì essere esercitata dal Ministro per la cultura popolare sentita l'associazione sindacale competente».

56. «Il diritto di pubblicare le opere inedite spetta agli eredi dell'autore o ai legatari delle opere stesse, salvo che l'autore abbia espressamente vietata la pubblicazione o l'abbia affidata ad altri.

Qualora l'autore abbia fissato un termine per la pubblicazione, le opere inedite non possono essere pubblicate prima della sua scadenza.

Quando le persone indicate nel primo comma siano più e vi sia tra loro dissenso, decide l'autorità giudiziaria, sentito il Pubblico Ministero. È rispettata, in ogni caso, la volontà del defunto, quando risulti da scritto.

Sono applicabili a queste opere le disposizioni contenute nella sezione seconda del capo secondo del titolo terzo».

57. Sullo specifico argomento: F. MORRI, op. cit., 687 ss.

58. Si legga il dibattito in M. D. BEMBO, Carte, documenti, ritratti, ricordi di famiglia, in Tratt. dir. delle successioni e donazioni, diretto da G. Bonilini, Milano, 2009, 779 ss.