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Pubbl. Sab, 19 Set 2015

Lotta alle frodi finanziarie. La Corte di Giustizia Europea condanna l´Italia.

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Valeria Lucia


E’ di 47 miliardi di incassi l’ammanco in Italia, rispetto a quanto potrebbe derivare di gettito dall’imposta sui consumi. Secondo la Corte di Giustizia europea, pronunciatasi sulla questione lo scorso 8 settembre, causa C-105/14, ciò sarebbe agevolato dal sistema punitivo italiano in materia di frodi Iva, caratterizzato da termini prescrizionali brevi e processi troppo lunghi. E’ da tale binomio che deriverebbe un sistema di sostanziale impunità di fatto per chi commette frodi Iva, anche di gravissima entità.


La recentissima pronuncia della Corte di Giustizia europea ha ad oggetto un procedimento penale nel quale gli imputati erano accusati di "aver costituito e organizzato, tra il 2005 e il 2009, un’associazione per delinquere, nell’ambito della quale hanno posto in essere operazioni fraudolente note come 'frodi carosello'. Grazie a società interposte e a falsi documenti, tali persone avrebbero acquistato bottiglie di champagne in esenzione da Iva. Queste operazioni avrebbero consentito a una società, denominata Planet, di acquistare tali bottiglie a prezzo inferiore a quello di mercato, in tal modo falsando quest'ultimo". L’estremo disvalore del fatto in esame emerge anche dai meccanismi adottati per realizzare la frode, in quanto "La Planet avrebbe ricevuto fatture emesse dalle società interposte per operazioni inesistenti. Le stesse società avrebbero tuttavia omesso di presentare la dichiarazione annuale Iva o, pur avendola presentata, non avrebbero comunque provveduto ai corrispondenti versamenti d’imposta. La Planet avrebbe invece annotato nella propria contabilità le fatture emesse dalle società interposte, detraendo indebitamente l’Iva in esse riportata e, di conseguenza, avrebbe presentato dichiarazioni annuali Iva fraudolente”.

L’accertamento di fatti così articolati è caratterizzato da indagini estremamente lunghe e complesse e tempi processuali certamente garantistici ma poco favorevoli all'emissione di una sentenza definitiva; per questi motivi, imputati sospettati di gravissimi reati, che comportano una frode Iva per svariati milioni di euro,  beneficiano di una impunità di fatto, dovuta allo scadere del termine di prescrizione. Termine che, ricordiamo, nonostante le esigenze investigative e processuali, non può essere prorogato oltre un quarto della sua durata.

E' imprescindibile un seppur rapido excursus normativo a livello nazionale ed europeo. Rilevantissima è la norma di cui all’art. 325 del Trattato sul funzionamento dell’Unione, relativo alla lotta contro le frodi e le altre attività illegali che ledano gli interessi finanziari dell’Unione, che impone l'adozione di misure nazionali dissuasive ed efficaci. Tali misure peraltro devono essere adottate anche per la lotta alle frodi interne allo Stato membro, obbligando l’art. 119 TFUE  gli Stati membri a vigilare sul carattere sano delle loro finanze pubbliche.

 Altrettanto importante è la Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee del 1995, conosciuta come Convenzione PIF, per cui costituisce frode agli interessi finanziari dell’Unione qualsiasi fatto da cui consegua una diminuzione illegittima di risorse del bilancio generale della stessa. In materia di fiscalità europea, la pronuncia in esame richiama necessariamente la direttiva 112 del 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto.

Attesi i riferimenti europei in materia di lotta alle frodi finanziarie, il diritto italiano prevede che, secondo l’art. 157 del c.p., in materia di prescrizione penale "la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria (...)". L’art. 158 c.p., poi, fissa l’inizio della decorrenza del termine di prescrizione, per cui: "Il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione; per il reato tentato, dal giorno in cui è cessata l’attività del colpevole; per il reato permanente, dal giorno in cui è cessata la permanenza (...)". Infine, gli artt. 159 e 160 c.p. si preoccupano di definire le condizioni in cui si verificano l’interruzione o la sospensione del termine prescrizionale, con la possibilità di prorogare il termine prescrizionale non oltre un quarto dello stesso. Ulteriori riferimenti normativi che contribuiscono alla comprensione del caso in esame sono l’art. 416 c.p. sulla punibilità dei promotori di una associazione finalizzata alla commissione di più delitti, nonché l’art. 2 del dlgs. n. 74 del 10 marzo 2000, per cui la presentazione di una dichiarazione Iva fraudolenta è punita con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. Ai sensi dell’art. 8 del medesimo decreto legislativo soggiace alla stessa pena chiunque emetta fatture per operazioni inesistenti per agevolare la commissione di frodi Iva.

Il Tribunale di Trento, che nella causa su cui si è pronunciata la Corte di Giustizia è giudice del rinvio, ha evidenziato come, nonostante l’interruzione della prescrizione, il termine della medesima non potrebbe essere prorogato, in applicazione del combinato disposto dell’articolo 160, ultimo comma, del codice penale e dell’articolo 161 dello stesso codice oltre i sette anni e sei mesi o, per i promotori dell’associazione per delinquere, oltre gli otto anni e nove mesi a decorrere dalla data di consumazione dei reati. Secondo il giudice del rinvio, è certo che tutti i reati, ove non ancora prescritti, lo saranno entro l’8 febbraio 2018, ossia prima che possa essere pronunciata sentenza definitiva nei confronti degli imputati.

La Corte di Giustizia, di fronte a tali obiezioni, ha rilevato che "da ciò conseguirebbe che questi ultimi, accusati di aver commesso una frode in materia di IVA per vari milioni di euro, potranno beneficiare di un’impunità di fatto dovuta allo scadere del termine di prescrizione. Ad avviso del giudice del rinvio, “tale conseguenza era tuttavia prevedibile a causa dell’esistenza della regola sancita dal combinato disposto dell’articolo 160, ultimo comma, del codice penale e dell’articolo 161, secondo comma, dello stesso codice, regola che permettendo solamente, a seguito di interruzione della prescrizione, un prolungamento del termine di prescrizione di appena un quarto della sua durata iniziale, finisce in realtà col non interrompere la prescrizione nella maggior parte dei procedimenti penali."

A causa di tali incongruenze sistematiche, il giudice del rinvio ha chiesto alla Corte di Giustizia europea se, proprio alla luce di tale impunità di fatto, il diritto italiano non abbia il demerito di aver creato “una nuova possibilità di esenzione dall’Iva non prevista dal diritto dell’Unione”, non prevista dall’art. 158, para 2 della direttiva 112 del 2006.

 Gli Stati membri dell’Unione Europea, infatti, sono espressamente vincolati alla lotta contro le attività illecite, per cui, qualora un sistema interno si rivelasse inidoneo a tale scopo, poiché poco dissuasivo e afflittivo, lo Stato membro commetterebbe una violazione dell’art. 325 del Trattato sul funzionamento dell’Unione. Va da sé l’obbligo per il giudice interno di disapplicare ogni norma che si frapponga a tale obiettivo dell’Unione, che, in questo caso, si concretizzerebbe nella disapplicazione della normativa che indica i termini prescrizionali per le frodi Iva. Non da ultimo è il problema ulteriore della concorrenza sleale tra operatori economici stabiliti in Italia e quelli aventi sede in altri Stati dell’Unione, in violazione degli artt. 101 e 107 TFUE.

A seguito della esaminata pronuncia della Corte di Giustizia europea, due sembrano le possibili strade da percorrere, onde rientrare nei binari della legalità: una modifica legislativa che comporti una possibilità di estensione della proroga del termine prescrizionale oltre un quarto, quantomeno nei casi di estrema complessità delle indagini e di estrema offensività del fatto criminoso; oppure la disapplicazione da parte del giudice nazionale della normativa interna se non soddisfa gli obblighi del diritto dell’Unione relativi al carattere effettivo e dissuasivo delle misure di lotta contro le frodi all’Iva.

Ovviamente la strada della disapplicazione comporta il necessario bilanciamento con i diritti degli imputati, soprattutto in riferimento all’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che sancisce i principi di legalità e proporzionalità, per cui nessuno può essere condannato per un’azione od omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno ed il diritto internazionale. Appare arduo però immaginare una lesione dei diritti di cui all’art. 49 della Carta dei diritti, intervenendo la disapplicazione al solo fine di consentire un effettivo perseguimento dei fatti incriminati, nonché di assicurare la parità di trattamento e la tutela degli interessi finanziari dell’Unione e dello Stato italiano.

Tale considerazione è avvalorata anche dall’interpretazione dell’art. 7 della CEDU, a tutela dei medesimi diritti di cui all’art. 49 della Carta dei diritti, per cui la proroga del termine di prescrizione e la sua immediata applicazione non comportano una lesione dei diritti degli imputati, poiché sarebbe contra ius una interpretazione della norma nel senso di inibire un allungamento dei termini di prescrizione quando i fatti addebitati non siano ancora prescritti.