Pubbl. Mar, 30 Mar 2021
Autocertificazioni covid-19 e reati di falso: le prime pronunce della giurisprudenza di merito
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Ilaria Taccola
Le tre pronunce della giurisprudenza di merito che hanno escluso la punibilità per il privato che attesta falsamente il proprio spostamento all´interno del territorio hanno posto all´attenzione l’inquadramento delle autocertificazioni covid-19 nell’ambito delle dichiarazioni sostitutive di certificazioni o di atto di notorietà di cui agli artt. 46 e 47 d.P.R. n. 445 del 2000 e quindi la conseguente integrazione del reato di falso ideologico del privato in atto pubblico punito dall’art. 483 c.p.
Sommario: 1. Il falso ideologico del privato in atto pubblico; 2. La normativa emergenziale per il contrasto della diffusione del virus covid-19; 3. Le recenti pronunce di merito; 4. Conclusioni.
1. Il falso ideologico del privato in atto pubblico
L’art. 483 c.p. punisce il falso ideologico del privato che attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità al pubblico ufficiale. Viene configurato come un reato comune, visto l’utilizzo del termine “chiunque”, che potrebbe essere commesso da qualunque soggetto, diverso dal pubblico ufficiale. Inoltre, si tratta di un reato punito a dolo generico inteso come coscienza e volontà di dichiarare fatti non corrispondenti alla verità. Per quanto concerne la consumazione, il reato in esame si perfeziona nel momento in cui vengono rilasciate le dichiarazioni e non viene ammesso il tentativo.
In relazione al rapporto tra l’art. 479 c.p. che punisce la falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e l’art. 483 c.p. che punisce la falsità ideologica del privato in atti pubblici, la giurisprudenza[1] e la dottrina prevalente[2] ritengono che la distinzione vada tracciata nella circostanza che nella fattispecie prevista dall’art. 483 c.p. il pubblico ufficiale si limita a ricevere la dichiarazione ricevuta, esercitando solamente un potere di conformità, mentre è in capo al privato l’obbligo di affermare la verità, viceversa nel reato previsto dall’art. 479 c.p. l’attestazione proviene dal pubblico ufficiale che effettua una gestione dei dati nell’esercizio delle sue competenze e delle sue funzioni. In altri termini, nella fattispecie prevista dall’art. 479 c.p. il pubblico ufficiale esercita una funzione certificatoria nell’atto che redige, dovendo quindi accertare che i fatti corrispondano o meno alla verità.
Più precisamente, nell’ipotesi in cui il pubblico ufficiale sia stato indotto in errore a causa dell’altrui inganno del privato, quest’ultimo risponderà della fattispecie criminosa prevista dal combinato disposto degli artt. 479 e 48 c.p. e non del reato ex art. 483 c.p., poiché nel caso di specie l’autore immediato è il pubblico ufficiale che deve esercitare un potere certificativo nella redazione dell’atto pubblico e non si deve limitare, quindi, a una mera ricezione della dichiarazione da parte del privato. Di conseguenza, il privato autore mediato che ha indotto in errore il pubblico ufficiale, dovrà risponderà del delitto di cui agli artt. 110, 48 e 479 c.p. e non del reato di falsità ideologica ex art. 483 c.p.
Uno dei dubbi interpretativi che attiene al reato ex art. 483 c.p. è l’individuazione della norma che obblighi il privato a dichiarare il vero. Invero, uno dei casi esaminati dalla giurisprudenza[3] è stato quello del soggetto che denuncia falsamente lo smarrimento del foglio rosa non avendolo mai conseguito, ritenendo che nel caso di specie non potesse configurarsi il reato in esame, mancando una norma che imponesse al privato di effettuare una dichiarazione in tal senso, attribuendole di conseguenza specifici effetti.
2. La normativa emergenziale per il contrasto della diffusione del virus covid-19
Ebbene, nell’ambito della normativa emergenziale per il contenimento della diffusione del virus covid-19 si sono posti dei problemi interpretativi proprio nell’ipotesi in cui il privato attesti falsamente i propri spostamenti nell’autocertificazione.
In breve, il d.P.C.m. 8 marzo 2020 in attuazione del d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, convertito in legge dalla L. 5 marzo 2020, n. 13, aveva previsto il divieto di spostamento in entrata e in uscita solo nei territori elencati nel decreto-legge citato, eccetto che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o per motivi di salute, consentendo solamente il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza. Successivamente, il d.P.C.m. 9 marzo 2020 ha esteso le misure previste dal d.P.C.m. 8 marzo 2020 a tutto il territorio nazionale.
Come è stato osservato da attenta dottrina[4], si è subito posto un problema di legittimità costituzionale di tale misura proprio perché il d.l. 23 febbraio 2020, n. 6 non consentiva al governo di applicare le misure restrittive a tutto il territorio nazionale, ma solo a quei territori elencati. Più precisamente, l’art. 1 del citato decreto-legge conteneva una serie di misure determinate, mentre l’art. 2, invece, prevedeva una clausola in bianco in relazione alle misure da adottare. Inoltre, l’art. 3, comma quarto, d.l. 23 febbraio 2020, n. 6 stabiliva come sanzione per l’inosservanza delle misure restrittive l’art. 650 c.p.
Proprio per questo motivo il citato decreto-legge e i successivi d.P.C.m. venivano ampiamente criticati, dal momento che si sanzionava con una fattispecie contravvenzionale, definita da una parte della giurisprudenza e della dottrina[5], come norma penale in bianco delle misure che non erano sufficientemente determinate visto che l’art. 2 del d.l. 23 febbraio 2020, n. 6 conteneva una clausola in bianco. È pur vero che il riferimento all’art. 650 c.p. era solo per quanto concerneva la pena, dato che il precetto era interamente descritto dal d.l. 23 febbraio 2020, n. 6. Tuttavia, essendoci, pur sempre, quella clausola in bianco all’art. 2 si ponevano dei problemi di compatibilità con il principio di tassatività e determinatezza.
Proprio per ovviare alle critiche di deficit di legalità, il d.l. 23 febbraio 2020, n. 6 è stato modificato dal decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito con modificazioni dalla L. 22 maggio 2020, n. 35, che ha effettuato oltre all’estensione delle misure di restrizione all’intero territorio nazionale e all’elencazione tassativa delle misure limitative, eliminando così la clausola in bianco prevista originariamente all’art. 2 anche una modifica delle sanzioni per la violazione delle misure restrittive.
Invero, oggi è prevista come sanzione per la violazione delle misure restrittive la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000, stabilendo espressamente l’inapplicabilità della contravvenzione ex art. 650 c.p. Invece, per il soggetto che, risultato positivo al virus, violi la misura della quarantena si applica l’art. 260 r.d. n. 1265/1934, modificato dall’art. 4, co. 7 del d.l. n. 19/2020 salvo che il fatto costituisca il più grave reato di epidemia colposa.
Ebbene, non è questa la sede per approfondire le sanzioni penali e amministrative per la violazione delle misure restrittive, essendo oggetto di approfondimento l’astratta configurazione in capo al privato che dichiara falsamente il proprio spostamento del reato ex art. 483 c.p., ma tale ricostruzione era necessaria per inquadrare la normativa emergenziale di riferimento.
3. Le recenti pronunce di merito
Attualmente, sono oggetto di attenzione mediatica alcune recenti pronunce di merito che hanno escluso la configurabilità dell’art. 483 c.p. in capo al privato che attesta falsamente all’autorità un proprio spostamento in violazione delle misure restrittive imposte dalla normativa emergenziale volta al contrasto della diffusione del virus covid-19.
Si tratta di tre pronunce che giungono alla medesima conclusione, ovvero l’assoluzione dell’imputato per il reato di falso ideologico ex art. 483 c.p., ma con argomentazioni differenti. Infatti, la prima è quella del GIP Milano, la sentenza del 16 novembre 2020, che ha ritenuto non configurabile l’art. 483 c.p. nel caso del soggetto che in sede di autodichiarazione resa ai sensi degli artt. 46 e 47 DPR 445/2000 attestava falsamente che si stava recando presso un collega per ritirare dei pezzi di ricambio per caldaie, circostanza risultata successivamente falsa dopo le verifiche.
Il giudice per le indagini preliminari milanese ha escluso la sussistenza dell’art. 483 c.p. in relazione al caso di specie, poiché ha ritenuto[6] che la fattispecie in esame punisca l’attestazione falsa di fatti e non di mere intenzioni del soggetto agente. Infatti, in questa ipotesi il soggetto agente dichiarava un’intenzione futura, ovvero quella di recarsi presso un collega per ritirare dei pezzi di ricambio per caldaie, non stava quindi attestando un fatto passato che può essere oggetto di incriminazione ex art. 483 c.p.
A maggior ragione, nella sentenza di merito vengono richiamate alcune pronunce di legittimità[7] che confermano l’affermazione per cui l’art. 483 c.p. punisce solamente l’attestazione falsa di fatti e non di manifestazioni di volontà in merito a eventi futuri.
La successiva pronuncia di merito è la sentenza del 27 gennaio 2021 del GIP di Reggio Emilia, il quale oltre a ritenere insussistente la fattispecie del falso ideologico del privato, ha ritenuto illegittimo il d.P.C.m. 8 marzo 2020 e quelli successivi, poiché il divieto di spostamento all’interno del territorio nazionale configurerebbe un obbligo di permanenza domiciliare che essendo una sanzione restrittiva della libertà personale deve essere irrogata dal giudice all’esito di un giudizio in cui vengono garantiti il diritto di difesa costituzionalmente tutelato dall’art. 24 Cost e tutte le garanzie previste dall’art. 13 Cost.
Invero, secondo il giudice di merito, sarebbe erroneo il riferimento all’art. 16 Cost. sulla libertà di circolazione, poiché nel caso di specie si configura proprio una privazione della libertà personale.
Inoltre, il giudice di merito di Reggio Emilia contrariamente all’interpretazione prevalente della dottrina[8] ha ritenuto che il d.P.C.m. sia un atto amministrativo disapplicabile dal giudice ai sensi dell’art. 5, legge 20 marzo 1865, n. 2248, All. E e non un atto avente natura regolamentare.
È pur vero che i d.P.C.m. hanno dei tratti comuni alle ordinanze extra ordinem essendo caratterizzati dal contenuto atipico e dalla provvisorietà delle misure. Tuttavia, secondo l'interpretazione prevalente citata, i d.P.C.m. sono strumenti di attuazione dei decreti-legge previamente citati e presenterebbero un contenuto di natura regolamentare dal momento che si tratta di disposizioni di carattere tecnico scientifico emanate a seguito del parere del Comitato tecnico scientifico nominato dal governo per attuare le misure di contenimento dell’epidemia.
Per tali ragioni, non appare fondata l’interpretazione del GIP di Reggio Emilia che configura il d.P.C.m come un atto amministrativo disapplicabile dal giudice ordinario, ritenendo anche l’attestazione falsa del privato nell’autocertificazione configuri un falso inutile essendo un documento irrilevante e incompatibile con lo stato di diritto.
Tuttavia, si deve precisare che la Corte costituzionale[9] non ha ancora preso posizione in merito alla legittimità dei d.P.C.m. dal momento che non si è pronunciata in merito a tale questione nella sentenza in cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, 2, e 4, commi 1, 2 e 3 della legge della Regione Valle d’Aosta 9 dicembre 2020, n. 11 (Misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2 nelle attività sociali ed economiche della Regione autonoma Valle d’Aosta in relazione allo stato d’emergenza). Pertanto, si tratta di un dibattito sempre aperto, seppure sia prevalente al momento l’interpretazione previamente citata.
La pronuncia del GIP di Reggio Emilia è stata criticata nei primi commenti[10] proprio in merito alla motivazione per cui il divieto di spostamento all’interno del territorio nazionale configura una limitazione della libertà personale e non una limitazione della libertà di circolazione. Invero, come si è evidenziato nella breve ricostruzione della normativa emergenziale nel paragrafo precedente, attraverso l’emanazione del d.l. 25 marzo 2020, n. 19 sono stati risolti i problemi di deficit di legalità che poneva la clausola in bianco prevista all’art. 2 del d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, tipizzando tassativamente le limitazioni all’interno del territorio nazionale. Pertanto, appare difficile ora sostenere che si tratti una limitazione della libertà personale e non della libertà di circolazione dal momento che tutte le varie limitazioni sono state elencate dal legislatore.
Inoltre, l’obbligo dell’autocertificazione non è stato previsto né dai vari d.P.C.m. né dai decreti-legge citati, ma dalla Direttiva del Ministero dell’Interno rivolta ai Prefetti n. 14606 dell’8 marzo 2020 avente natura di atto amministrativo.
Invero, nella direttiva del Ministero dell’Interno rivolta ai Prefetti si legge che “Premesso che viene, comunque, fatto salvo il diritto al rientro nel territorio del· comune di residenza, di domicilio o di dimora degli interessati, va qui evidenziato che l'onere di dimostrare la sussistenza delle situazioni che consentono la possibilità di spostamento incombe sull'interessato. Nella logica di responsabilizzazione dei singoli, cui si è fatto sopra cenno, si ritiene che tale onere potrà essere assolto producendo un'autodichiarazione ai sensi degli artt. 46 e 4 7 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, che potrà essere resa anche seduta stante attraverso la compilazione dei moduli appositamente predisposti in dotazione agli operatori delle Forze di polizia e della Forza pubblica. Va comunque evidenziato che la veridicità delle autodichiarazioni potrà essere verificata ex post.”
Pertanto, il vero dubbio interpretativo attiene al fatto se l’autodichiarazione sottoscritta dal privato possa essere ricondotta o meno alla categoria delle dichiarazioni sostitutive di certificazioni o di atto di notorietà di cui agli artt. 46 e 47 d.P.R. n. 445 del 2000 e quindi integrare la fattispecie di cui agli artt. 76 d.P.R. n. 445 del 2000 e 483 c.p.
L’ultima pronuncia più recente del GUP Milano del 2 marzo 2021, depositata il 16 marzo 2021, sempre in merito all’insussistenza dell’art. 483 c.p. per il privato che attesta falsamente il proprio spostamento nell’autocertificazione, ha ritenuto invece non configurabile il reato in esame, poiché non sarebbe previsto un obbligo legale per il privato di dire la verità in relazione ai propri spostamenti, mancando nell’ordinamento una norma che ricolleghi degli specifici effetti al documento in cui è inserita la dichiarazione falsa del privato.
Inoltre, sempre secondo il giudice per l’udienza preliminare milanese, anche ritenendo sussistente questo obbligo giuridico di dire la verità, il privato andrebbe incontro a un procedimento penale e tale obbligo sarebbe in contrasto con il diritto di difesa ex art. 24 Cost e il principio nemo tenetur se detegere.
Ebbene, le conclusioni del GUP milanese non appaiono condivisibili, poiché innanzitutto, il principio del nemo tenetur se detegere, in base all’interpretazione della giurisprudenza[11], avrebbe solamente una rilevanza processuale, nel senso che la facoltà del soggetto di rendere dichiarazioni mendaci all'Autorità potrebbe essere fatta valere dopo l'apertura di un formale procedimento penale a carico del soggetto e non in un momento precedente.
Inoltre, il problema non è tanto l’obbligo di dire la verità, ma è proprio l’inquadramento del caso di specie nella categoria delle dichiarazioni sostitutive di certificazioni o di atto di notorietà di cui agli artt. 46 e 47 d.P.R. n. 445 del 2000 e quindi integrare la fattispecie di cui agli artt. 76 d.P.R. n. 445 del 2000 e 483 c.p.
Infatti, l’art. 46 DPR 445/2000 consente al privato di comprovare con una dichiarazione «in sostituzione delle normali certificazioni i seguenti stati, qualità personali e fatti» come ad esempio la cittadinanza, la residenza e lo stato di famiglia; l’art. 47, primo comma, invece, consente al privato di sostituire l’atto di notorietà con una dichiarazione sostitutiva che abbia ad oggetto «fatti che siano a conoscenza dell’interessato», mentre il secondo comma riguarda gli «stati, qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti di cui egli abbia diretta conoscenza»; mentre al terzo comma, si stabilisce che «nei rapporti con la pubblica amministrazione e con i concessionari di pubblici servizi, tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell’art. 46 sono comprovati dall’interessato mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà». Infine, l’art. 76 d.P.R. come è noto, rinvia alla sanzione prevista dal Codice penale.
Pertanto, la questione interpretativa attiene più che altro, a parere dello scrivente, all’inquadramento delle autocertificazioni covid-19 nell’ambito delle dichiarazioni sostitutive di certificazioni o di atto di notorietà di cui agli artt. 46 e 47 d.P.R. n. 445 del 2000 anche perché queste autocertificazioni non si inseriscono in un rapporto con la Pubblica Amministrazione.
4. Conclusioni
Ebbene, attraverso questa sintetica esposizione delle tre pronunce di merito, seppure ampiamente criticate dalla dottrina, si è posto un problema che finora è rimasto ai margini del dibattito dottrinale e giurisprudenziale, ossia l’inquadramento delle autocertificazioni covid-19 nell’ambito delle dichiarazioni sostitutive di certificazioni o di atto di notorietà di cui agli artt. 46 e 47 d.P.R. n. 445 del 2000 e quindi la conseguente integrazione del reato di falso ideologico del privato in atto pubblico punito dall’art. 483 c.p.
Invero, come si è previamente esaminato, l’obbligo di autocertificazione non deriva dal d.P.C.m. o dai vari decreti- legge, ma dalla direttiva del Ministero dell’Interno, quindi a parere di una parte della dottrina[12] è proprio il richiamo agli artt. 46 e 47 d.p.r. 445/2000 con la conseguente applicazione della falsità ideologica del privato in atto pubblico prevista all’art. 483 c.p. a non convincere, poiché il capo III del D.P.R. 445/2000 disciplina le modalità di invio delle dichiarazioni e istanze da presentare alla pubblica amministrazione.
Di conseguenza, la categoria delle autodichiarazioni sugli spostamenti non potrebbe rientrare nell’ambito delle norme richiamate dalla direttiva del Ministero dell’Interno, non essendo, infatti, nell’ambito di un rapporto tra Pubblica Amministrazione e privato.
Di certo non saranno le ultime pronunce in merito a questo tema. Si attendono, quindi, ulteriori riflessioni e approfondimenti da parte della dottrina e dalla giurisprudenza.
[1] Cass. pen. Sez. V Sent., 17/04/2019, n. 22839 (rv. 276632-01)” In tema di reati di falso, si configura l'ipotesi criminosa prevista dal combinato disposto degli artt. 48 e 479 cod. pen. quando l'attestazione, di cui l'atto pubblico è destinato a provare la verità, proviene dal pubblico ufficiale, autore immediato, in seguito ad errore determinato dall'inganno del terzo, autore mediato; mentre si configura l'ipotesi prevista dall'art. 483 cod. pen., qualora l'attestazione del privato, della quale l'atto pubblico è destinato a provare la verità, ha ad oggetto fatti che il notaio si limita a riportare nell'atto pubblico come riferiti dal privato, sicché l'attestazione del notaio è limitata soltanto all'esatta riproduzione nell'atto della dichiarazione del privato, autore immediato della falsità. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la condanna per violazione degli artt. 48-479 cod. pen., riportata dall'imputato per aver esibito, nel contesto della stipula di un atto pubblico, falsi documenti di identità che inducevano il notaio, tenuto a verificare l'identità delle parti nei modi previsti dalla legge notarile, ad una falsa attribuzione delle dichiarazioni negoziali ricevute)”. (Conf. Sez. 1, n. 2222 del 1987, Rv. 176321).
[2] G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, Volume I quinta edizione Zanichelli, 607
[3] Cass. pen. Sez. V, 21 marzo 2000, n. 5118” Il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico sussiste solo quando l'atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è stata trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati, e cioè quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero, ricollegando specifici effetti all'atto-documento nel quale la sua dichiarazione è stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente. Ne consegue che non è configurabile il delitto di cui all'art. 483 c.p., nel caso di falsa denuncia di smarrimento del "foglio rosa", in realtà mai conseguito, ricevuta a verbale da un ufficiale di polizia giudiziaria, non essendovi alcuna particolare norma che attribuisca specifici effetti alla dichiarazione resa dal privato.”
[4] G. GATTA, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, in Sistema Penale 3/2020
[5] Secondo una parte della dottrina vedi G. GATTA, Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, in Sistema penale 3/2020, il riferimento all’art. 650 c.p. come norma penale in bianco è improprio perché “Non violano l’art. 25, co. 2 Cost., infatti, norme penali che sanzionano l’inottemperanza a ‘classi’ di provvedimenti della p.a., centrale o periferica: “il singolo provvedimento amministrativo, del quale la legge punisce l’inosservanza, è infatti estraneo al precetto penale, perché non aggiunge nulla all’astratta previsione legislativa: è solo un accadimento concreto che va ricondotto nella classe di provvedimenti descritta dalla norma incriminatrice”. Sono invece in contrasto con il principio della riserva di legge le norme penali che puniscono l’inosservanza di atti normativi generali e astratti di fonte sublegislativa, che non si limitano alla specificazione tecnica del precetto (secondo la logica della riserva tendenzialmente assoluta), ma contribuiscono a descriverlo, individuando ad esempio i divieti funzionali alla prevenzione del contagio da COVID-19”.
[6] Si riporta una parte della motivazione della sentenza del GIP Milano, 16 novembre 2020 “Orbene, è pacifico in giurisprudenza che siano estranei all’ambito di applicazione dell’art. 483 c.p. le dichiarazioni che non riguardino “fatti” di cui può essere attestata la verità hic et nunc ma che si rivelino mere manifestazioni di volontà, intenzioni o propositi. In questo senso depongono, del resto, (i) il dato testuale, giacché la nozione di “fatto” non può che essere riferita a qualcosa che già è accaduto ed è perciò, già in quel preciso istante, suscettibile di un accertamento, a differenza della intenzione, la cui corrispondenza con la realtà è verificabile solo ex post; (ii) il profilo teleologico, giacché la norma è finalizzata ad incriminare la dichiarazione falsa del privato al p.u. in relazione alla sua attitudine probatoria, attitudine che evidentemente non può essere riferita ad un evento non ancora accaduto; (iii) in un’ottica sistematica, la stessa normativa in tema di autocertificazioni, all’interno della quale i “fatti” sono indicati, quale oggetto di possibile dichiarazione probante del privato, insieme agli stati e alle qualità personali, vale a dire a caratteristiche del soggetto già presenti al momento della dichiarazione.”
[7] Vedi ad esempio Cass. pen., sez. III, 12.10.1982, n. 10, Sevino “l'atto deve provare la verità di fatti, attuali ed obiettivi, e non di manifestazioni di volontà esprimenti intendimenti o propositi futuri, poiché anche in quest'ultimo caso non costituisce reato. Il concorso di tali requisiti deve, naturalmente, sussistere anche quando il delitto di falsità ideologica in Atti pubblici sia addebitato al privato, il quale abbia scientemente indotto in errore il pubblico ufficiale, secondo il disposto dell'art. 48 cod. pen.. (fattispecie relativa a falsa dichiarazione di privato al pubblico ufficiale di destinare al diporto un natante ottenendo così la iscrizione nel relativo registro, che non ha la funzione di provare la verità di un fatto, cioè destinazione del natante ad uso diporto, ne' la veridicità della dichiarazione del privato)”
[8] R. GALLI, novità normative e giurisprudenziali di diritto civile, diritto penale e diritto amministrativo, Cedam 2020, 259 “secondo la tesi maggioritaria tali atti vanno annoverati tra le fonti di rango secondario e di natura lato sensu regolamentare perché connotati dai caratteri di generalità, astrattezza e innovatività dell’ordinamento giuridico, sia pure nel contesto emergenziale”.
[9] Corte cost. n. 37/2021 “Non è in discussione in questo giudizio, che riguarda il riparto di competenze nel contrasto alla pandemia, la legittimità dei DPCM adottati a tale scopo – comunque assoggettati al sindacato del giudice amministrativo – ma è, invece, da affermare il divieto per le Regioni, anche ad autonomia speciale, di interferire legislativamente con la disciplina fissata dal competente legislatore statale”.
[10] E. Penco, Ancora un proscioglimento per falso in autodichiarazione Covid-19: il G.i.p. di Reggio Emilia rileva la “indiscutibile illegittimità” dei DPCM in quanto fonti di misure limitative della libertà personale, in Sistema Penale 3/2021
[11] In materia di reati di falso e applicabilità del principio nemo tenetur se detegere vedi Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15/01/2010) 02 marzo 2010, n. 8252 “Come già affermato da questa Corte (cfr. fra le altre, Cass., sez. 5, 15.10.2004, Liggi, Ced Cass. 231890) e riconosciuto in dottrina, non si ravvisa errore nel mancato riconoscimento dell'esimente dell'art. 51 c.p., quale regola del nemo tenetur se detegere per avere l'autore attestato il falso, al fine di non fare emergere la sua penale responsabilità in riferimento all'episodio oggetto della relazione di servizio, posto che la finalità dell'atto pubblico, da individuarsi nella veridicità erga omnes di quanto attestato dal pubblico ufficiale, non può essere sacrificata all'interesse del singolo di sottrarsi ai rigori della legge penale. Del resto la facoltà in discorso si qualifica come diritto di ordine processuale e non può dispiegare efficacia al di fuori del processo penale”.
[12] M. PELISSERO, Covid-19 e diritto penale pandemico. Delitti contro la fede pubblica, epidemia e delitti contro la persona alla prova dell’emergenza sanitaria, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc.2, 1° giugno 2020, 503