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Pubbl. Mar, 23 Feb 2021
Sottoposto a PEER REVIEW

Causalità psichica e difficoltà probatorie ovvero le fattispecie di reato tra indeterminatezza e ineffettività

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Francesco Schiaffo



Il legislatore italiano, anche in tempi recenti, non ha evitato il rischio di incriminare la libera manifestazione del pensiero. L’esiguo margine di legittimità costituzionale dei reati di opinione resta vincolato alla possibilità di una rilevanza penale della causalità psichica, ma la difficoltà di provare l’efficacia motivazionale della condotta incriminata compromette, in ogni caso, la effettività delle scelte legislative.


ENG Even in recent times, the Italian legislator has not avoided the risk of incriminating the freedom of expression. The exiguous margin of constitutional legitimacy of the crimes of opinion remains bound to the possibility of a criminal relevance of the psychic causality, but the difficulty of proving the motivational efficacy of the offending conduct compromises the effectiveness of the legislative choices.

Sommario: 1. L’affermazione di una nuova articolazione del principio di legalità in materia penale dopo la sentenza n.96/1981 della Corte costituzionale. - 2. L’ostinata resistenza del legislatore: un esempio. - 3. I margini di una legittima incriminazione della manifestazione del pensiero. - 4. Il problema: la causalità psichica tra concorso di persone e fattispecie autonome. - 5. Causalità psichica ed offensività nella giurisprudenza: un timido adeguamento del legislatore. - 6. La prioritaria definizione del bene giuridico: la mera istigazione tra fattispecie autonome di reato e tentativo di concorso di persone. - 7. Il rischio della ineffettività: i reati di opinione ai limiti della probatio diabolica.

 

1. L’affermazione di una nuova articolazione del principio di legalità in materia penale dopo la sentenza n. 96/1981 della Corte costituzionale

«Sarebbe infatti assurdo ritenere che possano considerarsi determinate in coerenza con il principio di tassatività della legge, norme che, sebbene concettualmente intellegibili, esprimano situazioni e comportamenti irreali o fantastici o comunque non avverabili e tanto meno concepire disposizioni legislative che inibiscano o ordinino o puniscano fatti che per qualunque nozione od esperienza devono considerarsi inesistenti o non razionalmente accertabili. La formulazione di siffatte norme sovvertirebbe i più ovvii principi che sovraintendono razionalmente ad ogni sistema legislativo nonché le più elementari nozioni ed insegnamenti intorno alla creazione e alla funzione delle norme giuridiche. (...) L’esame dettagliato delle varie e contrastanti interpretazioni date all’art. 603 del codice penale nella dottrina e nella giurisprudenza mostra chiaramente l’imprecisione e l’indeterminatezza della norma, l’impossibilità di attribuire ad essa un contenuto oggettivo, coerente e razionale e pertanto l’assoluta arbitrarietà della sua concreta applicazione»[1].

Sulla scorta della storica sentenza della Corte costituzionale n. 96 del 1981 che dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 603 c.p., è emersa e si è affermata anche nei trattati e nella manualistica[2] una autorevole rivisitazione delle implicazioni del principio di legalità affermato, in materia penale, all’art. 25, co. 2, Cost.

In particolare, nelle relative articolazioni, sono emersi, da un lato, un autonomo rilievo del principio di precisione (evocato anche dalla Corte) e, dall’altro, una accezione diversa da quella tradizionale del principio di determinatezza.

Infatti, riproponendo posizioni inizialmente e chiaramente definite già da Paul Anselm von Feuerbach già nel lontano 1804[3] e autorevolmente segnalate dalla dottrina più attenta anche in tempi recenti[4], il principio di determinatezza è assunto come affermazione della necessaria possibilità di provare in giudizio quanto affermato dal legislatore nella descrizione della fattispecie incriminatrice.

2. L’ostinata resistenza del legislatore: un esempio

Ma, nonostante la efficacissima posizione assunta dalla Corte costituzionale ormai 40 anni fa, nonostante l’altissimo profilo delle argomentazioni proposte da attenta dottrina e nonostante sollecitudine di autorevolissima parte della manualistica giuridico-penale, il legislatore, anche in tempi recenti, ha continuato a subire le ricadute di consenso - e quindi elettorali! - del clima securitario diffuso nel dibattito politico-elettorale e a produrre fattispecie incriminatrici ai limiti della legittimità costituzionale anche sotto questo e talvolta molti altri profili.

Con il d.l. 18.2.2015 n. 7, convertito in legge 17.4.2015 n. 43, per esempio, è stato ampliato l’ambito di applicabilità di una fattispecie incriminatrice che, per altre e note ragioni evidentemente riferibili all’art. 21 Cost., già si collocava ai margini della legittimità costituzionale: oggi, a seguito della riforma degli artt. 302 co.1 e 414 co. 3 c.p., la pena per la istigazione privata a commettere uno dei delitti non colposi contro la personalità internazionale ed interna dello Stato prevista ai capi I e II del titolo I del libro II del codice penale e la pena prevista per la pubblica apologia a commettere delitti o contravvenzioni prevista ai co.1, 2 e 3 dell’art.414 c.p. «è aumentata se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici».

Invece di essere abrogate, riformulate e migliorate sotto il profilo dei principi di libera manifestazione del pensiero ovvero di materialità[5], offensività, precisione e determinatezza, la descrizione di classiche ed esemplari fattispecie di reati di opinione[6] – «evergreen repressivo» di qualsiasi involuzione autoritaria e securitaria[7] - è stata confermata, aggravata ed ampliata nel relativo ambito di applicabilità.

3. I margini di una legittima incriminazione della manifestazione del pensiero

Secondo un autorevole insegnamento, per legittimare la criminalizzazione della parola in funzione di tutela di beni superindividuali e renderla conforme, in particolare, alla affermazione del diritto alla libera manifestazione del pensiero restano «(forse)»[8] solo i limiti «consustanziali»[9] alla libertà garantita dall’art. 21 Cost.: non sarebbe riconducibile alla disposizione costituzionale, infatti, la condotta dettagliatamente descritta dalla fattispecie incriminatrice secondo modalità che ne compromettono la natura di mera espressione, sia pur tendenzialmente operativa, di pensiero[10].

In questa prospettiva diventa esemplare la rilevanza penale delle condotte di istigazione che è stata ritenuta legittima proprio perché esse prospettano concrete azioni da compiere. Si è ritenuto, infatti, che l’istigazione non è espressione di mero pensiero, ma di intendimento pratico, di intenzioni e di volontà, comprende quindi un’azione fino a diventare essa stessa «quasi un’azione»[11].

In particolare, assume un ruolo evidentemente decisivo, sotto questo profilo, la necessità di una condotta «concretamente idonea a provocare la commissione» dei delitti evocati dall’istigatore[12] che, pertanto, rappresenta l’autentica «linea di demarcazione fra la libertà di manifestazione del pensiero e i delitti di istigazione e di apologia»[13].

Ma, nel momento in cui si è affermato, in modo esemplare, che l’«idoneità della condotta a determinare l’esecuzione dei delitti deve essere intesa nel senso che deve sussistere la capacità di provocare l’immediata commissione di azioni delittuose o la probabilità che queste vengano realizzate in un futuro più o meno prossimo»[14], ci si ritrova evidentemente sull’orlo dell’«abisso che solo la fantasia può misurare, tra un dire nostro e un fare altrui»[15].

4. Il problema: la causalità psichica tra concorso di persone e fattispecie autonome

La citazione di Pedrazzi sintetizza e rappresenta efficacemente il problema della causalità psichica che, in quanto nesso tra i dati attuali di una sollecitazione motivazionale realmente seguita dalla commissione del reato, presenta comunque inevitabili margini di incertezza che sono stati recepiti anche nei termini espliciti di una impossibile verifica empirica[16].

La prospettiva è, evidentemente, innanzitutto quella del concorso di persone. 

Puntualmente e dettagliatamente definite e poi verificate le insormontabili difficoltà di accertamento della causalità psichica, «in una prospettiva di riforma» sono state prospettate «soluzioni differenziate rispetto al dogma causale declinato secondo il modello della condicio sine qua non, privilegiando la scelta di criteri di imputazione che, in via di “eccezione”, prescindano dal paradigma etiologico-condizionalistico, mediante tipizzazione di condotte “istigatorie”»[17].

Si tratterebbe, dunque, di rivedere la fondamentale opzione della tipizzazione (tendenzialmente) unitaria del concorso di persone, nel cui ambito, tuttavia, «resterà comunque imprescindibile il riferimento a un effetto psichico incidente sulla risoluzione dell’autore a comportarsi in maniera illecita»[18].

Il paradigma etiologico-condizionalistico, invece, non sarebbe più un inevitabile vincolo dell’accertamento giudiziale se la «tipizzazione di condotte “istigatorie”» si risolvesse nella creazione di autonome fattispecie di parte speciale.

In modo evidente ed esemplare è il caso dell’art.414 co.1 c.p. che, incriminando la condotta «per il solo fatto della istigazione», si colloca esattamente su quella «linea di demarcazione» fra la libera manifestazione del pensiero e la legittima rilevanza penale della condotta. 

Per la condanna di chi realizza la condotta di cui all’art.414 co.1 c.p. non è necessaria la realizzazione del reato evocato che pertanto, anche se realizzato, ai fini dell’applicazione della fattispecie resterebbe giuridicamente inesistente e potrebbe avere, tutt’al più, solo una efficacia ulteriormente probatoria di una causalità che comunque va accertata secondo criteri rigorosamente ed esclusivamente prognostici.

Nel caso dell’art.414 co.1 c.p., peraltro, il ricorso ad altri criteri per la valutazione dell’efficacia causale della condotta potrebbe risolversi, in sede processuale, nel ruolo decisivo di mezzi di prova poco affidabili in una vicenda presumibilmente esposta ad un alto rischio di strumentalizzazioni politiche e/o emergenziali[19]: per esempio, replicando distorsioni analoghe a quelle ben note delle collaborazioni di giustizia, contro l’imputato potrebbero diventare decisivi i testimoni che affermano l’efficacia persuasiva dell’istigazione confessando, magari, anche la conseguente realizzazione di atti preparatori comunque insufficienti alla configurazione di un tentativo.

Evidentemente anche per queste ragioni, dunque, è opportuno che la causalità psichica nella istigazione e negli altri reati di opinione sia accertata secondo criteri che devono essere prognostici, essenzialmente riconducibili a quelli per la valutazione della idoneità degli atti nel tentativo.

5. La causalità psichica ed offensività nella giurisprudenza: un timido adeguamento del legislatore

D’altra parte, un riferimento esplicito e decisivo alla idoneità emerge evidente anche negli orientamenti di riforma dei reati di opinione.

Soprattutto in tal senso si era pronunciata, come è noto, la Corte costituzionale nella sentenza n.65 del 1970 con cui aveva dichiarato la legittimità costituzionale della fattispecie di apologia di cui all’art.414 co.3 c.p. rielaborandone struttura e funzioni nelle forme di una «istigazione indiretta», ovvero di «comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti»[20].

Ad essa si era adeguata ben presto innanzitutto la giurisprudenza di merito sull’art.414 co.1 e 3 c.p.[21] e poi anche la Corte di cassazione che, con riferimento specifico all’apologia, avrebbe ben presto affermato la necessità di una condotta «concretamente idonea a provocare la commissione» dei delitti evocati dall’apologeta[22].

Non sorprende, dunque, che, per quanto possa essere stata discutibile l’occasione della riforma, quando finalmente si è proceduto ad una rivisitazione più organica dei reati di opinione con la legge n.86/2006, laddove non è stata ritenuta opportuna l’abrogazione delle fattispecie - come è accaduto, invece, per gli artt.269, 272, 292-bis, 293 e 406 c.p. -, le soluzioni adottate sono state non solo la revisione delle comminatorie edittali, ma anche l’introduzione di ulteriori elementi nella struttura delle fattispecie che fossero utili a concretizzarne l’offensività: in tal senso è stato previsto, per esempio, il carattere necessariamente violento degli atti compiuti (artt.241, 283 e 289 c.p.), ma soprattutto, in evidente conformità con l’orientamento indicato dalla sentenza n.65/1970 della Corte costituzionale, la esplicita idoneità offensiva della condotta realizzata (artt.241, 270 e 283 c.p.).

6. La prioritaria definizione del bene giuridico: la mera istigazione tra fattispecie autonome di reato e tentativo di concorso di persone

In questa prospettiva, però, assume un ruolo evidentemente prioritario e decisivo la definizione del bene giuridico che dovrebbe aver offeso la condotta incriminata e, quindi, dell’evento realizzato o almeno perseguito dal suo autore. 

Ad indicarlo ancora, per esempio, nell’ordine pubblico ideale - come a lungo è stato ritenuto per le fattispecie di istigazione di cui agli artt.414 e 415 c.p.[23] -, risulterebbe irrimediabilmente compromessa la possibilità di ricondurre le incriminazioni legislative nell’ambito della legittimità costituzionale attraverso il riferimento alla concreta idoneità offensiva delle condotte.

In passato, un orientamento completamente diverso è stato proposto, invece, da chi, proprio in ragione della «insufficienza di una [...] vaga offesa all’ordine pubblico a fungere da termine di riferimento di qualsiasi giudizio di idoneità» della condotta[24], ha assolutizzato il riferimento alla realizzazione dell’illecito evocato dall’istigatore e, per quanto concerne specificamente la disposizione di cui all’art.414 c.p., ha espressamente rappresentato «la possibilità di configurare non tanto un tentativo del reato istigato, quanto un tentativo di concorso nel reato istigato»[25].

Nel 1996, in senso apparentemente analogo Ettore Gallo proponeva e poi precisava, anche con espliciti riferimenti alla giurisprudenza di merito e persino costituzionale, che «la fattispecie di istigazione non tutela alcun bene giuridico autonomo, come si era ritenuto in passato, ma appresta piuttosto un’anticipata protezione a quegli stessi beni cui si rivolgono i delitti oggetto dell’istigazione»[26].

Chiaramente, però, nello stesso contributo egli affermava, poi, che «l’istigazione non è il delitto istigato» e che «il contenuto della sua idoneità non può essere lo stesso di quello del delitto istigato, altrimenti sarebbe un atto di quello stesso delitto»[27].

La rigorosa coerenza sistematica del codice Rocco appare, sotto questo profilo, di esemplare ed estrema utilità.

Per l’autonoma incriminazione della istigazione, infatti, il legislatore del 1930 aveva utilizzato due modelli chiaramente diversi ed alternativi che corrispondevano, peraltro, agli stessi modelli che per l’incriminazione di condotte analoghe, si erano definiti nelle codificazioni preunitarie[28]: la mera istigazione pubblica era punita, per esempio, all’art.303 (abrogato con la legge n.205/1999) e all’art.414 c.p.; la mera istigazione privata, invece è tuttora punita all’art.302 c.p. e può determinare l’applicazione di una misura di sicurezza ai sensi dell’art.115 co.3 e 4 c.p.

In particolare appaiono estremamente significative nel sistema originario del codice Rocco le clausole di coordinamento delle relative fattispecie incriminatrici con le altre eventualmente applicabili.

Infatti, l’istigazione pubblica era ed è punita «per il solo fatto della istigazione» (art.303 prima dell’abrogazione e art.414 c.p.); quella privata, invece, è punita o può assumere comunque rilevanza penale solo se «l’istigazione non è stata accolta ovvero se l’istigazione è stata accolta ma il delitto non è stato commesso» (art.302 c.p.) e, nei casi di cui all’art.115 c.p., solo «se l’istigazione è stata accolta ma il reato non è stato commesso» (art.115 co.3) e solo «qualora l’istigazione non sia stata accolta e si sia trattato di istigazione ad un delitto (art.115 co.4).

Nel primo caso l’eventuale realizzazione del reato evocato dall’istigatore, ricorrendone i presupposti definiti agli artt.110 ss. c.p., realizza un’ipotesi di concorso di reati; nel secondo caso, invece, si tratterebbe di un evidente concorso apparente di norme.

Solo in quest’ultimo caso, dunque, le condotte incriminate sarebbero offensive dello stesso bene giuridico.

7. Il rischio della ineffettività: i reati di opinione ai limiti della probatio diabolica

La rigorosa corrispondenza tra le modalità ambientali della mera istigazione e le clausole di coordinamento adottate che caratterizzava la originaria sistematica del codice Rocco appare, oggi, stravolta al co.4 che è stato aggiunto all’art.414 c.p. – per poi essere ulteriormente integrato - con la legge n.155/2005 di conversione del d.l. n.144/2005: pur riferendosi alla istigazione (comunque pubblica!) di cui ai commi precedenti, la nuova disposizione di apre infatti con una clausola di coordinamento con la fattispecie di istigazione privata di cui all’art.302 c.p.

Non ne risulta compromesso, tuttavia, l’evidente riferimento delle disposizioni di cui ai commi precedenti ad una oggettività giuridica del tutto autonoma da quella che potrebbero offendere le condotte evocate dall’istigatore.

Testualmente Ettore Gallo: «Idoneità sì – dicevamo – ma non alla perpetrazione del delitto istigato, bensì a far sorgere nella mente del pubblico che ascolta [...] l’idea e il proposito di compiere il delitto, così determinandone in sostanza l’accoglimento»[29].

L’«accoglimento» della istigazione, dunque, segnerebbe evidentemente una nuova «linea di demarcazione fra la libertà di manifestazione del pensiero e i delitti di istigazione e di apologia» in quanto in esse si risolverebbe la prova della idoneità «a far sorgere nella mente del pubblico che ascolta (...) l’idea e il proposito di compiere il delitto».

L’esito della interpretazione proposta non può che apparire auspicabile e sarebbe comunque assolutamente necessario per recuperare alla legittimità costituzionale una fattispecie che è stata evidentemente concepita per incriminare una libera manifestazione di pensiero.

Diversamente la valutazione della idoneità della condotta finirebbe, inevitabilmente, nell’«abisso che solo la fantasia può misurare» della probatio diabolica della causalità psichica (e prognostica!).

L’accertamento di una causalità psichica e prognostica, infatti, non sarebbe agevole sotto il profilo razionale e sarebbe, invece, sicuramente discutibile sotto il profilo giuridico.

Una perizia che attesti deficit di assertività ovvero di personalità e carattere dei destinatari della sollecitazione motivazionale avrebbe, infatti, oggetto ed implicazioni processuali ben diverse da quelle degli «accertamenti» ammessi ai sensi dell’art.196 co.2 c.p.p. per valutare la capacità del testimone. Peraltro, ridondando in malam partem, condividerebbe evidentemente la ratio del divieto di perizia su «personalità e carattere dell’imputato» e, «in genere» (!) su «qualità psichiche indipendenti da cause patologiche» di cui all’art.220 co.2 c.p.p.[30].

Sarebbe agevolmente accertabile, invece, l’«accoglimento» in cui, secondo le indicazioni di Ettore Gallo, si risolverebbe l’accertamento della idoneità psichica e che, tuttavia, tornerebbe ad esporre l’effettiva applicazione della fattispecie a distorsioni analoghe a quelle, prima evidenziate e ben note, delle collaborazioni di giustizia.

Se però, secondo le indicazioni dello stesso Gallo, la fattispecie di pubblica istigazione di cui all’art.414 c.p., al pari di quella ormai abrogata di cui all’art.303 c.p., serve a prevenire «il pericolo che masse di uomini comincino a rafforzarsi nella concezione e nella determinazione attorno alla concreta possibilità di commettere il delitto»[31], sarebbero necessarie anche «masse» di testimoni per provare l’«accoglimento» e, quindi, l’efficacia causale della istigazione.

Resterebbe da chiedersi, a quel punto, quale potrebbe essere una valutazione in termini di effettività delle fattispecie di pubblica istigazione e se la condivisibile interpretazione proposta a suo tempo da Ettore Gallo non ne determina, piuttosto, una implicita abrogazione.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Corte costituzionale, sentenza 8 giugno 1981 n.96, in https://www.cortecostituzionale.it/actionPronuncia.do (consultato il 11.2.2021), nn.2 e 16 del “considerato in diritto”.

[2] G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Corso di diritto penale, 1. Le norme penali: fonti e limiti di applicabilità principi. Il reato: nozione struttura e sistematica (1995), III ed., Milano 2001, p.119 ss., 163 ss.

[3] L. A. FEUERBACH, Revision der Grundsätze und Grundbegriffe des positiven peinlichen Rechts, II, Chemnitz 1800, r.a. Aalen 1973, p.12-13.

[4] Cfr. S. MOCCIA, La ‘promessa non mantenuta‘. Ruolo e prospettive del principio di determinatezza/tassatività nel sistema penale italiano, Napoli 2001, p.14 s.

[5] Il riferimento è al fondamentale insegnamento secondo cui, in ragione del riferimento al «fatto», all’art.25 co.2 Cost. sarebbe affermato non solo il principio di legalità manahce il principio di materialità in materia penale: così  Bricola, Teoria generale del reato, in Nss. D. I., XIX, Torino 1973, p.7 ss., 82 s.

[6] Per tutti C. FIORE, Libertà di espressione politica e reati di opinione, in Pol. dir. 1970, 486 ss.; Id., Libera manifestazione del pensiero e apologia di reato, in Arch. pen. 1971, 15 ss.; Id., I reati di opinione, Padova 1972, passim; Id., Libertà di manifestazione del pensiero e reati di istigazione, in Giur. merito 1974, 6 ss.

[7] S. MOCCIA, La perenne emergenza. Tendenze autoritarie nel sistema penale (1995), II ed., Napoli 1997, p.99 ss..

[8] In riferimento alla natura dell’istigazione che, diversa da quella della propaganda e della apologia, ne determinerebbe la legittimità della rilevanza penale, in tal senso Barile, Libertà di manifestazione del pensiero, in Enc. dir., XXIV, Milano 1974, p.424 ss., 472.

[9] P. BARILE, Libertà di manifestazione del pensiero, cit., p.459.

[10] C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero nell’ordinamento italiano, Milano 1958, p.51; Barile, Libertà di manifestazione del pensiero, cit., p.457. 

[11] P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna 1984, p.267.

[12] Cass., sez.I, 5 luglio 1979, in Riv. it. dir. proc. pen. 1982, 735 ss.

[13] Così Cass., sez.I, 22 novembre 1997, in Riv. pen. 1998, 42 ss.

[14] Cass., sez.I, 23 gennaio 1979, in Cass. pen. Mass. Ann. 1981, 770 ss.

[15] Sono le efficaci parole di C. PEDRAZZI, Il concorso di persone nel reato, Palermo 1952, p.25.

[16] In tal senso, per tutti, cfr. E. SAMSON, Hypotetische Kausalverläufe im Strafrecht, Frankfurt am Main 1972, p.181 ss., 189 ss.. Sul punto v. anche I. PUPPE, Der objektive Tatbestand der Anstiftung, in GA 1984, 101 ss., 107; H. KORIATH, Kausalität, Bedingungstheorie und psychische Kausalität, Göttingen 1988, p.141 ss., 196 ss.. In riferimento alla istigazione come forma di contributo morale nel concorso di persone ritiene che «anche se, in via di principio, si ritiene possibile la causalità psichica, qui la prova della causalità è solitamente difficile e quindi la punibilità della cooperazione psichica discussa»; ma, tra una giurisprudenza che finisce per prescindere dal relativo accertamento e una parte della dottrina che nega del tutto il contributo psichico, «la giusta soluzione è su una linea intermedia, che in via di principio ritiene possibile un contributo attraverso un mero influsso sulla decisione dell’autore, ma che anche qui insiste sulla necessità di una causalità del contributo e giunge così in questo ambito ad una restrizione della punibilità» C. ROXIN, Strafrecht. Allgemeiner Teil, II, Besondere Erscheinungsformen der Straftat, München 2003, p.198.

[17] D. CASTRONUOVO, Fatti psichici e concorso di persone. Il problema dell’interazione psichica, in AA.VV., La prova dei fatti psichici, a cura di G. DE FRANCESCO – C. PIEMONTESE – E. VENAFRO, Torino 2010, p.185 ss., 196 (il corsivo è dell’A.).

[18] D. CASTRONUOVO, Fatti psichici e concorso di persone, cit., p.197.

[19] Per una valutazione critica dell’efficacia probatoria delle collaborazioni di giustizia restano esemplari le limpide considerazioni di Moccia, La perenne emergenza, cit., p.171 ss.

[20] Corte costituzionale, 4 maggio 1970 n.65, in Giur. cost. 1970, 955 ss., 959. La configurazione dell’apologia come istigazione indiretta, deducibile già dai lavori preparatori del codice Rocco (cfr. Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, vol.V, Progetto definitivo di un nuovo codice penale con la relazione del guardasigilli on. Alfredo Rocco, parte II, Relazione sui Libri I e II, Roma 1929, 44), risultava già ampiamente sostenuta in dottrina contro il diverso orientamento della giurisprudenza che prescindeva dal requisito dell’idoneità a provocare altri alla commissione di delitti: sul punto, con ulteriori riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, cfr. Forti, Art.414, in Commentario breve al codice penale, a cura di A. Crespi – F. Stella – G. Zuccalà, Padova 1999, p.1034 ss., 1039 ss.; sugli orientamenti giurisprudenziali precedenti alla sentenza della Corte costituzionale cfr. C. Fiore, I reati di opinione, cit., p.47 ss.

[21] Afferma la necessità non solo di superare, nell’interpretazione della norma di cui all’art.414 c.p., la categoria del pericolo presunto anche in ragione della «capacità critica del cittadino medio rispetto» alle dichiarazioni che esortano alla commissione di reati Tribunale di Roma 5 ottobre 1975, in Foro it. 1976, II, 66 ss.; la necessità di un pericolo concreto è affermata, più o meno esplicitamente, anche in Tribunale di Milano 18 marzo 1975, in Giur. merito 1976, II, 108 ss.; Tribunale di Pisa 10 ottobre 1975, in Foro it. 1976, II, 65 s. 

[22] Cass., sez.I, 5 luglio 1979, cit., 735 ss. 

[23] Il riferimento all’ordine pubblico ideale è stato ribadito ed è rimasto costante anche nella giurisprudenza repubblicana fino agli anni Settanta: sul punto sia consentito il rinvio a Schiaffo, Istigazione e ordine pubblico. Tecnicismo giuridico ed elaborazione teleologica nell’interpretazione delle fattispecie, Napoli 2004, 120 ss. 

[24] R. PALMIERI, Osservazioni in tema di istigazione a delinquere, in Riv. it. dir. proc. pen. 1968, 996 ss., 1015.

[25] R. PALMIERI, Osservazioni in tema di istigazione a delinquere, cit., 1031 (il corsivo è dell’A.).

[26] E. GALLO, Il principio di idoneità nel delitto di pubblica istigazione. A proposito di “Secessione” e di “Padania”, in Diritto penale e processo 1996, 1514 ss.

[27] E. GALLO, Il principio di idoneità nel delitto di pubblica istigazione, cit., 1515.

[28] Sul punto cfr. F. SCHIAFFO, Istigazione e ordine pubblico, cit., 43 ss.

[29] E. GALLO, Il principio di idoneità nel delitto di pubblica istigazione, cit., 1516 (il corsivo è dell’A.)

[30] Sul punto, per tutti, cfr. C. LIANI GIARDA, Art. 220 B, in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. GIARDA – G. SPANGHER, I, Milano 2017, 2217 ss., 

[31] E. GALLO, Il principio di idoneità nel delitto di pubblica istigazione, cit., 1516.