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Pubbl. Mar, 12 Gen 2021

Corte costituzionale: assistenza gratuita per tutte le vittime di violenza sessuale

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Editoriale a cura di Ilaria Taccola



La Corte costituzionale con la sentenza n. 1/2021 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 76, comma 4-ter, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante ”Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)”, nella parte in cui determina l’automatica ammissione al patrocinio a spese dello Stato della persona offesa dai reati indicati nella norma medesima, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24, terzo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Tivoli.


Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Tivoli aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 76, comma 4-ter, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)”, nella parte in cui, secondo l’interpretazione della Corte di cassazione assurta a “diritto vivente”, dispone l’ammissione automatica, a prescindere dai limiti di reddito di cui al precedente comma l, al patrocinio a spese dello Stato delle persone offese dai reati di cui agli artt. 572, 583-bis, 609-bis, 609-quater, 609-octies e 612-bis, nonché, ove commessi in danno di minori, dai reati di cui agli artt. 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-quinquies e 609-undecies del codice penale.

Infatti, si era prospettata la violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., dal momento che la norma in questione stabilisce un automatismo legislativo di ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, al solo verificarsi del presupposto di assumere la veste di persona offesa di uno dei reati indicati dalla medesima norma, ossia i reati sessuali e i maltrattamenti in famiglia, escludendo quindi qualsiasi apprezzamento e discrezionalità valutativa da parte del giudice.

La Corte costituzionale con la sentenza 1/2021[1], depositata l’11 gennaio 2021, ha ritenuto infondate le censure di incostituzionalità, affermando che

“la ratio della disciplina in esame è rinvenibile in una precisa scelta di indirizzo politico-criminale che ha l’obiettivo di offrire un concreto sostegno alla persona offesa, la cui vulnerabilità è accentuata dalla particolare natura dei reati di cui è vittima, e a incoraggiarla a denunciare e a partecipare attivamente al percorso di emersione della verità. Valutazione che appare del tutto ragionevole e frutto di un non arbitrario esercizio della propria discrezionalità da parte del legislatore”.