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Pubbl. Lun, 31 Ago 2015

Competitività, innovazione e contratti di rete. Le regole auree per le PMI italiane pronte ad aggredire i mercati stranieri.

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Valeria Lucia


Con la L. 9 aprile 2009, n. 33 il Legislatore nazionale ha introdotto il contratto di rete, un inedito strumento giuridico per agevolare l’aggregazione tra imprese, quale incentivo istituzionale per agevolare l’accrescimento della reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato delle PMI nazionali, sempre più proiettate verso il mercato globale. La natura del contratto di rete e i consequenziali benefici ed incentivi fiscali, tra rete-contratto e rete-organizzazione.


In Italia le piccole medie imprese, meglio conosciute come PMI, costituiscono una realtà numericamente molto significativa, su 4.338.766 imprese 4.335.448, ossia il 99,9%, sono PMI e, inoltre, la quasi totalità, il 95%, è costituita da imprese con meno di dieci addetti. E’ evidente che le PMI non costituiscono solo numericamente l’ossatura del nostro sistema produttivo nazionale, essendo significativo il loro contributo anche a livello occupazionale.

Con il contratto di rete, “due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali, allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato”. Questo è quanto emerge dall’art. 3, comma 4-ter del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5 convertito con L. 9 aprile 2009, n. 33. Questo nuovo strumento giuridico, quindi, consente alle aggregazioni di imprese di instaurare tra loro una collaborazione organizzata e duratura, mantenendo la propria autonomia e la propria individualità, per cui non vengono in essere società o consorzi, oltre alla possibilità di fruire di rilevanti incentivi ed agevolazioni fiscali.

E’ per questo che correttamente si parla di aggregazioni di imprese, intendendo una realtà produttiva costituita da una molteplicità di imprese, tipicamente piccole e di medie dimensioni, tra le quali intercorrono particolari rapporti di collaborazione ed interdipendenza, diversi e ulteriori rispetto al mero scambio di beni o prestazioni e nel rispetto delle comuni relazioni di concorrenza di mercato, poiché la realtà economico-produttiva diventa in qualche modo unitaria.

Dal punto di vista interno dell’aggregazione le singole imprese, pur mantenendo ciascuna la propria autonomia e la propria indipendenza giuridica ed economica, perseguono, oltre al singolo interesse individuale, un interesse comune e, a tal fine, strutturano i loro rapporti in modo tale che ciascuna di esse condiziona ed è condizionata dalle altre.

Dal punto di vista esterno, l’aggregazione può arrivare ad essere percepita, in particolare dai clienti e dai fornitori, quasi come un’entità unitaria che assorbe le singole imprese che la costituiscono (un esempio su tutti: la rete di franchising).

In Italia il contratto di rete trova un precedente nel cosiddetto distretto industriale, un modello primigenio di aggregazione tra imprese,  caratterizzato da una elevata concentrazione, in un territorio ristretto, di piccole imprese specializzate nel medesimo settore produttivo, nell’ambito del quale nascevano dei profondi legami in termini occupazionali e sociali con la comunità locale. Un esempio tra tutti è quello del distretto della ceramica di Sassuolo, che è uno dei principali poli produttivi mondiali per la produzione di piastrelle in ceramica, realizzando l’80% della produzione nazionale. La fortuna in passato del sistema dei distretti industriali è stata individuata nella compresenza di una forte competizione e al contempo di una profonda collaborazione tra le imprese.

Con l’avvento del mercato globale, la necessità di competere con le grandi aziende multinazionali ha indotto il modello distrettuale ad evolversi in forme diverse, slegate dal legame con il territorio, ma ancora caratterizzate dalla nota della collaborazione interimprenditoriale,  come la filiera produttiva, la catena di subfornitura, le reti di distribuzione in franchising e, più in generale, le reti tra imprese, su cui il Legislatore e le imprese italiane hanno deciso di porre la massima attenzione.

La disciplina del contratto di rete, quindi, si presenta come un cantiere in continua evoluzione, con un complesso iter legislativo che pare non essere ancora concluso, stante le istanze di modifica provenienti da varie associazioni di categoria, per perfezionare la disciplina del contratto di rete.

E’ già il nomen dell’istituto ad individuare i soggetti del contratto; è infatti esclusa la possibilità che siano parti del contratto di rete anche soggetti che non rivestano la qualifica di imprenditore ai sensi dell’art. 2082 c.c. Rispetto al numero delle parti, il Legislatore fa riferimento a più imprenditori, per cui il contratto può essere anche solo bilaterale, nonostante la prassi confermi come tale strumento dia luogo a rapporti giuridici multilaterali. Non avendo il Legislatore fornito alcuna specificazione o limitazione di sorta, qualunque tipo di impresa può far parte di un contratto direte, purchè corrisponda alla figura descritta dall’art. 2082 c.c. e formalmente sia iscritta nel registro delle imprese.

Una prima istanza modificativa è stata proposta proprio in relazione alla qualifica soggettiva delle parti, poiché il contratto di rete esclude i soggetti non imprenditori, come professionisti, enti di ricerca, università ed associazioni di categoria, ma, notoriamente, tali operatori rivestono un ruolo pressoché primario all’interno delle aggregazioni d’impresa.

Altro aspetto fondamentale riguarda l’individuazione dell’elemento causale del contratto di rete, stabilendo la normativa di riferimento che le imprese stipulanti “perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato”, per cui, la causa del contratto è rappresentata da concetti economici, piuttosto che giuridici, peraltro alquanto vaghi ed indeterminati, che sembrano fare riferimento più alle finalità soggettive perseguite dalle parti piuttosto che alla funzione economico-sociale propria della causa negoziale. Tuttavia, nonostante la tentazione di accostare la causa ai motivi soggettivi, non si può rinunciare ad individuare in tale elemento la causa del contratto di rete, perché solo una causa così individuata permette di distinguere il contratto di rete da altre tipologie contrattuali, tanto di scambio quale di comunione di scopo, stipulate tra imprese.

Le parti devono in primis predisporre un programma di rete, ossia un piano generale di azione, volto ad accrescere le capacità innovative e di competitività, e che, solo in un secondo momento dia esecuzione concreta alle attività previste.

 

Le attività descritte dal Legislatore sono estremamente vaghe, al punto da tendere ad una sovrapposizione delle stesse, attraverso attività di collaborazione, scambio di informazioni ed esercizio in comune di parti dell’attività. Per questo il contratto di rete non può distinguersi rispetto ad altre figure contrattuali stipulate tra imprese, potendo il programma coincidere con altre figure contrattuali. Ciò che distingue il contratto di rete, pertanto, è la causa, nei termini sopra descritti.

Il contratto di rete, inoltre, dimostra alcune peculiarità anche in termini di forma, necessitando la stipula per atto pubblico, per scrittura privata autenticata o per “atto formato digitalmente”, con documento informatico munito di firma digitale ex Dlgs n. 82 del 2005.

I contenuti necessari costituiscono gli elementi essenziali del contratto, in difetto dei quali l’atto deve ritenersi nullo. Essi sono: le generalità delle parti (tanto degli originari sottoscrittori quanto dei successivi aderenti); gli obiettivi strategici (accrescimento della capacità innovativa e della competitività); il programma di rete con l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante nonché delle modalità di realizzazione dello scopo comune; la durata del contratto; le modalità di adesione di altri imprenditori; le regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune.

I contenuti facoltativi riguardano invece gli elementi che le parti hanno la facoltà di inserire nel contratto ma che possono anche non essere previsti, quindi, in primo luogo, il fondo patrimoniale e l’organo comune, nonché il diritto di recesso anticipato e la modificabilità a maggioranza del programma di rete.

Il contratto di rete deve essere annotato in ogni registro delle imprese presso cui è iscritta ciascuna impresa partecipante. Le successive modifiche al contratto sono depositate dall’impresa aderente a ciò incaricata presso il proprio Ufficio del registro delle imprese, il quale provvederà a darne comunicazione a tutti gli altri Uffici interessati.

Una ulteriore particolarità si riscontra qualora il contratto di rete preveda la costituzione di un fondo patrimoniale, in tal caso, infatti, la rete può iscriversi come posizione autonoma presso la sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione ha sede, acquistando così la soggettività giuridica. Il contratto di rete può prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, inteso quale dotazione patrimoniale destinata all’esecuzione del programma di rete.

Dal punto di vista interno, le parti sono libere di stabilire “la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo nonché le regole di gestione del fondo medesimo”.7

Dal punto di vista esterno, al fondo patrimoniale si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 2614 e 2615, co. 2 c.c., dettati in materia di consorzi con attività esterna. Tali norme prevedono che i partecipanti non possono dividere il patrimonio comune finché dura l’ente; che i creditori dei partecipanti non possono aggredire il patrimonio dell’ente; che per le obbligazioni assunte per conto dei singoli partecipanti rispondono solidalmente il patrimonio dell’ente e quello del partecipante interessato.

È inoltre previsto che “in ogni caso, per le obbligazioni contratte dell’organo comune in relazione al programma di rete, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo medesimo”.

Nel caso in cui la rete sia dotata di fondo patrimoniale e di organo comune si assiste, quindi, ad un importante limitazione della responsabilità patrimoniale in relazione le obbligazioni assunte per l’esecuzione dell’attività di rete: le imprese aderenti non rispondo di tali obbligazioni, quasi come se la rete fosse una persona giuridica autonoma dotata di autonomia patrimoniale perfetta.

Nel caso di rete sprovvista di fondo comune, si ritiene che per le obbligazioni assunte nell’esecuzione del contratto di rete, invece, siano responsabili direttamente ed in via solidale le imprese aderenti alla rete.

La legge, inoltre, prevede che il fondo patrimoniale possa essere costituito, anziché attraverso il conferimento diretto dei beni, mediante l’apporto di un patrimonio destinato costituito ai sensi dell’art. 2447 bis, co. 1, lett. a c.c.

Se la rete, invece, non è dotata di fondo patrimoniale, non è previsto debba avere una propria denominazione, né una propria sede, né una posizione autonoma nel registro delle imprese e non è nemmeno soggetta all’obbligo di redazione annuale della situazione patrimoniale.

In assenza di precisazioni legislative, l’organo comune può essere composto sia da persone fisiche che giuridiche, può avere composizione individuale o collegiale e possono farne parte soggetti sia interni che esterni alle imprese aderenti.

La disciplina delle competenze dell’organo comune e delle sue modalità di funzionamento è completamente rimessa all’autonomia negoziale delle parti contraenti: nessuna indicazione viene fornita dalla legge su questo punto. La composizione e il funzionamento dell’organo comune rappresentano gli aspetti più delicati nella redazione di un contratto di rete, atteso che esso, di fatto, è l’unico elemento che potrà garantire il mantenimento dell’equilibrio degli interessi cristallizzato nell’atto, evitando che le imprese più forti possano abusare della loro eventuale forza contrattuale per piegare la rete a proprio vantaggio a scapito degli altri partners.

Nel caso in cui l’organo comune non sia previsto (o per le attività contrattualmente non rientranti nella sua competenza), l’esecuzione del programma di rete è gestita direttamente dalle parti, nei modi liberamente convenuti nel contratto.

Infine, dall’iscrizione dipende l’efficacia del contratto medesimo, poiché per legge è previsto che il contratto di rete acquisti efficacia solo a seguito della suddetta iscrizione. Secondo la dottrina si tratterebbe più correttamente dell’efficacia amministrativa e non già civilistica.

Come anticipato, la normativa di riferimento è stata oggetto di molteplici modifiche, le quali hanno alimentato non pochi dubbi in sede dottrinale in merito alla natura della rete che prende forma a seguito della conclusione di un contratto di rete.

Secondo alcuni il contratto di rete darebbe origine ad un ente dotato di soggettività giuridica propria; secondo altra parte della dottrina, invece, ciò non sarebbe possibile, per cui l’unico effetto del contratto di rete sarebbe quello obbligatorio, con eventuale costituzione di una comunione di diritti qualora venisse costituito un fondo patrimoniale. In una posizione intermedia si colloca chi ritiene che il contratto di rete abbia natura duplice, per cui la esatta collocazione sarebbe tra i rapporti di natura associativa o di scambio, a seconda delle connotazioni di volta in volta attribuite dalle parti al contratto.

Nonostante diversi elementi portano a considerare la rete, qualora sia dotata di organo comune e fondo patrimoniale, come una persona giuridica, una recente novella legislativa ha fugato ogni perplessità chiarendo che “il contratto di rete che prevede l’organo comune e il fondo patrimoniale non è dotato di soggettività giuridica”. La soggettività giuridica, pertanto, è rimessa alla volontà delle parti, poiché la rete può acquistarla solo se in presenza di fondo patrimoniale le parti decidano di procedere ad iscrizione nel registro delle imprese.

Detto altrimenti, gli imprenditori hanno a disposizione due alternative per fare rete: stipulare un contratto avente effetti obbligatori tra le parti, cosiddetta rete-contratto, oppure stipulare un contratto avente effetto costitutivo di un nuovo soggetto giuridico, rete-organizzazione.

Di tale differenziazione, ovviamente, non possono trascurarsi le conseguenze fiscali, poiché, come chiarito dalla stessa Agenzia delle Entrare con circolare n. 20/E del 18 giugno 2013, dal punto di vista tributario la rete-organizzazione è in tutto e per tutto un soggetto autonomo e distinto rispetto alle imprese che l’hanno costituita, pertanto capace di essere titolare di fattispecie impositive proprie, per cui è soggetta all’imposta sul reddito della società, all’Irap e Iva, ed è altresì obbligata alla tenuta delle scritture contabili per l’attività commerciale esercitata.

Infine, si rileva che l’attribuzione di tale soggettività giuridica alla rete potrebbe creare problemi in ordine ai benefici fiscali connessi al contratto di rete, in particolare quello relativo alla sospensione di imposta per gli utili conferiti dalle imprese partecipanti nel fondo patrimoniale comune.

La Commissione Europea con la decisione C-2010/8939 ha giudicato che tale previsione non costituisce aiuto di stato (ed è quindi lecita) anche sulla base, tra le altre, della considerazione per cui “le autorità italiane hanno chiarito che la rete di imprese non avrà personalità giuridica autonoma”.

Anche su questo aspetto è puntualmente intervenuta la citata circolare dell’Agenzia delle Entrate, chiarendo che l’agevolazione fiscale in parola compete solo alla rete-contratto e non anche alla rete-organizzazione.

È pacifico che la rete-contratto non costituisce in alcun modo una soggettività giuridica capace di essere titolare di posizione giuridiche soggettive proprie, né civilistiche né tributarie (anche se può esserle attribuito il codice fiscale).

Alla luce di tutto quanto sopra esposto, si possono individuare le diverse configurazioni che assumono l’organo comune ed il fondo patrimoniale a seconda che si tratti di rete-contratto o rete-organizzazione.

Nella rete-contratto il fondo patrimoniale è un complesso di beni su cui insistono una serie di diritti (reali od obbligatori a seconda delle previsioni contrattuali) dei soggetti partecipanti alla rete e l’organo comune agisce quale mandatario comune di quest’ultimi.

Nella rete-organizzazione il fondo patrimoniale è il patrimonio proprio della rete stessa e l’organo comune agisce quale organo di questa.

Stante la impossibilità di una trattazione capillare dell’istituto, se non con una pubblicazione ad hoc, già tali accenni mettono in luce l’importanza di un tale strumento e l’intrinseca innovatività dello stesso, potendo supportare le PMI nazionali nel delicato processo che le vede costrette a proporre i propri prodotti nel mercato globale, senza snaturare il prodotto delle imprese, bensì mettendolo in risalto e promuovendolo attraverso il fenomeno aggregativo.

Ad oggi può certamente definirsi la migliore avanguardia in termini di ottimizzazione delle risorse aziendali, permettendo una ripartizione dei costi e una gestione comune dell’organizzazione d’impresa.

Tali considerazioni trovano conferma a livello istituzionale nei dati offerti dal Ministero degli Affari Esteri e da Confindustria, durante un incontro tenutosi lo scorso maggio sul tema dell’internalizzazione delle PMI italiane.

L’obiettivo condiviso è infatti quello di agevolare, grazie a questo nuovo strumento giuridico, l’aumento delle esportazioni italiane e determinare una accelerazione della crescita del nostro sistema produttivo. Contemporaneamente tale aumento dovrebbe essere in grado di attrarre numerosi investitori esteri, attraverso i  nostri mercati chiave, quale il tessile, l’agroalimentare e l’innovazione tecnologica.

La sinergia ottenuta tra imprese non concorrenti in un medesimo settore, grazie alla semplificazione normativa ed all’alleggerimento fiscale, permette alle nostre PMI di aggredire i mercati esteri.  Il tasso di crescita dell’Italia negli ultimi quattro anni è stato di circa il 2%, contro lo 0,6% della Francia e il 2,3% della Germania, capofila europea. Ciò che ci distanzia ancora dall’economia tedesca è proprio lo sviluppo delle esportazioni al di fuori dell’Eurozona, che si calcola che nei prossimi anni rappresenterà oltre il 90% della crescita dei Pil nazionali.

Ciò che emerge è, più che un mero istituto giuridico, un nuovo modo di interpretare il sistema sociale, economico e giuridico, sempre più globale e sempre più rivolto alle imprese che intendono collaborare creando delle aggregazioni imprenditoriali pronte non solo a rimanere nel mercato nazionale, ma ad aggredire i mercati internazionali, preservando la propria identità nazionale, trasformando un apparente limite in un visionario trampolino di lancio.