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Pubbl. Dom, 10 Gen 2021

Le Sezioni Unite sul lucro di speciale tenuità e il reato di cessione di sostanze stupefacenti

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Giulia Faillaci



Con la sentenza n. 24990 del 2 settembre 2020, le Sezioni Unite fissano il seguente principio di diritto: «la circostanza attenuante del lucro e dell’evento di speciale tenuità è applicabile, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, ad ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, compresi i delitti in materia di stupefacenti, ed è compatibile con la fattispecie di lieve entità prevista dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990».


Sommario:  1. Introduzione.  2. Il caso.  3. Le questioni controverse.  3.1. L’orientamento negativo.   3.2. L’orientamento positivo.  4. La risposta delle Sezioni Unite.  5. Conclusioni.

 

1. Introduzione

Con la sentenza n. 24990 del 2 settembre 2020 (ud. 30 gennaio 2020), le Sezioni Unite intervengono per dirimere uno dei nodi problematici più discussi degli ultimi anni.

Il proliferare dell’attività criminosa legata alla cessione delle sostanze stupefacenti e, in particolare, la creazione di una fitta rete di “spaccio” composta da un alto numero di soggetti coinvolti in operazioni modeste, ha infatti portato la dottrina e la giurisprudenza a chiedersi se a fronte di un caso di produzione, traffico o detenzione di stupefacenti “di lieve entità” ex art. 73, c. 5 d.P.R. 309/1990 (T.U. stupefacenti), possa applicarsi o meno la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4 c.p. relativa al danno patrimoniale di "speciale tenuità".

Chiamate a rispondere al quesito posto da un’ordinanza di remissione della quarta sezione sull’astratta compatibilità tra le fattispecie[1], le Sezioni Unite, dopo aver dato atto dell’esistenza di un contrasto interpretativo in materia e aver passato in rassegna gli argomenti a sostegno dell’una e dell’altra tesi, offrono una risposta positiva.

2. Il caso

La vicenda portata all’attenzione della Suprema Corte riguarda il caso di un imputato condannato in primo grado dal Tribunale di Torino, con sentenza successivamente confermata dalla Corte d’Appello della stessa città, per il reato di cui all’art. 73, c. 5, d.P.R. 309/1990, a causa della vendita di 2,2 grammi di hashish in cambio di un corrispettivo di 10 Euro, con pena di tre mesi di reclusione e 500 Euro di multa.

In entrambe le pronunce, pur riconoscendosi l’esistenza di orientamenti contrastanti, i Giudici avevano preferito aderire a quello contrario all’applicabilità dell’attenuante prevista all’art. 62, n. 4 c.p. alla fattispecie di spaccio di lieve entità, affermando che la soluzione contraria avrebbe comportato una duplice valutazione dei medesimi elementi fattuali e, quindi, una duplicazione dei benefici sanzionatori.

Viene così proposto ricorso in Cassazione da parte dell’imputato che, tramite il proprio difensore, ha dedotto, come unico motivo, la violazione di legge per la mancata applicazione della circostanza attenuante.

La Quarta Sezione della Suprema Corte destinataria del ricorso, rilevando le opposte tendenze interpretative, rimetteva la questione alle Sezioni Unite, affinché venisse chiarito «se la circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità, di cui all'art. 62, n. 4, cod. pen., sia applicabile ai reati in materia di stupefacenti, e, in caso affermativo, se sia compatibile con l'autonoma fattispecie del fatto di lieve entità, prevista dall'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990».

3. Il quadro normativo e le questioni controverse

Ai fini di una completa disamina della questione, è opportuno richiamare brevemente la disciplina normativa di riferimento.

Come noto, la riforma operata dal d.l. n. 146/2013, convertito dalla l. n. 10/2014, ha trasformato la circostanza attenuante speciale della lieve entità dello spaccio in autonoma fattispecie di reato disciplinata oggi dall’art. 73, c. 5, la quale ricorre qualora la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti, «per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze [siano] di lieve entità». In tali casi, la pena prevista è nettamente inferiore rispetto a quella comminata nei commi precedenti in relazione alle più gravi ipotesi di reato.

Per ciò che concerne invece l’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, c.p., si tratta della circostanza comune grazie alla quale è prevista una riduzione della pena fino a un terzo qualora l’imputato abbia agito per conseguire, o abbia conseguito, «un lucro di speciale tenuità» e purché «anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità».

Circoscritta per lungo tempo alla sola categoria dei delitti contro il patrimonio, la circostanza in esame è divenuta con la l. 19 del 1990 applicabile a tutti i delitti «determinati da motivi di lucro».

Tornando alla pronuncia resa dalla Corte ed esaminando attentamente la questione, sono due i nodi problematici a cui le Sezioni Unite sono chiamate a dare risposta: da un lato è necessario chiarire se la circostanza attenuante in parola possa trovare applicazione alla generalità dei reati in materia di stupefacenti; dall’altro, qualora il primo profilo trovi soluzione positiva, va accertata la compatibilità tra suddetta attenuante e la fattispecie autonoma «di lieve entità» prevista dal comma 5 dell’art. 73 del T.U.

3.1. L’orientamento negativo

L’orientamento più risalente propende per una soluzione negativa in relazione ad entrambi i quesiti.

Per i fautori di tale tesi, infatti, la circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità non troverebbe applicazione nell’ambito dei reati in materia di stupefacenti e quindi, a maggior ragione, neppure in relazione alla la fattispecie prevista dal c. 5 dell'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.

Contro l’applicabilità dell’attenuante, militano, secondo i fautori dell’indirizzo negativo, diversi argomenti.

Innanzitutto, seppur generico, il riferimento ai «delitti determinati da motivi di lucro» operato dall'art. 62, n. 4, c.p., impone di considerare ai fini dell’indagine sull’applicabilità i soli reati offensivi del patrimonio.

E in tale categoria, non rientrano certamente i reati in materia di sostanze stupefacenti, lesivi, invece, dei valori costituzionali connessi alla salute pubblica, alla sicurezza ed all'ordine pubblico.

Il rilievo costituzionale dei beni tutelati dalla normativa, peraltro, si pone come ulteriore e insormontabile ostacolo alla compatibilità tra le fattispecie, dato che, pur volendosi ammettere l’astratta applicabilità dell’art. 62, n. 4 c.p. anche ai reati diversi da quelli contro il patrimonio, ma realizzati per fini di lucro, questa sarebbe comunque esclusa in presenza di beni di rilevanza primaria, in relazione ai quali è del tutto irrilevante l’esiguità o meno del lucro conseguito.

Ciò anche in ragione dei danni non immediati comunque causati dall’uso delle sostanze stupefacenti che, a lungo andare, potrebbero comportare eventi dannosi e pericolosi tutt’altro che tenui.

In relazione al secondo profilo controverso poi, come rilevato dalle Sezioni Unite, diverse pronunce hanno escluso la compatibilità tra la circostanza attenuante comune in esame con l'autonoma fattispecie di reato di cui all’art. 73, c. 5 del d.P.R. n. 309 del 1990, la cui coincidenza dei presupposti fattuali, comporterebbe una duplice valutazione degli stessi elementi e una conseguente duplicazione dei benefici sanzionatori.

3.2. L’orientamento positivo

L’orientamento illustrato, tuttavia, è stato fronteggiato, soprattutto in tempi recenti, dalla tesi opposta, incline ad ammettere l’astratta applicabilità dell’attenuante del lucro di «speciale tenuità» anche con riferimento ai fatti di spaccio "di lieve entità"[2].

Diversi sono gli argomenti a sostegno di tale assunto.

Innanzitutto, a seguito della riforma operata con la legge n. 19 del 1990, l’attenuate di cui all’art. 62, n. 4 c.p. è configurabile per ogni tipo di delitto commesso per motivi di lucro, non rilevando a tal fine la natura dell’offesa prodotta o del bene protetto. Sostenere la tesi contraria vanificherebbe, quindi, l’operato del legislatore e i principi di equità e di proporzionalità della pena sottesi alla stessa riforma.

A ben vedere, la stessa introduzione della fattispecie autonoma di reato di cui all’art. 73, c. 5 relativa ai fatti "di lieve entità" ha imposto una rimeditazione dell’intera categoria dei reati connessi alle sostanze stupefacenti, aprendo così la strada all’applicabilità, anche in tale settore, di istituti connotati da "particolare tenuità", quale, per l’appunto, la circostanza attenuante di cui al comma quarto dell’art. 62 del codice penale.

Né è condivisibile escludere la compatibilità tra le norme in virtù della rilevanza del bene giuridico tutelato dalla normativa in materia di stupefacenti.

Emblematica, a tal proposito, l’introduzione dell’art. 131 - bis al codice penale, mediante cui il legislatore ha previsto una generale causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

Tale disposizione, infatti, prevede che la valutazione del giudice sulla possibilità o meno di dichiarare la particolare tenuità, debba riguardare unicamente la gravità del reato, la quale va desunta dalla pena edittale e alla non abitualità del comportamento, non riferendosi in alcun modo alla natura del bene giuridico protetto.

E, dato che i limiti edittali previsti per l'ipotesi lieve di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. 309/90, rientrano nei limiti di cui al primo comma dell'art. 131-bis, è agevole dedurre la possibilità di applicare la causa di non punibilità anche alle ipotesi di produzione, traffico o detenzione di sostanze stupefacenti che rientrino nella sfera della lieve entità.

Ciò non può che confermare la possibilità che anche i delitti in materia di stupefacenti di cui all'art. 73 D.P.R. 309/90, al ricorrere di particolari condizioni, siano caratterizzati da minima offensività e possano quindi godere dei benefici connessi a tale circostanza.

D’altronde, è proprio il processo di costituzionalizzazione del principio di offensività cui è giunta la Corte in diversi ambiti del diritto penale[3], a imporre una valutazione concreta dei fatti.

Secondo tale prospettiva, «i beni giuridici e la loro offesa costituiscono la chiave per una interpretazione teleologica dei fatti che renda visibile la specifica offesa già contenuta nel tipo legale del fatto»[4].

Da un lato, quindi, l’esistenza di una offesa effettiva del bene giuridico è presupposto indispensabile per la configurazione della fattispecie astratta; dall’altro, l’accertamento sull’intensità e sul grado dell’offesa consente di esprimere un giudizio sulla necessità della misura sanzionatoria, a prescindere dalla natura del bene protetto.

Non è ammissibile neppure l’assunto basato sull’identità degli elementi fattuali posti alla base dei due istituti, data la diversità dei presupposti richiesti per l’integrazione del fatto di lieve entità rispetto a quelli previsti per l’attenuante comune.

Mentre infatti l’indagine relativa al reato di cui all’art. 73, co. 5, del d.P.R. n. 309/1990 si concentra sull’azione e sull’oggetto materiale del reato globalmente considerati, quella inerente alla circostanza della speciale tenuità ex art 62, n. 4 c.p. attiene unicamente al profitto e all’evento, dannoso o pericoloso, del reato.

Il fatto che gli elementi su cui poggiano entrambe le fattispecie rientrino nell’accertamento complessivo del disvalore del fatto storico, quindi, non deve indurre in errore.

Si tratta, infatti, di elementi ontologicamente differenti, le cui valutazioni, focalizzate su elementi distinti, presentano «diversa natura e diverso grado»: mentre, infatti, quella attinente al reato di lieve entità è unitaria e complessiva, la seconda si compone di elementi specifici e distinti, «ancorati ad un parametro di maggiore intensità e pregnanza rispetto a quello rilevante per l’integrazione della fattispecie lieve»[5].

In conclusione, se la tenuità dell’offesa è elemento comune a entrambe le norme, ai fini dell’attenuante è richiesto un ulteriore elemento specializzante, ossia l'essere il reato determinato da motivi di lucro e nell'avere l'agente perseguito, o conseguito, un lucro di speciale tenuità.

Così esaminata la questione, vengono eliminati tutti i dubbi in merito a una possibile duplicazione dei benefici sanzionatori.

4. La risposta delle Sezioni Unite

Con la sentenza n. 24990 del 2020, le Sezioni Unite ritengono di aderire alla seconda delle tesi prospettate, fissando il seguente principio di diritto: «la circostanza attenuante del lucro e dell’evento di speciale tenuità è applicabile, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, ad ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, compresi i delitti in materia di stupefacenti, ed è compatibile con la fattispecie di lieve entità prevista dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990

Alla base della loro decisione, i Giudici della Suprema Corte pongono elementi testuali, teleologici e sistematici.

Viene, innanzitutto, richiamata la legge 7 febbraio 1990, n. 19, con la quale il legislatore ha ampliato l’ambito applicativo dell’art. 62, n. 4 c.p. ammettendo così la possibilità di applicare l’attenuante in riferimento a tutti i delitti determinati da motivi di lucro e non più ai soli reati contro il patrimonio, nell’ottica della valorizzazione del principio di proporzionalità.

Si osserva, inoltre, che ogni violazione della disciplina in materia di sostanze stupefacenti comporta una lesione di un diritto di un bene costituzionalmente tutelato; tuttavia, le modalità mediamente cui la violazione viene realizzata possono comportare una riduzione della pena se il fatto realizzato è di "lieve entità", come testimoniato dallo stesso comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990.

Da qui l’irrilevanza, ai fini dell’applicabilità della circostanza attenuante in esame, della valutazione in ordine alla natura dell’interesse tutelato.

E, alla stregua delle precedenti decisioni di indirizzo favorevole, anche in questo caso viene richiamato il riferimento all’art. 131-bis, articolo che, è utile ribadirlo, «non connette alla mera individuazione del bene giuridico protetto alcun rilievo ai fini del giudizio sull’utilità e necessità della pena», e al principio di offensività, che impone l’applicazione delle norme penali ai soli fatti «concretamente, e apprezzabilmente offensivi».

La circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, c.p., così come modificata dalla legge n. 19/1990, risulta, quindi, applicabile ad ogni fattispecie delittuosa realizzata per motivi di lucro, a prescindere dalla natura giuridica dell’interesse tutelato, purché la speciale tenuità sia riferita sia all’entità del lucro, conseguito o conseguendo, che all’evento dannoso o pericoloso[6].

Ammessa la compatibilità della circostanza in esame con la categoria dei delitti in materia di stupefacenti, le Sezioni Unite passano all’esame della seconda questione problematica, relativa alla possibilità di ridurre ulteriormente la pena comminata in occasione del reato di cui all’art. 73, c. 5 del T.U. mediante l’applicazione dell’attenuante del lucro di speciale tenuità.

Anche in questo caso la soluzione offerta è quella positiva.

La trasformazione del fatto di lieve entità da circostanza attenuante a fattispecie autonoma di reato risponde all’esigenza di parametrare la sanzione prevista dall’ordinamento alla condotta dell’agente che, talvolta, può essere di importanza poco rilevante, nell’ottica del rispetto del principio costituzionale di proporzionalità della pena.

Sotto diverso profilo, la Corte di Cassazione dichiara di dover aderire all’indirizzo positivo in nome dell’antico brocardo latino «ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit»: ogniqualvolta il legislatore abbia voluto affermare l’incompatibilità tra un’attenuante e una nuova fattispecie delittuosa lo ha fatto a chiare lettere, mediante un’indicazione espressa che, invece, manca nel caso di specie[7].

Richiamando i concetti esposti precedentemente in occasione dell’analisi del contrasto interpretativo in materia, le Sezioni Unite ribadiscono infine l’assunto secondo cui l’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4 c.p. alla fattispecie del fatto di lieve entità ex art. 73, c. 5 del d.P.R. n. 309 del 1990, non comporta in alcun modo una duplice valutazione del medesimo elemento in virtù della diversità degli elementi che di volta in volta devono essere esaminati dal giudice.

Ammessa la compatibilità logica e normativa tra le due fattispecie, il compito di valutare, di volta in volta, la concreta possibilità di applicazione della circostanza attenuante al fatto di lieve entità rimane, ovviamente, nelle mani dell’organo giudicante a seguito di un’esaustiva e accurata analisi di tutti gli elementi della vicenda fattuale.

5. Conclusioni

La soluzione offerta dalle Sezioni Unite si pone, quindi, in linea con l’orientamento recente, e ormai maggioritario, in tema di compatibilità tra la circostanza attenuante del lucro di speciale tenuità e il reato di cessione di stupefacenti di lieve entità, ammettendo tale possibilità e dirimendo i possibili dubbi in merito.

Ma soprattutto, la decisione della Suprema Corte si inserisce all’interno di un cammino giurisprudenziale teso alla sempre maggiore valorizzazione dei principi di offensività, di proporzionalità e di adeguatezza della pena, stelle polari del diritto penale moderno e unici strumenti in grado di adeguare il trattamento sanzionatorio alla realtà variegata e in continuo mutamento con cui il giudice è chiamato a confrontarsi.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Cass., S.U., u.p. 30 gennaio 2019, Pres. Carcano, rel. Mogini, ric. Dabo

[2] L'orientamento positivo ha trovato la sua prima affermazione in Cass. Sez. 6, n. 20937 del 18/01/2011, Bagoura, Rv.  250028.

[3] Cass. S.U., n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, Rv. 255974; Cass. S.U., n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266589

[4] Cass. S.U., Tushaj, cit.

[5] Cass. S.U. n. 24990/2020

[6] Ex multis, con riferimento a diverse fattispecie delittuose e categorie di delitti: Cass. Sez. 6, n. 7905 del 20/05/1997, dep. 1998, Maniscale, Rv. 211378; Cass. Sez. 5, n. 43342 del 19/10/2005, Sorbo, Rv. 232851; Cass. Sez. 3, n. 2685 del 12/10/2011, Konteye, Rv. 251888; Cass. Sez. 5, n. 26807 del 19/03/2013, Ngom, Rv. 257545; Cass. Sez. 5, n. 44829 del 12/06/2014, Fabbri, Rv. 262193; Cass. Sez. 5, n. 36790 del 22/06/2015, Palermo, Rv. 264745; Cass. Sez. 5, n. 27874 del 27/01/2016, Rapicano, Rv. 267357

[7] Basti pensare, a tal proposito, all’art. 19, c. 5 del d.P.R. n. 448/1988, in virtù del quale: «nella determinazione della pena agli effetti della applicazione delle misure cautelari si tiene conto, oltre che dei criteri indicati nell'articolo 278, della diminuente della minore età, salvo che per i delitti di cui all'articolo 73, comma 5, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni.»