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Pubbl. Gio, 5 Nov 2020

È danno erariale il compenso corrisposto dalla P.A. al Commissario ad acta nominato dal giudice amministrativo

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Maria Avossa
Università degli Studi di Salerno



Danno erariale e compenso del commissario ad acta: un binomio possibile. E’ quanto si ricava dalla pronuncia della Corte dei Conti, Sez. I, 2 ottobre 2020, n. 255. Si configura danno erariale patrimoniale per il compenso che la P.A. corrisponda al Commissario ad acta nominato dal giudice amministrativo per effetto dell’inerzia dei soggetti preposti all’attuazione delle decisioni giudiziali.


ENG The Court of Auditors ruled, with the sentence section I, 2 October 2020, n. 255, that the remuneration paid by the Public Administration to the Commissioner ad acta, appointed by the Administrative Judge, is fiscal damage as a result of the subject responsible´s silence for carry out sentences.

Sommario: 1. Effettività e attuazione delle decisioni giudiziali: due poli che si toccano; 2. La pronuncia della Corte dei Conti, Sez. I, 2 ottobre 2020, n. 255: i fatti oggetto di giudizio; 3. L’effettività della tutela e l’inottemperanza del giudicato: gli effetti della colpa grave; 4. Il danno erariale e il compenso del commissario ad acta: un binomio possibile.

1. Effettività e attuazione delle decisioni giudiziali: due poli che si toccano

La fase di esecuzione coattiva delle decisioni di giustizia è un tratto costituzionalmente necessario per la completa attuazione del diritto di difesa declinato dall’art.24 della Costituzione e dai dettati sovraordinamentali, tra cui l’art. 6, § 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Il “diritto all’esecuzione delle decisioni di giustizia”, accostato all’essenzialità della funzione giurisdizionale[1], assume una dimensione specifica attraverso il giudizio di ottemperanza[2] a carico delle pubbliche amministrazioni che siano rimaste inerti nell’attuazione del giudicato.

Il concetto stesso di giudicato, normativamente reso dall’art. 2909 c.c. sotto il profilo sostanziale, oltre che formale per opera dell’art. 324 c.p.c. sostiene la dialettica delle forme codicistiche in favore del principio di effettività, passando attraverso l’affermazione del diritto del soggetto inteso come necessità che una decisione sia utile alla tutela delle ragioni delle parti e, soprattutto, eseguibile.

Seguendo la linea di pensiero del Chiovenda[3], il giudicato in senso sostanziale definirebbe il vincolo e l’ultrattività dell’accertamento giudiziale.

Il giudicato formale dell’art. 324 c.p.c. consentirebbe, invece, di individuare il momento in cui il provvedimento giurisdizionale “passi in giudicato”, con la conseguente intangibilità dell’accertamento giudiziale contenuto in un provvedimento giurisdizionale.

La nota dottrina definisce, così, il carattere di istituti distinti tra loro ma assolutamente complementari, evidenziando come entrambi i profili siano necessari per la certezza nelle relazioni giuridiche intersoggettive e per la materiale esplicazione del principio di effettività[4].

Il potere di imporre il giudicato, anche in forma coattiva, costituisce quindi la materiale esplicazione del principio di effettività della tutela legato alla funzione giurisdizionale.

Il menzionato art. 24 della Costituzione ne è il perno.

A ciò va aggiunto che la Carta costituzionale assicura ad ogni soggetto “la titolarità di un’azione in giudizio” per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, garantendo pari dignità ad entrambe le situazioni giuridiche soggettive.

L’art 113 della Costituzione esplica in pieno il principio di effettività della tutela, riconducendolo al divieto di qualsivoglia sua limitazione e prescrivendo che sia sempre assicurata la tutela giurisdizionale avverso gli atti della pubblica amministrazione.  

Il passaggio successivo è dato dall’assorbimento dei dettami costituzionali nel sistema processuale amministrativo, dove si assicura una tutela “piena ed effettiva” secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo.

Così come enucleato, Il principio di effettività converge nell’art. 1 c.p.a. e conferisce tale obiettivo alla giurisdizione amministrativa.

Il richiamo normativo al diritto europeo ed al diritto internazionale completa il riconoscimento esplicito del principio di effettività riconducibile alla previsione dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e all’art 13 CEDU., ove si proclama il diritto ad un “ricorso effettivo” in favore di ogni persona che abbia patito una violazione delle libertà fondamentali e dei diritti riconosciuti dalla Convenzione stessa.

2. La pronuncia della Corte dei conti, Sez. I, 2 ottobre 2020, n. 255: i fatti oggetto di giudizio

Una volta definito, sia pur per tratti salienti, il diritto ad una pronuncia giurisdizionale, è evidente come il limitrofo diritto all’esecuzione delle decisioni di giustizia rivesta un ruolo complementare nella dimensione specifica del giudizio di ottemperanza, congegnato dal legislatore all’art. 112, comma 2 c.p.a. quale rimedio avverso l’inerzia della P.A. nell’esecuzione dei giudicati assoggettabili alla possibilità di essere adempiuti in modo coattivo.

La cogenza dell’ordine giurisdizionale estende la propria efficacia ai doveri d’ufficio dei soggetti nella pubblica amministrazione, arrivando sino al punto di rendere configurabile un danno erariale derivante dall’inottemperanza di provvedimenti giudiziali.

La prima sezione della Corte dei conti con la sentenza del 2 ottobre 2020 n. 255 si è pronunciata in merito ad una questione attinente alla nomina di un commissario ad acta da parte del giudice amministrativo, quale effetto dell’inerzia dei soggetti preposti all’attuazione delle decisioni giudiziali. 

Il particolare tenore giuridico della sentenza consente una verifica concreta dei dettami teorici del principio di effettività in tali ipotesi.

Di fatto, la tutela che l’ordinamento accorda alle posizioni giuridiche soggettive avvalora, la centralità dell’esecuzione del giudicato allorquando sia una pubblica amministrazione ad essere inadempiente all’obbligo di conformarsi alla statuizione giurisdizionale, senza che la qualifica di “soggetto pubblico” possa consentire qualsivoglia privilegio atto a giustificarne l’inerzia.

Un altro aspetto saliente, che si accosta a questo tipo di riscontro, consiste nell’esame anche di un diverso profilo: il peso economico dell’inottemperanza, (alias) “il costo delle competenze e onorari del commissario ad acta”, che la parte onerata è tenuta a sopportare per il proprio inadempimento nell’esecuzione degli ordini giudiziali.

La decisione prevede, di fatto, che il compenso dovuto dalla Pubblica amministrazione al Commissario ad acta costituisca un danno erariale patrimoniale. Una tale affermazione da parte dei giudici della prima sezione richiede un excursus dei fatti di causa e delle ragioni di diritto che hanno condotto ad una pronuncia di siffatto tenore.

Il caso concreto parte da una vertenza sollevata innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, il quale, con sentenza del 2009 aveva dato accoglimento al ricorso proposto da una società avverso il silenzio della provincia di Foggia in ordine all’istanza di un’impresa di valutare l’impatto ambientale e l’incidenza dei progetti predisposti per la realizzazione di un parco eolico in un’area comunale.

La sentenza in parola ordinava alla provincia di pronunciarsi sull’istanza entro un termine di 90 giorni. Successivamente, il Tribunale Amministrativo Regionale con l’ordinanza n. 126 del 2010, su ricorso della società, aveva nominato un commissario ad acta per l’esecuzione della sentenza, a causa dell’inutile decorso del termine ivi previsto.

Le successive ordinanze n. 1500 e 1503 del 2012 consolidavano la liquidazione del compenso spettante al commissario, quantificandolo in tremila euro oltre spese e competenze accessorie. L’importo era posto a carico della Provincia, la quale emise mandato di pagamento per la somma corrispondente in data 18 aprile 2013.

La perdurante inerzia della P.A. e l’intervento del commissario ad acta determinarono, così, un onere economico a carico dell’amministrazione provinciale pari all’ammontare della liquidazione disposta, in più riprese, dal giudice amministrativo per il compenso di quest’ultimo, con conseguente trasmissione degli atti alla competente Procura regionale della Corte dei conti.

Il peso economico sopportato dalla Provincia fu qualificato da parte attrice, prima, e dal Giudice territoriale, poi– come danno erariale pari all’ammontare della spesa sopportata.

La responsabilità dell’esborso risultava, di fatto, riconducibile al dirigente del Settore ambiente della Provincia interessata. Il motivo era la mancanza di ottemperanza ai vari disposti del giudice amministrativo, con colpa grave del responsabile medesimo.

Gli estremi di responsabilità addebitati per danno erariale furono oggetto di contestazione a mezzo d’impugnativa con appello proposto dal dirigente del Settore ambiente della Provincia di Foggia.

I motivi venivano ricondotti alla insussistenza della condotta illecita, insussistenza del danno erariale, insussistenza del nesso causale tra la condotta tenuta dal dirigente e il contestato danno patrimoniale arrecato all’ente, insussistenza del dolo o della colpa grave.

Gli altri motivi addotti riguardavano l’ingiusta determinazione del quantum debeatur, la mancata applicazione dell’art. 1, comma 1-quater della L. n. 20/1994 e, infine, la richiesta di ulteriore riduzione dell’addebito.

La Corte dei conti, Sezione Prima Giurisdizionale Centrale d’Appello, definitivamente pronunciando rigettò gli appelli proposti, con ogni conseguenza in ordine alle spese di giudizio a carico della parte appellante soccombente.

3. L’effettività della tutela e l’inottemperanza del giudicato: gli effetti della colpa grave

La legge n. 241 del 7 agosto 1990 all’art. 2, comma 8, prevede che “La tutela in materia di silenzio dell'amministrazione è disciplinata dal codice del processo amministrativo, di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. Le sentenze passate in giudicato che accolgono il ricorso proposto avverso il silenzio inadempimento dell'amministrazione sono trasmesse, in via telematica, alla Corte dei conti[5][6].

Dalla norma discende la conseguenza diretta dell’avvio del procedimento di responsabilità erariale derivante (nel caso qui in esame) dalle pronunce del T.A.R. sia in primo sia in secondo grado, con la condanna del dirigente responsabile per la mancata attuazione delle determinazioni rese dal giudice amministrativo in sede cautelare.

In merito agli obblighi risarcitori dovuti all'inerzia assoluta dell'amministrazione e, in particolare, sotto il profilo specifico dei danni da illecito comportamento omissivo dell'amministrazione, vengono il rilievo le conseguenze a carico della P.A. derivanti da danno erariale.

Esso consiste nel danneggiamento o nella perdita di beni o denaro causato alla propria o ad altra amministrazione (art. 1, quarto comma, Legge n. 20/1994),

Nella sentenza esplicitamente si fa riferimento al “pregiudizio derivato all’erario provinciale” che “scaturisce dall’ingiustificata e reiterata inottemperanza all’ordine del giudice amministrativo da parte del dirigente del settore ambiente della Provincia che ha comportato la nomina del commissario ad acta il cui compenso, come ha espressamente affermato il giudice di prime cure, costituisce indubbiamente un’indebita spesa per l’ente … Se alle ordinanze fosse stata data regolare esecuzione, l’amministrazione non avrebbe sopportato l’esborso[7].

La configurabilità del danno erariale è possibile, allorché, da una condotta specifica derivi una diminuzione di risorse o il colpevole fallimento nel raggiungimento di specifici obiettivi. Può consistere, anche, nel lucro cessante definibile come mancato conseguimento di incrementi patrimoniali, così come disposto dall’art. 1223 c.c.

La sentenza in esame esemplifica un’ipotesi di “colpa grave” per illecito omissivo[8].

Il concetto di colpa[9] grave nel danno erariale, con le attuali declinazioni del decreto semplificazioni 2020[10], presuppone l'esatta individuazione del parametro violato. La gravità della colpa va parametrata, poi, a plurimi fattori dovendosi tener conto della conoscibilità, prevedibilità ed evitabilità dell'evento lesivo[11] e del grado di esigibilità della condotta normativamente prevista, in ragione delle condizioni concrete nelle quali è stato realizzato il comportamento.

I giudici della Corte dei conti affermano in pronuncia che “le … condanne conseguite dall’amministrazione provinciale per la questione in commento dimostrano, qualora ve ne fosse bisogno, la condotta gravemente colposa dell’appellante che ha disatteso immotivatamente e, quindi, per colpa grave, le disposizioni del giudice amministrativo causando il danno contestato”.

Sulla base di questa valutazione per la Corte va ritenuta affetta da colpa grave quell’ evidente inottemperanza agli ordini giurisdizionali: questi sono, per loro natura, ravvisabili e riconoscibili ex ante ed eseguibili quali   doveri professionali d'ufficio.

Ad avviso della Corte, neppure vale a liberare da colpa il dirigente “... il vantaggio conseguito dalla Provincia dall’apporto del commissario ad acta che ha sicuramente consentito all’ufficio ambiente provinciale di procedere all’istruttoria di altre pratiche contestualmente pendenti[12].

Questo capitolo difensivo non ha trovato accoglimento da parte del Collegio giudicante che l’ha respinto, precisando che “è assolutamente inconfigurabile un vantaggio derivante da una spesa che l’Ente ha dovuto necessariamente sopportare per ovviare ad un comportamento omissivo dell’agente pubblico a cui era istituzionalmente intestato l’adempimento dell’ordine impartito dal giudice amministrativo il quale, senza motivo alcuno, è venuto meno a questo obbligo di servizio”.

4. Il danno erariale e il compenso del commissario ad acta: un binomio possibile

Può ulteriormente osservarsi che nei casi, quale quello di specie, potrebbe venire in rilievo anche un’altra voce di danno, individuabile nell’importo del compenso corrisposto al commissario ad acta.

Il pregiudizio a carico della P.A. consegue al pagamento, da parte della stessa, per il capitolo di spesa relativo alla soccombenza qualora questa venga liquidata dal giudice amministrativo all’esito del contenzioso.

Normalmente i presupposti costitutivi della responsabilità amministrativa-contabile si articolano sulla contemporanea presenza di specifici fattori quali, in primo luogo, la sussistenza di rapporto di servizio[13] e l’esercizio di un’azione amministrativa contraria ai fini istituzionali nell’espletamento di una funzione connessa al rapporto di servizio medesimo.

Gli altri elementi complementari sono integrati, invece, dall’esistenza di un danno concreto ed attuale, suscettibile di quantificazione, anche equitativa, accompagnato dalla presenza dell’elemento psicologico del dolo e della colpa grave. L’ultimo elemento costitutivo è dato dall’esistenza di un nesso causale tra la condotta dell’agente ed il danno all’erario[14].

L’azione amministrativa contraria ai fini istituzionali assume una connotazione differente a seconda della quantità di potere decisorio di cui disponga il soggetto titolare dell’obbligo di servizio per l’attuazione dei fini istituzionali fissati dall’ordinamento, articolabile in tre specifici tipi: attività senza potere discrezionale, attività a potere discrezionale sottoposto a limiti, attività con ampio potere discrezionale.

Basti riflettere sul dato che nel contesto pubblico siano ravvisabili varie fattispecie in cui il soggetto sia preposto allo svolgimento di un’attività meramente attuativa della legge.

La conseguenza è che, in siffatte ipotesi, l’inerzia dell’agente realizza un’azione (nel caso sia diversa dal precetto) oppure un’omissione in violazione degli obblighi derivanti dal rapporto che lo lega alla pubblica amministrazione.

In tali casi, la condotta antidoverosa è causa di responsabilità e si accompagna alla simultanea presenza degli altri elementi costitutivi della responsabilità amministrativa-contabile, ovverosia il danno, la colpevolezza, il nesso causale tra la condotta dell’agente ed il danno all’erario.

Si ricade in un tipo di c.d. danno indiretto, nel caso di pregiudizio a carico della P.A. conseguente al pagamento, da parte della stessa, per spese di soccombenza.

Il pregiudizio patrimoniale è stato più volte portato all’attenzione del giudice erariale e sovente la portata della cognizione di questi ha riconosciuto, in più circostanze, il c.d. “danno indiretto per spese di soccombenza” a carico dalla P.A. oggetto di liquidazione nell’ambito di un processo civile o amministrativo.

Di fatto, nella normativa italiana sul giudizio di ottemperanza non è contemplata una specifica disposizione riguardante la responsabilità del funzionario per mancata esecuzione del giudicato.

L’attenzione della Corte dei Conti si è spesso, però, soffermata sulla la responsabilità per colpa grave dei funzionari che abbiano eluso l’attuazione al giudicato, con condotte dilatorie, omissive e pretestuose, condannandoli a rifondere le spese sostenute, anche per l'ottemperanza, dall'Amministrazione soccombente, in quanto costituenti danno erariale[15].

Seguendo i dettami classificatori forniti dalla Corte di Cassazione civile a Sezioni Unite in sentenza n.22251 del 2017, sarebbe possibile classificare tale tipologia di danno quale danno indiretto, riconducendo ad essa quei danni che amministratori o dipendenti della pubblica amministrazione abbiano cagionato a terzi e che l'amministrazione ha dovuto risarcire in esecuzione di un accordo transattivo o in ottemperanza ad una sentenza di condanna[16].

Questa definizione si affianca all’antitetica classificazione del danno erariale c.d. "diretto", coincidente con ogni condotta produttiva di nocumento direttamente al patrimonio dell'ente pubblico e realizzata dal funzionario o dal dipendente pubblico.

Seguendo l’indirizzo di un recente orientamento della Corte dei Conti, Sez. Giur. Lazio, 20 gennaio 2020, n. 26, non sarebbe sempre possibile configurare un danno erariale indiretto per gli esborsi finanziari sostenuti da una pubblica amministrazione scaturenti dalle procedure giudiziali, in cui l’ente sia risultato soccombente, con l’aggravio della rifusione delle spese di lite.

In tali ipotesi, l’accennato orientamento parrebbe configurare il danno erariale per pagamento delle spese di soccombenza soltanto nel caso di azione o resistenza processuale in violazione dell’art. 96, comma 1, c.p.c., ove la rilevanza della condotta processuale concludente sia connotata da dolo o colpa grave[17].

Mutatis mutandis, gli estremi della classificazione di danno indiretto appaiono plausibilmente applicabili al costo delle competenze spettanti commissario ad acta nominato per l’ottemperanza alla pronuncia giurisdizionale.

Nel caso concreto in sentenza, infatti, si sottolinea che “il pregiudizio derivato all’erario provinciale scaturisce dall’ingiustificata e reiterata inottemperanza all’ordine del giudice amministrativo da parte del Dirigente del settore ambiente della Provincia di Foggia che ha comportato la nomina del commissario ad acta il cui compenso, come ha espressamente affermato il giudice di prime cure, costituisce indubbiamente un’indebita spesa per l’ente”.

Ai fini della configurabilità del danno erariale, risulterebbe, anche, integrato il necessario nesso di causalità tra la condotta del Dirigente e il danno all’erario, riconducibile alla violazione (rectius: disapplicazione) del comando giurisdizionale.

Sottolinea il testo in pronuncia della Corte dei conti, Sez. I, 2 ottobre 2020, n. 255, in parola, che: “Quanto all’elemento psicologico, poi, la reiterazione del comportamento omissivo è elemento che avvalora quanto testè detto. Le plurime condanne conseguite dall’amministrazione provinciale per la questione in commento dimostrano, qualora ve ne fosse bisogno, la condotta gravemente colposa dell’appellante che ha disatteso immotivatamente e, quindi, per colpa grave, le disposizioni del giudice amministrativo causando il danno contestato”.

Ragionando, quindi, in termini di completa attuazione del diritto di difesa di cui all’art.24 della Costituzione e di “diritto all’esecuzione delle decisioni di giustizia”, la dimensione specifica dell’attuazione del giudicato diventa una condotta “dovuta” da parte di chi operi per la P.A. in qualità di titolare del relativo obbligo di servizio.

In caso di mancata attuazione, l’effetto che ne deriva è che, anche gli esborsi dovuti al giudizio di ottemperanza e per l’operato del commissario ad acta, restino a carico delle pubbliche amministrazioni, ma come risultato di una condotta omissiva imputabile al soggetto responsabile.

Del resto, il Testo unico degli enti locali (TUEL) all’ art. 194 disciplina il riconoscimento di legittimità, prevedendo al comma art. 1 lett. a) che gli enti locali riconoscono la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da sentenze esecutive.Ciò acclarato, Il punto nodale espresso dalla sentenza, risiede nella “medesima” condotta omissiva del soggetto tenuto alla doverosa esecuzione delle pronunzie giudiziali, all’interno dell’amministrazione, con la conseguenza di rendere configurabile l’ipotesi del danno erariale patrimoniale, anche, per il compenso che la P.A. corrisponda al Commissario ad acta nominato dal giudice amministrativo per effetto dell’inerzia dei soggetti preposti all’attuazione delle decisioni giudiziali.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Corte Cost., 08.09.1995 n.419 in Foro Amm., fasc.1, 1996, pag. 19 Autori, con Nota G. MONTEDORO: Id. in Giust. Civ. 1995, I, 2868; Id. in Foro it. 1995, I,2461.

[2] Oltre la già prima richiamata pronuncia Corte Cost., 08.09.1995 n.419 cit., la sentenza gemella Corte Cost. 15.09.1995, (ud. 06.09.1995, dep. 15.09.1995), n.435 in Giur. it. 1997, I, 104; Id. Giur. it. 1997, I, 274,  ha escluso la tesi della non sottoponibilità degli atti del C.S.M. alla giurisdizione estesa al merito che il giudice amministrativo esercita in sede di ottemperanza, affermando che tale opzione ermeneutica “non ha, di per sé, alcun esplicito fondamento costituzionale, né la titolarità delle specifiche competenze conferite dall’art. 105 della Costituzione può comportare, quale conseguenza automatica, franchigie dell’attività di detto organo dal sindacato giurisdizionale, in quanto funzioni svolgentesi su piani diversi”. Così in testo in F. TAORMINA, L’ottemperanza al giudicato. la giustizia nell’amministrazione, in Ratioiuris.it, Gen 12, 2018. 

[3] G. CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1980, 906- 914 ss.; Id., Sulla cosa giudicata, in Saggi di diritto processuale civile, II, Milano, 1993 (Ristampa), 399 ss..

[4] In tal senso si esprime G. CHIOVENDA, Sulla cosa giudicata, in Saggi di diritto processuale civile, II, Milano, 1993 (Ristampa), 399 ss.; ID., Principi di diritto processuale civile, III, Milano, 1993 (Ristampa), 231 ss.. Nello stesso senso è anche E. FAZZALARI, Istituzioni di diritto processuale civile, Padova, 1996, 458 ss.; VERDE, Diritto processuale civile, Volume 2 – Processo di cognizione, IV edizione, Bologna, 2015; LOTARIO DITTRICH, Diritto processuale civile, Milano,2019.

[5] Il comma è stato, inizialmente, sostituito dall' articolo 3, comma 2, dell'Allegato 4 al D.Lgs.2 luglio 2010, n. 104. In un momento successivo ha subito modificazione da parte dell’articolo 1, comma 1, del D.L. 9 febbraio 2012, n. 5.

[6] In tema di silenzio dell'amministrazione e tutela del cittadino si veda D. VESE, Termine del procedimento amministrativo e analisi economica, in Rivista Trim. Dir. Pubb., fasc.3, 2017, p. 779 ss..

[7] Sentenza in commento pag 7.

[8] Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Umbria, sentenza n. 67 del 25 settembre 2019.

[9] In proposito si veda, Gli elementi strutturali del danno erariale: ce li ricorda la Corte dei Conti, nota a sentenza Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Umbria, sentenza n. 67 del 25 settembre 2019, a cura di D. DI MARIA, in  segretaricomunalivighenzi.it , ove si sintetizza: "Per ciò che concerne il titolo di imputazione soggettivo è a titolo di dolo o colpa grave, essendo irrilevante la mera colpa lieve, la quale può produrre conseguenze dal punto di vista del diritto civile ed amministrativo (e persino di quello penale ove il reato sia previsto come colposo), ma non di quello contabile. La colpa grave (generalizzata dall’art. 1, comma 1, legge 14 gennaio 1994, n. 20), deve essere accertati (ex ante al tempo della condotta e non ex post) non in termini psicologici bensì normativi, consiste nell’errore professionale inescusabile dipendente da una violazione di legge. Si vedano Corte dei conti, sez. riun., 14 settembre 1982, n. 313; sez. riun., 26 maggio 1987, n. 532; sez. riun., 10 giugno 1997, n. 56; sez. riun., 8 maggio 1991, n. 711; sez. riun., 25 luglio 1997, n. 63/A; sez. riun., 20 maggio 1998, n. 22/A; sez. riun., 21 maggio 1998, n. 23/A)".

[10] Nello specifico, sub art. 21, comma 1, D.L. n. 76/2020, integr.da art. 1, comma 1, della L. n. 20/1994. La responsabilità del pubblico dipendente, che causi un danno all'erario,  per la riforma del 1996 (L. n. 639), era limitata alla responsabilità amministrativa in ipotesi relative a soli comportamenti attuati con "dolo o colpa grave" (in deroga al generale principio della responsabilità per "dolo o colpa", ancorché lieve). Attualmente è stato addizionato con un periodo per il quale viene altresì prescritto che "la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell'evento dannoso".

[11] Cosi, si esprime in sintesi Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio,3 ottobre 2018 sentenza n. 502. Le SS.RR. della Corte dei conti hanno, infatti, identificano l’elemento soggettivo della colpa grave con l’“intensa negligenza”, la “sprezzante trascuratezza dei propri doveri”, l’“atteggiamento di grave disinteresse nell’espletamento delle proprie funzioni”, la “macroscopica violazione delle norme”, il “comportamento che denoti dispregio delle comuni regole di prudenza”.

[12] Sentenza in commento, pag 8. Il respingimento della tesi difensiva comporta anche per il rigetto espresso dell'eccezione di compensatio lucri cum damno promossa dal dirigente convenuto in giudizio, il quale lamentava che si sarebbe dovuto tenere in debito conto il vantaggio ottenuto dall’amministrazione a mezzo dell’attività del commissario ad acta.

[13] Cass. civ., Sez. Unite, 18 settembre 2017, n. 21546) secondo cui “la giurisdizione contabile va affermata allorché il danno erariale dipenda da comportamenti denunciati come illegittimi, tenuti dall’agente nell’esercizio di quelle funzioni per le quali possa dirsi che egli è inserito nell’apparato dell’ente pubblico, così da assumere la veste di agente dell’amministrazione” nonché la giurisprudenza contabile, secondo la quale, “Ai fini della sussistenza del c.d. rapporto di servizio, idoneo a radicare la giurisdizione di questa Corte, risulta necessaria e sufficiente una relazione funzionale, per cui il presunto responsabile risulti stabilmente inserito nell’apparato organico e nell’attività dell’Ente, sì da risultare compartecipe dell’attività dell’Ente stesso”. 

In tal senso, anche, Corte Conti, Sezione Giurisdizionale Toscana, 05.04.2019 n. 142, ove si precisa che “il processo contabile è incentrato sull’accertamento dei danni erariali, quale conseguenza della violazione degli obblighi di servizio da parte degli agenti pubblici, fra i quali si annoverano quelli in rapporto di servizio con l’Amministrazione, mentre il giudizio penale attiene alla violazione dei precetti penali, con la conseguenza che la dichiarazione di prescrizione penale o di non luogo a procedere non fa venir meno la possibilità di una responsabilità contabile, sia pure collegata alla medesima vicenda, ma riguardata con diverse finalità, sulla base di differenti scale di riferimento parametrico per la valutazione della sussistenza degli specifci presupposti oggettivi e soggettivi”. Si confronti altresì, Corte conti Sez. I Centr. 12 marzo 2012 n.122.

[14] Per un maggiore approfondimento di carattere sistematico si veda  P. L. MATTA, M. PELLINGRA CONTINO, Brevi considerazioni in materia di responsabilità erariale – profili dottrinari ed orientamenti giurisprudenziali, in Norma, quitidiano di infomazione giuridica.

[15] L’osservazione è ampiamente trattata in N. SPADARO, l'esecuzione della sentenza amministrativa in italia e in Francia, in  Diritto Processuale Amministrativo, fasc.4, 2015, p. 1460  L’autore richiama in testo , ex plurimis, la recente sentenza 7 marzo 2013 n. 441 della Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia.

[16] Il Testo unico degli enti locali (TUEL) art. 194 disciplina il riconoscimento di legittimità prevedendo all’art. 1lett a) che gli enti locali riconoscono la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da sentenze esecutive.

[17]L. D'ANGELO, (Consigliere della Corte dei Conti), Danno erariale e silenzio amministrativo,10 Oct. 2020. In dirittoeconti.it, dove l’autore fa notare che  Il Testo unico degli enti locali (TUEL) art. 194 disciplina il riconoscimento di legittimità prevedendo all’art. 1lett a) che gli enti locali riconoscono la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da sentenze esecutive. Si cita testualmente: “Non sfugge, in effetti, che l’azione di rivalsa intestata al P.M. contabile per il “recupero” di dette spese di soccombenza corrisposte dalla p.a. troverebbe il rispettivo fondamento – in fattispecie analoghe a quella in commento – nella “medesima” condotta omissiva del soggetto tenuto, all’interno dell’amministrazione, alla doverosa esecuzione delle pronunzie giudiziali”.