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Pubbl. Lun, 12 Ott 2020

La praesumptio de praesumpto non basta a provare il fortuito

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autori Gianandrea Maria Perrella ,



Commento all´ordinanza della Suprema Corte di Cassazione sez. VI civile, n. 342 del 13.01.2020, in tema di risarcimento danni ex art. 2051 c.c.. Il giudice non può desumere il caso fortuito facendo ricorso alle doppie presunzioni. ”Mentre l´art. 2729 c.c. consente di trarre da un fatto noto quello ignoto, non è consentito trarre da una presunzione un´ulteriore presunzione.”


ENG Comment on the order of the Supreme Court of Cassation section VI civil, n. 342 of 13.01.2020, in the matter of damages pursuant to art. 2051 c.c.. The judge cannot infer the fortuitous case by resorting to double presumption.

Sommario1.Il caso; 2.Gli indizi; 3.Le presunzioni semplici;  4.Il divieto della doppia presunzione; 5.Conclusioni

1. Il caso

Il 26.10.2013 B.V. all’epoca dei fatti minorenne, mentre si trovava all’interno di un fabbricato condominiale, nei pressi del portone d’ingresso, a causa della presenza sul pavimento di una macchia d’olio trasparente, era caduto per terra subendo lesioni.

B.N. genitore esercente la responsabilità genitoriale su B.V., citava in giudizio il Condominio innanzi al G.D.P di Nocera Inferiore al fine di sentir dichiarare la responsabilità esclusiva del Condominio per le lesioni subite dal minore.

Si costituiva in giudizio il Condominio e chiedeva di chiamare in causa la propria società assicurativa per essere manlevato.

Si costituiva la società assicurativa e contestava la pretesa di parte attorea. Il giudice ammetteva la prova testimoniale e con sentenza del 11.01.2016, rigettava le domande ritenendo oltremodo oneroso addebitare all’organizzazione condominiale una sorveglianza sull’assoluta igiene delle aree comuni.

La sentenza veniva appellata da B.N. davanti al Tribunale di Nocera Inferiore. Si costituivano gli appellati chiedendo il rigetto del gravame.

Il Condominio eccepiva l’inammissibilità dell’appello e la carenza di legittimazione attiva dell’appellante, quale genitore di B.V. che nel frattempo era divenuto maggiorenne. Il B.V. si costituiva in giudizio in proprio.

Il Tribunale con sentenza del 07.02.2018, rigettava l’impugnazione rilevando “che poiché il sinistro si era verificato all’interno del Condominio, la fattispecie va inquadrata all’interno dell’art. 2051 c.c. che consente di escludere la responsabilità in presenza di caso fortuito che può consistere in un alterazione dello stato dei luoghi imprevista e non tempestivamente eliminabile neppure con l’uso dell’ordinaria diligenza”.

Nel caso di specie la macchia d’olio sarebbe stata lasciata da un soggetto che portava i rifiuti per la raccolta senza che il condominio avesse la possibilità di intervenire tempestivamente per rimuovere la situazione di pericolo. Trattandosi quindi, di situazione cagionata da un terzo ricorreva l’ipotesi di caso fortuito.

Avverso tale decisione propone ricorso per Cassazione B.V. con due motivi.

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2051, 2043, 2697 c.c e degli artt. 115 e 116 c.p.c.  e dell’art. 360 n. 3 c.p.c., sostenendo che al danneggiato spetterebbe la sola prova del nesso causale tra la cosa e il danno, mentre incombeva al custode negare la riferibilità causale dell’evento dannoso alla cosa e la dimostrazione dell’inevitabilità ed imprevedibilità del sinistro.

Al contrario il giudice di merito avrebbe ritenuto eccezionale e imprevedibile il mutamento dello stato dei luoghi a causa della presenza della macchia di olio, senza far alcun riferimento al decorso del lasso di tempo, tra l’alterazione dello stato dei luoghi e l’evento lesivo.

La sostanza oleosa, avrebbe quindi potuto tranquillamente  essersi posata sulla pavimentazione alcune ore prima del fatto, divenendo così parte integrante della stessa.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi  dell’art. 360 c.pc., nn. 3 e 4 la violazione delle medesime disposizioni oggetto del primo motivo nonché dell’art. 2727 c.c..

Il Tribunale, nel valutare le prove, avrebbe violato i principi relativi al prudente apprezzamento delle stesse applicando erroneamente il regime delle presunzioni. Inoltre in assenza di riscontro probatorio avrebbe attribuito la determinazione dell’evento ad un terzo soggetto, il quale avrebbe trasportato e depositato una busta contenente rifiuti di tipo umido vicino al portone di ingresso, in assenza di qualsiasi riscontro probatorio. In sostanza, il giudice di appello avrebbe immaginato la presenza di un terzo soggetto ma questa ricostruzione del fatto non troverebbe riscontro nelle dichiarazioni rese dal teste escusso, in merito alla presenza in vicinanza del portone d’ingresso di un secchio della spazzatura contenente materiale organico – e non anche di una busta, la quale avrebbe potuto determinare la macchia oleosa – pertanto data l’esistenza di un secchio della spazzatura di tipo umido, non sarebbe stato possibile, applicando i criteri presuntivi, desumere l’esistenza di un terzo soggetto che trasportava immondizia. Al contrario, il condominio avrebbe dovuto dimostrare che la sostanza oleosa era presente nell’androne del palazzo da un lasso di tempo così breve da impedirne la tempestiva pulizia.  

Quanto all’art. 115 c.p.c. il ricorrente rileva che il Condominio non avrebbe dimostrato nulla riguardo alla sussistenza del caso fortuito, mentre il giudice di appello avrebbe giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, le quali non avrebbero accreditato la tesi di un terzo soggetto che avrebbe percorso le scale condominiali pochi istanti prima dell’evento dannoso. Il giudizio di probabilità e verosimiglianza, quindi, sarebbe stato dedotto in violazione dell’art. 2727 c.c..

Al riguardo il ricorrente sostiene che mentre l’art. 2729 c.c. consente di trarre da un fatto noto quello ignoto, non è consentito trarre da una presunzione un ulteriore presunzione. Violando quindi tale principio, il giudice di appello avrebbe affermato che presumibilmente la macchia di olio era stata la conseguenza del comportamento di una terza persona che trasportava delle buste di spazzatura e da ciò avrebbe tratto l’ulteriore conseguenza della prossimità temporale, che non avrebbe consentito al Condominio di intervenire tempestivamente, applicando quindi una doppia presunzione non consentita dall’ordinamento.

La Cassazione accoglie il ricorso sostenendo che:

"è corretto l’assunto del ricorrente  che con il secondo motivo ha dedotto la violazione delle norme in tema di prova per presunzioni, in quanto la sintetica motivazione del Tribunale non consente di individuare gli elementi gravi, precisi e concordanti, sulla base dei quali si fonda la prova per presunzioni relativa alle cause della presenza della macchia oleosa e del breve lasso di tempo, tra la formazione della macchia e l’evento dannoso, e la conseguente prova a carico del Condominio, del fatto del terzo, quale ipotesi di caso fortuito ai sensi dell’art. 2051 c.c.."

Con il primo motivo si evidenzia che il Tribunale desume implicitamente la contestualità tra la presenza del sacchetto di spazzatura e la sussistenza della macchia, da elementi che non sono in alcun modo individuati in violazione dell’art. 2727 c.c..

Con riferimento al secondo motivo, il ricorrente trascrive le dichiarazioni rese dal teste escusso il quale ha riferito che: “al termine delle scale, vicino al portone d’uscita, vi era un secchio che conteneva la spazzatura di tipo umido… preciso che il secchio dell’umido era situato all’interno del portone” .  Da queste dichiarazioni il Giudice d’appello in violazione dell’art. 2727 c.c., trae la prova presuntiva di due ulteriori elementi. Il primo, che la macchia oleosa sarebbe stata provocata dalla condotta di un terzo soggetto che trasportava buste di spazzatura. Fatto dedotto in assenza di un riscontro probatorio – in quanto l’unico elemento accertato  è l’esistenza di un secchio contenente rifiuti umidi – il secondo è che vi sarebbe stata una sostanziale contestualità tra la creazione della macchia oleosa per terra e il passaggio dell’infortunato.

 2. Gli indizi

Le presunzioni possono essere definite come le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato.

Le norme sulla presunzione regolamentano il principio generale del libero convincimento del giudice, secondo il quale il giudicante può dedurre dal complesso delle circostanze emerse nella fase istruttoria del processo civile, dagli atti, dai documenti e dal comportamento processuale delle parti, elementi utili alla decisione finale trasfusa nella sentenza.

A differenza delle presunzioni gli indizi sono una prova, che in ambito penale viene definita “critica” in quanto si fa uso di norme di comune esperienza, sulla scorta delle quali è possibile desumere l‘esistenza o l’inesistenza di un fatto in esame.

Anche nel caso degli indizi è però necessario limitare la discrezionalità del giudice nella valutazione delle prove e disciplinare l’utilizzo ai fini probatori degli stessi. Infatti è richiesto che gli indizi debbano essere plurimi, gravi, precisi e concordanti esattamente come per le presunzioni semplici - salvo il requisito della pluralità di cui si dirà in seguito-.

Gli indizi sono giudicati gravi in rapporto alla loro capacità di dimostrare che il fatto ignoto derivi da quello noto in relazione al più o meno elevato grado di probabilità che dal fatto noto derivi quello ignoto oggetto della prova.

Sono invece precisi se idonei a far desumere il fatto non conosciuto e la precisione si trova in relazione inversa al loro essere inequivoci, nel senso che tale caratteristica aumenta meno sono equivoci, consentendo un ristretto numero di interpretazioni tra le quali deve necessariamente trovarsi quella pertinente al fatto da provare.

Sono concordanti se un certo numero di indizi confluiscono verso un unico risultato in relazione agli altri indizi raccolti, e che pur non essendo da soli sufficienti ad avvalorare una determinata conclusione, acquistano il carattere dell’univocità perché il reciproco collegamento e la loro simultanea convergenza porta verso la stessa conclusione.

A queste condizioni gli indizi sono tali da assumere i caratteri della prova e dell’efficacia dimostrativa che a questa inerisce.[1]

Da quanto fin qui esposto si deduce che, la distinzione tra indizi e presunzioni è molto sottile, alcuni autori definiscono l’indizio come “ uno degli assiomi del ragionamento deduttivo applicato per arrivare alle presunzioni”.[2]

In altri termini gli indizi possono essere definiti come “un’analisi complessa del processo logico che è sorretto da un esame delle prove e di quanto è a conoscenza del giudice, in un lavoro articolato di “ricomposizione” della realtà, come se si stesse componendo un puzzle i cui pezzi mancanti possono essere ricostruiti sulla base del disegno complessivo determinato dalla giusta collocazione dei pezzi esistenti”.[3]

3. le presunzioni semplici

Le presunzioni semplici sono tutte quelle presunzioni che la legge non prevede espressamente, ed hanno di conseguenza natura atipica, in quanto possono avere le più disparate forme e la loro identificazione è lasciata al prudente apprezzamento del giudice, il quale può liberamente valutare i fatti di causa.

la dottrina individua nell’art. 2729 c.c. l’indice inequivocabile della natura probatoria della presunzione semplice, la quale si configura come mezzo per la cognizione mediata e indiretta di fatti controversi. Essa costituisce dunque un mezzo di prova critica, in relazione al quale è rimessa al prudente apprezzamento del giudice la formulazione dell’inferenza del fatto noto a quello ignoto”.[4]

L’inferenza tra fatto noto e fatto da provare anche se discrezionale non è, tuttavia, svincolata dal rispetto delle regole logiche e conoscitive, dal momento che il giudice deve comunque esaustivamente motivare il proprio ragionamento in modo di consentire il necessario controllo sulla razionalità del procedimento deduttivo.[5]

Inoltre il giudice può fondare il proprio convincimento anche solo su presunzioni semplici o, addirittura, su una sola presunzione, anche se contrastante con altri elementi acquisiti durante il procedimento; e questo è possibile perché “al di fuori dei casi di prova legale, non esiste nel nostro ordinamento una gerarchia delle prove, per cui i risultati di talune di esse debbano necessariamente prevalere nei confronti di altri dati probatori, essendo la valutazione delle prove rimessa al prudente apprezzamento del giudice. Ne deriva che il convincimento del giudice di merito sulla verità di un fatto può fondarsi anche su una presunzione che sia in contrasto con le altre prove acquisite, se da lui ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli altri elementi di giudizio ad esso contrari, alla sola condizione che egli fornisca del convincimento una giustificazione adeguata e non contraddittoria”.[6]

 Il giudice, dunque, potrà valutare solo elementi che siano gravi, precisi e concordanti, gli unici in grado di confutare l’attendibilità degli altri elementi acquisiti nel corso del procedimento. Una volta ottenuta la prova per presunzione semplice essa potrà essere considerata una prova completa a tutti gli effetti ed equivalere rispetto a tutti gli altri mezzi di prova, in quanto “la prova per presunzioni costituisce prova completa, alla quale il giudice del merito può legittimamente ricorrere, anche in via esclusiva, nell’esercizio del potere discrezionale istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, di controllarne l’attendibilità, di scegliere tra gli elementi sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, senza che possa predicarsi l’esistenza di una gerarchia delle fonti di prova, salvo il limite della motivazione del proprio convincimento da parte del giudicante. Non esiste, infatti, una gerarchia di efficacia delle prove nel senso che (fuori dei casi di prova legale) esse, anche se hanno carattere indiziario, sono tutte liberamente valutabili dal giudice del merito per essere poste a fondamento del suo convincimento”.[7]

Le presunzioni semplici, possono quindi costituire una prova esaustiva alla quale il giudice può attribuire massimo rilievo, anche in via esclusiva, per il formarsi del proprio convincimento, spetta infatti “al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo”. [8]

E’ quindi il giudice del merito a valutare se far ricorso alle presunzioni, e di conseguenza procedere con l’individuazione dei fatti su cui si basa il processo logico, che dovranno comunque essere scrupolosamente vagliati al fine di accertarsi che siano in possesso dei requisiti di legge; infatti “perché possa ritenersi correttamente desunta una presunzione semplice è sufficiente che i fatti sui quali essa si fonda siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza del fatto noto, già accertato in giudizio, alla stregua di canoni di ragionevole probabilità, dovendosi cioè ravvisare una connessione fra la verificazione del fatto già accertato e quella del fatto ancora ignoto secondo le regole di esperienza che convincano il giudice circa la probabilità e verosimiglianza della verificazione del secondo quale conseguenza del primo, potendo, dunque, il relativo accertamento presentare qualche margine di opinabilità, poiché il procedimento logico di deduzione non è quello rigido che è imposto, viceversa, in caso di presunzione legale. Il giudizio in base al quale il giudice di merito ragiona per presunzione semplice sottrae al sindacato di legittimità, se convenientemente motivato alla stregua di detti criteri”.[9]

Di conseguenza, il ricorso in cassazione avverso una sentenza indiziaria deve individuare precisamente dove si trovi “il punto debole” del ragionamento per deduzione del giudice, dove vi sia quindi l’illogicità del ragionamento, oppure dove vi sia contradizione o sia contraddetto da altri elementi di giudizio, oppure dimostrare che non tutti gli elementi indiziari sono in possesso dei requisiti previsti dalla norma; infatti se ”il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, n. 3 c.p.c. – e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360- competendo alla Corte di Cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta”.[10]

Quanto al requisito della prudenza del giudice, previsto espressamente dall’art. 2729 c.c., la norma in esame non dice nulla riguardo ai principi che deve adottare al fine di dare fondamento al ragionamento che congiunge il fatto ignorato al fatto noto.

Ciò è dovuto al fatto che le presunzioni semplici sono atipiche e vengono definite solo per esclusione.

Però l’assenza, nel codice civile, di una chiara definizione di prudenza non esclude la necessità che la discrezionalità del giudice venga esercitata in modo razionale, non arbitrario e controllabile, così come accade per la valutazione delle altre prove.[11]

Il legislatore, infatti, con l’art. 2729 c.c. pone delle precise condizioni, in mancanza delle quali, il giudice non può ricorrere all’uso delle presunzioni semplici.

Queste condizioni vanno intese come un vincolo di efficacia probatoria delle presunzioni formulate dal giudice o come requisiti che occorrono per la loro stessa esistenza, dato che una presunzione semplice in concreto non esiste se non possiede i requisiti indicati nella norma.

Inoltre, è importante chiarire, che per aversi una presunzione giuridicamente valida, non è necessario che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto in base ad un rapporto di necessarietà assoluta ed esclusiva, sarà bensì sufficiente  che dal fatto noto sia desumibile in modo inequivocabile quello ignoto, al pari di un giudizio probabilistico fondato sull’id quod plerumque accidit, in modo tale che il giudice possa trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, a condizione che siano dotati dei necessari requisiti di gravità, precisione e concordanza.  Non è invece consentito che possa attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici. [12]

E’ quindi possibile che nel processo le avverse tesi difensive siano sottratte ad un evidente risultato probatorio ma in questa evenienza il giudice è libero di apprezzare altri indizi purchè grai, precisi e concordanti.

È possibile definire la gravità di una presunzione facendo riferimento alla “forza” dell’inferenza, ossia al grado di conferma che essa attribuisce alla conclusione relativa a questo enunciato. Si può dunque definire come “grave” l’inferenza presuntiva che attribuisce a tale conclusione un grado di conferma particolarmente elevato.  Si può riferire anche alle presunzioni il criterio generale che nel processo civile si adotta per stabilire quale descrizione dei fatti è preferibile come fondamento della decisione, ossia il criterio della probabilità prevalente (o del più probabile che no)”.[13] 

Si può quindi affermare che “una presunzione è abbastanza grave se attribuisce alla conclusione sul factum probandum una probabilità prevalente, ossia un grado di attendibilità maggiore di quello che risulta attribuibile all’ipotesi contraria.

Dunque, non qualunque conferma derivabile dal fatto noto soddisfa il requisito della gravità: deve trattarsi di una conferma tale per cui l’esistenza del fatto ignorato appaia come la conclusione attendibile, mentre non appare attendibile l’ipotesi contraria, ossia quella dell’inesistenza di questo fatto”.[14]

Il requisito della precisione invece “impone che i fatti noti, dai quali muove il ragionamento probabilistico, e l’iter logico nel ragionamento stesso seguito non siano vaghi ma ben determinati nella loro realtà storica”.[15]

Quanto alla concordanza -ovvero “convergenza”  di più fatti noti verso la dimostrazione del fatto ignoto- gli indizi devono muoversi nella stessa direzione, devono essere logicamente dello stesso segno, cioè compatibili fra loro, in quanto “con il requisito della concordanza si prescrive che la prova sia fondata su una pluralità di fatti noti che costituiscono la base della presunzione e il giudizio logico con cui si deduce l’esistenza del fatto ignoto e sottratti al controllo di legittimità in presenza di adeguata motivazione”.[16]

Il requisito della concordanza, si deve però, ritenere necessario solo in presenza di un eventuale concorso di più elementi presuntivi, ben potendo il giudice assumere a fonte di prova anche un solo elemento, a condizione che sia grave e preciso.[17]

4. Il divieto della doppia presunzione

Il divieto di doppia presunzione è piuttosto controverso sia in dottrina che in giurisprudenza. Tradizionalmente si afferma che praesumptum de praesumpto non admittitur, riducendo sostanzialmente la possibilità di ricorrere alle presunzioni semplici ai soli casi in cui il fatto noto è dimostrato con prove diverse dalle presunzioni o è percepito direttamente dal giudice,  escludendo, dunque, le presunzioni di secondo grado.

Questo principio –non previsto da nessuna norma- si basa sulla necessità di evitare che la prova del fatto ignoto sia tratta da una concatenazione di inferenze che andrebbero a svigorire la presunzione finale sul fatto ignorato, rendendola non più idonea a fornire la conferma probatoria di tale fatto.

Il divieto di doppia presunzione appare derivare da quella che, secondo molti, è una discutibile intuizione, secondo la quale in una concatenazione di inferenze quella successiva sarebbe comunque più debole della precedente, ed è proprio in base a questo, quanto meno dubbio, principio che la presunzione di secondo grado non sarebbe attendibile.

Parte della dottrina ritiene più logico guardare ad un insieme di presunzioni  come ad una catena, e considerare che “la forza di una catena è pari a quella del più debole dei suoi anelli”, ragion per cui è necessario che in ogni inferenza concatenata la conclusione acquisti un livello di gravità e precisione tanto elevato da giustificarne l’attendibilità.

In quanto anche una sola inferenza non grave o non precisa sarebbe sufficiente a escludere la validità dell’intero ragionamento e quindi “ad interrompere la catena delle inferenze” .

Se invece ogni anello della catena è abbastanza forte, la catena arriva ad una conclusione finale fornita di un elevato grado di conferma, invero del grado di conferma che caratterizza l’ultima delle inferenze concatenate.

Ragion per cui, assodato che combinazioni lineari di inferenze presuntive sono del tutto idonee a condurre ad un inferenza finale munita di un grado di conferma sufficientemente elevato, non vi è motivo di negare a priori il ricorso alle doppie presunzioni. Ciò chiaramente, non vuol dire che in tutti i casi la presunzione di secondo grado sia dotata di un adeguato grado di gravità tale da fornire la prova del fatto, in quanto la gravità della presunzione è determinata dalla regola utilizzata per formulare la relativa inferenza. Questo vale per ogni inferenza presuntiva singolarmente considerata, e vale anche per ogni inferenza che entri a far parte di una concatenazione lineare di inferenze presuntive.[18]

Astrattamente non è quindi certo che una presunzione di secondo grado sia sempre troppo debole per poter essere presa in considerazione. La presunzione di secondo grado potrà anche essere considerata da alcuni meno rigorosa della prima presunzione, ma non si può escludere che in alcuni casi sia sufficientemente convincente, ragion per cui il brocardo praesumptum de praesumpto non admittitur viene criticato da molti.

Autorevole dottrina afferma, infatti, che “il divieto di presunzioni di secondo grado è solo un utile luogo comune per respingere le presunzioni che non convincono, come ha rilevato da quasi un secolo chiunque abbia approfondito l’argomento, ma si rinuncia malvolentieri ai luoghi comuni, specie se innocui ed espressi nella lingua di Cicerone”.[19]

5. Conclusioni

Nel caso di specie, la doppia presunzione cui è ricorso il Giudice di Appello, consiste nell’aver desunto dalla presenza della macchia oleosa il comportamento di una terza persona che trasportava buste di spazzatura e, da ciò,  l’ulteriore presunzione della prossimità temporale tra la perdita di olio e la caduta del danneggiato, che non avrebbe permesso al condominio di intervenire tempestivamente.

Secondo la Corte di Cassazione, invece, essendo accertata la sola presenza in prossimità del portone d’ingresso di un secchio della spazzatura di tipo umido, e non anche di un sacchetto, non si può dedurre che uno dei condomini  possa aver trasportato per le scale un sacchetto gocciolante, mettendolo, poi, dentro il secchio dell’umido.

Può concludersi che se la Suprema Corte avesse considerato il divieto di ricorrere alla doppia presunzione solo come un luogo comune, avrebbe potuto più utilmente valutare la reale solidità di questa seconda inferenza, ma purtroppo “il divieto di doppie presunzioni può avere il potere di suggestione che hanno molti luoghi comuni, e può fare un certo effetto quando il giudice è perplesso; un solenne praesumptum de praesumpto non admittitur, messo al punto giusto di un ricorso, può suonare bene per abbellire le nostre tesi ( ad colorandum, come qualche volta si dice in gergo avvocatesco); l’importante è però che queste tesi siano per altri versi fondate, e che non si faccia affidamento solo sull’astratto divieto di doppie presunzioni”.[20]


Note e riferimenti bibliografici

[1] F. Cuomo Ulloa, commento agli artt. 2699-2701; 2727-2735 in codice civile ipertestuale a cura di Bonilini, Confortini e Granelli, ed. UTET, Torino 2000

[2] L. Scionti  La Prova Orale: la prova testimoniale e presuntiva- relazione tenuta a Roma il 27.11.2001 per un corso di aggiornamento organizzato dal C.S.M

[3] M. R. Mottola La prova per Presunzione Key editore 2019

[4] G. Fabbrini, Presunzioni in digesto civ. XIV, Torino 1996, 279

[5] L. P. Comoglio, Le prove in tratt. Rescigno 19, I, II° ed. Torino 1997

[6] Cass.  III sez. civile sentenza n. 4777 del 12.05.1998

[7] Cass. III sez. civile sentenza n. 13082 del 05.06.2007

[8] Cass. III sez. civile n. 10847 del 11.05. 2007

[9] Cass. II sez. civile n. 9782 del 14.09.1999

[10] Cass. sez. III civile n. 17535 del 26.06.2008

[11] M. Taruffo La Prova nel Processo Civile ed. Giuffrè 2012

[12] Trib. di Ivrea 16.12.2004

[13] M. Taruffo La Prova nel Processo Civile ed. Giuffrè 2012

[14] M. Taruffo Senso comune, esperienza e scienza nel ragionamento del giudice, in Sui Confini, scritti sulla giustizia civile, Bologna 2002

[15] Cass. II sez. civile, n. 3646 del 24.02.2004

[16] Cass. sez. lavoro, n. 4168 del 22.03.2001

[17] Cass. sez. trib. N. 17574 del  29.07.2009

[18] M. taruffo La Prova per induzione in Trattato di diritto civile e commerciale, La prova nel processo civile, Milano 2012

[19] R. Lupi Manuale Giuridico Professionale di Diritto Tributario, Ed. Ipsoa 2001

[20] R. Lupi Manuale Giuridico Professionale di Diritto Tributario, Ed. Ipsoa 200