Il ”concorso esterno”: origine ed evoluzione giurisprudenziale
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Tommaso Passarelli
Le associazioni mafiose si caratterizzano, rispetto alle normali organizzazioni criminali, per la loro capacità relazionale. La rete di relazioni che viene intessuta con la società civile determina per esse un salto di qualità di non poco momento. La giurisprudenza ha cercato nel corso degli anni di offrire una risposta a siffatto fenomeno utilizzando l´istituto concorsuale di parte generale, in combinato disposto con la fattispecie associativa di cui all´art. 416 bis c.p.
Sommario: 1. Premessa alla trattazione dell'istituto; 2. L’origine giurisprudenziale del concorso esterno; 2.1. Il concorso esterno nella stagione del “Maxi processo” a Cosa Nostra; 3. Il concorso esterno in associazione mafiosa alla luce della recente elaborazione giurisprudenziale in seno alle SS. UU. della Corte di Cassazione; 3.1. La sentenza Demitry; 3.2. La sentenza Carnevale; 3.3. La sentenza Mannino; 4. La sentenza della Corte EDU sul caso Contrada c. Italia e la problematica conformazione dell’ordinamento interno alla sentenza di Strasburgo; 4.1. La sentenza 924/2015 della Corte d’appello di Caltanissetta; 4.2. La sentenza n. 43886/2016 della Corte di Cassazione; 4.3. L’ordinanza della Corte d’appello di Palermo n. 466/2016; 4.4. La sentenza n. 43112/2017 della Corte di Cassazione e la fine di una tormentata vicenda; 5. I “fratelli minori” di Contrada; 5.1. La sentenza Cass. Pen. n. 44193/2016 “Dell’Utri”; 5.2. La sentenza Cass. Pen. n. 8661/2018 “Esti”; 5.3. La sentenza Cass. Pen. SS. UU. 8544 del 3 marzo 2020 “Genco”; 6. Considerazioni conclusive.
1. Premessa alla trattazione dell'istituto.
È noto come le organizzazioni mafiose si caratterizzino non soltanto per il loro carattere criminale, bensì e soprattutto per la loro capacità relazionale col mondo della società civile ad esse circostante. Le reti di relazioni intrattenute con esponenti del mondo politico, dell'imprenditoria, delle professioni e della pubblica amministrazione hanno consentito il salto di qualità alla criminalità organizzata, che, diversamente, sarebbe rimasta confinata in una dimensione gangsteristica.
I contributi di volta in volta apportati da soggetti esterni al sodalizio criminoso hanno rafforzato e legittimato le organizzazioni mafiose, ma hanno anche favorito i soggetti ad esse contigui, i quali hanno potuto beneficiare del “marchio di fabbrica”[1] delle associazioni stesse, operando con metodo mafioso. Alle condotte di agevolazione, dunque, si sommano quelle connotate dal metodo mafioso, realizzate dai fiancheggiatori.
La grande varietà dei contributi apportabili e la generale vastità del fenomeno hanno reso difficile la catalogazione penalistica delle condotte contigue e questo ha aperto la strada alla diffusa applicazione dell'istituto del concorso c.d. “esterno”, di cui al combinato disposto degli artt. 110 e 416 bis c.p. La duttilità del suddetto istituto della compartecipazione criminosa mostra un carattere assai malleabile e pertanto adattabile alle forme di sostegno apportate dai soggetti contigui[2].
Lo strumento normativo di cui all'art. 110 c.p., che generalmente ha l'effetto di moltiplicare la tipicità, in questo caso finisce col moltiplicare anche l’indeterminatezza della fattispecie penalistica, avendo già l'art. 416 bis una struttura in sé generica[3].
Se dunque, da un lato, si ricorre allo strumento del concorso eventuale onde sopperire alla carenza di strumenti normativi idonei, dall'altro, ciò è reso necessario dalle esigenze punitive che inevitabilmente si creano nella società, a fronte di fenomeni tanto diffusi e penetranti, col rischio di condizionamenti di carattere pre-culturale in sede applicativa[4].
La configurabilità della compartecipazione criminosa è delimitata dall'attuale paradigma ermeneutico, richiedendosi per la sua conformazione il fornire “un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo” che si delinei come “condizione necessaria per la conservazione e il rafforzamento delle capacità operative della consorteria”[5]. Un contributo così prospettato sembra tuttavia riconducibile all’attività di un soggetto organico, piuttosto che a quella di un soggetto fiancheggiatore.
A favorire l'applicazione diffusa della fattispecie concorsuale è ancora oggi la mancanza, accanto alla fattispecie associativa, di una “generica condotta di agevolazione”, mal prestandosi le più dettagliate fattispecie costruite ad hoc nel corso del tempo (sulla scorta delle casistiche giurisprudenziali) ad intercettare le molteplici e sovente imprevedibili condotte di contiguità mafiosa[6]. Il lungo percorso giurisprudenziale[7] e l'acceso dibattito dottrinale sulla configurabilità del concorso eventuale in fattispecie plurisoggettiva necessaria hanno caratterizzato la storia (soprattutto quella recente) dell'istituto, che non di rado è stato oggetto di polemiche anche mediatiche, sociali e politiche.
2. L’origine giurisprudenziale del concorso esterno.
L'istituto del concorso vanta radici profonde nel nostro ordinamento e nella nostra cultura giuridica. Tracce di esso si rinvengono già nel XIX secolo: nel 1875 la Cassazione di Palermo emana due sentenze[8], le quali consacrano la configurabilità del concorso eventuale in fattispecie plurisoggettiva necessaria. Si era ancora sotto l'imperio del codice sardo-piemontese, che contemplava il reato associativo all'art. 429 (parte speciale) e il concorso criminoso agli artt. 103 e 104 (parte generale).
La fattispecie associativa di parte speciale ex art. 429 prevedeva in sé la punibilità delle condotte per gli “imputati di complicità”[9], ma si trattava di una complicità c.d. necessaria, indispensabile ai fini della consumazione del reato. La fattispecie di parte generale era invece rivolta alla punibilità di coloro i quali avessero prestato aiuto o assistenza agli autori di un reato, con volontà e coscienza; ai sensi dell'art. 104 inoltre la pena sarebbe stata diminuita qualora il contributo apportato non fosse risultato necessario alla consumazione del reato.
Sul piano interpretativo i giudici palermitani compiono un ulteriore salto di qualità, indicando il fatto di reato nell'associazionismo criminale e non già nell'organizzazione dello stesso e nel concorso ad esso. Quella che di primo acchito poteva apparire una banale disputa teorica, assume invece importanti caratteri pratici stante il divieto di sanzionare condotte concorsuali successive al fatto di reato (c.d. concursus subsequens). Il reato associativo viene inquadrato come reato permanente: il fatto di reato ha inizio con la sua costituzione e termina col suo scioglimento.
La sentenza del luglio successivo ricalcherà l'impianto della sentenza precedente, con la specificazione che, ai fini della configurabilità del concorso nel reato, non è necessario un preventivo patto tra il soggetto extraneus e l'apparato associativo contenete l'impegno di fornire condotte di ausilio all'associazione criminosa.
2.1 Il concorso esterno nella stagione del “Maxi processo” a Cosa Nostra.
La portata e la rilevanza degli aspetti di contiguità all'associazionismo mafioso emergono con prepotenza nell'ambito delle indagini che condurranno al c.d. “maxi” processo a Cosa nostra, a metà degli anni Ottanta del secolo scorso. L’ordinanza istruttoria redatta dai giudici Falcone e Borsellino fa luce su questo aspetto già nella sua prima parte[10], ove viene messo in evidenza il ruolo dei centri occulti di potere, strutture segretissime che andavano oltre “Cosa nostra” e che avevano finalità che trascendevano i meri programmi criminosi. Esempio fulgido ne fu la stagione dei delitti eccellenti di Piersanti Mattarella, Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa.
L'attenzione venne focalizzata su soggetti ritenuti “intoccabili”, quali i cugini Nino e Ignazio Salvo, potenti gestori delle esattorie, grandi elettori del deputato europeo ed ex sindaco democristiano di Palermo Salvo Lima. Venne inquadrato nello stesso schema anche il noto banchiere Michele Sindona, del quale vennero ricostruiti i legami intrattenuti con gli esponenti mafiosi apicali dell'epoca, Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo, i più carismatici rappresentati delle rispettive famiglie mafiose.
Se col “maxi” processo fu possibile fare luce sui legami tra associazione mafiosa e mondo della società civile, lo si deve a quello che a ragion veduta viene considerato come l'embrione del processo stesso, ossia il rapporto di polizia giudiziaria “Michele Greco + 161”[11], che mise in evidenza la grande vastità e consistenza della c.d. “zona grigia” ed il ruolo dei soggetti fiancheggiatori nel riciclaggio dei proventi derivanti dal traffico di droga. Nella “zona grigia” viene riscontrato (per la prima volta in un documento ufficiale dello Stato) il luogo di massima espansione del potere mafioso, grazie alle “ramificate commistioni che esso è riuscito a realizzare col tessuto connettivo sociale ed economico cittadino, fondendosi con esso e conseguendo, sulla base di tale “orrido innesto”, la disponibilità di una vastissima ed indefinibile “zona grigia”[12].
La punibilità delle condotte dei soggetti contigui viene affrontata nell'ordinanza istruttoria al volume ventuno[13], ove viene prospettata l'applicabilità del concorso di persone nel reato ai sensi degli artt. 110 ss. c.p. per quei soggetti che formalmente non sono inseriti nell'organigramma di Cosa nostra, ma che prestano il loro contributo volontario, consapevole e causalmente rilevante al perseguimento degli scopi criminali del sodalizio mafioso, in particolar modo nelle attività di riciclaggio e reimpiego dei proventi illeciti derivanti dal traffico di sostanze stupefacenti.
Allo stesso tempo, viene segnalata la necessità di distinguere tra l'imputabilità a titolo concorsuale e quella a titolo di favoreggiamento ex artt. 378-379 c.p.: «non di rado vengono confuse per favoreggiamento personale condotte di fiancheggiamento di latitanti o, comunque, di membri di “Cosa nostra” che, molto spesso, sono espressione invece di una ben più profonda “contiguità” del soggetto rispetto alla mafia.
È necessario, pertanto, valutare con estrema attenzione queste condotte per evitarne una pericolosa sottovalutazione»[14]. La configurabilità del concorso c.d. “esterno” nel reato associativo è stata, pacificamente, riconosciuta dalla dottrina più autorevole[15], per il solo fatto di non lasciare impunite quelle condotte di soggetti non afferenti alla societas sceleris, ma che, anche occasionalmente, apportano alla stessa un contributo consapevole e causalmente rivolto al rafforzamento o al mantenimento in vita della stessa. Il discrimine tra le condotte di partecipazione dall'interno e quelle di concorso dall'esterno è stato rinvenuto nella c.d. affectio societatis, ossia la volontà e la consapevolezza di fare parte dell'organizzazione mafiosa, condividendone l'agire e gli scopi[16].
Una tesi minoritaria fa leva sul fatto che il contributo causale di volta in volta apportato dal soggetto extraneus sarebbe da ricondurre ad un fatto di partecipazione. In altre parole, il soggetto estraneo al sodalizio criminale verrebbe a farne parte factum concludens, ritrovandosi cooptato a prescindere dalla propria volizione associativa. Al contrario, la tesi che distingue tra partecipazione associativa e concorso eventuale dall'esterno, pretende che il factum sceleris dell'associarsi venga desunto aliunde, in ispecie, dall’incontro delle volontà (entrambe) del soggetto aspirante associato e dei soggetti già associati, con l'inserimento del primo nell'organigramma societario e la conseguente assunzione di un ruolo funzionale al perseguimento del programma associativo[17].
Succede così che l'associazione mafiosa necessiti, in particolari circostanze, di contributi da parte di soggetti che non hanno alcuna intenzione di associarsi e che la stessa associazione considera come esterni ad essa.
3. Il concorso esterno in associazione mafiosa alla luce della recente elaborazione giurisprudenziale in seno alle SS. UU. della Corte di Cassazione.
Il concorso esterno è stato oggetto di una elaborazione lunga e controversa in seno alle SS.UU. della Suprema Corte di Cassazione. Attraverso una serie di sentenze che saranno di seguito esaminate, i giudici delle Sezioni Unite hanno tentato di definire la portata e limiti di un istituto affatto “pacifico”, che ha formato oggetto di un lungo dibattito non soltanto dottrinale, ma anche mediatico e sociale.
3.1 La sentenza Demitry.
L’elaborazione giurisprudenziale sull’istituto de quo ha portato nel 1994, per la prima volta, la questione dinnanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Con la sentenza Demitry dell'ottobre 1994, le Sezioni Unite dirimono il contrasto giurisprudenziale affermando la configurabilità del concorso esterno in associazione per delinquere di tipo mafioso, e nello specifico individuano la figura del concorrente esterno in quel soggetto che non intende partecipare e che non è chiamato a farlo da parte dei soggetti associati. Esso è chiamato, infatti, a fornire un contributo qualificato onde colmare temporanee carenze, nella fattispecie si parla di «temporanei vuoti in un determinato ruolo»[18]; ma soprattutto egli è chiamato in causa per far fronte ad una congiuntura in cui «la fisiologia dell'associazione entra in fibrillazione, attraversa una fase patologica, che per essere superata, esige il contributo temporaneo, limitato, di un soggetto esterno»[19].
La sentenza pone in evidenza il carattere atipico della condotta concorsuale, a dispetto della condotta stricto sensu tipica dei soggetti facenti parte dell'associazione. Il contributo, anche occasionale, prestato per mezzo della condotta atipica, si riverbera sulla condotta tipica dei soggetti intranei, stabilmente inseriti nella societas sceleris.
In punto di elemento soggettivo la sentenza de qua compie un passo ulteriore ed arriva ad affermare che il dolo del concorrente eventuale (c.d. “esterno”) è decisamente diverso da quello del concorrente necessario (c.d. “interno”), in quanto il primo non ha a cuore le sorti dell'associazione criminale e non ne sposa la causa.
Il dolo sarebbe dunque generico, concretandosi nella volontà di fornire il proprio contributo nella circostanza e nelle modalità richieste, ma disinteressandosi poi delle strategie e delle finalità che l'associazione mafiosa nel suo complesso si propone di perseguire. Il dolo specifico rimarrebbe comunque configurabile, ma in forma diversa rispetto a quella del concorrente necessario, il quale ultimo mira alla realizzazione dell’intero programma criminoso e al perseguimento delle strategie dell'associazione. Il dolo specifico del concorrente esterno sarebbe configurabile “nella volontà di contribuire alla realizzazione dei fini dell'associazione”, con la consapevolezza che il suo ruolo si esaurirà una volta prestato il contributo richiesto[20].
La sentenza Demitry si sofferma, inoltre, sulla bipartizione tra concorso morale e concorso materiale, cogliendo nello specifico come la condotta di concorso morale sia sempre atipica, mentre quella materiale presenti dei caratteri di tipicità tali da renderla meno estranea rispetto alla condotta del concorrente necessario. La condotta di concorso materiale è più vicina alla condotta tipica, ne condivide un pezzo di strada e questo crea un evidente ostacolo al momento di ricavarne uno spazio autonomo di rilevanza penale[21]. I giudici della Suprema Corte non mancano di richiamare il dato di cui all'art. 418 c.p., il quale distingue chiaramente tra i "casi di concorso nel reato" e le "persone che partecipano all'associazione"[22], rimarcando come il legislatore abbia voluto indicare due fattispecie differenti con l'utilizzo di due locuzioni diverse.
La sentenza si diffonde, infine, sulla distinzione tra il soggetto partecipe e il concorrente esterno, individuando il primo come colui che agisce nella fisiologia dell'associazione, nella sua quotidianità, e il secondo come colui che non intende associarsi e non è invitato a farlo, ma è chiamato a sopperire a vuoti temporanei di potere in un dato ruolo e soprattutto a fare fronte ad una data fase patologica attraversata dall'associazione stessa, ove la sua fisiologia entra in stato di fibrillazione, che per essere superata necessita del contributo del soggetto extraneus (rectius, il concorrente eventuale)[23].
Il concorrente necessario, partecipe dell'associazione, viene così descritto nella massima giurisprudenziale ricavata dalla sentenza: "colui senza il cui apporto quotidiano o, comunque, assiduo l’associazione non raggiunge i suoi scopi o non li raggiunge con la dovuta speditezza"[24]. Il concorrente eventuale, estraneo alla vita associativa, viene inserito in uno spazio emergenziale, di difficoltà per la vita associativa o quanto meno di anormalità o anche solo di straordinarietà, in contrapposizione alla normalità in cui si trova ad operare il soggetto facente parte dell'associazione, il concorrente necessario. Al concorrente esterno viene chiesto che il contributo, anche solamente occasionale, risulti salvifico per l'associazione, le consenta di mantenersi in vita[25], assumendo pertanto un ruolo di primaria importanza per l’esistenza stessa dell'associazione.
La giurisprudenza successiva rivedrà la dimensione del contributo apportabile dal concorrente esterno. In particolare, la sentenza Villecco del 2001 riproporrà la tesi negazionista, aprendo un nuovo contrasto giurisprudenziale che sarà risolto nel 2003 con la sentenza delle SS. UU. Carnevale.
3.2 La sentenza Carnevale.
La sentenza Carnevale si cura di ribadire la configurabilità del concorso eventuale in fattispecie plurisoggettiva necessaria e individuerà la figura del concorrente eventuale in quel soggetto privo di affectio societatis e pertanto non inserito in maniera stabile e organica nell'associazione, ma che fornisce alla stessa un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario, anche solo occasionalmente, ma che abbia una incidenza causalmente rilevante ai fini della conservazione o del rafforzamento del sodalizio. Viene richiesto il dolo diretto, nella forma della rappresentazione circa l’utilità apportata alla realizzazione del programma criminoso, anche solo parzialmente.
I giudici della Suprema Corte muovono le mosse facendo luce sul carattere plurisoggettivo dei reati associativi, in alcuni casi travisato dalla precedente giurisprudenza che aveva ricostruito in termini di monosoggettività la forma della partecipazione all'associazione. È innegabile come la volontà di partecipare ad una realtà associativa debba necessariamente sposarsi con la volontà dei soggetti già in precedenza costituitisi nell'associazione stessa e un tale incontro di volontà non può che sfociare in un fatto plurisoggettivo. La prova del vinculum sceleris può essere desunta anche per facta concludentia, purché indicativi delle rispettive volontà di adesione e accettazione.
Nel delineare la figura del concorrente necessario la sentenza de qua sottolinea, da un lato, la condivisione e l'accettazione del programma criminoso e, dall'altro, la necessità che il soggetto in questione assuma un ruolo attivo e concreto all'interno dell'associazione, che si adoperi ai fini del raggiungimento degli scopi criminosi del sodalizio[26].
Diversamente si sarebbe andati incontro ad una figura di reato “di posizione”, e anche la figura del concorrente esterno sarebbe stata difficile da inquadrare nel principio di tassatività. I giudici delle Sezioni Unite proseguono nell'indicare gli spazi di configurabilità del concorso eventuale in reato associativo e lo fanno partendo dal presupposto che è ineludibile dare «rilevanza penale anche a contributi significativi resi all'organizzazione criminale da parte di chi non sia in essa considerato incluso dagli associati»[27].
In particolare, la norma di cui all'art. 110 c.p. assurge al rango di norma di carattere generale e come tale è applicabile a qualsiasi fattispecie incriminatrice di parte speciale, sia monosoggettiva che plurisoggettiva. Se dunque è possibile delineare la condotta dei soggetti partecipi come sopra esposto, risulta altrettanto delineabile la condotta del soggetto concorrente eventuale (c.d. “esterno”), il quale senza far parte dell'associazione apporta ad essa, consapevolmente, un contributo rilevante alla sua conservazione o al suo rafforzamento.
Con la conseguente applicazione delle differenti categorie normative, inerenti nel primo caso la partecipazione e nel secondo caso il concorso eventuale di persone nel reato, come già indicato nella sentenza Demitry[28]. In altre parole, i principi di tassatività e determinatezza della fattispecie penale sono soddisfatti appieno dalla norma incriminatrice di parte speciale ex art. 416 bis c.p. e di conseguenza la natura espansiva di cui all'art. 110 c.p. non incide negativamente sui principi stessi, rientrando in quelle particolari fattispecie ampliative del fatto tipico di reato (altro esempio è rappresentato dall'art. 56 c.p. con riguardo al delitto tentato)[29].
Agli orientamenti che inquadrano il contributo del concorrente come necessariamente permanente, dato il carattere strettamente permanente del reato associativo, i giudici della sentenza Carnevale obiettano che è pur sempre configurabile un apporto contributivo di tipo temporaneo. Questo sulla base del fatto che l'offensività della fattispecie associativa non è data soltanto dal suo carattere permanente, bensì soprattutto dall’offesa all'ordine pubblico che il sodalizio reca [30]. Tale carattere di offensività si presta ad essere sempre integrato dal contributo del soggetto extraneus, anche soltanto in ben determinati momenti della vita associativa. Secondo un'ulteriore tesi[31], il medesimo paradigma causale utilizzato renderebbe indistinguibili le condotte di partecipazione da quelle di concorso eventuale. Ma se davvero così fosse, se ne dovrebbe dedurre che il concorso eventuale non è mai configurabile nelle fattispecie di reato ricostruite col metro causale, siano esse plurisoggettive ovvero monosoggettive[32].
Sull’elemento soggettivo del reato, la sentenza Carnevale differisce dalle conclusioni della Demitry. Il discrimine tra il dolo del partecipe e quello del concorrente è rappresentato dall'affectio societatis, ossia la volontà di far parte organicamente dell'associazione mafiosa, che nel primo caso è presente e nel secondo no. Detto questo, il dolo si configura in entrambi i casi come dolo specifico, rivolto alla realizzazione dei fini associativi[33]. La realizzazione, anche solo parziale, del programma criminoso deve caratterizzare l'agire del concorrente eventuale, stante la concezione monistica del concorso di persone che vuole le condotte di partecipazione tutte finalisticamente orientate in direzione dell'evento criminoso[34]. Contribuire in proprio alla vita dell'associazione e (anche solo parzialmente) alla realizzazione del programma criminoso, senza la volontà di aderirvi in maniera stabile e organica (affectio societatis): questo il carattere del dolo diretto richiesto al concorrente eventuale.
Con riguardo alla situazione patologica delineata dalla sentenza Demitry, la Carnevale ne mitiga la portata, affermando che la situazione di difficoltà in cui l'associazione incorre può essere anche di mera anormalità e non viene inoltre richiesta la infungibilità del contributo e soprattutto l'estinzione della vita associativa in caso esso non venga apportato. Il concorrente esterno può non essere, dunque,” il salvatore della patria”.
Al fine di individuare la soglia di rilevanza penale del contributo apportato, i giudici delle Sezioni Unite Carnevale muovono dall'assunto che il fulcro della condotta tipica di partecipazione consiste nella conservazione o nel rafforzamento dell'associazione, ergo lo stesso deve esigersi dalla condotta atipica del concorrente esterno sotto il profilo dell’idoneità e della causalità, indipendentemente dal fatto che la condotta abbia carattere continuativo, ovvero occasionale. Di conseguenza è da escludere dall'ambito della punibilità a titolo concorsuale la mera condotta di vicinanza o disponibilità, richiedendosi un contributo positivo in grado di produrre rafforzamento o consolidamento per l'associazione mafiosa. Non può dunque prescindersi dall'accertamento circa l’effettività del contributo apportato ab externo[35].
3.3 La sentenza Mannino.
A distanza di pochi anni, la questione circa la configurabilità del concorso esterno ritorna alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ma sotto una veste diversa: se in Demitry e Carnevale le vicende di fondo inerivano il c.d. “aggiustamento dei processi”, in questa occasione oggetto della controversia processuale è lo scambio elettorale politico-mafioso.
Le Sezioni Unite Mannino riconoscono come dato pacificamente accolto quello della configurabilità del concorso eventuale in fattispecie plurisoggettiva necessaria, tanto da ritenere superflua la ricostruzione storico-giurisprudenziale dell'istituto[36]. La sentenza de qua riprende e sviluppa due aspetti centrali della precedente sentenza Carnevale, ossia l’idoneità causale e il dolo specifico. Nel primo caso, introduce il criterio di valutazione ex post factum circa l'incidenza causale del contributo apportato, con riguardo al consolidamento o al rafforzamento dell'associazione mafiosa. Nel secondo caso, viene ribadito quanto già affermato nella precedente sentenza con riguardo alla specificità del dolo, che sia cioè diretto alla realizzazione, anche soltanto parziale, del programma criminoso[37].
Estensore della sentenza de qua è il giudice Giovanni Canzio, già estensore nel 2002 della nota sentenza Franzese, che è diventata nel tempo il principale riferimento con riguardo all'accertamento dell’idoneità causalmente rilevante. La sentenza Mannino del 2005 ribadisce con fermezza che eventuali difficoltà probatorie non possono mai condurre ad una attenuazione circa il rigoroso accertamento del nesso causale tra condotta ed evento naturalistico. Il mero aumento del rischio con valutazione ex ante si espone a non superare il vaglio ex post circa la valutazione dell'incidenza causale tra il contributo apportato ab externo e l'effettivo rafforzamento che ne sia derivato per l'associazione mafiosa[38]. Si esclude anche la rilevanza della causalità psichica, che opererebbe in mancanza di una effettiva prova circa l'incidenza causale della condotta. Tale ultima opererebbe in termini fiduciari, inducendo i membri dell'associazione a riporre la prova fiducia circa l'apporto del concorrente esterno[39].
La sentenza Mannino sviluppa poi un punto già sollevato dalla sentenza Demitry, ossia la distinzione tra la tipicità della condotta partecipativa e la atipicità della condotta concorsuale[40]. I giudici della sentenza Demitry avevano individuato come la condotta concorsuale contribuisse atipicamente alla realizzazione della condotta tipica di partecipazione, fosse di supporto e agevolasse la realizzazione del fatto tipico posto in essere dai partecipi. La condotta concorsuale veniva così a legarsi alle singole condotte di partecipazione e non già all’intero fatto associativo, in difformità da quanto aveva sancito la sentenza Carnevale. In termini concettuali, la definizione di concorrente esterno che la Mannino adotta è quella della sentenza Carnevale, con il ridimensionamento del criterio della fibrillazione e della fase patologica, ritenendo all'uopo più congrua la configurabilità del concorso esterno in situazioni di difficoltà contingenti[41].
Come già osservato nella sentenza Carnevale, il contributo concorsuale ab externo può arrivare ad avere un peso specifico maggiore rispetto a quello di un qualsiasi associato di modesta rilevanza. Viene osservato come «il concorrente esterno entra in rapporto con l'associazione mafiosa in ragione del suo ruolo sociale o economico, o delle pubbliche funzioni rivestite, apportando il proprio contributo all'associazione mediante una strumentalizzazione della sua funzione o del suo ruolo in favore del sodalizio»[42]. Con la sentenza Mannino dell'anno 2005 si chiude il cerchio delle sentenze emesse dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che aveva preso il via con la sentenza Demitry nel 1994.
4. La sentenza della Corte EDU sul caso Contrada c. Italia e la problematica conformazione dell’ordinamento interno alla sentenza di Strasburgo.
A sollevare nuovamente le polemiche sull'istituto del “concorso esterno” arriva nel 2015 la sentenza della Corte EDU di Strasburgo, che condanna l'Italia per la violazione del principio del nullum crimen, nulla poena sine lege, di cui all’art. 7 CEDU.
Il ricorrente Bruno Contrada (per lungo tempo alto funzionario della Polizia di Stato ed impegnato in prima linea nelle indagini contro le organizzazioni mafiose siciliane) era stato condannato a dieci anni in via definitiva nel 2007 per il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso. La Corte di Strasburgo ha ritenuto illegittima la condanna, in quanto i fatti ascritti al ricorrente si sarebbero verificati in un lasso temporale (1979-1988) antecedente rispetto alla tipizzazione giurisprudenziale delle condotte di concorso esterno in associazione mafiosa, che avrebbe avuto inizio solo nell'anno 1994 con la sentenza Demitry[43]. Ai sensi dell'art. 7 CEDU sopra menzionato, la Corte è tenuta a valutare la base legale su cui si fondano le sentenze dei giudici nazionali, in particolare con riguardo alla chiarezza dei precetti e alla congruenza delle pene.
I giudici di Strasburgo hanno rigettato le obiezioni del Governo italiano, che faceva notare come l'elaborazione giurisprudenziale in materia risalisse agli anni Sessanta del secolo scorso. La Corte EDU oppone che non di concorso in associazione mafiosa si trattasse, ma di diversi tipi di fattispecie associativa (e non poteva essere diversamente, data l'entrata in vigore della legge n. 646 c.d. Rognoni-La Torre a partire dall'anno 1982), che avrebbero seguito altro e ben diverso percorso giurisprudenziale.
La Corte d'appello di Palermo, che nel 2006 aveva confermato la sentenza di condanna in secondo grado, dichiarava in motivazione di rifarsi ai principi enunciati nelle quattro pronunce delle Sezioni Unite precedenti[44]. Ad avviso dei giudici di Strasburgo, le doglianze del ricorrente con riguardo alla irretroattività della legge penale e alla prevedibilità ed intelligibilità dei precetti e delle sanzioni non siano state adeguatamente prese in considerazione nei gradi di giudizio dinnanzi al giudice nazionale.
La Corte EDU declina il reato di “concorso esterno” come il risultato escatologico di una evoluzione giurisprudenziale iniziata nel 1987 (con la sentenza Cillari) e giunta a termine nel 1994 (con la sentenza Demitry). Dunque, le condotte poste in essere dal Contrada nel periodo 1979-1988 sarebbero antecedenti e non punibili, difettando la prevedibilità del precetto penale e delle pene ad esso connesse[45]. La Corte, dunque, equipara la fonte legislativa a quella giurisprudenziale, l’intelligibilità del precetto di legge alla sua applicazione giurisdizionale[46].
4.1 La sentenza 924/2015 della Corte d’appello di Caltanissetta.
Il 18 novembre 2015, la Corte d’Appello di Caltanissetta respingeva l’istanza di revisione, presentata da B. Contrada, contro la sentenza emessa a suo carico per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, divenuta definitiva nel 2007. [47] L’appellante, in sede di motivi aggiunti, chiedeva che l’ordinamento italiano si conformasse alla sentenza della Corte EDU, che aveva dichiarato illegittima la condanna a suo carico. In quegli anni era in essere, in seno alla giurisprudenza nostrana, un contrasto giurisprudenziale con riguardo alla configurabilità o meno del concorso eventuale in fattispecie plurisoggettiva necessaria. In altre parole, si dibatteva se imputare il reato a titolo di partecipazione all’associazione, ovvero a titolo di concorso ab externo.
Avendo i giudici di Strasburgo richiamato la mancata presa in considerazione, da parte dei giudici italiani, delle eccezioni sollevate dalla difesa del Contrada circa l’imprevedibilità del precetto penale all’epoca in cui le condotte furono commesse, i giudici della Corte d’appello si diffondono nel merito della vicenda ed affermano che essendo il Contrada, all’epoca dei fatti, un alto funzionario della Polizia di Stato impegnato in prima linea e per un lungo arco temporale nel contrasto alle organizzazioni mafiose, non poteva che avere piena contezza delle conseguenze penali relative alle proprie condotte.[48]Diversi processi avevano visto la contestazione dello stesso titolo di reato ed alcuni erano basati sulle indagini svolte dagli uffici a cui il Contrada era organico. In qualità di addetto ai lavori, Contrada era dunque nelle condizioni di prevedere le conseguenze penali delle proprie condotte di agevolazione ai sodalizi mafiosi.
Le incertezze del Contrada potevano vertere sulla configurabilità del reato a titolo di favoreggiamento (come invocato dal Contrada stesso nel corso del procedimento a suo carico), ovvero di concorso esterno nell’associazione mafiosa: questi erano, infatti, i termini in cui si articolava il contrasto giurisprudenziale sotteso alla sentenza Demitry. In passato, inoltre, la stessa Corte EDU aveva valutato la prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie tenendo conto della posizione professionale esercitata dal ricorrente, cosa che nel caso de quo non si è verificata[49]
Resta tuttavia incontroverso il fatto che, in funzione dell’art. 46 CEDU, l’Italia è tenuta a conformarsi alle sentenze pronunciate dalla Corte EDU e dunque ad eliminare gli atti da queste dichiarati illegittimi.[50]I giudici della Corte d’appello non sono dunque investiti del potere di riesaminare i fatti di causa e riaprire il giudizio, avendo la Corte di Strasburgo già esaminato la causa nel merito. La sentenza della Corte EDU è dunque da ritenersi vincolante ed insuscettibile di essere riesaminata dai giudici nazionali. In siffatto contesto, lo strumento di cui alla sentenza C. Cost. 113/2011 non appare il più idoneo onde adempiere al dettato dell’art. 46 CEDU, in quanto non è richiesto al giudice nazionale alcun riesame tanto sul procedimento, quanto sul merito della causa.
Lo strumento dell’incidente di esecuzione appare il più idoneo a garantire la revoca di una sentenza emessa in violazione del diritto fondamentale di cui all’art. 7 CEDU, che deve ritenersi un’estensione dell’art. 25, comma 2, cost. (seppure l’art. 673 c.p.p. contempli solo i casi di abrogatio legis e della dichiarazione di incostituzionalità).[51]Ma un limite alla operabilità di tale rimedio deriva dal fatto che il ricorrente ha già espiato per intero la propria pena e dunque il rapporto giuridico esecutivo è da ritenersi consumato. Ma il giudicato gravante su Contrada continua a produrre effetti ulteriori rispetto all’esecuzione penale, derivanti dalle pene accessorie, come l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. La Corte rigettava l’istanza.
4.2 La sentenza n. 43886/2016 della Corte di Cassazione.
Il 6 luglio 2016 la Corte di Cassazione si pronunciava[52] sul ricorso presentato da Bruno Contrada ai sensi dell’art. 625 bis c.p.p., il quale eccepiva un errore di fatto nella emissione della sentenza di condanna a suo carico, divenuta definitiva nel 2007. Il ricorrente escludeva il ricorso ad altri strumenti di tutela, quali: a) l’incidente di esecuzione, per la tassatività dei casi contemplati dall’art. 673 c.p.p.; b) la “revisione europea”, in quanto oggetto del ricorso sono errores in procedendo[53].
Il ricorso veniva dichiarato inammissibile, essendo l’errore in questione fatto risalire ad entrambe le fasi processuali, di merito (prima) e di legittimità (poi).[54] Trattandosi di errore maturato innanzitutto nella fase di merito, ad avviso della Suprema Corte il ricorrente avrebbe dovuto farlo valere con lo strumento del ricorso per Cassazione e non con ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p.; la fattispecie de qua contempla gli errori maturati nel giudizio di legittimità e in particolare la svista o l’erronea percezione del giudice di legittimità e la negativa influenza esercitata su di esso dall’errore così configurato, al netto del quale la sentenza sarebbe stata diversa.[55] La Cassazione rigettava il ricorso.
4.3 L’ordinanza della Corte d’appello di Palermo n. 466/2016.
L’11 ottobre 2016, la Corte d’appello di Palermo dichiarava inammissibile l’istanza di revoca ex art. 673 c.p.p. (incidente di esecuzione, in attuazione di giudicato europeo).[56] Il suddetto istituto non è stato ritenuto idoneo dalla Corte palermitana onde riparare alla violazione dell’art. 7 CEDU.
La difesa del Contrada adiva la Corte d’appello di Palermo, in veste di giudice dell’esecuzione, al fine di far valere la disposizione ex art. 46 CEDU, che impone agli Stati Membri di conformarsi al c.d. “giudicato europeo”.[57]L’appellante ha scontato per intero la propria pena, fino al 2012, ma gli effetti accessori continuano a prodursi, in particolare l’interdizione dai pubblici uffici e l’iscrizione nel casellario giudiziario. Ad avviso dei giudici palermitani, lo strumento di cui all’art. 673 c.p.p. è applicabile solo ai casi di abrogatio legis, ovvero nel caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale.
Non è considerato equivalente il mutamento di interpretazione in seno alla giurisprudenza. La difesa, in particolare, chiedeva di far valere il principio espresso nella sentenza CEDU Contrada c. Italia. Proprio quest’ultima, tuttavia, veniva dichiarata «di fatto incompatibile con l’ordinamento giuridico italiano», in quanto il concorso esterno in associazione mafiosa non avrebbe alcuna origine giurisprudenziale e neanche potrebbe averla,[58]in quanto il contrasto giurisprudenziale riguardava la compatibilità dell’art. 110 con la fattispecie normativa di parte speciale e non metteva in alcun dubbio la base normativa dell’istituto.
Lo strumento di tutela cui il ricorrente doveva fare ricorso rimaneva quindi quello della revisione, già adito infruttuosamente. L’istanza viene dichiarata inammissibile, ma le motivazioni di un tale diniego non convincono fino in fondo una parte della dottrina, che stigmatizza la valutazione di merito operata dai giudici della Corte d’appello.[59]
4.4 La sentenza n. 43112/2017 della Corte di Cassazione e la fine di una tormentata vicenda.
La sentenza che aveva condannato Contrada per concorso esterno, dichiarata illegittima dai giudici di Strasburgo nel 2015, viene annullata il 6 luglio 2017 dalla Corte di Cassazione, che contestualmente la dichiara «ineseguibile e improduttiva di effetti penali».[60] Così l’Italia ottempera al dettato di cui all’art. 46 CEDU. La Corte mette al centro del suo ragionamento la natura precettiva dell’art. 46 CEDU.
Come già affermato nel caso Dorigo, le sentenze CEDU sono da considerarsi «immediatamente produttive di diritti ed obblighi nei confronti delle parti in causa, con la conseguenza che lo Stato è tenuto a conformarsi a tali pronunzie e a eliminare, fino dove è possibile, le conseguenze pregiudizievoli della violazione riscontrata». L’incidente di esecuzione viene ritenuto, in questa sede, lo strumento maggiormente idoneo a dar seguito al giudicato europeo, sulla base del fatto che la violazione dell’art. 7 CEDU concerne la base legale dell’istituto concorsuale, ritenuta eccessivamente indeterminata ed imprecisa.
L’esaurimento del rapporto giuridico di esecuzione non osta all’operatività dell’istituto, che può operare anche oltre i confini disegnati dalla legge, quando c’è da garantire la dimensione di legalità della pena.[6La “revisione europea” non sarebbe idonea secondo la Corte, in quanto l’oggetto della censura verte sulla base legale della pena irrogata. Onde conformarsi al giudicato europeo, non si è ritenuta necessaria l’eliminazione della sentenza di condanna: risulta sufficiente eliminare gli effetti pregiudizievoli della stessa sentenza, già dichiarata illegittima.
La Suprema Corte riconosce fondato il ricorso e dichiara la precedente sentenza di condanna «ineseguibile e improduttiva di effetti penali».
5. I “fratelli minori” di Contrada.
A seguito della sentenza Contrada c. Italia è emerso il problema dell’applicabilità della stessa a soggetti terzi rispetto al giudizio. Sull’operatività ultra partes della sentenza CEDU si è pronunciata ripetutamente la giurisprudenza italiana, con particolare riguardo agli strumenti processuali idonei e alla portata (generale o particolare) del principio enunciato dai giudici di Strasburgo.
5.1 La sentenza Cass. Pen. n. 44193/2016 “Dell’Utri”.
Con la sentenza emessa in data 18 ottobre 2016[62], la Suprema Corte di Cassazione si misura col delicato problema della conformazione dell’ordinamento italiano al principio di diritto espresso nella sentenza Contrada c. Italia. Osserva la Corte come esista una netta divergenza di posizioni sostanziali e processuali tra i casi Contrada e Dell’Utri.
Il ricorrente chiedeva la revoca della sentenza di condanna emessa a proprio carico per il reato di “concorso esterno” ex artt. 110 e 416 bis c.p., ritenendo di essere nella stessa posizione del ricorrente Contrada: condannato per fatti posti in essere fino al 1992, a fronte di una evoluzione giurisprudenziale consolidatasi solo nel 1994 per un titolo di reato ritenuto all’epoca non sufficientemente chiaro e prevedibile.
I giudici della Suprema Corte ritengono, in antitesi rispetto alla precedente pronuncia dei giudici della Corte d’appello, che la sentenza Contrada sia espressione di un orientamento consolidato della Corte EDU[63].
Ad essere di ostacolo all’accoglimento del ricorso è la posizione soggettiva del Dell’Utri, ritenuta assai diversa da quella del Contrada.[64] La prossimità temporale delle condotte non implica una identità di posizione né sul piano sostanziale, né su quello processuale, dipendendo quest’ultimo dalla condizione soggettiva dell’imputato e dalla modalità di esercizio del diritto di difesa nel processo. Il Dell’Utri non aveva mai contestato nelle proprie difese il deficit di prevedibilità dei precetti penali in materia di concorso esterno e anzi si era avvalso dei criteri enunciati nella sentenza Demitry onde infirmare i propri assunti difensivi.[65]
Differentemente, il Contrada aveva nel corso del giudizio prospettato una diversa qualificazione giuridica dei fatti ad esso imputati (chiedeva una qualificazione a titolo di favoreggiamento personale) e sarebbe stato proprio questo il principale aspetto portato all’attenzione dei giudici di Strasburgo.[66] Alla luce della condotta processuale tenuta, invece, il Dell’Utri è da ritenersi perfettamente in grado, all’epoca dei fatti, di prevedere come conseguenza delle proprie condotte una imputazione a titolo di “concorso esterno”.
Si rammenta come il contrasto giurisprudenziale sotteso alla sentenza Demitry aveva ad oggetto non la liceità o meno delle condotte concorsuali, ma al contrario la loro attrazione nella sfera della partecipazione associativa tout court, ovvero in quella del concorso ab externo, sicché la rilevanza penale delle condotte non era da ritenersi in dubbio, essendo dibattuta soltanto la loro qualificazione giuridica.[67]
L’istituto di cui all’art. 673 c.p.p. risulta inadeguato al fine di garantire la conformazione al giudicato di matrice europea, visti i limitati poteri discrezionali del giudice dell’esecuzione. La “revisione europea”, come configurata dalla sentenza C. Cost. 113/2011, si presenta come lo strumento più idoneo, ma prende in considerazione la sola posizione del ricorrente, lasciando in apparenza senza tutela quei soggetti terzi rispetto al giudizio, che si trovino in una situazione analoga rispetto al ricorrente vittorioso.[68]
La Corte tenta, con questa sentenza, di restringere la platea dei possibili “fratelli minori” di Contrada, considerato anche il fatto che anche dopo il 1994 l’istituto del “concorso esterno” è stato soggetto a nuovi mutamenti nelle decisioni della giurisprudenza, fino alle SS. UU. Mannino del 2005.[69] Una siffatta interpretazione avrebbe potuto aprire la strada verso una dichiarazione di illegittimità di tutte quelle sentenze emesse a titolo di “concorso esterno” antecedenti alla sentenza Mannino del 2005. Per questo i giudici della Suprema Corte si rifanno al carattere soggettivo della prevedibilità in concreto della pena e al comportamento processuale tenuto.[70]
Da ultimo, appaiono degne di nota le osservazioni di autorevole dottrina in merito al carattere innovativo della sentenza Contrada, il quale sarebbe desumibile dal parametro oggettivo assunto onde determinare l’imprevedibilità della sanzione (un contrasto giurisprudenziale, inerente il titolo del reato e non la liceità delle condotte) giunto a conclusione nel 1994.[71] Ad emergere sarebbe, dunque, un mero dubbio in ordine alla prevedibilità della sanzione, ancorato ad un parametro oggettivo, in netto contrasto con la costante giurisprudenza della Corte EDU che usa ancorare questo statum dubium a parametri soggettivi, quali le capacità personali e professionali del ricorrente.[72]
La sentenza Contrada, così declinata, appare non avere i crismi della sentenza pilota, ovvero dell’orientamento consolidato, così da implicare l’automatica conformazione dell’ordinamento nazionale al giudicato europeo, almeno per quello che concerne i soggetti diversi dal ricorrente.[73]
5.2 La sentenza Cass. Pen. n. 8661/2018 “Esti”
Con la sentenza del 12 gennaio 2018[74], i giudici della Corte di Cassazione si sono pronunciati negativamente sul ricorso avente contro l’ordinanza della Corte d’appello di Roma, in veste di giudice dell’esecuzione.
Il ricorrente chiedeva la revoca della propria sentenza di condanna per concorso esterno in associazione mafiosa (reato che avrebbe commesso fino al 1991), invocando in sua difesa l’applicazione del principio di diritto emesso dalla sentenza Contrada c. Italia, in ossequio al dovere di conformazione al giudicato europeo ex art. 46 CEDU.[75 La Corte d’appello rigettava l’istanza del ricorrente, in quanto la sentenza Contrada non avrebbe emesso alcun principio di carattere generale e pertanto non sussisterebbe il dovere di conformazione ex art. 46 CEDU. La difesa, dal canto suo, sosteneva il carattere generale della sentenza Contrada, così da renderla fruibile ultra partes.
Come già enunciato in seno alla sentenza Dell’Utri, lo strumento principale, onde dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza Contrada, è la “revisione europea”, come declinata dalla sentenza C. Cost. 113/2011,[76] e non l’incidente di esecuzione ex art. 673 c.p.p.
Lo strumento dell’incidente di esecuzione viene ritenuto idoneo dalla Corte di Cassazione, visto l’ampio potere riconosciuto (in virtù delle disposizioni normative di cui agli artt. 666 e 670 c.p.p.) in capo al giudice dell’esecuzione di incidere sul titolo esecutivo.[77] Nell’escludere la portata generale della sentenza Contrada c. Italia, la Corte analizza i passaggi motivazionali della stessa, la quale è strutturata attorno all’origine giurisprudenziale del “concorso esterno” in associazione mafiosa, come fatto incontroverso tra le parti nel corso del procedimento.[78]
Una siffatta ricostruzione risulta del tutto incompatibile con la struttura giuridico-ordinamentale del nostro Paese, che si fonda sul principio di legalità penale e sui corollari di tassatività, determinatezza, materialità, offensività e, non da ultimo, della riserva di legge.
La creazione di fattispecie di reato per via giurisprudenziale non è contemplata nelle fonti del diritto italiano e per questo la sentenza Contrada c. Italia risulta insuscettibile di applicazione generalizzata.[79]
5.3 La sentenza Cass. Pen. SS. UU. 8544 del 3 marzo 2020 “Genco"
Pochi mesi or sono, le Sezioni unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate al fine di dirimere il contrasto giurisprudenziale[80] circa l’effettiva portata della sentenza Contrada, affermandone la valenza intra partes in quanto non si tratta di sentenza pilota, ovvero di orientamento consolidato della Corte EDU.[81] Il ricorrente avanzava la propria istanza di “revisione europea”, come declinata dalla C. Cost. 113/2011, avverso la sentenza di condanna per concorso esterno in associazione mafiosa emessa a suo carico per fatti antecedenti all’ottobre 1994.
Lo strumento della “revisione europea”, come detto, è uno strumento processuale fruibile soltanto per il soggetto che è parte nel giudizio innanzi alla Corte EDU, ma la giurisprudenza ha nel tempo[82] aperto la strada al suo utilizzo anche nel caso in cui venga rinvenuto, in seno alla sentenza CEDU, un vizio di carattere strutturale inerente la normativa sostanziale interna. L’estensibilità ultra partes è disciplinata dall’art. 61 CEDU, che la prevede nei casi di “sentenza pilota” e di rinvenuto difetto strutturale della normativa sostanziale nazionale. Nessuno di questi requisiti, invero, integra il caso de quo.[83]
La sentenza Contrada non rappresenta un orientamento consolidato, sulla scorta delle motivazioni ad essa sottese. In primo luogo, essa rappresenta un unicum nel panorama delle sentenze CEDU, non essendo rinvenibili, allo stato, altre pronunce dello stesso tenore in materia di “concorso esterno”. Inoltre, nel caso al nostro vaglio, i giudici di Strasburgo mettono al centro delle loro valutazioni la condotta processuale tenuta dal ricorrente nel giudizio di merito. La sentenza de qua si colloca in un orientamento affatto consolidato in materia di violazione ex art. 7 CEDU, che vede un’alternanza principi ora di carattere oggettivo, ora dio carattere soggettivo.[84] In questo senso, la sentenza Contrada è da ritenersi vincolante solo per lo specifico caso disciplinato.[85]
Nel qualificare la fattispecie di “concorso esterno” come di natura giurisprudenziale, non si è tenuta in alcun conto la base normativa di cui agli artt. 110 e 416 bis c.p. e inoltre si sono ignorate la natura ed i termini del contrasto giurisprudenziale sotteso alla sentenza Demitry.[86] La sentenza Demitry ha sposato uno degli orientamenti già da tempo esistenti in giurisprudenza, senza creare nulla di nuovo.
Il concetto di prevedibilità cui la Corte EDU si riferisce è stato, inoltre, già affrontato dalla giurisprudenza costituzionale italiana[87], sicché è da escludersi che l’imprevedibilità sul precetto penale possa trovare il proprio momento genetico in un contrasto giurisprudenziale, potendo il soggetto interessato ben determinarsi (e dunque prevedere in concreto le conseguenze penali delle proprie condotte) alla luce delle, seppur contrastanti, pronunce antecedenti.
La sentenza Contrada risulta, dunque, monca dei requisiti formali e sostanziali necessari onde trovare applicazione erga omnes partes.
6. Considerazioni conclusive.
Analizzare un istituto dibattuto e controverso come quello del concorso esterno consente una presa di coscienza ad ampio spettro su quelle che sono le problematiche inerenti alla contiguità mafiosa. L’esigenza di “intercettare” le condotte che si sviluppano nella zona grigia ha indotto da un lato il legislatore a coniare tutta una serie di fattispecie ad hoc, imperniate su casistiche giurisprudenziali (emblematici i casi degli artt. 416 ter e 391 bis c.p.).
Le fattispecie così strutturate hanno fornito tutta una serie di nuovi strumenti, pienamente conformi ai principi di tassatività e determinatezza in materia penale, ma che proprio per via della loro minuziosa precisione si sono rivelati inidonei nel far fronte al fenomeno “liquido” della contiguità mafiosa. In siffatto contesto, ha finito col prender sempre più quota una diffusa applicazione dell’istituto concorsuale di cui al combinato disposto degli artt. 110 e 416 bis c.p., sicuramente più “duttile” e pertanto maggiormente idoneo a fornire una risposta punitiva. Il contrappeso di tale approdo giudiziario è tuttavia rappresentato dall’elevato tasso di indeterminatezza e dalla carenza di tassatività che il concorso eventuale in fattispecie plurisoggettiva necessaria reca seco.
Invero, è stato rilevato in dottrina[88] come il problema di fondo non sia riconducibile alla scarsa intelligibilità dei precetti penali in materia di mafia, bensì ad una instabilità delle decisioni giurisprudenziali che ne rende nebulosi i criteri applicativi.
Se da un lato le SS.UU. Mannino impongono un accertamento assai rigoroso in termini di causali, la giurisprudenza di merito sovente mostra un atteggiamento di ossequio formale, ma di divergenza sostanziale, accontentandosi di una mera idoneità ex ante. La qualità e l’uniformità delle decisioni in sede giudiziale appare dunque destinata a fungere da parametro dirimente nella lotta alla contiguità mafiosa, tanto più nella rigorosa applicazione del concorso esterno in conformità agli esigenti canoni di cui alla sentenza Mannino.
Lo squarcio di incertezza aperto dalla sentenza CEDU Contrada c. Italia è stato ricucito dalle successive pronunce delle Corti italiane, le quali hanno ripetutamente sbarrato la strada alla produzione di effetti erga omnes, con motivazioni che appaiono in questa sede condivisibili.
L’intelligibilità dei precetti penali nell’ordinamento italiano va posta in necessaria comunicazione con un altro corollario del principio di legalità penale, rappresentato dalla riserva di legge. In siffatto contesto, una pronuncia sull’intelligibilità dei precetti, che non tenga conto del principio di legalità penale e del suo diretto corollario rappresentato dalla riserva di legge (come accaduto nel caso Contrada), rischiava di creare una distorsione di sistema, tale da mettere in discussione qualsiasi sentenza emessa ex ante rispetto ad un dato mutamento interpretativo in seno alla giurisprudenza.
[1] F. SIRACUSANO, “I paradigmi normativi della contiguità mafiosa”, in Arch. Pen. 3/2017, pp. 4-5.
[2] Ivi, p. 8.
[3] Ivi, p. 9.
[4] Ivi, p. 10.
[5] Ibidem.
[6] Ivi, p. 11.
[7] Cfr. sul punto T. PADOVANI, Note sul c.d. concorso esterno, in Arch. Pen. 2/2012, pp. 1-13.
[8] Ciaccio e altri, 17 giugno 1875 e Russo, 1 luglio 1875, in C. VISCONTI, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, Giappichelli, Torino, p. 43.
[9] Ivi, p. 45.
[10] “Atti del maxi processo”, vol. 5, pp. 978-985, in www.csm.it.
[11] “Rapporto Greco + 161”, in www.prefettura.it
[12] Ivi, p. 12.
[13] “Atti del maxi processo”, op. cit., vol. 21, pp. 4123 - 4128.
[14] Ivi, p. 4128.
[15] V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, UTET, Torino, 1983, vol. VI, pp. 208 ss.; F. GRISPIGNI, Il reato plurisoggettivo, in Annali di diritto e procedura penale, UTET, Torino, 1941, pp. 420 ss.
[16] F. TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, Giuffrè, Milano, 2015, p. 430.
[17] Ivi, p. 431. Questa è la tesi cui aderisce anche l'autore.
[18] Ivi, p. 436.
[19] Ibidem.
[20] Ivi, pp. 438-439.
[21] Ivi, pp.440-441, nota 19.
[22] Ivi, p. 442.
[23] Ivi, p. 443.
[24] Ivi, p. 444.
[25] Ivi, p. 446.
[26] Ivi, p. 449.
[27] Ivi, p. 450.
[28] Ivi, p. 451.
[29] Per una più diffusa disamina delle fattispecie in esame si rinvia alle migliori trattazioni manualistiche: D. PULITANÒ, Diritto penale, Giappichelli, Torino, 2019; G. MARINUCCI, E. DOLCINI, G.L. GATTA, Manuale di diritto penale, parte generale, Giuffrè, Milano, 2019; G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale, parte generale, Zanichelli, Bologna, 2019.
[30] G. TURONE, Il delitto, op. cit., p. 452.
[31] G. INSOLERA, Concorso di persone nel reato, in Dig. Disc. Pen.,UTET, 2000, p. 66.
[32] G. TURONE, Il delitto, op. cit., p. 453.
[33] Ivi, pp. 454-455.
[34] Ivi, pp. 455-456.
[35] Ivi, p. 459.
[36] Ivi, p. 461.
[37] Ivi, pp. 462-463.
[38] Ivi, p. 464.
[39] Ibidem.
[40] Ivi, p. 465.
[41] Ivi, p. 467.
[42] Ibidem.
[43] Ivi, p. 471.
[44] G. TURONE, Il delitto, op. cit., p. 472. Il riferimento è alle sentenze Demitry, anno 1994; Mannino, anno 1995; Carnevale, anno 2002; Mannino, anno 2005.
[45] Ivi, p.474.
[46] Ibidem.
[47] Si vedano sul punto le osservazioni di F. VIGANÒ, Il caso contrada e i tormenti dei giudici italiani: sulle prime ricadute interne di una scomoda sentenza della corte edu”, in DPC, 26 aprile 2016, p. 1.
[48] Ivi, p. 3.
[49] Ivi, p. 7. Il riferimento è al caso Soros c. Francia.
[50] Ivi, p. 4.
[51] Ivi, p. 6.
[52] CASS. PEN. 43886/2016, in dejure.it.
[53] Ivi, p. 3.
[54] Ivi, pp. 4-5.
[55] Ivi, pp. 6-7.
[56] Sul punto si segnala l’analisi di S. BERNARDI, “Continuano i ''tormenti'' dei giudici italiani sul caso Contrada: la Corte d’Appello di Palermo dichiara inammissibile l’incidente d’esecuzione proposto in attuazione del ''giudicato
Europeo”, in DPC 1/2017, pp. 233 ss.
[57] Ivi, p. 234.
[58] Ivi, p. 235. Cfr. Sul punto la decisione della C. Cost., n. 48/2015.
[59] Ivi, p. 236.
[60] CASS. PEN. 43112/2017, in dejure.it, con nota si S. BELTRANI. Sul punto si vedano le osservazioni di F. VIGANÒ, Strasburgo ha deciso, la causa è finita: la cassazione chiude il caso contrada, in DPC 9/2017, pp. 173 ss.
[61] Ivi, p. 174. Dello stesso tenore le pronunce Cass. Pen. SS. UU. 34472/2013 “Ercolano” e C. Cost. 210/2013.
[62] Degne di nota le osservazioni sul punto di S. BERNARDI, I “fratelli minori” di Bruno Contrada davanti alla Corte di cassazione, in DPC 2/2017, pp. 257 ss.; Negli stessi termini la sentenza Cass. Pen. n. 53610/2017, ric. Gorgone, in Dejure.it.
[63] S. BERNARDI, I “fratelli minori”, op. cit., p. 262.
[64] Ivi, p. 263.
[65] Ivi, p. 264.
[66] Ibidem; ad avviso della difesa del Contrada, quella dell’agevolazione all’associazione mafiosa è una condotta che si presta ad essere inquadrata in diverse fattispecie di parte speciale del nostro Codice Penale.
[67] Ivi, p. 265.
[68] Ibidem.
[69] Ivi, p. 268.
[70] Ivi, p. 269, ove l’autrice fa notare come ad avviso dei giudici di Strasburgo, ad avere rilevanza sarebbe il solo dato oggettivo del lasso temporale che giunge fino al 1994, anno di emanazione della sentenza Demtry, non essendosi diffusi sulla natura e sui contenuti del contrasto giurisprudenziale sotteso alla sentenza de qua.
[71] Ivi, p. 270; l’autrice richiama sul punto il contributo di F. VIGANÒ, Il caso Contrada e i tormenti dei giudici italiani, op. cit.
[72] Ivi, pp. 273-274; in particolare, si richiama sul punto la sentenza Soros c. Francia.
[73] Ivi, pp. 275-277.
[74] Cassazione penale sez. I, n. 8661/2018, in DeJure.it
[75] Ivi, p. 2.
[76] Ivi, p. 3.
[77] Cassazione penale sez. I, n. 8661/2018, p. 7; Cfr. sul punto la sentenza C. Cost. 210/2013.
[78] Ivi, pp. 8-9.
[79] Ivi, p. 10.
[80] Gli orientamenti giurisprudenziali sulla portata della sentenza Contrada c. Italia erano essenzialmente quelli espressi nelle sentenze “Dell’Utri” ed “Esti”, di cui ai paragrafi precedenti.
[81] Si segnala sul punto l’accurata disamina di S. BERNARDI, Le sezioni unite chiudono la saga dei “fratelli minori” di bruno contrada: la sentenza contrada c. Italia non può produrre effetti erga omnes, in sistemapenale.it, 11 marzo 2020.
[82] Cass. Pen. SS. UU. n. 18821/2013 Ercolano, in DeJure.it
[83] S. BERNARDI, Le sezioni unite chiudono la saga dei “fratelli minori” di Bruno Contrada, op. cit., p. 2.
[84] Ivi, p. 3. Per una rassegna delle decisioni della Corte di Strasburgo in materia di art. 7 CEDU si rimanda alle note 22-24 dell’opera da ultimo citata.
[85] Ivi, pp. 4-5.
[86]Ivi, p. 6. L’alternativa ad una imputazione a titolo di “concorso esterno” era non già l’esito assolutorio, bensì l’imputazione a diverso titolo di reato ex art. 416 bis, in quanto le condotte “concorsuali” si ritenevano assorbite nella fattispecie associativa, sicchè l’unico esito processuale davvero “imprevedibile” risultava essere quello dell’assoluzione.
[87]Ivi, p. 7; il riferimento è alla sentenza C. Cost. 364/1988, in DeJure.it
[88] L. FORNARI, Il principio di tassatività alla prova della “lotta” alla mafia: contiguità e metodo mafioso, in Trattato breve di diritto penale temi contemporanei. Per un manifesto del neoilluminismo penale, CEDAM, Milano, 2016, pp. 285 ss.