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Pubbl. Sab, 19 Set 2020

Il comma 9 bis dell´art. 186 C.d.S., tra inattuazione legislativa e burocratizzazione processuale.

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Ivano Ragnacci



Il comma 9 bis dell´art. 186 C.d.S. prevede la possibilità per l´accusato, con evidenti effetti premiali e deflattivi, di scontare la sanzione comminata o concordata, attraverso il Lavoro di pubblica utilità (LPU), tuttavia, lo scarso pragmatismo applicativo, l´eccessivo formalismo e l´arbitrio giudiziario osservato nel caso giudiziario oggetto di analisi, annichiliscono lo spirito della legge provocando derive interpretative ed incertezze diffuse.


Sommario: 1. Premessa. 2. L'Id quod plerumque accidit. 3. Interpreti a confronto, tra favor rei e favor persecutionis. 4. Il rito camerale e la facoltà di non comparire. 5. Considerazioni conclusive.

1. Premessa

Come noto, nei casi più frequenti di guida in stato di ebbrezza nelle ore notturne con tasso alcolemico rilevato superiore a 0,80 g/l e non superiore a 1,5 g/l, l’indagato per il reato previsto dall’art. 186, comma 2, lett. b) C.d.S, in caso di esito positivo del lavoro di pubblica utilità ex art. 186, comma 9 bis C.d.s.[1] potrà ottenere non soltanto l’estinzione del reato e degli effetti penali dello stesso, ma anche il dimezzamento della sanzione accessoria ivi prevista oltre che la revoca del sequestro o della confisca del veicolo. Si evidenzia, altresì, che la misura della sospensione provvisoria della patente di guida viene applicata ex art. 223 C.d.S. in via cautelare dal Prefetto per un periodo non inferiore a sei mesi.

2. L’id quod plerumque accidit.

In verità, il “normale accadimento delle cose”, traduzione letterale del noto brocardo latino, si materializza come una perfetta anomalia in questa ipotesi, che fa assurgere l'aporia in regola sistemica, rispetto a quanto si potrebbe (come dovrebbe) prima facie ritenere dalla lettura del paragrafo che precede, visto quanto accidentalmente o incidentalmente accade nella realtà, a migliaia di cittadini e in centinaia di tribunali nazionali, nonostante l’esistenza di una normativa ad hoc di pragmatica e pronta applicazione.

Ora, entrando nel merito di ciò che si vuol rappresentare e ragionando su una fattispecie in particolare, che ne include deduttivamente molte altre, si rinvii l’attenzione al caso specifico di chi avendo integrato una delle ipotesi di reato di cui all’art. 186 C.d.S., si veda, nell’immediatezza del fatto, a contrario di come avviene in qualsiasi altro procedimento e in ragione di politica general preventiva e criminale certamente condivisibile, infliggere - con la sospensione della patente di guida - la sanzione probabilmente più grave che subirà nell’intero arco temporale della successiva vicenda processuale.

In tal senso, gli agenti di Pubblica Sicurezza, all'esito dell'accertamento alcolemico con esito positivo, spediranno materialmente alla Pubblica Autorità prefettizia competente, la patente di guida ritirata, la quale provvederà ai sensi dell’art. 223 C.d.S. a disporre necessariamente la sospensione del permesso di guida per un periodo non inferiore a sei mesi e sino a due anni, provvedimento amministrativo questo che verrà comunicato alla competente autorità giudiziaria, la quale, nella stragrande maggioranza dei casi tenderà a confermare con la sentenza, o il decreto penale di condanna molto più frequentemente, la sanzione accessoria della sospensione della patente per il periodo di tempo che normalmente all’esito del giudizio il condannato già avrà scontato da mesi, se non da anni.

E allora come coniugare il dettato del comma 9 bis dell’art. 186 C.d.S. nella parte in cui testualmente recita che all’esito positivo del lavoro di pubblica utilità, il Giudice “ .. dichiara estinto il reato, dispone la riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente e revoca la confisca del veicolo sequestrato ..”, con l’esorbitante durata di un iter giurisdizionale ordinario che vede la celebrazione di qualsiasi procedimento, ordinario o per decreto, a distanza di anni dal fatto e dalla espiazione della sanzione accessoria già inflitta cautelativamente dal Prefetto?

Ecco, a questa banale perplessità di chi sta scrivendo e certamente di moltissimi in attesa di giudizio per il fatto di reato menzionato, si tenterà di rispondere nel seguente paragrafo.

3. Interpreti a confronto, tra favor rei e favor persecutionis.

Ora come tutti gli addetti ai lavori del settore sanno, senza pretesa di esaustività in questa sede, fuori dalle ipotesi in cui sia il Pubblico Ministero a richiedere i lavori di Pubblica Utilità al Giudice per le indagini Preliminari che accorda la richiesta con l’emissione del Decreto penale di condanna, altra via per ottenere il medesimo risultato, dal punto di vista dell’indagato, è quello di proporre, non appena la notizia criminis sia iscritta nel registro ex art. 335 c.p.p., ai sensi degli artt. 444-447 e ss. c.p.p. un accordo, in attuazione dell’art. 186 comma 9 bis c.p.p., che preveda la conversione della sanzione prevista con il lavoro di pubblica utilità, da tradursi ai sensi del comma 5 del D.Lgs n. 274/2000, come segue “ .. un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione, anche non continuativa, di due ore di lavoro ..”, ergo nella comminatoria, seguendo il caso del paragrafo introduttivo, di 56 ore di lavoro di pubblica utilità risultato di conversione dei 28 giorni di pena detentiva, partendo da una pena base di un mese di arresto ed euro duemila di ammenda.

Raggiunto tale accordo con il Magistrato promuovente l’azione penale, magari in un tempo breve, dopo circa un mese dalla commissione del fatto e a cospetto di un provvedimento cautelare accessorio di sei mesi di sospensione già comunicato e ancor prima eseguito, si potrebbe ritenere di buon senso che vi sia stata o vi potrà essere l’attuazione di quanto previsto con il comma 9 bis dell’art. 186 C.d.S. dal legislatore nazionale con una chiara, condivisibile ed efficace politica deflattiva, volta per un verso allo sfoltimento dei ruoli della giurisdizione penale sin troppo affollati di casi bagattellari destinati ab origine, nella minore delle ipotesi, alla prescrizione, mentre per altro ad un concreto ed operoso ravvedimento dell’indagato, il quale nell’imminenza della trasgressione potrà mostrare la propria resipiscenza restituendo alla società quanto ha corso il rischio di farle perdere, nel caso di specie la sicurezza stradale.

Purtroppo, come gli operatori più accorti, già sanno, trasecolando dal sogno alla realtà e da essa al prossimo paragrafo, ci si deve scontrare con un eccessivo rigorismo giurisdizionale a volte, tra l’altro neppure retto da solide fondazioni giuridiche.

4. Il rito camerale e la facoltà di non comparire.

Tutte le défaillance del sistema, nell’ipotesi sin qui descritta, quella del comma 9 bis dell’art. 186 C.d.S. invocato dall’indagato/cittadino, s’incontrano o meglio si scontrano con l’autorità giudiziaria, nell’eventualità in cui, in verità tutt’altro che remota come l’atto allegato dimostra, il Giudice per le indagini preliminari rogato, nonostante le parti, Pubblica e privata, abbiano legittimamente dichiarato e ufficializzato di non voler partecipare alle due udienze camerali ex art. 127 c.p.p. previste, fissi l’udienza e se ciò non bastasse, non nell’immediatezza o comunque entro il periodo congruo per ottenere l’effetto premiale promesso dalla norma, ma ad un anno circa dalla richiesta pervenuta presso il suo ufficio, per intenderci dopo che la sanzione accessoria, inflitta cautelativamente dal Prefetto, sia stata del tutto sofferta dall’indiziato, con buona pace della previsione legislativa ordinante la riduzione della metà della sanzione, nella realtà, in definitiva, irrogata per il doppio, tenuto conto della promessa non mantenuta del legislatore.

In particolare, nelle udienze non partecipate sopra richiamate – quella ex art. 447 c.p.p. per la lettura della Sentenza di Patteggiamento e quella successiva per dichiarare estinto il reato all’esito positivo del LPU – l'Autorità giudiziaria che procedesse come poc'anzi accennato, senza tenere conto della formale rinuncia a comparire delle Parti, dimostrerebbe di essere del tutto indifferente alla sostanza, nonché alla attuazione più autentica della legge, quindi di fatto derogando il potere legislativo a scapito dell'indagato, quindi anche in violazione del noto principio del favor rei.

Il tutto, si badi bene, quando l’accordo ex art. 444 c.p.p. è legittimo, quindi conforme a quanto il controllo di legalità dell’autorità giudiziaria deve limitarsi.

Controllo, ad ogni modo, che evidentemente l'autorità giudiziaria ben potrebbe svolgere inaudita altera parte, stante la formale rinuncia a comparire anticipatamente espressa dalle parti.

5. Considerazioni conclusive.

In conclusione, se tecnicamente, ad avviso di chi scrive, nulla osta ad evitare la fissazione di un’udienza ove le parti vengono sentite solo se compaiono, nel caso cui le stesse abbiano espressamente e inequivocabilmente dichiarato di rinunciare a comparire, davvero pare abnorme il provvedimento e non di meno viziato da grave illegittimità, di quel giudice, che contrario alla definizione ex comma 9 bis, art. 186 C.d.S., legittimamente proposta con il patteggiamento, ne elida complessivamente gli effetti, frustrando un sistema già gravemente compromesso, per non meglio chiarite e non dichiarate esigenze di special prevenzione, contraddicendo, inoltre, la prassi di quegli stessi Uffici di Tribunale avvezzi a procedere con camere di consiglio non partecipate ad esempio quando si debba dichiarare la prescrizione del reato.

In casi come questi, è il cittadino ad essere inutilmente vessato senza rimedio da una giustizia costipata tra l’arbitrio giudiziario e il non senso, quello proprio degli individualismi che in un ordinamento giuridico garantista andrebbero ridotti ad unitaria e conforme interpretazione legislativa, proprio ad evitare quel rischio attuale e concreto d’incertezza tanto nocivo per la società, quanto alibi di illegalità.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] 9-bis. Al di fuori dei casi previsti dal comma 2-bis del presente articolo, la pena detentiva e pecuniaria può essere sostituita, anche con il decreto penale di condanna, se non vi è opposizione da parte dell'imputato, con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all'articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste e consistente nella prestazione di un'attività non retribuita a favore della collettività da svolgere, in via prioritaria, nel campo della sicurezza e dell'educazione stradale presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, o presso i centri specializzati di lotta alle dipendenze. Con il decreto penale o con la sentenza il giudice incarica l'ufficio locale di esecuzione penale ovvero gli organi di cui all'articolo 59 del decreto legislativo n. 274 del 2000 di verificare l'effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. In deroga a quanto previsto dall'articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando 250 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità. In caso di svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità, il giudice fissa una nuova udienza e dichiara estinto il reato, dispone la riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente e revoca la confisca del veicolo sequestrato. La decisione è ricorribile in cassazione. Il ricorso non sospende l'esecuzione a meno che il giudice che ha emesso la decisione disponga diversamente. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, il giudice che procede o il giudice dell'esecuzione, a richiesta del pubblico ministero o di ufficio, con le formalità di cui all'articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dei motivi, della entità e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena sostitutiva con ripristino di quella sostituita e della sanzione amministrativa della sospensione della patente e della misura di sicurezza della confisca. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di una volta.