Il credito al consumo tra snodi teorici ed evoluzione della prassi: le nuove prospettive aperte a tutela del consumatore
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Alessandra Foderini
Il credito al consumo è un contratto con cui un finanziatore concede o si impegna a concedere ad un consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, o di altra facilitazione finanziaria. Tale contratto, iniziato a svilupparsi tra il XIX e XX secolo sulla scia del consumismo, rappresenta, dal punto di vista economico, un importante canale di finanziamento per la soddisfazione della domanda di beni cui costi oltrepassano i limiti di reddito del consumatore. Il credito al consumo, nato sull´onda lunga della tutela consumeristica europea, ha lo scopo di tutelare maggiormente il consumatore nella concessione di credito, quale parte debole del rapporto contrattuale, e di garantire una maggiore armonizzazione europea in materia concessione finanziaria.
Sommario: 1. Profili introduttivi: origine, linee evolutive e approdi del credito al consumo; 2. Tratti distintivi e ambito di applicazione della disciplina in materia di credito ai consumatori; 3. Obblighi precontrattuali e obblighi di informazione; 4. Forma, contenuto e nullità del contratto di credito ai consumatori; 5. Le diverse modulazioni del recesso pentimento e del rimborso anticipato; 6. La disciplina del contratto di credito collegato e l'inadempimento del fornitore e del consumatore; 7. Il credito immobiliare ai consumatori; 8. Un breve sguardo all'attuazione della direttiva 08/48/CE nel panorama europeo
1. Profili introduttivi: origine, linee evolutive e approdi del credito al consumo
Il credito al consumo è un contratto con cui un finanziatore concede o si impegna a concedere ad un consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, o di altra facilitazione finanziaria.
Tale contratto, iniziato a svilupparsi tra il XIX e XX secolo sulla scia del consumismo, rappresenta, in termini economici, un importante canale di finanziamento per la soddisfazione della domanda di beni, in particolare di beni cosiddetti durevoli, i cui costi oltrepassano il limite di reddito del consumatore[1]. Nel quadro disegnato dai codici ottocenteschi, cioè nel quadro di un capitalismo nascente, commerciale anziché industriale, di piccoli produttori anziché di grandi complessi industriali, il credito al consumo era un fenomeno pressoché ignoto. In tale contesto storico, mancando quasi completamente la produzione industriale di massa dei beni di consumo durevoli ed essendo quindi in gran parte inesistente la proprietà individuale di essi, il finanziamento dei consumi era limitato ad alcuni settori ristretti e ben precisi, il che lo rendeva un fenomeno poco rilevante sia dal punto di vista economico che sociale[2].
Tuttavia, verso la fine del XIX e inizio XX secolo, nell’Europa e negli Stati Uniti si sviluppò quella rivoluzione nella produzione che incise anche su molti fattori ad essa collegati, come il livello dei salari reali, la disponibilità su larga scala di beni di consumo durevoli ad alto prezzo, la loro commercializzazione, la distribuzione di massa e la conseguente disponibilità del credito per il finanziamento dei consumi[3]. Questa vicenda di progressiva affermazione, tuttavia, non appariva affatto lineare: due erano le linee evolutive e due i modelli che si affermavano sui due lati dell’Oceano.
Negli Stati Uniti, ove inizialmente erano i commercianti e i venditori ambulanti i principali fornitori del credito al consumo il credito al consumo, ha sempre destato una forte attenzione istituzionale e culturale e si è sviluppato più velocemente. La rivoluzione industriale e l’importanza che i nuovi beni di consumo durevoli avevano portato le famiglie ad ampliare gli orizzonti del credito al consumo. Il fenomeno della rateizzazione, si estendeva progressivamente, difatti, ad una gamma sempre più ampia di beni di consumo durevoli, incoraggiato dai bassi tassi di interesse, ove l’indebitamento e la rateizzazione erano visti come una semplice gestione della liquidità[4]. Tale fenomeno rispecchiava le esigenze di una società e di un’economia in espansione in cui il consumo era «strumento di regolazione dei rapporti sociali»[5].
In Europa, invece, si affermava e circolava un diverso modello di credito al consumo che risentiva fortemente del contesto storico in cui andava a collocarsi[6]. Prima delle due grandi guerre, infatti, si cominciò a diffondere il prestito erogato oltre che dal banco dei pegni di quartiere anche dai grandi magazzini e dalle cooperative di dettaglianti, al fine di promuovere gli acquisti di beni durevoli a rate. Tuttavia, fu necessario attendere il periodo tra le due guerre per vedere sorgere le prime finanziarie specializzate[7].
Inoltre, in Europa lo sviluppo del credito al consumo si è scontrato con le diverse culture dei diversi Paesi e ha seguito un percorso diverso, difatti, nei Paesi caratterizzati da una società urbana e protestante[8] il fenomeno si è evoluto più rapidamente rispetto ai Paesi caratterizzati da una società cattolica e rurale[9]. In ogni caso, in Europa, dobbiamo, attendere il dopoguerra, per avere un intervento legislativo in materia, infatti, nel 1974 vede la luce il Consumer Credit Act che conferma l’approccio europeo in materia.
Da un punto di vista normativo, il credito al consumo si è formato inizialmente ricalcando lo schema della vendita con riserva di proprietà, ai sensi degli artt. 1523 ss. c.c., la quale delinea un meccanismo di finanziamento basatosi sulla separazione del godimento immediato del bene dall’acquisto della proprietà, quale conseguenza della dilazione del pagamento del prezzo.
Tuttavia, con la crescita dei consumi, il fornitore medio non è più in grado di anticipare le risorse necessarie all’operazione di finanziamento incorporata nel contratto di vendita. Il meccanismo di finanziamento fuoriesce così dal rapporto bilaterale venditore-compratore e assume struttura trilaterale grazie all’ingresso di un terzo soggetto specializzato (istituti finanziari, banche) oppure quadrilaterale nell’ipotesi in cui l’operatore finanziario si avvalga di un intermediario[10]. Inoltre, mentre nella vendita a rate la funzione creditizia si realizza attraverso la previsione di particolari modalità di pagamento e mediante la riserva di proprietà in capo al venditore, nel contratto di credito al consumo questa funzione viene svolta da uno specifico contratto concluso tra il finanziatore e il consumatore e il consumatore diviene immediatamente proprietario del bene.
Il credito al consumo è divenuto così uno strumento contrattuale nuovo ed indipendente rispetto allo schema della vendita con riserva di proprietà.
Il riconoscimento formale del credito al consumo nell’ordinamento italiano si presenta articolato e stratiforme, all’origine la disciplina comunitaria del credito al consumo era contenuta nella dir. 87/102/CEE recepita in Italia dalla l. n. 142/1992 e poi modificata dalla dir. 90/88/CEE e dalla dir. 98/7/CEE. Tuttavia, la materia è stata oggetto di un’ulteriore rivisitazione con il d.lgs. n. 141/2010, emanato in attuazione della dir. 08/48/CE[11], che ha sostituito la dir. 87/102/CEE. Prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 141/2010 la disciplina del credito al consumo era collocata in due provvedimenti normativi: il Codice del consumo (artt. 40-43) e il T.U.B. (Capo II e Capo III del Titolo VI). Questa strana collocazione nella più ampia cornice del Titolo VI del T.U.B., riferito alla trasparenza delle condizioni contrattuali, ha sempre creato problemi d’interpretazione, poiché mentre le altre discipline consumeristiche furono integralmente trasferite nel Codice del consumo, la disciplina del contratto di credito al consumo, attraverso l’art. 43 cod. cons., veniva completamente rinviata al T.U.B., assoggettando, quindi, l’operazione creditizia alle norme dettate per le operazioni e i servizi bancari e finanziari. Nel dare attuazione alla dir. 08/48/CE il legislatore ha riunito l’intera disciplina del credito ai consumatori nel Capo II del Titolo VI del T.U.B., abrogando gli artt. 40-42 cod. cons., mentre l’art. 43 cod. cons (norma di rinvio) ha subito una leggera riformulazione.
Il d.lgs. n. 141/2010 ha successivamente subito modifiche ed integrazioni per mezzo del d.lgs. n. 218/2010 e del d.lgs. n. 169/2012, soprattutto in relazione alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi, mentre il d.m. n. 117/2011, ha provveduto a dare attuazione al capo II del titolo VI del T.U.B., le disposizioni ivi contenute sono poi state recepite all’interno della disciplina sulla trasparenza bancaria.
Il d.lgs. n. 141/2010 ha segnato il riconoscimento della piena autonomia della disciplina del credito ai consumatori rispetto alla disciplina generale delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari di cui al Capo I del Titolo VI del T.U.B. (v. art. 115 T.U.B.), alla quale è stata sottratta totalmente, salvo per quanto stabilisce l’art. 125 bis, comma 2, T.U.B.[12].
Di conseguenza, la fonte primaria a cui fare riferimento, oggi, per la disciplina del credito al consumo è il T.U.B.
Inoltre, la disciplina del credito ai consumatori è stata recentemente integrata dalla dir. 2014/17/UE sui contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali, la quale ha introdotto una serie di norme volte ad agevolare la creazione di un mercato interno ben funzionante e caratterizzato da un livello di protezione dei consumatori nel settore dei contratti di credito relativi ai beni immobili.
2. Tratti distintivi e ambito di applicazione della disciplina in materia di credito ai consumatori
L’art. 121, comma 1, T.U.B., definisce il contratto di credito ai consumatori, accogliendo una nozione ampia di credito al consumo che viene descritto come la «concessione, nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale, di credito sotto forma di dilazione di pagamento, di finanziamento o di altra analoga facilitazione finanziaria a favore di una persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta (consumatore)».
Da tale disciplina del contratto di credito al consumo è possibile isolare alcuni elementi identificativi: la concessione di credito o dilazione di pagamento, il requisito soggettivo della necessaria qualifica di consumatore dell’acquirente, il profilo funzionale dello scopo estraneo all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta dall’acquirente finanziato[13].
Da un punto di vista oggettivo di applicazione della disciplina, l’ampiezza dell’art. 121, comma 1, T.U.B. comporta la possibilità di ricondurre alla disciplina del credito al consumo una pluralità di fattispecie negoziali eterogenee il cui scopo è il finanziamento del consumatore. Il legislatore ha, infatti, preferito definire l’ambito di applicazione della normativa per esclusione, prevedendo espressamente le fattispecie escluse dall’operatività della normativa in questione.[14].
In ogni caso l’art. 122 T.U.B. pone un limite quantitativo alla rilevanza del contratto di credito al consumo, stabilendo che siano assoggettabili alla disciplina in questione solo le operazioni che abbiano un valore ricompreso tra 200 euro e 75.000 euro.
Al riguardo, va sottolineato che la norma in commento non delinea uno schema contrattuale unitario, ma piuttosto una causa di credito al consumo, cioè la circostanza che il credito intervenga a favore di un consumatore, lasciando in tal modo ampi margini per tradurre tale schema in forma contrattuali assai diverse[15].
In linea generale, il contratto di credito ai consumatori si distingue, a seconda del tipo di operazione economica con cui avviene il finanziamento in: credito c.d. diretto o credito c.d. finalizzato. Con l’espressione credito diretto si intende il finanziamento concesso senza vincolo di destinazione. Rientrano nella suddetta voce i prestiti personali, i prestiti garantiti dalla c.d. cessione del quinto dello stipendio e finanziamenti concessi attraverso lo strumento delle carte di credito revolving[16]. Il credito finalizzato, invece, riguarda i finanziamenti che hanno ad oggetto l’acquisto di specifici beni o servizi[17]. Per questi tipi di finanziamenti le tipologie contrattuali più diffuse sono i mutui di scopo, le vendite a rate con riserva di proprietà e i contratti di leasing c.d. traslativo. Inoltre, per tali tipi di finanziamenti, nella prassi può accadere che i venditori stipulino determinate convenzioni con gli intermediari finanziari per mezzo delle quali offrono ai propri clienti la possibilità di acquistare il bene rateizzandone il pagamento.
Per quanto riguarda il profilo soggettivo, la normativa di riferimento assume rilievo solo con riguardo ai contratti di credito in cui la controparte del finanziatore sia un “consumatore”, inteso come persona fisica che agisce per scopi estranei alla propria attività professionale[18].
La figura del creditore-finanziatore non pone particolari dubbi interpretativi, il finanziatore è colui che «essendo abilitato a erogare finanziamenti a titolo professionale nel territorio della Repubblica, offre o stipula contratti di credito» (art. 121, comma 1, lett. f), T.U.B.)[19].
Sono intermediari, invece, del credito, gli agenti in attività finanziaria, i mediatori creditizi, o qualsiasi altro soggetto, diverso dal finanziatore, che nell’esercizio della propria attività commerciale o professionale svolge, a fronte di un compenso in denaro o di altro vantaggio economico oggetto di pattuizione e nel rispetto delle riserve di attività previste dal Titolo VI bis, almeno una delle seguenti attività: a) presentazione o proposta di contratti di credit o ovvero altre attività preparatorie in vista della conclusione di tali contratti; b) conclusione di contratti di credito per conto del finanziatore (art. 121 lett. h) T.U.B.)[20]. In virtù del combinato disposto degli artt. 106 e 107 T.U.B., possono esercitare l’attività di intermediazione finanziaria solo i soggetti a ciò autorizzati dalla Banca d’Italia e iscritti in appositi elenchi. Inoltre, gli stessi sono sottoposti al potere di vigilanza della Banca d’Italia, ove tali controlli si traducono tra l’altro, nella verifica del rispetto della normativa sul credito al consumo mediante l’acquisizione di informazioni, atti e documenti e l’esecuzione di ispezioni.
Sempre sul versante dell’ambito soggettivo di applicazione, la definizione di consumatore contenuta nell’art. 121, comma 1, lett. b), T.U.B. ricalca quella contenuta nell’art. 3 cod. cons., quale "persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta". Circa l’individuazione della figura del consumatore, la concezione ad oggi prevalente ripudia la lettura soggettivistica volta ad individuare restrittivamente il consumatore in colui che non riveste la qualificazione di imprenditore o di professionista ed accoglie invece la lettura oggettivistica incentrata sullo scopo negoziale in concreto dell’operazione, ancorando, in tal modo, la nozione di consumatore alla natura di atto di consumo del contratto stipulato[21].
Tuttavia, a dispetto della formulazione letterale dell’art. 121, comma 1, T.U.B., la categoria dei consumatori non è omogena, difatti, nel tempo, si sono susseguiti tentativi di estendere tale categoria a soggetti che, pur non agendo per fini di consumo, presentino tratti di debolezza rispetto al professionista/imprenditore.
Rispetto alla possibilità di considerare consumatore chi agisce per scopi “promiscui” o chi conclude i c.d. “contratti in vista” o di riconoscere titolari della tutela anche i c.d. imprenditori deboli, si sono presentate dunque le medesime questioni sollevate in tutta la disciplina consumeristica. In merito, in primo luogo, alla questione dell’applicabilità o meno della disciplina del codice al consumo ai contratti c.d. misti (ovverosia i contratti stipulati da un soggetto per soddisfare esigenze al contempo di carattere personale e professionale) occorre fare riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia europea per la quale, facendo leva sul concetto di “estraneità” alla professione, la qualifica di consumatore andrebbe esclusa in caso di contratti con finalità miste, a meno che: il nesso fra contratto e attività professionale risulti marginale rispetto all’intero contesto dell’operazione; non abbia tenuto comportamenti dubbiosi circa la sua attività non professionale[22].
Sulla base di tale interpretazione, parte della dottrina ritenere che nel contesto del credito ai consumatori non possa parlarsi di consumatore promiscuo o misto[23], mentre altra parte della dottrina ritiene comunque necessaria la lettura oggettivistica incentrata sullo scopo preminente e in concreto dell’operazione negoziale[24].
Per quanto riguardo, invece, l’applicabilità della disciplina alla persona fisica che conclude i c.d. “contratti in vista” della professione: secondo parte della dottrina tali contratti sarebbero qualificabili come atti di consumo, in quanto il legislatore perché ricorra la figura del professionista, richiederebbe espressamente l’attualità dello svolgimento della professione e tale assunto, secondo tale parte della dottrina, sarebbe avvalorato dal dato testuale ed in particolare dall’utilizzo del participio passato “svolta” all’interno dell’art. 121, comma 1, T.U.B.; mentre altra parte della dottrina perviene a conclusioni opposte, escludendo dal novero degli atti del consumatore tali atti, affermando che il dato teleologico deve prevalere su quello cronologico[25].
Circa, invece, la questione riguardante la possibilità di estendere la tutela riconosciuta al consumatore all’imprenditore c.d. debole e in particolar modo agli enti no profit e alle associazioni, una parte della dottrina sostiene che, nonostante il dato testuale della norma che non ricomprende in sé le parsone giuridiche, evidenziando che «non v’è ragione di non considerare consumatore un ente non economico che agisca per fini non istituzionali, ossia estranei all’attività imprenditoriale o professionale […] non si può scartare a priori l’ipotesi di acquisti per scopi estranei all’esercizio dell’attività professionale»[26]. Tuttavia, sul punto la Corte di Giustizia CE ha chiarito che deve essere inclusa nella nozione di consumatore unicamente le persone fisiche e che tale norma avendo carattere eccezionale non è suscettibile di estensione analogica[27]. Inoltre, sul punto è intervenuta anche la Corte costituzionale, sancendo che nella scelta del legislatore di limitare la tutela alle persone fisiche non è in ogni modo configurabile una violazione dell’art. 3 Cost, poiché tale violazione sarebbe configurabile solo laddove il legislatore sottoponga situazioni uguali a trattamento diverso e non quando situazioni differenti siano disciplinate in modo diseguale[28]. In tal caso non è, dunque, ravvisabile alcuna illegittimità costituzionale proprio perché la persona fisica è un soggetto ontologicamente eterogeno rispetto ad altri operatori economici caratterizzati da una struttura associativa o dallo svolgimento di attività imprenditoriale. Quel che è certo è che il dettato dell’art. 121, comma 1, lett. b), T.U.B. non ricomprende in sé anche le persone giuridiche
3. Obblighi precontrattuali e obblighi di informazione
L’equilibrio, sia economico che normativo, del contratto rappresenta uno dei profili di maggiore interesse, in sede teorico-ricostruttiva, nonché di preminente attenzione del legislatore come della giurisprudenza, del rapporto tra autonomia negoziale e limiti imposti dall’ordinamento alla stessa. Si è passati, difatti, dalla tendenziale irrilevanza dell’equilibrio del contratto e quindi dalla consequenziale insindacabilità dello stesso in sede giurisdizionale, risultanti dalla disciplina del codice civile del 1942, alla centralità dell’equilibrio prevista dalla disciplina consumeristica. I contratti dei consumatori sono, difatti, oggetto di una disciplina garantista del legislatore, sulla base della presupposta asimmetria informativa tra il professionista (c.d. “parte forte”) e il consumatore (c.d. “parte debole”) [29].
A fronte di tale asimmetria informativa, nei contratti dei consumatori, gli obblighi di informazione investono non solo la fase precedente la conclusione del contratto, ma anche il perfezionamento dell’accordo e la successiva esecuzione del rapporto contrattuale, essendo funzionali alla consapevole formazione del consenso e alla corretta gestione del rapporto contrattuale[30].
Circa la natura e le conseguenze della violazione degli obblighi di informazione nei contratti dei consumatori, vi sono vari orientamenti che spaziano dalla responsabilità precontrattuale, alla responsabilità contrattuale, alla inefficacia delle clausole relativamente alle quali l’informazione è stata carente, sino alla invalidità del contratto concluso, tuttavia, l'orientamento oggi prevalente afferma che gli obblighi legali di informazione costituiscono delle regole di condotta destinate ad orientare il contegno del professionista nel corso del rapporto, la loro violazione deve essere qualificata come inadempimento ossia come vicenda propria del rapporto contrattuale[31].
La disciplina del credito al consumo si incentra proprio sulla predisposizione di misure volte a riequilibrare i rapporti di forza contrattuale tra il finanziatore e il consumatore, soprattutto sul versante della dislocazione delle informazioni rilevanti ai fini dell’adozione di scelte consapevoli da parte del cliente-consumatore.
L’informazione precontrattuale assume nel contratto di credito al consumo un’inedita e più incisiva funzione, in quanto la legge impone in capo al finanziatore o all’intermediario una «informazione attiva o, meglio una attività di consulenza»[32], poiché gli obblighi di informazione precontrattuale devono essere finalizzati a consentire al consumatore il confronto delle diverse offerte di credito sul mercato, al fine di prendere una decisione informata e consapevole in merito alla conclusione di un contratto di credito (art. 124, comma 1, T.U.B.); e inoltre il finanziatore o l’intermediario devono fornire al consumatore chiarimenti adeguati in modo che questi possa valutare se il contratto di credito proposto sia adatto alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria, eventualmente illustrando le informazioni precontrattuali […] le caratteristiche essenziali dei prodotti proposti e gli effetti specifici che possono avere sul consumatore, incluse le conseguenze del mancato pagamento (art. 124, comma 5, T.U.B.). A loro del resto incombe la preventiva verifica del c.d. merito creditizio del consumatore, ricostruito alla stregua delle informazioni fornite da questi o attraverso la consulenza di banche dati (art. 124 bis T.U.B.).
È opportuno sottolineare che la fase delle trattive è ampiamente disciplinata dal T.U.B. che affianca alla buona fede e alla correttezza codicistica (artt. 1337 e 1338 c.c.) svariate prescrizioni in tema di pubblicità delle operazioni di credito al consumo.
In particolare, gli artt. 123 e 124 T.U.B. prevedono a carico del finanziatore una serie di obblighi pubblicitari informativi e precontrattuali diretti a garantire l’autodeterminazione del consumatore (ossia la possibilità di quest’ultimo di prendere una decisione ponderata e informata), a “irrobustire” il consenso negoziale e a rendere più facile per il consumatore il confronto con gli altri prodotti offerti nel mercato creditizio, al fine di scegliere quella più confacente alle proprie esigenze.[33].
L'art. 123 T.U.B., pertanto, sancisce per il credito al consumo un autonomo regime dei messaggi pubblicitari rispetto a quello dettato in genere per le operazioni e i servizi finanziari dall’art. 116 T.U.B., statuendo una serie di obblighi pubblicitari informativi, gravanti sul finanziatore, stabilendo come questi debba riportare negli annunci pubblicitari del credito, in forma chiara, concisa e graficamente evidenziata con l’impiego di un esempio rappresentativo, le indicazioni relative: a) al tasso di interesse (precisando, altresì, se il tasso applicato sia variabile o fisso) e alle spese ricomprese nel costo totale del credito; b) all’importo totale del credito; c) il TAEG (tasso annuo effettivo globale); d) all'esistenza di eventuali servizi accessori per il rilascio del credito o per poterlo ottenere alle condizioni reclamizzate, nel caso in cui i costi relativi a tali servizi non siano inclusi nel TAEG, non essendo determinabili in anticipo; e) alla durata del contratto, se determinata; f) all’importo totale dovuto dal consumatore, se determinabili in anticipo, nonché all’ammontare delle singole rate[34].
L'art. 123 T.U.B. affianca gli obblighi di informazione anche l'obbligo di comunicare al cliente il TAEG ed il relativo periodo di validità[35]. Il TAEG è il costo totale del credito a carico del consumatore espresso in percentuale annua della somma concessa e comprende anche i costi relativi ai servizi accessori connessi al contratto di credito, compresi i premi assicurativi, se la conclusione di un contratto avente ad oggetto tali servizi è un requisito per ottenere il credito, o per ottenerlo alle condizioni offerte (art. 121 T.U.B). In particolare, è la Banca d’Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR, a stabilire le modalità di calcolo del TAEG, ivi inclusa la specificazione dei casi in cui suddetti costi sono compresi nel costo totale del credito[36]. Il TAEG svolge un ruolo centrale nella disciplina della pubblicità, in quanto è l’indice grazie al quale il consumatore valuta l’effettivo costo del finanziamento.
Il TAEG è «un tasso puramente virtuale perché non viene utilizzato per calcolare i ratei di restituzione della somma, ma costituisce un mero indicatore ossia una cifra rappresentativa del costo globale del prestito, particolarmente utile a fini comparativi per stabilire tra più offerte finanziamenti la più vantaggiosa»[37]. Il TAEG impone, dunque, l'esatta individuazione dell'importo del tempo dei singoli prestiti e dei singoli pagamenti, senza i quali non potrebbe avere luogo l'attuazione su base annua del costo complessivo del credito che il TAEG vuole realizzare[38].
In tal modo, il TAEG presenta il pregio di esprimere in forma elementare il costo finanziario dell'acquisto e si rileva particolarmente indicato per venire incontro alle esigenze di comprensione del consumatore che, in linea di principio, deve essere considerato sprovvisto di competenze tecniche per il discernimento tra più offerte di credito[39].
A maggior garanzia, proprio, della trasparenza dell’operazione di finanziamento della consapevolezza delle scelte del consumatore l'art. 123 bis, comma 5, T.U.B. prevede che nessuna somma possa essere richiesta o addebitata al consumatore se non sulla base di espresse previsioni contrattuali.
Specularmente, il successivo comma dispone la nullità delle clausole relative a costi a carico del consumatore non incluse o incluse in modo non corretto dal computo del TAEG pubblicizzato. Tuttavia, tale nullità è una c.d. nullità parziale, ove la nullità della clausola non comporta la nullità del contratto. L’art. 125 bis, comma 7, lett. a) T.U.B., difatti, disciplinata una forma di sostituzione automatica delle clausole nulle, equiparando il TAEG al tasso nominale minimo di buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministero dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto. Inoltre, è previsto che la durata del credito qualora non pattuita sia di trentasei mesi.
All'art. 124 T.U.B., invece, vengono indicati gli obblighi precontrattuali, aventi ad oggetto tutte le informazioni necessarie per consentire un raffronto con le altre offerte di credito presenti sul mercato. Tale articolo impone al finanziatore e all'intermediario del credito ulteriori obblighi di informazione preordinati a favorire sia il consapevole confronto da parte del consumatore di tutte le offerte di finanziamento presenti sul mercato, sia a prevenire il rischio di operazioni “inadeguate” alle condizioni patrimoniali dello stesso[40]. A tal fine, le preferenze del consumatore, eventualmente manifestate nella fase delle trattative, assumono un ruolo di primo piano.
Viene, quindi, imposto al finanziatore, ai mediatori creditizi ed agli agenti in attività finanziaria di farsi parte attiva nell’individuare e fornire al consumatore informazioni ulteriori e, soprattutto, personalizzate, di guisa che questi possa decidere se il prodotto sia o meno adatto alle sue esigenze. In particolare, l’art. 124, comma 5, T.U.B. racchiude in sé una serie di obblighi a carico del finanziatore o dell’intermediario finanziario, quali l’obbligo di spiegazione, l’obbligo di informazione sui possibili rischi derivanti da un eventuale inadempimento e, infine, l’obbligo di valutazione di adeguatezza. Il richiamo al criterio dell’adeguatezza esprime l’interesse del legislatore ad estendere, nella fase precontrattuale, il controllo, che non è più limitato al solo contenuto delle informazioni, ma riguarda anche le modalità in cui avviene l’informazione sull’offerta del prodotto, nell’ottica di garantire al consumatore una scelta informata. Tuttavia, il comma sesto dello stesso articolo esonerare i fornitori di merci o il prestatore di servizi che agiscono come intermediari del credito a titolo accessorio dall’osservanza degli obblighi di informazione attiva.
Le suddette informazioni devono essere fornite in forma scritta (o altro supporto durevole) e devono essere contenute in un modulo, denominato “Informazioni europee di base relative al credito al consumo”, la cui consegna al consumatore permette di considerare assolti gli obblighi informativi. Tuttavia, rimane salva la possibilità che emergano esigenze informative ulteriori, che dovranno essere assolte mediante documentazione separata.
Dunque, sostanzialmente, l’art. 124 T.U.B. prevede una sorta di scadenzario dell’informativa precontrattuale che può essere così sintetizzato: a) consegna al cliente del documento denominato “Informazioni europee di base sul credito ai consumatori”, gratuitamente ed in copia cartacea o in altro formato (se il contratto è stato concluso a distanza, il documento verrà fornito immediatamente dopo la conclusione del contratto); b) se il consumatore lo richiede, deve essere altresì consegnata gratuitamente la copia della bozza del contratto di credito, salvo che il finanziatore o l’intermediario del credito, al momento della richiesta, intenda procedere alla conclusione del contratto di credito con il consumatore (dunque l’obbligo di consegna gratuita della bozza sussiste solo in caso in cui non vi sia contemporaneità nella conclusione del contratto di credito al consumo; c) fornire ulteriori “chiarimenti adeguati” a far comprendere al consumatore se il prodotto sia adatto alle sue esigenze e alle sue possibilità finanziarie.
Sul fronte della responsabilità del finanziatore e dell'intermediario, il legislatore ha espressamente connesso l'effetto liberatorio alla mera consegna di tale modulo[41].
Il legislatore ha previsto che il mancato rispetto di tali obblighi precontrattuali da parte del finanziatore o dell’intermediario del credito comporti l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi dell’art. 144, comma 1, lett. b), T.U.B. In ogni caso, la violazione di tali obblighi di informazione precontrattuali, qualora determini un danno giuridicamente rilevante a carico di una delle parti, diviene astrattamente idonea a fondare la responsabilità precontrattuale sia del finanziatore che del consumatore[42]. In ogni caso, il rimedio proposto per il caso in cui il consumatore non avesse ricevuto le informazioni prescritte o avesse ricevuto informazioni erronee è solo il differimento del dies a quo del termine per l’esercizio del diritto di recesso, difatti, il termine inizierà a decorrere dal momento in cui il consumatore avrà ricevuto tutte le informazioni previste.
Tra i vari adempimenti, il finanziatore è poi tenuto ad una verifica del merito creditizio (art. 124 bis T.U.B.), ossia della solvibilità del consumatore, da effettuarsi tanto nella fase antecedente la conclusione del contratto di credito al consumo, quanto nella fase esecuzione, nell’ipotesi di ricontrattazione dell'importo totale del credito[43]. In particolare, per merito creditizio si intende "la oggettiva ed attuale capacità di rimborso, misurata sul reddito, sul patrimonio aggredibile e sulle trascorse vicende restitutorie"[44]. Per la verifica del merito creditizio, il finanziatore può avvalersi delle informazioni fornite dallo stesso consumatore e, ove necessario, di quelle ottenibili da una delle banche contemplate dall' art. 125 T.U.B. e contenenti le informazioni normativi sul credito emesse dagli stessi agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi.
La norma si lega all’art. 125, commi 2 e 3, T.U.B., per i quali: «se il rifiuto della domanda di credito si basa sulle informazioni presenti in una banca dati, il finanziatore informa il consumatore immediatamente e gratuitamente del risultato della consultazione e degli estremi della banca dati (art. 125, comma 2, T.U.B.); i finanziatori informano preventivamente il consumatore la prima volta che segnalano a una banca dati le informazioni negative previste dalla relativa disciplina. L’informativa è resa unitamente all’invio di solleciti, altre comunicazioni, o in via autonoma (art. 125, comma 3, T.U.B.)»[45].
Tuttavia, l’art. 124 bis T.U.B. non menziona espressamente alcun obbligo di concedere il finanziamento o di astenersi dal concedere un finanziamento[46]. Conseguendone che, in assenza di un esplicito obbligo di concedere il finanziamento o di astenersi dal concederlo, il contratto di finanziamento stipulato in violazione dell’art. 124 bis T.U.B. risulta valido[47].
Inoltre, il legislatore europeo non ha previsto alcuna sanzione per la violazione di tale obbligo di verifica del merito creditizio e ha rimesso la scelta agli Stati membri, purché sia efficace, proporzionata e dissuasiva[48]. Il legislatore italiano - a differenza del legislatore francese che ha previsto l’obbligo precontrattuale di verifica da parte del creditore della solvibilità del debitore (imposto dall’art. L. 311-9 del codice del consumo francese) la cui violazione è sanzionata con la decadenza totale o nella proporzione determinata dal giudice, dal diritto agli interessi del creditore - non ha sancito alcuna sanzione nel caso in cui il creditore venga meno a tale dovere di verifica precontrattuale, difatti, l’art. 124 bis T.U.B. non è richiamato tra le disposizioni, la cui inosservanza possa condurre all’applicazione di una sanzione, lasciando dunque spazio a molteplici interpretazioni volte ad individuare le conseguenze di tale violazione[49].
La verifica del merito creditizio dunque potrebbe tradursi in un obbligo di astenersi dall’assunzione di decisioni arbitrarie ed immotivate, giacché dette scelte dovranno riflettere le informazioni adeguate poste alla base delle stesse, inibendo la concessione del credito ogniqualvolta emerga la scarsa capacità restitutiva del consumatore.
L’art. 124 bis T.U.B., dunque, ricalcando quanto stabilito nella Dir. CE 2008/48 agli artt. 8 e 9, rispecchia l’interesse del legislatore, europeo e interno, a tutelare sia il consumatore sia il sistema del credito in generale. La norma, difatti, protegge direttamente il consumatore e indirettamente l’interesse alla stabilità del mercato creditizio. Sul punto, la dottrina sottolinea che negli anni, «la diffusione del credito ai consumatori ha alimentato problematiche quali l’eccessivo indebitamento e l’insolvenza dei “debitori civili”. L’indebitamento, difatti, è in un certo senso l’altra faccia della medaglia di questa particolare forma di finanziamento, attraverso la quale il consumatore riesce ad acquistare beni anche senza possedere la necessaria disponibilità economica, con il rischio di non essere in grado di valutare il costo effettivo del credito e gli altri possibili effetti negativi ad esso collegati. La norma in esame mira a prevenire tale problema»[50]. La ratio sottesa a tale disposizione, infatti, è quella di favorire il virtuosismo degli scambi, prevedendo l’indebitamento del consumatore.
4. Forma, contenuto e nullità del contratto di credito ai consumatori
L'art. 125 bis T.U.B. disciplina i contratti di credito sia sotto il profilo della forma sia sotto il profilo del contenuto. Il legislatore, come in tutte le discipline caratterizzata da uno squilibrio informativo tra le parti, adotta una tecnica che intreccia l'informazione e la forma, al fine di garantire che quanto previsto nella fase precontrattuale o nelle trattative sia rispettato.
Proprio al fine di garantire l’autodeterminazione del consumatore e la trasparenza delle offerte di credito, presenti sul mercato, il legislatore ha imposto, ai sensi dell’art. 125 bis, comma 1, T.U.B., che i contratti di credito al consumo debbano essere redatti su supporto cartaceo o su altro supporto durevole e che debbano contenere in modo chiaro e conciso anche le condizioni stabilite da Banca d’Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR.
La forma, difatti, è un elemento essenziale del contratto, tuttavia, nella disciplina consumeristica, ad essa viene attribuita una funzione inedita, di cui immediatamente percepibile è la dimensione protettiva nei confronti della parte debole. Circostanza, questa, che è valsa a definire la nuova tendenza “neoformalismo di protezione”.
È opportuno sottolineare che nell’ordinamento italiano vige il principio della libertà della forma, tuttavia, a seguito dell’avvento della stagione consumeristica e all’introduzione del “c.d. neoformalismo di protezione”, tale tendenza è stata modificata, essendo stata individuata nella c.d. forma scritta lo strumento volto a tutelare più efficacemente il consumatore.
Tuttavia, i vincoli di forma previsti dalle normative a tutela del consumatore sono strettamente collegati agli obblighi di informazione. La forma assume, infatti, il ruolo sia di strumento di documentazione delle informazioni rilevanti per favorire il compimento di scelte consapevoli da parte del consumatore, secondo un modello anticipatorio di tutela del contraente debole, sia di strumento che consente al consumatore la conoscenza immediata del contenuto di un contratto che egli non ha contribuito a predisporre[51]. Da qui il duplice significato attribuibile al neoformalismo: "la forma viene utilizzata dal legislatore europeo come strumento di controllo del regolamento contrattuale in un’ottima che è, insieme, conformativa del mercato […] e protettiva […] della parte debole"[52].
In particolare, circa la forma prevista nei contratti di credito al consumo, l’art. 125 bis, comma 2, T.U.B., tramite il rinvio all’art. 117, commi 2, 3 e 6, T.U.B., consente di affermare che il contratto concluso, se non rispetta il vincolo di forma, è nullo[53]. Questa nullità, come le altre inserite nel Titolo VI del T.U.B., può essere rilevata d’ufficio dal giudice ma solo nell’interesse del cliente (art. 127, comma 2, T.U.B.). La violazione del requisito della forma determina per previsione espressa la nullità del contratto e tale forma di invalidità, se prima facie, presenta notevoli affinità con la nullità strutturale codicistica – incidendo su un elemento intrinseco della fattispecie e configurandola come nullità assoluta – la dottrina maggioritaria, dopo una attenta lettura del combinato disposto degli artt. 117, comma 3, e 127, comma 2, T.U.B. rileva la sua natura rimediale, operando solo a vantaggio del cliente e così riconducendola sotto l’alveo della nullità di protezione[54].
È opportuno soffermarsi sulla nullità di protezione, quale rimedio posto a presidio del contenuto minimo ed inderogabile del contratto del consumatore e volto a reagire all’introduzione di clausole abusive. In generale l’art. 36, comma 1, cod. cons. afferma che «le clausole considerate vessatorie ai sensi degli artt. 33 e 34 sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto», mentre, il comma 3 della medesima norma specifica poi che «la nullità opera solo a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice»[55].
La nullità di protezione è una forma di invalidità che ha costretto la dottrina alla correzione e all’integrazione delle caratteristiche tradizionalmente riconosciute alla figura della nullità, poiché ne dismette i consueti caratteri dell’assolutezza della legittimazione ad agire e dell’inefficacia totale del contratto.
La nullità di protezione è, difatti, una forma di nullità relativa e parziale, poiché è azionabile soltanto dal consumatore e rilevabile d’ufficio dal giudice, ma soltanto nell’interesse di quest’ultimo ed è inoltre destinata a rendere inefficace esclusivamente la parte del regolamento contrattuale o la singola clausola contra legem.
Trattasi dunque di una nullità necessariamente parziale, nel senso che essa colpisce la clausola o le clausole censurate, ma, per volontà della legge, non può travolgere l’intero contratto, a prescindere da ogni indagine sulla essenzialità delle clausole secondo la volontà delle parti, indagine richiesta invece, secondo la regola generale in tema di nullità parziale, dall’art. 1419, comma 1, c.c. (secondo cui la nullità delle singole clausole importa la nullità dell’intero contratto «se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità»). Il legislatore, dunque, in deroga alla regola generale di cui all’art. 1419, comma 1, c.c. ha introdotto una nullità necessariamente parziale, che investe esclusivamente la singola clausola ed è un rimedio per correggere e riequilibrare il contratto nell’interesse del consumatore[56].
Si può dunque sostenere che quando il legislatore pone in essere un’ipotesi di nullità di protezione è come se elevasse il contrente debole ad arbiter delle sorti del contratto, in modo che lo stesso possa scegliere se far valere tale nullità o confermare la validità del negozio nello stato in cui è sorto (ovvero viziato)[57].
Circa l’interesse tutelato nella nullità di protezione, a ben vedere, lo stesso è di natura “superindividuale” ed in particolare coincide con la tutela di valori costituzionalmente rilevanti, come il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) o l’uguaglianza tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost.) In altri termini, i principi costituzionali coinvolti dalle discipline di protezione (solidarietà, efficienza del mercato, tutela del risparmio, uguaglianza sostanziale tra i contraenti) elevano la protezione del singolo contraente-consumatore, a parametro oggettivo di valutazione della validità dell’atto[58].
Tornando all’analisi dell’art. 125 bis T.U.B., lo stesso articolo prevede oltre che il contratto di credito al consumo debba essere redatto per iscritto, prevede, inoltre, che una copia dello stesso debba essere consegnata al cliente. Il documento permette al cliente di avere tutte le informazioni contrattuali per la durata del rapporto, quale punto di riferimento per eventuali problemi.
Tuttavia, non essendo previsto nessun rimedio contro l’inadempimento dell’obbligo di consegna della copia, tale omissione ha dato la stura alle ricostruzioni più varie. Sul punto, parte della dottrina precisa che "l’onere di documentazione è un aspetto della nuova forma scritta procedimentalizzata, il cui mancato assolvimento dovrebbe condurre alla nullità del contratto non per la discordanza tra consenso esterno e consenso interno, ma per mancato perfezionamento dell’accordo, il cui iter di formalizzazione, di fatto, rimane incompiuto"[59].
Secondo un’altra parte della dottrina, invece, la mancata consegna della copia del contratto potrebbe dar luogo allo slittamento dei termini di recesso ai sensi dell’art. 125 ter, comma 1, T.U.B.[60]. Viene sottolineato che «la copia del contratto è funzionale a rendere edotto il consumatore di tutte le condizioni inerenti al contratto concluso, pertanto è naturale ritenere che il termine per il recesso inizi a decorrere da quando quest’ultimo riceve la copia. Tuttavia, la violazione di tale obbligo di consegna non incide sulla validità del contratto stesso, ma legittima un’azione di adempimento da parte del cliente, seguita da un’eventuale pretesa risarcitoria[61].
Sempre riguardo agli obbliga di forma, regole ulteriori e specifiche sono poi state dettate: per gli sconfinamenti, ovvero scoperti tacitamente accettati dal creditore che eccedono il saldo del conto o dell’apertura di credito e per i contratti di credito di durata.
Più in particolare, per tutti i contratti di conto corrente (con o senza una previa apertura di credito) in cui sia prevista la possibilità di uno sconfinamento[62] da parte del consumatore, l’art. 125 octies T.U.B. sancisce che in caso di sconfinamento «consistente» che si protragga per oltre un mese, il creditore comunichi al consumatore, in forma scritta: a) lo sconfinamento; b) il relativo importo; c) il tasso di interesse; d) le penali, le spese o gli interessi di mora eventualmente applicabili. Le disposizioni attuative specificano che lo sconfinamento si intende «consistente» quando riguarda un importo pari o superiore: a euro 300 (quando il contratto di conto corrente non prevedeva anche una apertura di credito); oppure al 5% dell’importo totale disponibile previsto nell’eventuale contratto di apertura di credito. La comunicazione dello sconfinamento deve essere effettuata entro tre giorni lavorativi successivi al compimento di un mese dal momento in cui lo sconfinamento è divenuto consistente[63].
Per quanto riguarda i contratti di credito di durata, invece, l’art. 125 bis, comma 3, T.U.B. prevede che il finanziatore, almeno una volta l’anno, fornisca al consumatore, su supporto durevole, una chiara e completa informativa sullo svolgimento del rapporto, affinché il consumatore abbia un quadro aggiornato dell’andamento del medesimo.
L’art. 125 bis, comma 8, T.U.B. delinea il contenuto minimo inderogabile del contratto di credito al consumo e la cui assenza inficia la validità dell’intero contratto, difatti, oltre a comprendere le informazioni e le condizioni stabilite dalla Banca d'Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR, e essere redatto in forma scritta, lo stesso deve include anche le indicazioni relative: al tipo di contratto, alle parti del contratto, all’importo totale del finanziamento e alle condizioni di prelievo e di rimborso[64].
La nullità del contratto di credito produce effetti sul piano delle restituzioni, sul quale l’art. 125 bis, comma 9, T.U.B. stabilisce una regola di favore per il consumatore. In caso di nullità del contratto, infatti, il consumatore non è tenuto a restituire più delle somme utilizzate – sarà, dunque tenuto a restituire solo le somme utilizzate non gli interessi sulle somme percepite – e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili.
L’art. 125 bis, comma 3, T.U.B. introduce invece un’innovativa regola per la quale, in caso di offerta contestuale di più contratti da concludere per iscritto diversi da quelli collegati (di cui all’art. 121, comma 1, lett. d), T.U.B.), il consenso del consumatore deve essere acquisito distintamente per ciascun contratto attraverso documenti separati. La disposizione mira a garantire al consumatore la conoscenza delle singole condizioni contrattuali contenute nei vari e distinti contratti, al fine di evitare che dalla sottoscrizione di un contratto seguano ulteriori obblighi previsti da altri contratti di cui il consumatore stesso è ignaro. Anche per queste ipotesi vale la regola formale di cui al comma 1.
Ciò che determina invece nullità parziale, con sostituzione automatica delle clausole è la mancata indicazione delle clausole contrattuali comportanti per il consumatore all’addebito di costi non inclusi o inclusi in modo erroneo nel TAEG[65] e la mancata indicazione del termine di durata del contratto.
Tuttavia, tale nullità è una nullità di tipo parziale, difatti, la nullità delle singole clausole non incide sulla validità dell’intero contratto, essendo prevista la sostituzione automatica delle predette, rispettivamente, con tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto - il TAEG - e con termine di trentasei mesi - la durata.
La dottrina si è chiesta se l’integrazione automatica del TAEG possa sanare l’assenza della forma scritta[66]. Tuttavia, l'arbitro bancario finanziario ha negato categoricamente tale ipotesi ritenendo che il meccanismo integrativo ex art. 124 T.U.B. presuppone la «validità formale del contratto complessivamente considerato», elevando in tal modo la forma scritta a presupposto della possibile integrazione del contratto[67].
Resta ferma l’ulteriore ipotesi di nullità parziale relativa alle clausole di rinvio agli usi per la determinazione delle condizioni economiche applicate al prestito, sicché si considerano non dovute le somme richieste o addebitate al consumatore senza un’espressa previsione contrattuale (art. 125 bis, comma 5, T.U.B.).
Merita un accenno l’art. 127, comma 2, T.U.B. che sancisce il principio della inderogabilità in peius della disciplina in materia di credito al consumo, vale a dire l’impossibilità per i finanziatori di derogarvi introducendo disposizioni meno favorevoli per il consumatore. Sebbene il legislatore non abbia espressamente contemplato i rimedi azionabili in caso di violazione della norma da parte del finanziatore, parte della dottrina ritiene che la soluzione applicabile sia quella della nullità[68].
L’art. 118 T.U.B., infine, espressamente richiamato dall'art. 125 bis, comma 2, T.U.B., disciplina per tutti i contratti il c.d. ius variandi della banca o dell'intermediario finanziario. Salva, difatti, sempre la necessità di una specifica accettazione scritta del cliente, le sembianze dell’istituto cambiano a seconda della tipologia contrattuale in cui è destinato ad operare: nei contratti a tempo indeterminato o meglio nei contratti senza determinazione di tempo, il potere di modificare unilateralmente il contratto non incontra limiti oggettivi[69]; negli altri contratti di durata, invece, tale potere può essere convenzionalmente pattuito solo con riferimento alle clausole non inerenti i tassi interesse. Tuttavia, in entrambi i casi presupposto indefettibile del ius variandi, sotto pena di inefficacia della clausola più favorevole al cliente, è «un giustificato motivo». Inoltre, qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente compreso il giustificato motivo alla base della modifica unilaterale. È escluso, difatti, che le modifiche comportano l'introduzione di “nuove” clausole. Pertanto, le variazioni esercitate non potranno comportare l'introduzione di condizioni contrattuali non previste dalle parti, in occasione della conclusione del contratto.
La modifica si intende approvata, se il cliente non recede dal contratto entro sessanta giorni.
Tuttavia, in caso di estinzione del rapporto, il cliente ha diritto all'applicazione delle condizioni praticate in precedenza. Le variazioni contrattuali, per le quali non sono state osservate tali regole, sono ritenute inefficaci, se sfavorevoli al cliente.
5. Le diverse modulazioni del recesso pentimento e del rimborso anticipato
L’art. 125 ter T.U.B. riconosce al consumatore il diritto di recedere dal contratto quale diritto di ripensamento. Il recesso di pentimento è un particolare strumento di autotutela che permette al consumatore di “abbandonare il contratto” in un tempo breve successivo alla conclusione di quest’ultimo, al fine di valutare l’effettiva convenienza dell’affare. In particolare, tale strumento è predisposto dal diritto privato comunitario per ovviare alla velocità degli scambi ed è volto a favorire scelte contrattuali ponderate, in un contesto negoziale in cui, peraltro, al consumatore è ritagliato il ruolo di semplice aderente ad un contratto predisposto dal professionista. Tale figura di recesso di pentimento: si discosta nell’ordinamento italiano del recesso convenzionale di cui all’art. 1373 c.c. perché è di fonte legale ed è attivabile anche in presenza di un inizio di esecuzione (il recesso convenzionale, invece, finché il contratto non abbia avuto esecuzione, a meno che non si tratti di contratti ad esecuzione continuata o periodica) è una forma di recesso ad nutum, ossia senza obbligo di motivazione; è esperibile senza costi per il consumatore, salvo ovviamente il rimborso delle spese affrontate da controparte.
Le caratteristiche del recesso del consumatore sono dunque: la piena discrezionalità nel suo esercizio senza doverne specificare il motivo, la gratuità (salvo il rimborso delle spese effettuate da controparte) e l’irrinunciabilità.
La dottrina nel tentativo di inquadrare il recesso di pentimento ha fatto leva sulla dicotomia consenso esterno-consento interno: il primo è la formula di sintesi che disegna le regole procedurali che conducono al perfezionamento del contratto tramite il compimento di atti formali che l'ordinamento assume come segni esterni del raggiungimento dell'accordo; mentre il secondo attiene alle regole poste a salvaguardia la consapevolezza e della libertà di scelta del consumatore, talvolta svincolare il raggiungimento del consenso esterno. In particolare, nel diritto contrattuale di origine comunitaria, il consenso interno viene tutelato principalmente (ma non solo) dallo ius poenitendi e sembra che nel diritto comunitario, a differenza del diritto comune, le due componenti del consenso si intreccino e si completino[70]. Il contratto, difatti, è concluso soltanto nel momento in cui il consenso esterno e il consenso interno si combinano e pertanto il recesso di pentimento finisce per essere incluso nel procedimento di conclusione del contratto.
Inoltre, è opportuno sottolineare, in linea generale, che la disciplina consumeristica adotta una tecnica che intreccia anche i doveri di informazione e il diritto di recesso, prevedendo che alla mancanza o al ritardo con cui viene fornita l’informazione si accompagna sempre un allungamento del termine per l’esercizio del diritto di recesso del consumatore, proprio al fine di garantire il consumatore, quale parte debole della trattativa consumeristica.
Parte della dottrina afferma circa il recesso di pentimento che «non pare si tratti propriamente di un potere unilaterale di risoluzione di un contratto già perfezionato in ogni punto e perfettamente efficace […] bensì di una dichiarazione di pentimento che impedisce il perfezionamento del negozio»[71].
Nello specifico contesto del credito ai consumatori, questa particolare forma di recesso è giustificata dalla complessità delle operazioni di credito[72]. L’esercizio di tale diritto è svincolato da qualsiasi presupposto ed è riconosciuto a prescindere dalle modalità in cui il contratto è stato concluso.
Gli artt. 125 ter e 125 sexies T.U.B. attribuiscono, al solo consumatore la duplice facoltà di recedere dal contratto e di adempiere anticipatamente ed in entrambi i casi senza alcuna penalità.
In particolare, all’art. 125 ter T.U.B., disciplinando il diritto di recesso in materia di credito al consumo, prevede che: il consumatore può recedere dal contratto entro quattordici giorni, decorrenti o della conclusione del contratto o dalla data in cui il consumatore ottiene per iscritti le informazioni e le condizioni previste dall’art. 125 bis, comma 1, T.U.B.[73]. Il consumatore dovrà comunicare al finanziatore la propria intenzione di sciogliere il vincolo negoziale secondo le modalità prescelte nel contratto tra quelle previste dall’art. 64, comma 2, cod. cons., dunque, il consumatore può avvalersi sia della lettera raccomandata con avviso di ricevimento, sia di un telegramma, di un telex, di un fax o della posta elettronica.
Se il contratto ha avuto esecuzione in tutto o in parte, entro trenta giorni dall'invio della comunicazione di recesso, il consumatore dovrà restituire la somma capitale e pagare gli interessi maturati fino al momento della restituzione (da calcolarsi secondo quanto stabilito nel contratto e non, invece, al tasso legale), oltre a rimborsare al finanziatore le somme non ripetibili da questo corrisposte alla pubblica amministrazione.
Conseguentemente l'esercizio del diritto di recesso comporta per il consumatore l'obbligo di pagare il creditore il capitale e gli interessi dovuti, calcolati sulla base del tasso debitore pattuito dalla data di prelievo del credito fino alla durata di rimborso del capitale. Se, dunque, il consumatore decide di avvalersi della facoltà di recesso dopo che il contratto di credito abbia avuto esecuzione, il consumatore stesso sarà obbligato a restituire un importo superiore a quello ottenuto mediante il finanziamento[74]. In nessun caso può essere richiesta, al consumatore, che esercita il diritto di recesso un’ulteriore somma a titolo d’indennizzo, di penale o di risarcimento. Inoltre, il recesso si estende automaticamente ai contratti aventi ad oggetto servizi accessori rispetto al contratto di credito, se detti servizi sono resi dal finanziatore o da un terzo sulla base di un accordo con il finanziatore, ove: l’esistenza di tale accordo è presunta ex lege e l’onere di provare il contrario incomberà sul terzo.
Da tale disciplina, sostiene parte della dottrina, ne deriva che il recesso attribuito al consumatore dall’art. 125 ter T.U.B. dovendo il consumatore corrisponde al finanziatore pur sempre gli interessi maturati sulla somma capitale, rappresenta un’anomalia a rispetto del consueto ius poenitendi consumeristico caratterizzato dalla gratuità[75]. È bene inoltre precisare che, a norma della direttiva comunitaria gli interessi dovuti si calcolano in base al tasso debitore (opportunamente pubblicizzato).
Salva la mancanza di gratuità, il recesso del consumatore conserva gli ulteriori tratti distintivi propri del pentimento consumeristico ossia l’arbitrarietà e l’irrinunciabilità[76]. Decisivo in tal senso il fatto che la dir. 08/48/CE imponga espressamente agli Stati membri di provvedere in fase di attuazione, affinché consumatori «non possono rinunciare» ai loro diritti attribuiti. Sul punto, il legislatore nazionale ha previsto che le disposizioni del Titolo VI del T.U.B. siano pattiziamente derogabile solo in senso più favorevole al consumatore. Tuttavia, tale statuizione è assistita da un rimedio efficace: la nullità di protezione, rilevabile d'ufficio dal giudice e operante sempre a vantaggio del cliente.
Il successivo art. 125 quater T.U.B., disciplina il diritto di recesso del consumatore (e del finanziatore), ma con riferimento ai soli contratti di credito a tempo indeterminato. Tale articolo disciplina la possibilità per il consumatore di recedere dal contratto in ogni momento senza penalità e senza spese, con l’eventuale obbligo, che deve risultare dal contratto, di rispettare un preavviso non superiore ad un mese. Anche al finanziatore è riconosciuto il diritto di sciogliere anticipatamente il contratto, purché tale facoltà sia espressamente prevista nel contratto e sia dato al prenditore un preavviso di almeno due mesi su supporto cartaceo o altro supporto durevole.
Tale requisito di forma fa presumere che, qualora la comunicazione non avvenga secondo le modalità stabilite, il recesso sia inefficace[77].
Inoltre, per contenere gli effetti negativi che ne potrebbero derivare il legislatore ha previsto che il creditore – questa volta però sussistendo una giusta causa – possa sospendere l’utilizzo del credito da parte del consumatore, dandogliene comunicazione su supporto cartaceo o altro supporto durevole in anticipo e, ove ciò non sia possibile, immediatamente dopo la sospensione.
Il legislatore, difatti, da un lato, per quanto attiene al preavviso, ha inserito un termine massimo per il consumatore (pari ad un mese) ed un termine minimo per il finanziatore (pari a due mesi) e, dall'altro lato, ha sancito espressamente la gratuità del recesso il consumatore con "disposizione da intendersi inderogabile»[78]. Tuttavia, è opportuno segnalare che, secondo la dottrina, tale disciplina «più che produrre la struttura propria di matrice europea descrive una figura riconducibile tradizionale al recesso di liberazione"[79].
Inoltre, parte della dottrina sottolinea che durante i due mesi di preavviso il debitore non è limitato, né tantomeno privato, della possibilità di continuare ad utilizzare il credito messo a sua disposizione, né ha alcun obbligo di restituire le somme nel frattempo prelevate e non ancora rimborsate[80].
L’art. 125 sexies T.U.B. disciplina l’ipotesi di rimborso anticipato, attribuisce al consumatore il diritto di rimborsare anticipatamente, in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l’importo dovuto al finanziatore, beneficiando di una riduzione del TAEG pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto, previa corresponsione al finanziatore di un indennizzo «equo ed oggettivamente giustificato per eventuali costi collegati al rimborso anticipato del credito». Ove "equo ed oggettivamente giustificato" fissano l’an e il quantum dell’attribuzione patrimoniale consistente nell’indennizzo dovuto al finanziatore (che comunque non scatta automaticamente, ma solo laddove il rimborso anticipato, abbia determinato una "comprovata perdita per il creditore"). In ogni caso, tale indennizzo non può superare l’1% dell'importo rimborsato (se la vita residua del contratto è superiore ad un anno) ovvero lo 0,5% (negli altri casi). Tuttavia, in nessun caso l’indennizzo può superare l’importo che il consumatore avrebbe dovuto corrispondere a titolo di interessi sul capitale fino alla naturale scadenza del contratto di credito.
Tuttavia, l’art. 125 sexies, comma 3, T.U.B. individua i casi in cui l’indennizzo non deve essere elargito, in deroga alla disciplina generale, e segnatamente nei casi in cui il rimborso anticipato è: effettuato in esecuzione di un contratto di assicurazione destinato a garantire il credito; riguarda il contratto di apertura di credito; ha luogo in un periodo in cui non si applica un tasso di interesse espresso da una percentuale specifica fissa predeterminata il contratto; corrisponde all'interno debito residuo ed è pari o inferiore a € 10.000.
L’art. 125 sexies T.U.B. mira a porre un argine alla prassi dell’imposizione di penali, spesso assai gravose per l'ipotesi di restituzione anticipata ed in un'unica soluzione della somma, al dichiarato fine di ristorare il finanziatore della perdita degli interessi sulle ulteriori rate non scadute[81]. La fissazione delle modalità volte attuale il diritto del consumatore ad un’equa riduzione del costo complessivo del credito in caso di estinzione anticipata del debito è stata determinata dal legislatore al CICR.
6. La disciplina del contratto di credito collegato e dell’inadempimento del fornitore e del consumatore
La disciplina del collegamento contrattuale tra il contratto di credito e il contratto di fornitura del bene o del servizio, rappresenta, uno dei profili più delicati e controversi dell’intera disciplina sul credito al consumo. L’attuazione della direttiva comunitaria, volte ad uniformare a livello europeo le condizioni di accesso al credito al consumo, difatti, ha costituisco la giusta occasione per ridisegnare la disciplina del collegamento negoziale tra il contratto di credito e quello di acquisto di beni e servizi. Tuttavia, la disciplina del credito al consumo, si mostra alquanto essenziale sul fronte del collegamento negoziale, giacché le sole disposizioni ispirate chiaramente a tale operazione di finanziamento sono: l’art. 121, comma 1, lett. d), T.U.B. e l’art. 125 quinquies T.U.B.
L ’art. 121, comma 1, lett. d), T.U.B. definisce la nozione di contratto di credito collegato, quale contratto volto esclusivamente a finanziare la fornitura di un bene o la prestazione di un servizio specifici purché ricorra almeno delle seguenti condizioni: a) che il finanziatore si avvalga del fornitore del bene o del prestatore di servizio per la promozione o conclusione del contratto di credito; b) che il bene o il servizio specifici siano esplicitamente individuati il contratto di credito.
Da ciò ne deriva che il nostro ordinamento attribuisce rilevanza giuridica al collegamento negoziale solo allorquando la finalità esclusiva del finanziamento sia la fornitura di un bene o la prestazione di un servizio specifici[82]. Pertanto, esulano, quindi, dalla relativa disciplina sia i contratti di credito in cui detta finalità è concorrente con una o più altre, sia i contratti di credito strumentali alla fornitura di beni o servizi non suscettibile di essere considerati specifici[83]. Tuttavia, parte della dottrina ritiene che il collegamento negoziale possa sussistere e sia rilevante anche in casi diversi rispetto a quelli espressamente previsti dalla definizione dell’art. 121, comma 1, lett. d), T.U.B.[84].
È poi alternativamente necessario che: il finanziatore si sia avvalso, per promuovere o conclude il contratto di credito della cooperazione del fornitore del bene o del prestatore del servizio; ovvero che il contratto di credito espliciti il suo oggetto mediato. In assenza di questi presupposti la normativa di tutela di cui al Capo II T.U.B. non potrà trovare applicazione.
Una dettagliata disciplina, difatti, è stata introdotta all’art. 125 quinquies T.U.B., ove viene delineata la tutela accordata dall’ordinamento in caso di inadempimento del fornitore dei beni o dei servizi nel caso in cui l’operazione di credito al consumo sia stata realizzata mediante il collegamento negoziale tra due contratti. La ratio sottesa è proprio quella di evitare che il consumatore resti vincolato agli obblighi stabiliti dal contratto di credito nonostante il mancato conseguimento dell’utilità che avrebbe dovuto ottenere.
In particolare, l’art. 125 quinquies T.U.B. prevede che il consumatore, dopo avere effettuato inutilmente la costruzione in mora del fornitore, abbia diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di forniture di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all’art. 1455 c.c. (ovvero solo nelle ipotesi in cui l’inadempimento del fornitore non abbia scarsa importanza)[85].
A seguito della risoluzione del contratto di credito, sorge l'obbligo per il finanziatore (o del terzo cui sono stati ceduti i diritti derivanti dal contratto di concessione del credito) di rimborsare al consumatore le rate già pagate nonché ogni altro onere eventualmente applicato. La risoluzione del contratto di credito non comporta l’obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l’importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o servizi. Il finanziatore (o il cessionario del credito), difatti, ha il diritto alla ripetizione di detto importo nei confronti del fornitore (art. 67, comma 6, cod. cons.). Il finanziatore non potrà mai rivalersi sul consumatore.
Sebbene la disposizione non lo specifichi, secondo parte della dottrina, il fornitore sembra tenuto anche al risarcimento dell’eventuale maggiore danno nei confronti del consumatore[86].
Tuttavia, è opportuno sottolineare che il legislatore, nonostante le sollecitazioni in tal senso avanzate da dottrina e giurisprudenza, ha taciuto sulle conseguenze derivanti da un inadempimento del fornitore privo dei requisiti declinare dell’art. 1455 c.c., andando così a creare un vuoto normativo.
Parzialmente diversa si presenta la disciplina dettata per il contratto di locazione finanziaria (leasing).
A norma dell’art. 125 quinquies, comma 3, T.U.B., il consumatore, dopo avere inutilmente effettuato la messa in mora del fornitore dei beni o dei servizi, potrà richiedere al finanziatore di agire per la risoluzione del contratto. La richiesta al fornitore determina la sospensione del pagamento dei canoni di leasing[87]. La risoluzione del contratto di fornitura determina, invece, la risoluzione di diritto, senza penalità e oneri, del contratto di locazione finanziaria.
È poi previsto che, in caso di vendite a distanza o di contratti conclusi fuori dai locali commerciali, l’esercizio del recesso da parte del consumatore, in conformità al dettato degli artt. 64 e 65 cod. cons., determina ex art. 66, n. 6, cod. cons. la risoluzione di diritto, senza alcuna penalità, del contratto di credito collegato[88].
Inoltre, recentemente il Collegio di Coordinamento dell’A.B.F., si è occupato della sorte del contratto di finanziamento collegato a un contratto di compravendita di un pacchetto turistico nullo. Il Collegio, proprio facendo leva sul collegamento negoziale, ha affermato che, anche qualora non siano applicabili i rimedi previsti dalla disciplina speciale (artt. 121 ss. T.U.B.), i principi in tema di contratto in generale consentono al consumatore di far valere la nullità del contratto di credito in virtù del collegamento a un contratto nullo[89].
Inoltre, ai contratti di credito collegati si applica la disciplina prevista, in generale, a tutela del consumatore in caso di cessione del credito o del contratto di credito. L’art. 125 septies, comma 1, T.U.B. riconosce al consumatore in caso di cessione dei crediti nascenti dal contratto di finanziamento, la facoltà di opporre al cessionario del credito e del contratto di finanziamento «tutte le eccezioni che poteva far valere nei confronti del cedente, ivi compresa la compensazione, anche in deroga al disposto dell’art. 1248 c.c. Tuttavia, il consumatore deve essere informato dell’intervenuta cessione, secondo le modalità stabilite dal CICR, a meno che il cedente, d'accordo concessionario, continuo a gestire il credito nei confronti del consumatore.
La dottrina sul punto sottolinea che la ratio di tale norma è quella di «evitare che la cessione del credito o del contratto di credito peggiori la posizione contrattuale del debitore-ceduto, scongiurando il rischio di atti dispositivi di natura fraudolenta, finalizzati alla limitazione delle difese il consumatore»[90].
L’art. 125 septies, comma 1, T.U.B., dunque riconoscendo il collegamento funzionale tra il contratto di finanziamento e la successiva cessione dei crediti, estende al cessionario anche le eccezioni fondate sul contratto originario[91]. La norma in commento deroga, espressamente, all'art. 1248 c.c. che collega la cessione di credito un duplice ordine di effetti: la cessione accertata in modo puro e semplice impedisce al debitore di opporre al cessionario la compensazione che avrebbe potuto eccepire al cedente; la cessione non accettata soltanto notificata impedisce la compensazione dei crediti sorti successivamente la notificazione[92].
Fuori da queste ipotesi, gli unici strumenti di tutela che il T.U.B. mette a disposizione del consumatore sono il diritto di recesso (ex art. 125 ter T.U.B.) e il rimborso anticipato (ex art. 125 sexies T.U.B.), salva sempre la nullità totale o parziale del contratto di credito.
Resta, invece, priva di una specifica regolamentazione l'ipotesi dell’inadempimento non già del fornitore ma del consumatore, disciplina invece prevista nel contratto di credito immobiliare.
Nel silenzio della normativa speciale, al fine di scongiurare prassi negoziali scorrette, parte della dottrina ha ritenuto applicabile in via analogica la disciplina codicistica in materia di vendita a rate con riserva di proprietà, pur se con qualche aggiustamento[93]. Così, nonostante patto contrario, il mancato pagamento di una sola rata che non superi l'ottava parte della somma finanziata, non legittima il finanziatore a chiedere la risoluzione del contratto (art. 1525 c.c.)[94].
Tuttavia, la dottrina maggioritaria concorda sulla necessità di adeguare il tenore letterario dell’art. 1525 c.c. al diverso contesto, sicché che il limite dell’ottava parte deve intendersi riferito non già al prezzo di acquisto del bene, quanto piuttosto all’importo della somma finanziata, al netto dell'acconto, o alla somma totale del finanziamento, comprensiva degli interessi, dei costi dell’operazione e delle eventuali prestazioni integrative[95].
Un ulteriore aspetto rimasto privo dell’attenzione legislativa è quello degli effetti che tale risoluzione comporta. A fronte di tale silenzio legislativo degli artt. 121 e ss. T.U.B., la dottrina e la giurisprudenza hanno cercato di colmare tale vuoto normativo attraverso l’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c., che sancisce l'obbligo del finanziatore di rifondere le rate riscosse verso "un equo compenso per l'uso della cosa" e l’obbligo del consumatore a restituire l'intera somma presa mutuo.
Per quanto riguarda le sorti del contratto collegato di fornitura, parte della dottrina ha affermato l'estensione dell'effetto risolutivo anche al contratto collegato, con conseguente obbligo di restituzione del bene in capo al consumatore e di rimborso del prezzo anticipatogli dal mutuante-finanziatore in capo al venditore. Tuttavia, la dottrina maggioritaria, ha affermato che il ricorso all’analogia, in tal caso, può risultare forzato ed equivoco. Stante, dunque, l'impossibilità di ricorrere agevolmente allo strumento dell'analogia, la dottrina maggioritaria ritiene che l'effetto domino sul contratto collegato non si produca e che il contratto resta in vita[96]. Tuttavia, al consumatore sarà concesso il ricorso all’azione generale di arricchimento di cui all'art. 2041 c.c. nel caso di ingiustificato vantaggio del fornitore[97].
7. Il credito immobiliare ai consumatori
La disciplina dei contratti di credito ai consumatori prevista della dir. 14/17 UE, è stata recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. n. 72, che ha introdotto il nuovo Capo I bis relativo al “Credito immobiliare ai consumatori” all’interno del Titolo VI del T.U.B.
La disciplina riguarda ai contratti di credito con cui un finanziatore concede o si impegna a concedere a un consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra facilitazione finanziaria, quando il credito: è garantito da un’ipoteca sul diritto di proprietà o su un altro diritto reale avente a oggetto beni immobili residenziali, ovvero è finalizzato all'acquisto o alla conservazione del diritto di proprietà su un terreno o su un immobile edificato o progettato (art. 120 quinquies, comma 1, lett. c) T.U.B.)[98].
Dalla definizione legislativa emerge che non è necessario che il credito sia diretto all'acquisto di un immobile, giacché appare sufficiente che i contratti di credito siano garantiti un’ipoteca su un immobile residenziale[99].
L’ampia definizione normativa porta di includere nell’ambito di applicazione della nuova disciplina una pluralità di fattispecie diverse sotto il profilo causale e contenutissimo, ma accumulare della funzione di finanziamento[100].
Tuttavia, la disciplina del credito immobiliare ai consumatori testimonia un mutamento dell’approccio al tema dell’informazione rispetto alla disciplina del credito ai consumatori ordinario. Accanto, infatti, alla tutela del consumatore attraverso il principio della trasparenza comunicativa e informativi, il legislatore pone l’accento sulla responsabilizzazione del creditore, gravandolo di un obbligo di assistenza/consulenza in modo da selezionare il prodotto finanziario più adeguato alle esigenze e alla situazione finanziaria del consumatore[101]. Inoltre, un nuovo e maggiore ruolo viene ricoperto dalla valutazione del merito creditizio, si lega, infatti, al concetto di “prestito responsabile” e l’obbligo di valutazione di quest’ultimo persegue una duplice finalità: in primo luogo, prevenire il sovraindebitamento e, in secondo luogo, garantire l’idoneità del consumatore a sopportare il costo del credito e ad adempiere all’obbligazione restitutoria[102].
La figura del prestito responsabile, infatti, si pone come contrappeso volto ad evitare o a limitare il sovraindebitamento. A tal riguardo, infatti, l'art. 120 septies T.U.B., afferma non solo il dovere del finanziatore e dell' intermediario di comportarsi "con diligenza, correttezza e trasparenza, tenendo conto dei diritti ed degli interessi dei consumatori», ma soprattutto quello di «basare la propria attività sulle informazioni rilevanti riguardanti la situazione del consumatore, su ogni bisogno particolare che questi ha comunicato, su ipotesi ragionevoli con riguardo ai rischi cui è esposta la situazione del consumatore per la durata il contratto di credito".
La disciplina vede dunque una dislocazione circolare degli obblighi di informazione, difatti, alle informazioni cui è tenuto il finanziatore, fanno seguito le informazioni che il consumatore deve fornire ai fini della valutazione del suo merito creditizio, a cui seguiranno delle informazioni di natura personalizzata volte alla scelta del prodotto più adeguato alle proprie esigenze.
In linea generale, la disciplina del contratto di credito immobiliare ai consumatori è caratterizzata da un principio di gradualità, infatti, in una prima fase le informazioni assumo la forma di annunci pubblicitari, giacché rivolti alla generalità dei destinatari ed una seconda fase avente ad oggetto informazioni precontrattuali sempre più personalizzate, indirizzate pertanto a un consumatore determinato.
In particolare l’art. 120 octies T.U.B. prescrive che le informazioni al pubblico siano forniti in forma corretta, chiara e non ingannevole e che gli annunci pubblicitari, aventi ad oggetto il tasso d’interesse e il costo del credito debbano indicare in maniera chiara, precisa ed è evidenziata, facilmente leggibile o udibile i seguenti dati: a) il finanziatore o l'intermediario del credito; b) se il contratto di credito sarà garantito da un’ipoteca; c) il tasso d’interesse; d) l’importo totale del credito; e) il TAEG; d) l'esistenza di eventuali servizi accessori il cui costo non sia incluso nel TAEG; g) la durata del contratto, se determinata; h) l’importo delle rate; i) l' importo totale dovuto; l) il numero delle rate; m) in caso di finanziamenti in valuta estera, un’avvertenza relativa al fatto che eventuali fluttuazioni del tasso di cambio potrebbe incidere sull’importo dovuto al consumatore.
Quanto alle informazioni precontrattuali l’art 120 novies, comma 1, T.U.B. obbliga il finanziatore a mettere a disposizione del consumatore su supporto cartaceo o altro supporto durevole le informazioni generali chiare e comprensibili sui contratti di credito offerti, tra cui: a) l'indicazione delle informazioni che il consumatore deve fornire ai fini della valutazione del merito creditizio; b) l'avvertimento che, in mancanza di tali informazioni, il credito al consumo non potrà essere accordato; c) se verrà consultata una banca-dati d) la possibilità, se del caso, di ricevere specifici servizi di consulenza.
A tali obblighi di comunicazione al pubblico si affiancano gli obblighi precontrattuali personalizzati, che sono regolati dall’art. 120 novies, comma 2, T.U.B. Tra tali informazioni che il finanziatore è tenuto a rendere spicca l’avvertimento al consumatore delle informazioni e dei documenti che questi devi comunicare. Sulla base delle informazioni fornite dal consumatore, in ordine anche alle esigenze dello stesso e alla sua situazione economica e finanziaria, il finanziatore a norma dell’art. 120 undecies T.U.B. effettuerà una valutazione del merito creditizio[103].
Qualora l'esito della valutazione sia positivo, in tempo utile prima che il consumatore sia vincolato al contratto di credito al consumo, a norma dell’art. 120 novies T.U.B., "il finanziatore o l'intermediario del credito deve fornire al consumatore le informazioni personalizzate necessarie per consentire il confronto delle diverse offerte di credito sul mercato, valutarne le implicazioni e prendere una decisione informata in merito alla conclusione del contratto di credito». Tali informazioni sono fornite su supporto cartaceo o altro supporto durevole attraverso la consegna del modulo denominato «Prospetto informativo europeo standardizzato".
Tuttavia, al fine di rendere pienamente consapevole la scelta del consumatore, l’art. 120 novies, comma 5, T.U.B. prevede che il finanziatore o l’intermediario fornisca al consumatore «chiarimenti adeguati sui contratti di credito ed eventuali servizi accessori proposti, in modo che questi possa valutare se il contratto di credito i servizi accessori proposti siano adatti alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria»[104]. Prima della conclusione del contratto di credito il consumatore ha diritto ad un periodo di riflessione di almeno sette giorni per confrontare le diverse offerte di credito presenti sul mercato.
Attraverso tali informazioni personalizzate si è voluto mirare a soddisfare l’esigenza di personalizzare il rapporto tra consumatore e creditore e di superare i rischi di un sistema standardizzato di informazioni, che riduce l’intero apparato degli obblighi informativi alla mera formalità della consegna del modulo.
Particolarmente importante è la disciplina dell’inadempimento del contratto di concessione di questo tipo di credito che prevede l’innovativa “clausola di risarcimento dell’inadempimento del consumatore”. In particolare, l’art. 120 quinquiesdecies T.U.B., rinvia espressamente all’art. 40, comma 2, T.U.B., in materie di mutuo fondiario, il quale fissa una nozione di inadempimento rilevante di una certa consistenza, che si potrebbe indicare come «“inadempimento qualificato” perché ben più corposo dell'inadempimento di non scarsa importanza di cui all’art. 1455 c.c.»[105]. La disposizione, difatti, collega la possibilità per il finanziatore di risolvere il contratto alla circostanza che il ritardo (tra il trentesimo e il centottantesimo giorno successivo alla scadenza della rata) o il mancato pagamento delle rate di rimborso del prestito si sia verificato almeno sette volte, anche non consecutive. In ogni caso, il finanziatore, in caso di inadempimento, non può imporre al consumatore oneri superiori a quelli necessari per compensare i costi sostenuti a causa dell’inadempimento stesso (art. 120 quinquiesdecies, comma 2, T.U.B.).
Il tenore di tale articolo è stato interpretato da parte della dottrina come norma volta a «consentire soltanto la previsione di interessi moratori che garantiscono sostanzialmente la medesima remunerazione del credito anche a seguito della mora del debitore, precludendo la previsione di interessi moratori più cospicui»[106]. Inoltre, sul punto si sottolinea che dal momento, che si tratta di una norma imperativa, la violazione dell'art. 120 quinquiesdecies, comma 2, T.U.B. determinerebbe la nullità parziale ex art. 1419 c.c. della clausola relativa al tasso degli interessi moratori, con conseguente riduzione del loro ammontare alla misura degli interessi corrispettivi[107].
Di rilevante importanza è l’art. 120 quinquiesdecies, commi 3 e 4, T.U.B., in quanto offre una tipizzazione del c.d. patto marciano[108]. Tale disposizione, infatti, prevede che fermo restando il divieto di patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c., le parti al momento della conclusione del contratto possono convenire, con clausola espressa, che in caso di inadempimento il consumatore possa estinguere integralmente il debito residuo nei confronti del finanziatore mediante il trasferimento della titolarità del bene immobile dato in garanzia oppure tramite l’acquisizione delle somme ricavate dalla sua vendita, purché effettuata al miglior prezzo possibile, con l’obbligo per il creditore di versare al consumatore l’eventuale eccedenza di valore all’importo del debito inadempiuto.
In particolare, l’art. 120 quinquiesdecies, comma 2, T.U.B. prevede che "fermo quanto previsto dall’articolo 2744 del codice civile, le parti possono convenire, con clausola espressa, al momento della conclusione del contratto di credito, che in caso di inadempimento del consumatore la restituzione o il trasferimento del bene immobile oggetto di garanzia reale o dei proventi della vendita del medesimo bene comporta l’estinzione dell’intero debito a carico del consumatore derivante dal contratto di credito anche se il valore del bene immobile restituito o trasferito ovvero l’ammontare dei proventi della vendita è inferiore al debito residuo. Se il valore dell’immobile come stimato dal perito ovvero l’ammontare dei proventi della vendita è superiore al debito residuo, il consumatore ha diritto all’eccedenza".
Tuttavia, in caso le parte ricorrano a tale clausola, l’inadempimento del consumatore si verifica soltanto al mancato pagamento di diciotto rate mensili, mentre non costituiscono inadempimenti i ritardati pagamenti che consentono la risoluzione del contratto di credito ai sensi dell’art. 40, comma 2, TUB. Nell’ottica di tutelare il consumatore, inoltre, è fatto espressamente divieto al finanziatore di condizionare la conclusione del contratto di credito alla sottoscrizione della suddetta clausola ed è previsto che il consumatore sia assistito, a titolo gratuito, da un consulente al fine di valutarne la convenienza. Inoltre, la clausola citata non può essere pattuita nel caso di surrogazione nel contratto di credito ai sensi dell’art. 120 quater T.U.B.
Uno dei tratti caratterizzanti della clausola di trasferimento ai sensi dell’art. 120 quinquiesdecies T.U.B. è la previsione dell’estinzione del debito anche quando il valore del bene o il prezzo della vendita risultino inferiori all’entità del credito residuo. La previsione dell’effetto estintivo esprime l’intenzione del legislatore di riconoscere uno specifico beneficio ad una particolare categoria di clienti nei rapporti con le banche, ossia i consumatori.
Sul punto parte della dottrina sottolinea che «ne risulta la piena legittimità del patto con il quale si assicuri non soltanto l’assenza dello squilibrio tra l’ammontare del debito e il valore del credito, sanzionato dal divieto di patto commissorio (art. 2744 c.c.), ma che addirittura offra eventualmente una tutela al debitore garantito maggiormente rispetto al ricorso alla procedura esecutiva. In tal modo, il debitore è in grado di conseguire celermente il surplus derivante dalla vendita del bene dedotta la somma dovuta, che le lungaggini la procedura esecutiva potrebbero pregiudicare, se non addirittura azzerare»[109].
Tuttavia, affinché la pattuizione sia valida, è necessario prevedere un procedimento di stima del bene al tempo dell’inadempimento e attraverso delle modalità che assicurino una valutazione imparziale dello stesso. In particolare, tale modalità sono previste dallo stesso art. 120 quinquiesdecies, comma 4, T.U.B., ove si prevede che: il valore del bene immobile oggetto della garanzia è stimato da un perito indipendente scelto dalle parti di comune accordo ovvero, in caso di mancanza di mancato raggiungimento dell'accordo, nominato dal Presidente del Tribunale territorialmente competente con le modalità di cui all’art. 696, comma 3, c.p.c., con una perizia successiva all’inadempimento[110].
La clausola marciana si integra in un istituto di diritto dei consumatori, seppure nel segno della protezione e della stabilità delle imprese finanziatrici. Tale istituto, almeno in teoria, non ha la funzione di incentivare i finanziamenti, ma serve a tutelare il consumatore nel caso in cui il finanziamento sia stato effettuato e siano sorte difficoltà nel rimborso.
La previsione del meccanismo marciano si presenta come elemento collaterale e indispensabile, a tutela del debitore, in quanto prevede la possibilità dell’estinzione del credito mediante trasferimento di un bene di valore inferiore all’ammontare del credito medesimo. Inoltre, il meccanismo marciano serve a regolare anche il caso in cui il bene da trasferire, invece di avere valore inferiore al credito garantito, si riveli di valore superiore allo stesso e mira dunque a completare il quadro delle tutele che l’articolo in esame appresta in favore del consumatore.
8. Un breve sguardo all’attuazione della direttiva 08/48/CE nel panorama europeo
La normativa comunitaria è stata è stata ampiamente recepita dai Paesi membri dell’Unione europea, ma il processo di armonizzazione europea in materia di credito al consumo si è rilevata alquanto imperfetto a causa della persistenza di diversità nelle discipline nazionali. In questa sede ci si limiterà ad uno sguardo all’esperienza francese e tedesca.
In Francia già con la Loi 66-1010 del 28-12-1966 erano state adottate una serie di disposizioni volte ad assicurare maggiore trasparenza nel campo della concessione del credito ed a limitare i tassi di interesse sui prestiti, ma è necessario attendere la Loi 78-22 del 10.01.1978, c.d. Loi Scrivenier, per assistere ad una maggiore effettività della protezione offerta all’utente di servizi finanziari al consumo, ove, in particolare, vengono previste norme volte a tutelare il diritto all’informazione, il diritto ad individuare il contenuto minimo del contratto[111].
La dottrina sottolinea che nonostante la Loi Scrivenier non venisse contemplata al suo interno una espressa nozione di consumatore, tale norma rappresentava una normativa organica, valevole per tutte le forme di credito, infatti, si applicava ad ogni operazione di credito a titolo oneroso o gratuito, salvo le eccezioni dei prestiti a breve e del credito immobiliare.[112].
Le disposizioni della c.d. Loi Scrivenier sono confluite poi, con aggiornamenti, nel Code de la consommation (introdotto con l. 93-949 del 1993) e precisamente nel Libro III nella parte intitolata all’indebitamento, da ultimo modificata con la Loi 2010-737 del 1.07.2010 in attuazione della direttiva 08/48/CE.
La volontà del legislatore francese, infatti, era quella di garantire la migliore tutela possibile per il consumatore, ma anche di riorganizzare l’intera materia[113].«Veniva definitivamente abbandonata l’ottica tradizione di favor creditoris proprio del Code civil»[114] e il centro della disciplina diventata il debitore quale parte debole del rapporto.
Il novellato articolo L. 311-1 del Code, infatti, non solo contiene una descrizione del consumatore[115], ma definisce anche il contratto di credito.
In particolare, nella normativa francese gli obblighi di trasparenza e di informazioni si estendono ad ogni forma di protezione, compresa l'offerta al pubblico. Sul versante il collegamento negoziale la Loi 2010-737 ha introdotto significative novità stabilendo che quando il credito è utilizzato esclusivamente per finanziare un contratto per la fornitura di beni o servizi specifici, i due contratti costituiscono una singola transazione d'affari. Tuttavia, ai fini di tale unicità è, altresì, necessario che l'operazione di credito sia bilaterale ovvero, che nel contratto di credito siano menzionati espressamente i beni e i servizi.
Parte della dottrina afferma che nella normativa francese è da apprezzare, in particolar modo, l'attenzione del legislatore francese al fenomeno sociale del sovraindebitamento[116].
L’ordinamento tedesco adottava, invece, già nel 1894 un archetipo della disciplina del credito al consumo con la l. Abzahlungsgesetz, sulle vendite rateali, in essa si poteva evincersi un intento protezionistico per la parte debole del rapporto contrattuale[117].
La disciplina sul credito al consumo è andata poi ad affermarsi attraverso la legge sulle condizioni generali di contratto del 1976, inoltre un ruolo di primo piano è stato svolto dalla giurisprudenza di merito e di legittimità in via di concretizzazione della clausola generale concernente la buona fede e, infine, il Vebraucherkreditgesetz del 17.12.1990 ha recepito le due dir. 87/102/CEE e 90/88/CEE sul credito al consumo.
Tuttavia, la dottrina sottolinea le peculiarità di questo ultimo provvedimento in materia di credito al consumo, infatti, la legge tedesca estendeva il suo ambito di applicazione solo ai crediti concessi alle persone fisiche, anche qualora fossero destinati all'avviamento di un'attività commerciale, professionale o industriale (figure estranee alla nozione di consumatore in senso stretto), purché, in quest'ultimo caso importo non superasse DM 100.000[118]. Inoltre, nella Vebraucherkreditgesetz mancava una definizione positiva di consumatore.
Successivamente a seguito della dir. 08/48/CEE, il legislatore tedesco, in controtendenza rispetto agli altri Stati membri dell’Unione europea, ha modificato direttamente il BGB. In particolare, il legislatore tedesco nel recepire la dir. 08/48/CE: viene delineata una maggiore centralità della figure del consumatore, infatti, la disciplina si applica solo ai contratti conclusi con un consumatore; ha introdotto una dettagliata disciplina concernente il dovere di informazione e il contenuto del contratto, in cui la forma scritta assume un ruolo di primo piano, pena la nullità relativa del contratto; ha previsto una disciplina sul recesso maggiormente incisiva e tutelante per il consumatore, infatti, è stato riconosciuto al consumatore un termine di due settimane dalla consegna del contratto per trattare il proprio consenso quindi in linea con le previsioni comunitarie veniva quindi introdotto un recesso di pensamento più ampio rispetto la previgente disciplina tedesca in materia; ha circoscritto il campo di applicazione della nuova disciplina, potendo essere applicata ai soli contratti per mezzo dei quali un creditore concede, o promette di concedere, ad un consumatore un credito a titolo oneroso in forma di mutuo, di dilazione di pagamento o di un ulteriore facilitazione bancaria; per quanto invece attiene al collegamento negoziale il legislatore tedesco ha specificato che un contratto di acquisto è da considerarsi collegato ad un contratto di credito se il credito risulta funzionale al finanziamento dell’acquisto.
Dal breve esame degli ordinamenti presi in considerazione, dunque, emerge chiaramente come le discipline interne dei singoli Stati, abbiano subito una vera e propria evoluzione, si è passati, difatti, da una disciplina basilare sul credito al consumo che prendeva in considerazione solo gli aspetti centrali di tali fattispecie ad una disciplina sempre più attenta e garantista del consumatore.
Proprio allo scopo di tutelare maggiormente il consumatore, quale parte debole del rapporto contrattuale, le direttive comunitarie, in materia di credito al consumo, sono andate ad incidere: sugli obblighi precontrattuali, sull’implementazione degli obblighi informativi, sul riconoscimento del recesso pentimento, sugli aspetti inerenti alla conclusione del contratto, sull’individuazione delle conseguenze dell’inadempimento e sulla previsione di una particolare tipologia di nullità (la nullità di protezione).
La normativa europea del credito al consumo, infatti, è caratterizzata dall’intento di uniformità ed omogeneità delle diverse legislazioni interne, difatti, le disparità esistenti fra le varie legislazioni in ambito di concessione del credito, avevano comportato distorsioni della concorrenza e del mercato.
Tuttavia, la stessa direttiva che puntava a garantire tale omogeneità, contemplava però al suo interno una serie di deroghe al principio di armonizzazione, lasciando in tal modo margini di discrezionalità ai legislatori interni e compromettendo, in parte, lo scopo di armonizzazione prefissato.
Tutto ciò è evidente dal fatto che, anche a seguito del recepimento della dir. 08/48/CE, nelle varie legislazioni interne si sono registrate molte differenze frutto delle scelte compiute in sede di attuazione della stessa. Tali differenze, purtroppo, rendono, in parte, ancora lontana l’omogeneità della disciplina a livello europeo del credito ai consumatori.
[1] Per un approfondimento sul punto cfr. ALPA G., Credito al consumo, in Digesto civ., V, Torino, 1989, cit. 23. Ove si evidenzia che il fenomeno del credito al consumo ha iniziato a svilupparsi tra il XIX e XX secolo sulla scia del consumismo ed ha segnato il passaggio dalla “cash society” alla “credit society”, in cui il consumatore non è più un pagatore con risorse proprie bensì un acquirente a credito.
[2] Sul punto cfr. BESSONE M., Mercato del credito, credito al consumo, tutela del consumatore, in Foro it., 1980, 82 ss.
[3] Cfr. GALGANO F., Diritto ed economia alle soglie del nuovo millennio, in Contratto e impresa, 2000, 919. In generale sul punto cfr. SORI E., Dal pauperismo al consumismo: la traiettoria storica del credito al consumo, in VILLANACCI (a cura di), Credito al consumo, Napoli, 2010, 89 ss., il quale traccia un breve excursus storico del credito al consumo: come si giunse a condannarlo, come la condanna fu temperata e aggirata, come infine esso venne accettato e incoraggiato. In origine il prestito a interesse, difatti, veniva condannato aspramente dalla Chiesa cristiana, tanto che fino al XII secolo era vietato. Al rinascere delle città, delle manifatture e del commercio, le cose cambiarono, tanto che anche la Chiesa iniziò ad accertane l’idea. Tuttavia, il vero segnale significativo, si ebbe nel 1462 con la nascita dei Monti di Pietà, quali istituzioni autorizzate dai pubblici poteri e dotate di competenze esclusiva in materia di attività di credito. Tuttavia, al dilagarsi in tutta Europa di tale fenomeno, contribuì un altro fattore decisivo: la Riforma Protestante con cui cessava l’identificazione tra prestito a interesse e usura.
[4] Per un approfondimento sul punto cfr. SORI E., op. ult. cit., 93 ss.
[5] Così SORI E., op. ult. cit., 94.
[6] In generale sul punto cfr. ROSSI G., Il credito al consumo: dal fenomeno socio-economico alla fattispecie contrattuale, Padova, 2017, 5 ss. La quale sottolinea che in Europa l’indebitamento e la rateizzazione erano visti come sudditanza al prestatore.
[7] La propensione al consumo, infatti, per gli economisti veniva considerata come parametro inversamente proporzionale alla ricchezza del Paese e quindi ogni suo incremento positivo veniva valutato in termini economi negativi, mentre basse percentuali erano indice di una migliore situazione economica.
[8] In Inghilterra nella prima metà del 1800 il banco dei pegni utilizzava il credito al consumo per gestire la povertà urbana e nella seconda metà dell’800 nascevano i grandi magazzini e le cooperative di dettaglianti che promuovevano gli acquisti di beni durevoli a rate. Nel periodo tra le due guerre si formarono le prime finanziarie specializzate nella diffusione dei nuovi beni di consumo durevoli e negli anni ’30 il credito al consumo divenne uno strumento di sopravvivenza per i disoccupati. Cfr. SORI, Dal pauperismo al consumismo: la traiettoria storica del credito al consumo, in VILLANACCI (a cura di), Credito al consumo, Napoli, 2010, 89 95 s.
[9] Per tutto il 1800 l’attività di credito fu svolta dai Monti di Pietà quali istituzioni autorizzate dai pubblici poteri e dotate di competenze esclusiva in materia. È tra il 1865 e 1913 che si segnalano le prime iniziative di credito privato provenienti dal commercio, con particolare riferimento alle attrezzature per l’abitazione. Tuttavia, solo dopo la Prima guerra mondiale con il mercato delle automobili e ancora di più dagli anni ’50 con il boom economico il credito al consumo divenne uno strumento di regolazione dei rapporti economici. V. SORI E., op. ult. cit., 97.
[10] Sul punto MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, 510, sottolinea che da un punto di vista formale, con l’intervento del terzo finanziatore si andava realizzando una scomposizione dell’affare in più contratti distinti, sebbene a questa scomposizione formale corrispondesse una unità sostanziale dell’operazione economica, difatti, il contratto di finanziamento e quello di vendita non risultavano autonomi, ma strettamente connessi l’uno all’altro. Esisteva, difatti, uno scopo unitario dell’operazione economica che plasmava l’intero regolamento contrattuale.
[11] La dir. 08/48/CE rispecchia la volontà del legislatore europeo di procedere ad una armonizzazione massima del quadro normativo regolamentare ed amministrativo degli Stati membri in tema di contratti di credito ai consumatori, al fine di porre rimedio ai problemi che erano emersi nel mercato europeo del credito al consumo a causa della difformità normativa riscontrata nel corso degli anni presso le legislazioni dei diversi Stati membri. V. considerando 9 della Dir. 08/48/CE.
[12] Le principali novità introdotte dal d.lgs. n. 141/2010 riguardano: i contenuti essenziali della pubblicità dei contratti di credito, gli obblighi precontrattuali gravanti sui creditori e sugli intermediari del credito, la forma e il contenuto del contratto, gli obblighi informativi gravanti sui creditori nel corso dell’esecuzione del contratto, il diritto di recesso del creditore e del consumatore, l’anticipato pagamento dell’intero debito gravante sul consumatore, le eccezioni opponibili dal consumatore al cessionario in caso di cessione dei diritti derivanti dal contratto di credito, il metodo di calcolo del TAEG, ed infine la disciplina dei contratti di credito collegati.
[13] Sul punto cfr. MODICA L., Il credito ai consumatori, in PIRAINO F.-CHERTI S. (a cura di), I contratti bancari, Torino, 2016, 269 s.
[14] Cfr. art. 122, comma 1, T.U.B. ove vengono individuate le fattispecie sottratte alla disciplina del credito al consumo. Si ricordano, a titolo meramente esemplificativo, che tale disciplina non trova applicazione in caso di: finanziamenti di importo inferiore a 200 euro o superiore a 75.000 euro; contratti di somministrazione e di appalto; finanziamenti nei quali è escluso il pagamento di interessi e oneri; contratti di finanziamento mediante sconfinamento in conto corrente; contratti di locazione, a condizione che in essi sia prevista l’espressa clausola che in nessun momento la proprietà della cosa locata possa trasferirsi, con o senza corrispettivo, al locatario.
I commi che seguono il suddetto articolo introducono, invece, esclusioni parziali, tra i quali si evidenziano i contratti di locazione finanziaria (leasing) che, anche sulla base di accordi separati, non comportano l’obbligo di acquisto della cosa locata da parte del consumatore, non si applica l’art. 125 ter, commi da 1 a 4. Per un approfondimento e un’analisi critica sul recepimento della direttiva circa tali fattispecie escluse cfr. MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, 529 ss., il quale, in particolar modo, critica l’esclusione dei contratti di locazione, nei quali l’elemento idoneo a sottrarre tali contratti dalla disciplina del credito al consumo viene individuato nella previsione nel contratto della clausola espressa «che in nessun modo la proprietà della cosa locata possa trasferirsi, con o senza corrispettivo, al locatario». In tal modo, lo stesso sottolinea che tale linguaggio potrebbe indurre a ritenere che tutti i contratti di locazione sprovvisti della menzionata clausola siano da ricondurre alla disciplina del credito al consumo. Tuttavia, sul punto lo stesso afferma che l’interprete potrà, attraverso il criterio dell’interpretazione teleologica, escludere tali contratti che, a prescindere da tale clausola, non realizzino la causa di credito al consumo di cui all’art. 121, comma 1, T.U.B.
[15] Per un’analisi delle diverse tipologie di prodotti rientranti nel contratto di credito al consumo cfr. CARINGELLA F.-BUFFONI L., Manuale di diritto civile, Roma, 2018, 1322 s.
[16] In particolare: il prestito personale prevede il finanziamento di una somma a un tasso di interesse in generale fisso e rimborsabile secondo un piano di ammortamento a rate costanti; il credito revolving o rotativo è una linea di credito spesso concessa attraverso l’ausilio di una carta di credito revolving, ove il plafond può essere utilizzato dal titolare della carta fino al suo limite massimo e si ricostituisce in seguito ai rimborsi delle somme utilizzate, tornando nuovamente a disposizione del consumatore. La carta revolving non è uno strumento di pagamento, ma un vero e proprio finanziamento, sul quale dovranno essere pagati gli interessi oltre al rimborso del capitale; la cessione del quinto dello stipendio, si tratta di un finanziamento finalizzato a dilazionare gli impegni economici. In particolare, l’importo della rata mensile viene trattenuta in busta paga, ma non può essere superiore al quinto dello stipendio del dipendente o della pensione. Il datore di lavoro o l’ente di erogazione della pensione dispone direttamente il pagamento della rata verso la banca, previa opportuna delega del richiedente a favore dell’azienda a prelevare mensilmente dallo stipendio l’importo necessario al rimborso delle rate.
[17] Nello specifico, il prestito finalizzato è un finanziamento accesso solitamente presso un rivenditore il cui importo viene destinato esclusivamente all’acquisto di un bene durevole o di un servizio specifico. L’importo finalizzato, al contrario del prestito personale, viene liquidato direttamente al rivenditore del bene e/o servizio oggetto del prestito.
[18] Sul concetto di consumatore cfr. GABRIELLI E., Sulla nozione di consumatore, in Scritti in onore di Massimo Bianca, Milano, 2006, 227 ss.
[19] Sul punto MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, 523.
[20] L’art. 125 nonies T.U.B. obbliga l’intermediario del credito ad indicare negli annunci pubblicitari e nei documenti destinati ai consumatori l’ampiezza dei propri poteri ed in particolare se egli operi a titolo esclusivo con uno o più finanziatori oppure a titolo di mediatore. È altresì previsto che il compenso del servizio di intermediazione sia oggetto di accordo tra consumatore e intermediario da redigere su supporto cartaceo o altro supporto durevole prima della conclusione del contratto di credito e che l’intermediario comunichi tale importo al finanziatore al fine del calcolo del TAEG.
[21] Così MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, 527; OPPO G., Note sulla contrattazione d’impresa, in Riv. dir.civ, I, 1995, 669. Per un’analisi circa i vari orientamenti dottrinali cfr. CARINGELLA F.-BUFFONI L., Manuale di diritto civile, Roma, 2018, 1098 s.
[22] Cfr. Corte di Giustizia 20.1.2005, causa C-464/01. Per un’analisi circa l’applicabilità della disciplina del credito al consumo ai contratti c.d. misti e un approfondimento circa il relativo dibattito dottrinale v. CARINGELLA F.-BUFFONI L., op. ult. cit., 1100 s. Ove si sottolinea che, sotto il profilo probatorio, spetta al soggetto che fa valere lo status di consumatore, al fine di avvalersi della relativa disciplina, dimostrare che, nel contratto misto, l’uso professionale ha un ruolo meramente marginale, mentre la parte avversa avrà il diritto di fornire la prova contraria.
[23] Così BIFERALI G., Il credito ai consumatori, in CASSANO G.-CATRICALÀ A.-CLARIZIA R. (a cura di), Concorrenza, mercato e diritto dei consumatori, Milano, 2018, cit., 1847.
[24] Così MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, 163 ss.
[25] Per un’analisi sulle varie tesi dottrinali cfr. CARINGELLA F.-BUFFONI L., Manuale di diritto civile, Roma, 2018, 1099 s.
[26] Così, MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, cit., 529 il quale sottolinea che tale condotta potrebbe sollecitare condotte di interposizione simulatoria con le quali una persona fisica acquista formalmente a suo nome e per suo conto, ma in realtà si rende tramite dell’acquisto dell’ente. Il quale, inoltre, evidenzia come la dir. 15/2302/UE in materia di pacchetti turistici e servizi turistici collegati che, nel considerando n.7 riconosce la qualifica di consumatore anche a «rappresentanti di piccole imprese o liberi professionisti che prenotano viaggi legati alla loro attività commerciale o professionale tramite gli stessi canali usati dai consumatori», v. MAZZAMUTO, op. ult. cit., 163 s.; per lo stesso orientamento v. PLAIA, Nozione di consumatore, dinamismo concorrenziale ed integrazione comunitaria del parametro di costituzionalità, in Foro it., I, 2003, 340 s. Per la tesi opposta cfr. BIFERALI G., Il credito ai consumatori, in CASSANO G.-CATRICALÀ A.-CLARIZIA R. (a cura di), Concorrenza, mercato e diritto dei consumatori, Milano, 2018, 1847; ALESSI R., La disciplina generale del contratto, Torino, 2015, 113.
[27] Cfr. Corte di Giustizia 22.11.2001, causa C-541-1996.
[28] Cfr. Corte cost. sent. n. 469/2002.
[29] Sugli obblighi di informazione a tutela del consumatore cfr. ALESSI, Doveri di informazione, in CASTRONOVO-MAZZAMUTO (a cura di), Manuale di diritto europeo, Milano, 2007, 391 ss. Per un approfondimento, invece, sulla debolezza dell’impresa (c.d. “terzo contratto”) la quale si annida, a differenza che per il consumatore, nella dipendenza economica della stessa nei confronti di una o più imprese, cfr. LABELLA E., Tutela della microimpresa e “terzo contratto”, in Europa dir. Priv., 2015. 857 ss.
[30] In linea generale, è possibile affermare che la disciplina comunitaria non contempla, tuttavia, sanzioni a carattere generale per le ipotesi di violazione di tali obblighi ma si limita ad introdurre alcune misure specifiche come, il prolungamento dei termini per recesso di pentimento in caso di mancata informazione del consumatore sul regime dello strumento.
[31] Così MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, cit., 539. Circa la natura e le conseguenze della violazione degli obblighi di informazione nei contratti dei consumatori, vi sono differenti orientamenti: un primo indirizzo fa leva sulla collocazione logico-temporale degli obblighi di informazione e li colloca nella fase delle trattative, ricollegandoli in tal modo alla disciplina prevista dal codice civile per la trattativa ordinaria e quindi all’ambito di applicazione dell’art. 1337 c.c.; un secondo indirizzo punta sul loro carattere inderogabile, connesso alla funzione di protezione del consumatore voluta dal legislatore e ritiene, quindi, che la loro violazione determina la nullità relativa del contratto successivamente concluso; un terzo indirizzo si mostra propenso a collocarli nella fase della formazione della volontà del consumatore e, quindi, propone che il consumatore non adeguatamente informato venga considerato in errore e quindi possa chiedere l'applicazione del rimedio previsto in via generale per i vizi della volontà ossia l'annullamento il contratto; un quarto indirizzo, in ossequio al principio di conservazione dell’atto, prevede l’inefficacia delle condizioni oggetto di informazione carente o erronea, lasciando, invece, inalterate le restanti clausole contrattuali. Inoltre, secondo altra parte della dottrina, la violazione dei doveri precontrattuali di informazione determina la nullità di protezione del contratto, relativa e virtuale, in alternativa l’annullamento del contratto, dovuto all’errore in cui è incorso il consumatore a causa dell’informazione carente o erronea. Tuttavia, l'orientamento oggi prevalente afferma che gli obblighi legali di informazione costituiscono delle regole di condotta destinate ad orientare il contegno del professionista nel corso del rapporto, la loro violazione deve essere qualificata come inadempimento ossia come vicenda propria del rapporto contrattuale, sicché la sanzione più adeguata è la risoluzione del contratto. La stessa parte di dottrina, sul punto, sottolinea, che il consumatore gode dunque di un’alternativa: può domandare la risoluzione del contratto e il connesso risarcimento del danno, ma sarà tenuto alla restituzione di quanto abbia eventualmente ricevuto da controparte in esecuzione al contratto oppure può chiedere il solo risarcimento del danno, trattenendo quindi le prestazioni già eseguite, il cui valore verrà defalcato nella commisurazione del risarcimento all’interesse positivo. Per un approfondimento sul punto e per un’analisi dei vari orientamenti dottrinali cfr. ROSSI G., Il credito al consumo: dal fenomeno socio-economico alla fattispecie contrattuale, Padova, 2017, 183 ss.
[32] Così BESSONE M., Istituzioni di diritto privato, Torino, 2012, cit., 588; VETTORI G., Contratto e responsabilità. Il contratto dei consumatori, dei turisti, dei clienti, degli investitori e delle imprese deboli: oltre il consumatore, Padova, 2013, 562.
[33] Cfr. dir. CE 2008/48, considerando n. 18: «[…] la presente direttiva dovrebbe contenere disposizioni specifiche sulla pubblicità relativa ai contratti di credito e su alcune informazioni di base da fornire ai consumatori per metterli in grado, in particolare, di paragonare le varie offerte […]».
[34] A differenza della normativa comunitaria l'art. 123 T.U.B. non contempla tra le informazioni obbligatorie il tasso debitore. Tuttavia, a livello di fonti normative secondarie, è comunque previsto che tutte le informazioni relative a tassi, spese, oneri e rischi dell'operazione siano contenuti in quei “fogli illustrativi”, datati e tempestivamente aggiornati, che il finanziatore o l'intermediario del credito sono tenuti a mettere a disposizione del cliente.
Inoltre, parte della dottrina afferma che: l’art. 123, comma 1, T.U.B., nel fissare il regime degli obblighi di informazione nella fase della pubblicità, fa salve le norme in materia di pratiche commerciali scorrette ai sensi degli artt. 20 ss. cod. cons. «Di conseguenza, quando la condotta del finanziatore violi l’obbligo di informazione precontrattuale in materia di credito ai consumatori e, al contempo integri una pratica commerciale scorretta, potrebbero sorgere problemi di coordinamento o sovrapposizione tra le sanzioni irrogabili dalla AGCM e dalla Banca d’Italia»; cfr., BIFERALI G., Il credito ai consumatori, in CASSANO G.-CATRICALÀ A.-CLARIZIA R. (a cura di), Concorrenza, mercato e diritto dei consumatori, Milano, 2018, cit., 1845.
[35] Sul punto, la Corte europea di Giustizia nella sentenza del 15.01.2012, causa C-453/10 ha chiarito che la menzione nel contratto di credito di un TAEG inferiore a quello reale costituisce una pratica commerciale ingannevole.
[36] Le Disposizioni di Vigilanza di Banca d’Italia del 9 febbraio 2011, dispongono che il consumatore sia informato riguardo all’identità del creditore, in merito a tutti i principali elementi di natura economica e normativa del rapporto. Nonché tali disposizioni sanciscono che siano adottate procedure interne affinché il consumatore possa ottenere gratuitamente spiegazioni sulla documentazione precontrattuale fornitagli, sulle caratteristiche essenziali del prodotto offerto e sugli effetti che possano derivargli dalla conclusione del contratto in termini di obblighi economici e conseguenze del mancato pagamento. Anche il CICR con la deliberazione del 4.03.2003 si è soffermato sulla trasparenza delle operazioni bancarie e, in particolare, sugli obblighi di pubblicità preventiva, al fine di garantire maggiore effettività al processo di formazione della volontà consapevole del cliente. Ove, l'art. 4 di tale della delibera impone al intermediari, in conformità alle prescrizioni emanate dalla Banca d'Italia, di esporre nei loro locali aperti al pubblico e di mettere a disposizione della clientela un avviso denominato “principali norme di trasparenza” contenente l'indicazione dei diritti e dei mezzi di tutela previsti dal Titolo IV del T.U.B., relativo alla trasparenza delle condizioni contrattuali delle operazioni e dei servizi bancari finanziari e delle operazioni di credito al consumo. L’art. 5 di suddetta delibera, a sua volta, impone agli intermediari di mettere a disposizione della clientela “fogli informativi”, datati e tempestivamente aggiornati, e contenenti informazioni sull’intermediario, su tassi, spese, oneri e altre condizioni contrattuali, nonché sui principali rischi tipici dell'operazione o del servizio. La Banca d'Italia ha facoltà di individuare operazioni e servizi particolarmente complessi per i quali intermediario è tenuto a consegnare il foglio informativo al cliente ancor prima della conclusione del contratto. L'obbligo di consegna sussiste anche nel caso di offerta fuori sede dell’operazioni e del servizio e riguarda non solo i fogli informativi di cui all'art. 5, ma anche l'avviso di cui all’art. 4. Nell’ipotesi di negoziazione a distanza, l'intermediario è tenuto anche a mettere a disposizione l'avviso e i fogli informativi mediante tecniche di comunicazione a distanza. Infine, l'art. 8 prescrive che gli annunci pubblicitari con cui l'intermediario rende nota la disponibilità di operazioni e servizi, quale che sia la forma, contengano le specificazioni della loro natura di messaggi pubblicitari e l’indicazione che i fogli informativi sono a disposizione la clientela.
[37] Così MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, cit., 540.
[38] Dal TAEG vengono escluse le voci analiticamente e tassativamente elencate dall’art. 2, comma 4, d.m. 8.01.1992.
[39] MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, cit., 540 s., sottolinea che l’elemento di novità risiede nel carattere effettivo di tale indicatore, che innova una tradizione saldamente ancorata al principio nominalistico. In particolare, il tasso nominale esprime in termini percentuali il costo annuo del finanziamento, ma non tiene conto di due elementi: il tempo della scadenza degli interessi e le spese dell’operazione. La distinzione tra interesse effettivo ed interesse nominale risiede, difatti, nella considerazione dal primo assegnata al tempo delle erogazioni da parte del finanziatore e dei pagamenti da parte del debitore nonché agli oneri sopportati dal debitore.
[40] Si tratta di un vero e proprio obbligo di assistenza nei confronti del consumatore che, tuttavia, non grava sui fornitori di merci o prestatori di servizi che distribuiscono finanziamenti a titolo accessorio (i c.d. dealers), rispetto ai quali il finanziatore rimane comunque responsabile sia dell’adozione di misure idonee a che i consumatori ricevano le informazioni previste, sia che i dealers rispettino la disciplina loro applicabile. V. VETTORI G., Contratto e responsabilità. Il contratto dei consumatori, dei turisti, dei clienti, degli investitori e delle imprese deboli: oltre il consumatore, Padova, 2013, 562.
[41] Così MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, cit., 538.
[42] Così BIFERALI G., Il credito ai consumatori, in CASSANO G.-CATRICALÀ A.-CLARIZIA R. (a cura di), Concorrenza, mercato e diritto dei consumatori, Milano, 2018, 1851; BESSONE M., Istituzioni di diritto privato, Torino, 2012, 837; MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, 539.
[43] In dottrina la previsione di un obbligo di valutare il merito creditizio del consumatore è stata criticata, poiché avrebbe valenza autonoma solo nei casi in cui il finanziatore non abbia un interesse proprio a valutare la capacità del debitore; cfr. In questo senso GORGONI M., Spigolature su luci (poche) e ombre (molte) della nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori, in Resp. civ. e prev., 4/2011, 755 ss. Altra parte della dottrina, invece, nell’intento di assicurare all’art. 124 bis TUB una portata autonoma in linea con i principi ispiratori della normativa sul credito al consumo, tende a riconoscere alla disposizione in commento la volontà di responsabilizzare sia l’assunzione del debito, sia l’erogazione del credito. Sul punto, viene sottolineato, difatti, che coinvolgendo attivamente il creditore, si potrebbero impedire i “fallimenti del mercato” rappresentati, nella specie, dal sovraindebitamento del consumatore. Sul punto v. DE CHIARA R., La nuova disciplina del credito al consumo, in Rivista elettronica di Diritto, Economia, Management, Roma-Lecce, 1/2011, 129.
[44] Così MODICA L., Concessione «abusiva» di credito ai consumatori, in Contratto e impresa, 2012, cit., 493.
[45] Completa il contenuto dispositivo dell’art. 124 bis T.U.B. il decreto ministeriale del 201139, il cui art. 6 stabilisce che «al fine di evitare comportamenti non prudenti e assicurare pratiche responsabili nella concessione del credito, i finanziatori assolvono all’obbligo di verificare il merito creditizio del consumatore […] applicando le procedure, le metodologie e le tecniche relative alla valutazione e al monitoraggio del merito creditizio dei clienti previste ai fini della sana e prudente gestione dei soggetti vigilati dagli articoli 53, 67, 108, 109 e 114 quaterdecies del TUB e dalle relative disposizioni di attuazione».
[46] Così BIFERALI G., Il credito ai consumatori, in CASSANO G.-CATRICALÀ A.-CLARIZIA R. (a cura di), Concorrenza, mercato e diritto dei consumatori, Milano, 2018, 1856; ROSSI G., Il credito al consumo: dal fenomeno socio-economico alla fattispecie contrattuale, Padova, 2017, cit., 67, la quale sottolinea che «la lettura combinata degli artt. 8 e 9 della dir. 2008/48/CE, rende chiaro come nella volontà del legislatore comunitario non vi sia mai stata l’intenzione di introdurre un obbligo di verifica del merito creditizio in sé e per sé considerato, […], bensì semplicemente un dovere di motivare il rifiuto di concessione del credito, obbligo, questo, che viene assolto mediante invio alla valutazione (negativa) del merito creditizio effettuata.
[47] Così ROSSI G., op. ult. cit., 72.
[48] L’art. 23, Dir. CE 2008/48 stabilisce che: «Gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate a norma della presente direttiva e prendono tutti i provvedimenti necessari per garantirne l’attuazione. Le sanzioni previste devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive». Sul punto, la Corte europea di Giustizia, sent. 27.03.2014, causa C-565/12 ha sancito che: è contrario ad una norma nazionale, in forza della quale, in caso di violazione, da parte del creditore, del suo obbligo precontrattuale di valutare la solvibilità del debitore consultando la banca dati pertinente, il creditore decada dal suo diritto agli interessi convenzionali, ma benefici di pieno diritto agli interessi al tasso legale. Ciò, infatti, non tutelerebbe il consumatore quanto, gli importi che possono essere effettivamente riscossi del creditore in seguito all'applicazione della sanzione della decadenza degli interessi non sono notevolmente inferiori a quelli di cui avrebbe potuto beneficiare se avesse ottemperato al suo obbligo di verifica della solvibilità del debitore.
[49] Sul punto, parte della dottrina afferma che, non essendo previsto alcun obbligo di verifica, non è possibile configurare una responsabilità di natura contrattuale del creditore, né in caso di mancata valutazione del merito creditizio, né in caso di esito negativo di tale valutazione a cui segua ugualmente la concessione del credito; altra parte della dottrina, invece, afferma che tale silenzio normativo confermerebbe che il dovere di valutazione del merito creditizio sia stabilito a tutela del solo finanziatore; altri ritengono configurabile una responsabilità da status (violazione dell’affidamento sulle capacità anche tecniche e organizzative del finanziatore); altri condividendo che l’art. 124 bis T.U.B. sia una concretizzazione per ciascuna operazione contrattuale di una regola inerente all’attività imprenditoriale della banca, affermano che la sua violazione può soltanto produrre un danno ingiusto risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c.; altra parte della dottrina, invece, evidenzia che, data la segnalata diversità tra finanziamento all’impresa e finanziamento ai consumatori, e considerando in particolare che il “credito” non è consustanziale all’attività del consumatore (come invece lo è per l’attività imprenditoriale), ritenere che una responsabilità della banca nei confronti dei creditori del consumatore non sia configurabile, salo in comprovati casi di dolo. Per quanto riguarda, invece, la tutela riconosciuta agli altri creditori, parte della dottrina ritiene che la violazione del dovere di corretta erogazione del credito, compromettendo la capacità di adempiere del debitore consumatore, possa rendere il finanziatore responsabile anche nei confronti degli altri creditori, inquadrando in tal modo la responsabilità del finanziatore nell’alveo della responsabilità di natura contrattuale. Per un’analisi puntuale circa i vari orientamenti dottrinali cfr. BIFERALI G., Il credito ai consumatori, in CASSANO G.-CATRICALÀ A.-CLARIZIA R. (a cura di), Concorrenza, mercato e diritto dei consumatori, Milano, 2018, cit., 1855 ss.
[50] Così BIFERALI G., Il credito ai consumatori, in CASSANO G.-CATRICALÀ A.-CLARIZIA R. (a cura di), Concorrenza, mercato e diritto dei consumatori, Milano, 2018, cit., 1852 s.
[51] Così MAZZAMUTO S., op. ult. cit., 241.
[52] Così MAZZAMUTO S., op. ult. cit., 239.
[53] Tuttavia, l’art.117, comma 2, TUB attribuisce al CICR il potere di dispensare dall'onere della forma scritta un ventaglio di contratti ove sussistano «motivate ragioni tecniche In particolare, la delibera CICR dispensa della forma scritta le operazioni di servizi effettuati in esecuzione di previsioni contenute in contratti redatti per iscritto ovvero presentati in via occasionale (come, gli ordini di pagamento a favore di terzi, seppur con limite di valore) e l'emissione di moneta elettronica con carte usa e getta. Non esonera, comunque, da forma scritta le integrazioni di un contratto precedentemente concluso (come potrebbe ritenersi la concessione orale del credito revolving).
[54] Così CARINGELLA F.-BUFFONI L., Manuale di diritto civile, Roma, 2018, 1324; ROSSI G., Il credito al consumo: dal fenomeno socio-economico alla fattispecie contrattuale, Padova, 2017, 171; BIFERALI G., Il credito ai consumatori, in CASSANO G.-CATRICALÀ A.-CLARIZIA R. (a cura di), Concorrenza, mercato e diritto dei consumatori, Milano, 2018, cit., 1859; MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, 543; BESSONE M., Istituzioni di diritto privato, Torino, 2012, 836.
[55] In particolare, l'art. 33, comma 1, cod. cons. definisce vessatorie le clausole che «malgrado la buona fede determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto». Tali clausole richiedono un apprezzamento da parte del giudice il quale dovrà valutarne la vessatorietà in rapporto al significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
L'art. 33, comma 2, cod. cons contiene, invece, un'elencazione di clausole (c.d. lista grigia) la cui vessatorietà è presunta fino a prova contraria. Laddove in un contratto sia inserita una di queste clausole, il consumatore non sarà, dunque, gravato da particolari oneri probatori, potendo far valere la vessatorietà della stessa allegandone nei semplicemente l'appartenenza alla suddetta elencazione. Viceversa, spetterà al professionista dimostrare che la clausola non ha carattere vessatorio. In particolare, il legislatore ha previsto che la presunzione relativa di vessatorietà può essere superata in due modi, ovvero: provando che la clausola riproduce il contenuto di disposizioni legislative o di una delle altre fonti indicate all'art. 34, comma 3, cod. cons. oppure che la stessa è stata oggetto di trattativa individuale. Tuttavia, ad escludere la vessatorietà in tal caso non basta la mera adesione formale (come la sottoscrizione, a parte, sufficiente ai sensi l'art. 1341, comma 2, c.c.), ma occorre una trattativa individuale, dovendosi intendere con ciò che al consumatore deve essere stato consentito di intervenire nella formulazione della clausola.
L’art. 36, comma 2, cod. cons., invece, enuclea una serie di clausole (c.d. lista nera) che si presumono iuris et de iure vessatorie e, dunque, non ammettono prova contraria.
Tuttavia, al di là delle specifiche indicazioni di legge in ordine alla vessatorietà di determinate clausole, è opportuno ritenere che le clausole vessatorie costituiscono una categoria aperta con la conseguenza che il consumatore potrà comunque ai fini dell’applicazione della tutela consumeristica, provare che una clausola non legislativamente tipizzata produca in concreto un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto e sia contraria alla buona fede oggettiva. V. CARINGELLA F.-BUFFONI L., Manuale di diritto civile, Roma, 2018, 1100 ss.
[56] Al riguardo occorre rilevare che la nullità di protezione è strutturalmente parziale e pone, pertanto, il problema se l'accertamento del vizio determini automaticamente la caducazione della clausola ovvero se ne sia possibile una integrazione giudiziale. La Corte europea di Giustizia in più occasioni ha stabilito che l'eventuale integrazione rimane possibile soltanto laddove il contratto privo della clausola caducata non possa assolvere la propria funzione. Cfr. fra le molte CEG 14.06.2012, causa C-618/10; CEG 21.01.2015, causa C-482/13
[57] ROSSI G., Il credito al consumo: dal fenomeno socio-economico alla fattispecie contrattuale, Padova, 2017, cit., 171.
[58] Così ROSSI G., op. ult. cit., 173.
[59] Cfr. MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, cit., 544.
[60] Così BIFERALI G., Il credito ai consumatori, in CASSANO G.-CATRICALÀ A.-CLARIZIA R. (a cura di), Concorrenza, mercato e diritto dei consumatori, Milano, 2018, cit., 1859.
[61] Così BIFERALI G., op. ult. cit. 1859.
[62] L’art. 121, comma 1, lett. i), T.U.B. definisce lo sconfinamento come «l’utilizzo da parte del consumatore di fondi concessi dal finanziatore in eccedenza rispetto al saldo del conto corrente in assenza di apertura credito ovvero rispetto all’importo dell’apertura di credito concessa».
[63] Per il provvedimento attuativo v. Banca d’Italia, Provv. 9 febbraio 2011: Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari - Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti - Recepimento della Direttiva sul credito ai consumatori, pubblicato nella Gazz. Uff. 16 febbraio 2011, n. 38.
[64] Tale fattispecie abbraccia contratti di finanziamento rivolti all'acquisto di beni o di servizi già determinato al momento dell'erogazione del credito, e dunque, presuppone un collegamento negoziale particolarmente stretto ed evidente tra il contratto di credito al consumo e del successivo contratto di acquisto, al punto da inserire già nel contratto di finanziamento le condizioni essenziali sulle caratteristiche dell'oggetto da acquistare e delle condizioni iniziali del trasferimento.
[65] Salvo il caso in cui il credito al consumo sia concesso sotto forma di dilazione di pagamento. L’art. 122, comma 5, T.U.B., infatti, prevede che nessun interesse possa essere richiesto dal venditore.
[66] Così CARINGELLA F.-BUFFONI L., Manuale di diritto civile, Roma, 2018, 1324; ROSSI G., Il credito al consumo: dal fenomeno socio-economico alla fattispecie contrattuale, Padova, 2017, 172.
[67] Cfr. A.B.F., coll. coord., 12.10.2012, n. 3257.
[68] Così CARINGELLA F.-BUFFONI L., Manuale di diritto civile, Roma, 2018, cit., 1325.
[69] In questo caso la modifica può investire anche le clausole che impongono oneri economici al cliente: tassi di interesse, prezzi ed ulteriori condizioni previste dal contratto. Nella relazione illustrativa del decreto si legge che, in ogni caso, con la locuzione «ulteriori condizioni» si è voluto precisare che l'esercizio dello ius variandi non può mai tradursi nell’introduzione ex novo di clausole originariamente non previste nel regolamento contrattuale. Così MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, cit., 560.
[70] Così MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, cit., 249.
[71] Così MENGONI L., Autonomia privata e Costituzione, in Banca, Borsa e titoli di credito, 1997, cit., 15.
[72] Così PADOVINI F., I contratti di credito ai consumatori. Il recesso e l’estinzione del rapporto, in Banca borsa tit. cred., 2011, I, 700.
[73] Tuttavia, in caso di uso di tecniche di comunicazione a distanza, il termine è calcolato secondo l’art. 67 duodecies, comma 3, cod. cons.
[74] Così BIFERALI G., Il credito ai consumatori, in CASSANO G.-CATRICALÀ A.-CLARIZIA R. (a cura di), Concorrenza, mercato e diritto dei consumatori, Milano, 2018, cit., 1863.
Secondo una parte della dottrina, questa disposizione, nell’ipotesi in cui il termine per il recesso, di cui al comma 1, slitti – superando i quattordici giorni – a causa della mancata o tardiva consegna della copia del contratto, ovvero dell’assenza di determinate informazioni nel documento contrattuale, potrebbe creare una situazione di paradossale svantaggio per il consumatore, sul quale ricadrebbero gli effetti dell’inadempimento del finanziatore agli obblighi informativi e non in linea con la consumer protection cui si vuole tendere. Così VETTORI G., Contratto e responsabilità. Il contratto dei consumatori, dei turisti, dei clienti, degli investitori e delle imprese deboli: oltre il consumatore, Padova, 2013, cit., 571 s. Altra parte della dottrina sottolinea che qualora si verifichi tale situazione, è preferibile l’interpretazione secondo la quale il finanziatore può pretendere solamente la restituzione della somma finanziata, oltre agli interessi legali. Per tale orientamento v. BIFERALI G., Il credito ai consumatori, in CASSANO G.-CATRICALÀ A.-CLARIZIA R. (a cura di), Concorrenza, mercato e diritto dei consumatori, Milano, 2018, cit., 1863.
[75] Così MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, cit., 558.
[76] Così BESSONE M., Istituzioni di diritto privato, Torino, 2012, cit., 837.
[77] Così BIFERALI G., Il credito ai consumatori, in CASSANO G.-CATRICALÀ A.-CLARIZIA R. (a cura di), Concorrenza, mercato e diritto dei consumatori, Milano, 2018, cit., 1864.
[78] Così MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, cit., 559.
[79] Così MAZZAMUTO S., op. ult. cit., 559.
[80] Cfr. VETTORI G., Contratto e responsabilità. Il contratto dei consumatori, dei turisti, dei clienti, degli investitori e delle imprese deboli: oltre il consumatore, Padova, 2013, cit., 572.
[81] Così MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, cit., 557.
[82] Così VETTORI G., Contratto e responsabilità. Il contratto dei consumatori, dei turisti, dei clienti, degli investitori e delle imprese deboli: oltre il consumatore, Padova, 2013, cit., 575. Lo stesso sottolinea che «nella definizione data dal legislatore nazionale, quello che desta maggiori perplessità, è l’omesso riferimento – presente, invece, nella normativa comunitaria di derivazione – all’«operazione oggettivamente unica». Il ricorso a questa locuzione, difatti, avrebbe consentito di valutare caso per caso la fattispecie, anche prescindendo dai paletti fissati dal T.U.B. […] Non solo, ma la possibilità di valutare in concreto la fattispecie alla luce dell’operazione oggettivamente unica, avrebbe escluso di ritenere le condizioni elencate dalla lett. d) dell’art. 121 T.U.B., come essenziali, potendo desumere l’esistenza di una operazione unitaria – e quindi di un collegamento negoziale – anche in base ad altri indici ed elementi oggettivi».
Si sottolinea che una parte della dottrina ritiene che il collegamento negoziale possa sussistere e sia rilevante anche in casi diversi rispetto a quelli espressamente previsti dalla definizione dell’art. 121, comma 1, lett. d), T.U.B.
[83] Così DE CRISTOFARO G., La nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori e la riforma del t.u. bancario, in Contr., 2010, 1059; VETTORI G., Contratto e responsabilità. Il contratto dei consumatori, dei turisti, dei clienti, degli investitori e delle imprese deboli: oltre il consumatore, Padova, 2013, 575.
[84] Per un approfondimento sul punto si rimanda a DE CRISTOFARO G., La nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori e la riforma del t.u. bancario, in Contr., 2010, 1056 s.
[85] Sotto il profilo dei rimedi a disposizione del consumatore nel caso di inadempimento del fornitore, la dottrina si è chiesta se il riferimento dell’art. 125 quinquies, comma 1, T.U.B. alla risoluzione previa costituzione in mora lasci aperta per il consumatore anche l’alternativa di opporre al finanziatore l’eccezione di inadempimento o di pattuire in via negoziale la risoluzione di diritto del contratto di credito o il diritto di recesso dallo stesso o, nell’ipotesi di consegna di beni non conformi al contratto, di chiedere al fornitore il ripristino della conformità del bene al contratto mediante sostituzione o riparazione ai sensi dell’art. 130 cod. cons. Sul punto parte della dottrina ha evidenziato che «per quanto riguarda la possibilità di prevedere nel contratto la risoluzione di diritto o il diritto di recesso, la norma, essendo caratterizzata da un favor per il consumatore, non pone alcuna preclusione. Per quanto riguarda invece gli altri rimedi […], si rileva che essi potrebbero determinare una temporanea incertezza riguardo all’esecuzione del contratto di credito. Tuttavia, il problema può essere superato sulla base dei dati normativi. Infatti, l’art. 125 quinquies, comma 1, T.U.B., nel richiedere al consumatore di costituire in mora il fornitore, non impone al consumatore di pagare le rate del finanziamento malgrado l’inadempienza del fornitore stesso. L’eccezione di inadempimento appare pertanto rimedio previsto tra le righe della disposizione e in ogni caso rimedio che si accompagna logicamente, nel contesto del rapporto creditizio, alla fase della costituzione in mora del fornitore nell’ambito del rapporto di vendita. Inoltre, il fatto che la risoluzione sia normativamente subordinata alla preventiva costituzione in mora del fornitore dimostra anche nel contesto in esame la preferenza accordata dal legislatore ai rimedi “manutentivi” rispetto a quelli “demolitori”. Da ciò risulta la legittimità sia dell’eccezione di inadempimento opposta dal consumatore al finanziatore, sia della pretesa del consumatore di ottenere, ove possibile, la sostituzione o riparazione del bene». Così BIFERALI G., Il credito ai consumatori, in CASSANO G.-CATRICALÀ A.-CLARIZIA R. (a cura di), Concorrenza, mercato e diritto dei consumatori, Milano, 2018, cit., 1867 s.
[86] Così BIFERALI G., op. ult. cit., 1866.
[87] Così BIFERALI G., op. ult. cit., 1868 sottolinea che tale «disposizione sembra da interpretare nel senso che la sospensione si determini fin dalla richiesta di adempimento contenuta nella costituzione in mora del fornitore». Per la tesi opposta, secondo cui la sospensione del pagamento dei canoni si verifica dalla richiesta del consumatore al finanziatore, si veda l’obiter dictum di Cass., SS.UU., 5.10.2015, n. 19785.
[88] Cfr. art. 15 della dir. 11/83/UE che fa salvo comunque l’art. 15 della dir. 09/48/CE sul credito al consumo.
[89] Cfr. A.B.F., Coll. Coord., 5 novembre 2015, n. 8354. Per un approfondimento sul punto v. BARTOLINI F., La nullità nel collegamento negoziale: l’A.B.F. sul credito al consumo, in i Contratti, 4/2016.
[90] Così MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, cit., 550.
[91] Così MAZZAMUTO S., op. ult. cit., 550.
[92] Così MAZZAMUTO S., op. ult. cit., 550. Il quale sul punto sottolinea che «mentre la conservazione della facoltà di compensare pur in presenza di una cessione accettata dal debitore appare razionale perché di regola il consumatore è inconsapevole di tale conseguenza, altrettanto non si possa fermare per l'estensione della compensazione anche ai credi sorti dopo la cessione perché ciò equivarrebbe a rendere aleatorio, esponendo il cessionario al rischio di vedersi opporre, ad es., il diritto al risarcimento del danno da inadempimento del contratto di vendita o di credito al consumo, prodottosi a seguito della cessione».
[93] Così BESSONE M., Istituzioni di diritto privato, Torino, 2012, cit., 838; MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, 557. Tuttavia, si sottolinea che la precedente versione dell’art. 125, comma 1, T.U.B., richiamava l’art. 1525 c.c. in materia di vendita a rate con riserva della proprietà. Per un’analisi approfondita circa i vari orientamenti dottrinali cfr. BIFERALI G., Il credito ai consumatori, in CASSANO G.-CATRICALÀ A.-CLARIZIA R. (a cura di), Concorrenza, mercato e diritto dei consumatori, Milano, 2018, 1869 ss. Ove vengono analizzate le varie soluzioni ammissibili tra le quali, in particolar modo, viene prospettata l’applicazione analogica: dell’art. 120 quinquiesdecies, comma 1 T.U.B. e dell’art. 1, commi 136-140, l. n. 124 del 2017 relativo al leasing finanziario in generale.
[94] La valutazione complessiva del rapporto trilaterale di credito al consumo, secondo parte della dottrina, giustifica la deroga alle disposizioni generali sull’inadempimento dei contratti sinallagmatici, le quali fanno seguire alla mancata esecuzione della prestazione o di una delle prestazioni periodiche la risoluzione del contratto, purché non di scarsa importanza rispetto all’interesse di controparte. Cfr. MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, cit., 554.
[95] Cfr. MAZZAMUTO S., op. ult. cit., 556.
[96] Così MAZZAMUTO S., op. ult. cit., 557; BESSONE M., Istituzioni di diritto privato, Torino, 2012, 838.
[97] Per tale orientamento cfr. BESSONE M., op. ult. cit., 838.
[98] In linea generale, si sottolinea che, a norma dell’art. 120 noviesdecies TUB, ai contratti di credito immobiliare ai consumatori si applica una parte significativa della disciplina generale dei contratti bancari contenuta nel T.U.B. e, più specificatamente, gli artt. 117 (obbligo di forma scritta a contenuto minimo del contratto di credito), 118 (modifica unilaterale delle condizioni contrattuali), 119 (comunicazioni periodiche alla clientela), 120, comma 2 (decorrenza delle valute e calcolo degli interessi), 120 ter (estinzione anticipata dei mutui immobiliari), 120 quater (surrogazione nei contratti di finanziamento e portabilità), 125 sexies, comma 1 (rimborso anticipato del finanziamento).
[99] Così MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, 561.
[100] Così MAZZAMUTO S., op. ult. cit., 561. Per l’analisi delle fattispecie escluse cfr. art. 120 sexies TUB.
[101] Così MAZZAMUTO S., op. ult. cit., 563.
[102] Così BIFERALI G., Credito immobiliare ai consumatori., in CASSANO G.-CATRICALÀ A.-CLARIZIA R. (a cura di), Concorrenza, mercato e diritto dei consumatori, Milano, 2018, cit., 1877 s.
[103] Nell’ordinamento italiano l’art. 1, lett. a), d.lgs. n. 72/2016 ha modificato l’art. 144 T.U.B. prevedendo esplicitamente l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria anche nel caso di inosservanza. Per un’analisi sul punto cfr. BIFERALI G., op. ult. cit., 1879.
[104] Anche rispetto all’obbligo in esame il legislatore europeo ha taciuto su quali siano le conseguenze della violazione. A questo riguardo parte della dottrina ha ipotizzato che il contratto concluso dal consumatore senza avere compreso le caratteristiche essenziali dei prodotti proposti possa essere considerato quale contratto viziato da errore essenziale sull’oggetto del contratto o sull’identità o su una qualità dell’oggetto della prestazione, invocando dunque il rimedio dell’annullamento. Secondo un’altra lettura, il mancato o inesatto adempimento dell’obbligo di spiegazione inciderebbe sull’intelligibilità dell’oggetto del credito e sarebbe, dunque, soggetto al sindacato di nullità ai sensi dell’art. 34, comma 2, cod. cons. Tuttavia, un’altra parte della dottrina afferma che trattandosi di violazione di obblighi, in mancanza di una contraria previsione normativa sembra preferibile ritenere la violazione dell’obbligo di spiegazioni adeguate, determini una responsabilità precontrattuale per inadempimento. Per un approfondimento circa le varie conseguenze di tale violazione cfr. BIFERALI G., op. ult. cit., 1882 s.
[105] Così MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, 566.
[106] Così MAZZAMUTO S., op. ult. cit., 567. Il quale sottolinea che tale articolo potrebbe legittimare un’interpretazione che vieti l’inserimento di clausole sul tasso degli interessi moratori che prevedano un innalzamento rispetto all’ammontare degli interessi corrispettivi convenzionali, salvi i casi di recupero delle rate insolute.
[107] Così MAZZAMUTO S., op. ult. cit., 567.
[108] Sul punto cfr. LUMINOSO A., Patto commissorio, patto marciano e nuovi strumenti di tutela autoesecutiva, in Riv. dir. civ., 2017, 24. Si sottolinea che tale articolo si allinea alle indicazioni della giurisprudenza della Corte di Cassazione, che nel tempo ha riconosciuto la liceità del ricorso al patto marciano, definendolo «clausola contrattuale con la quale si mira ad impedire che il concedente, in caso di inadempimento, si appropri di un valore superiore all’ammontare del suo credito, pattuendosi che, al termine del rapporto, si proceda alla stima del bene e il creditore sia tenuto al pagamento in favore del venditore dell’importo eccedente l’entità del credito» (Cfr. Corte cass. sent.1625/2015).
[109] Così MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, 570.
[110] Lo stesso articolo prevede che alla materia della stima del bene dato in garanzia e oggetto del patto marciano si estende quanto previsto dall’art. 120 duodecies TUB, in tema di valutazione da parte del finanziatore dei beni immobili residenziali ai fini della concessione di credito garantito da ipoteca.
[111] Così ROSSI G., Il credito al consumo: dal fenomeno socio-economico alla fattispecie contrattuale, Padova, 2017, cit., 37 s.
[112] MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, cit., 514.
[113] Per un approfondimento sul punto v. ROSSI G., Il credito al consumo: dal fenomeno socio-economico alla fattispecie contrattuale, Padova, 2017, cit., 40.
[114] Così MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, cit., 513 s.
[115] Cfr. art. 311-1, comma 4, Code de la consommation.
[116] Così MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, cit., 515; ROSSI G., Il credito al consumo: dal fenomeno socio-economico alla fattispecie contrattuale, Padova, 2017, 40.
[117] Cfr. PIEPOLI G., Il credito al consumo, Napoli, 1976, 148 ss.
[118] Così ROSSI G., Il credito al consumo: dal fenomeno socio-economico alla fattispecie contrattuale, Padova, 2017, cit., 45.
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