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Pubbl. Mar, 18 Ago 2020
Sottoposto a PEER REVIEW

Il risarcimento del danno non patrimoniale nel sistema della responsabilità civile

Lucrezia Trulli



La risarcibilità del danno non patrimoniale a seguito di un iniziale vuoto di tutela, ha trovato libero accesso nel sistema della responsabilità civile grazie all´art. 2059 c.c. La tutela prevista, intesa limitatamente al danno morale soggettivo, ha mostrato ben presto le sue carenze. L´insofferenza verso la tradizionale impostazione è emersa con la nascita di nuove figure di danno alla persona. Le sentenze gemelle del 2003 hanno interpretato in senso costituzionalmente orientato l´art. 2059 c.c. così da a ricomprendere nell´unica categoria di danno non patrimoniale sia il danno morale, sia quello biologico e il c.d. danno esistenziale. Sulla scia di tale innovazione sono intervenute le SU nel 2008 per ampliare l´area di risarcibilità del danno non patrimoniale oltre le tipiche ipotesi.


Sommario: 1. Brevi cenni sul sistema della responsabilità civile e la sua funzione; 2. Il rimedio risarcitorio in ordine al danno non patrimoniale; 3. Le nuove figure di danno e il progressivo abbandono della concezione tradizionale; 4. Le Sezioni Unite del 2008; 5. La liquidazione del danno non patrimoniale; 6. La successiva evoluzione giurisprudenziale.

Sommario: 1. Brevi cenni sul sistema della responsabilità civile e la sua funzione; 2. Il rimedio risarcitorio in ordine al danno non patrimoniale; 3. Le nuove figure di danno e il progressivo abbandono della concezione tradizionale; 4. Le Sezioni Unite del 2008; 5. La liquidazione del danno non patrimoniale; 6. La successiva evoluzione giurisprudenziale.

1. Brevi cenni sul sistema della responsabilità civile e la sua funzione

La responsabilità civile costituisce uno degli ambiti più evolutivi del diritto civile in cui il contributo di dottrina e giurisprudenza è approdato a soluzioni ardite volte a scardinare il tradizionale sistema. Si tratta di una categoria giuridica priva di una definizione unitaria e composta da una molteplicità di fattispecie normative di ardua omologazione. 

La classica bipartizione presente nell’ordinamento civilistico italiano è tra la responsabilità contrattuale e la responsabilità extracontrattuale la cui linea discretiva si fonda sulla sussistenza o meno del vincolo contrattuale[1]. Dunque, che derivi dalla violazione di un preesistente obbligo tra le parti o dal compimento di un fatto illecito, in linea di principio, la responsabilità civile comporta il sorgere di un’obbligazione patrimoniale in capo al soggetto responsabile al fine di risarcire il danno subito dal danneggiato.  

Alla luce di un’annosa concezione, la presente responsabilità assolveva una funzione sanzionatoria orientata, appunto, a sanzione il comportamento negligente o intenzionale di un soggetto, che avesse violato un precetto a danno della sfera giuridica altrui. Tale orientamento è stato progressivamente abbandonato a favore di una concezione c.d. compensativo-riparatoria in ordine alla quale il compito essenziale assegnato alla responsabilità civile consiste nel “restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, mediante il pagamento di una somma di denaro che tenda ad eliminare le conseguenze del danno arrecato[2]”. Nella prospettiva della globalizzazione degli ordinamenti giuridici in senso transnazionale il sistema italiano della responsabilità civile si è evoluto combinando alla tradizionale funzione c.d. riparatoria una curvatura deterrente sanzionatoria, evidente segno della polifunzionalità dell’istituto[3].

2. Il rimedio risarcitorio in ordine al danno non patrimoniale

Il sistema della responsabilità civile, nel panorama italiano, è fondato sulla regola risarcitoria, in base alla quale occorre l’integrale riparazione del pregiudizio subito dal danneggiato per ristabilire l’equilibrio compromesso dalla condotta antigiuridica (sub speciedi inadempimento) del soggetto responsabile. 

Nella communis opinio la responsabilità civile era deputata ad assolvere una funzione strettamente patrimoniale, vincolata alla dimensione economicistica connaturata nel concetto di danno, la cui compensazione, a sua volta, veniva assicurata attraverso il rimedio del risarcimento, centrato sulle nozioni di “perdita” e di “mancato guadagno”.

La tutela risarcitoria, quale strumento tipico di compensazione di un danno, ad oggi, risulta incentrata su un sistema bipolare in cui i pregiudizi risarcibili appaiono riconducibili a due principali categorie ovvero quella del danno patrimoniale e quella del danno non patrimoniale. Per danno non patrimoniale si intende genericamente il pregiudizio inferto agli interessi di natura personale del soggetto[4]. Il Codice civile non ne fornisce una vera e propria nozione dunque il relativo ambito di applicazione si è costretti a ricavarlo in via negativa, da ciò che non è possibile considerare tale. Si tratta di un ambito in costante evoluzione che rende arduo un rigido inquadramento formale. 

Dottrina e giurisprudenza, circa la risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, hanno affrontato profondi dissidi, apparentemente risolti dall’entrata in vigore del Codice civile del 1942 che ha determinato un radicale mutamento di prospettiva rispetto alla codificazione previgente[5]. Invero il Codice civile del 1865 non prevedeva espressamente alcuna norma ad hocche disciplinasse il risarcimento del danno non patrimoniale[6], con la conseguenza che sul punto si contrapposero diversi orientamenti. Secondo il più risalente il danno non patrimoniale si considerava sempre risarcibile sulla base del fatto che “il diritto all’integrità della persona fa parte ed è elemento del patrimonio giuridico privato dell’individuo[7]”.

Per converso, vi era poi la tesi dell’irrisarcibilità, sostenuta da un’autorevole dottrina[8], che ben presto venne accolta anche dalla giurisprudenza del tempo, ancorata al principio tale per cui “l’uomo vale solo per ciò che produce[9]”. In tal senso, la lesione dei beni non patrimoniali dava luogo a risarcimento soltanto ove il danneggiato fosse riuscito a dimostrare una contrazione dei propri redditi presenti o futuri. Non era considerati quindi risarcibili i danni puramente morali che non avevano alcuna ripercussione sul patrimonio. 

Nella prassi il diritto al risarcimento, talune volte, veniva riconosciuto con il ricorso a fictio iuris,agganciate alla nozione evanescente di “capacità lavorativa[10]”. In un siffatto contesto a risolvere, in apparenza, l’annosa questione è stato il legislatore penale attraverso il Codice penale Rocco del 1930 che all’art. 185, comma secondo, ha previsto la risarcibilità del danno non patrimoniale in caso di reato. La giurisprudenza è rimasta, per lungo tempo, ferma nel sostenere che tale innovazione non potesse trovare applicazione al di là dei limiti che le erano propri[11], con la conseguenza di non ammettere il risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali derivanti da un illecito puramente civile[12]. Questo riconoscimento ha segnato l’impulso per un ulteriore ripensamento in ordine al problema generale del risarcimento anche al di fuori della sfera penale. 

Un evento cruciale nel sistema della responsabilità civile si è concretizzato nel 1942 grazie all’introduzione del nuovo Codice civile che nell’art. 2059 c.c. ha sancito la risarcibilità dei danni non patrimoniali nei soli casi stabiliti dalla legge[13]. Il legislatore in tal modo ha recepito a livello normativo la summa divisiotra danni patrimoniali e danni non patrimoniali nonché il principio di tipicità circa la riparazione dei danni morali. 

Il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. veniva identificato, dalla tradizione, con il danno morale soggettivo ovvero con la sofferenza transeunte, il turbamento psicologico momentaneo dell’individuo danneggiato (c.d. pecunia doloris[14]). Alla luce di una lettura eccessivamente restrittiva la tutela prevista dal testo normativo era intesa limitatamente a tale voce di danno, distinguendola così dalla categoria generale del danno non patrimoniale. 

3. Le nuove figure di danno e il progressivo abbandono della concezione tradizionale

L’abbandono della tradizionale impostazione vi è stato grazie alla svolta giurisprudenziale inaugurata dalle c.d. sentenze gemelle del 2003 che hanno interpretato in senso costituzionalmente orientato l’art. 2059 c.c., chiarendo che il risarcimento del danno non patrimoniale è consentito, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, anche in tutte le ipotesi in cui l’illecito civile leda un diritto della persona costituzionalmente garantito[15].

Con l’emersione di nuove figure di danno alla persona (come il danno alla salute, il danno alla vita di relazione o il danno estetico) che non producevano alcuna sofferenza morale e non avevano nemmeno i caratteri della valutabilità in denaro, la rigida dicotomia tra danni di natura personale e pregiudizi economici si mostrava insufficiente.

L’insofferenza emergeva, in particolare, nei casi di lesione del diritto alla salute, bene fondamentale dell’individuo alla luce del disposto di cui all’art. 32 Cost. L’unica via percorsa dalla giurisprudenza del tempo per un’idonea tutela di tale diritto, riconduceva i pregiudizi recati allo stesso nell’ambito dell’art. 2043 c.c. che richiede per il risarcimento la clausola generale del “danno ingiusto”, senza incorrere nella rigida riserva di legge prevista in ambito non patrimoniale. Tale inquadramento, che permetteva di eludere le limitazioni di cui all’art. 2059 c.c., collegava il danno derivante dalla lesione di un bene fondamentale a considerazioni di ordine patrimoniale, destando profonde perplessità. 

Il vulnus inferto all’integrità psico-fisica era identificato nel c.d. danno biologico e veniva considerato alla stregua di un danno di natura patrimoniale.

Tali aporie hanno portato la Corte costituzionale a rendere la lesione della salute[16]ex serisarcibile, a prescindere dalle conseguenze alla medesima derivate in termini economici[17]. Si delineava così l’evanescente nozione di danno-evento, risarcibile ex se,senza alcun riguardo alle evenienze lesive scaturite dalla lesione di tale diritto fondamentale[18].

Tale interpretazione è stata definitivamente confutata con le citate sentenze del 2003 che, occupandosi genericamente del danno conseguente alla lesione di interessi essenziali dell’individuo diversi dalla salute, hanno affermato un principio applicabile anche al danno biologico ovvero che non è la lesione all’interesse di rango costituzionale ad essere ex serisarcibile ma le conseguenze pregiudizievoli che la stessa ha causato sugli aspetti non patrimoniali della vita del danneggiato[19]. La presente svolta ha permesso di superare l’impassederivante dal dato letterale dell’art. 2059 c.c. e di collocare il danno biologico nella figura del danno-conseguenza. 

Si supera così la tradizionale impostazione che considerava il danno morale soggettivo quale unico pregiudizio non patrimoniale e si assicura la risarcibilità del danno non patrimoniale inteso quale categoria generale, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, anche nei casi di reato ovvero nell’ipotesi di lesione ad un diritto della persona costituzionalmente garantito. 

Le coordinate giurisprudenziali suesposte sono derivate da un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., tesa a ricomprendere nell’astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittimasia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona[20].

L’inquadramento di ciascun pregiudizio di stampo non patrimoniale, derivante dalla lesione dei valori inerenti alla persona, nell’art. 2059 c.c. e non più nell’ambito dell’art. 2043 c.c., come avvenuto in passato per il danno biologico, non porta a contraddire il principio di tipicità poiché la “legge” alla quale fa riferimento l’art. 2059 c.c. non è solo quella ordinaria, ma anche la Costituzione stessa. L’operazione esegetica in analisi si fonda, dunque, su un’interpretazione estensiva della nozione di legge, volta a ricomprendere nella stessa anche la legge costituzionale[21]. 

Nel quadro appena delineato, grazie al notevole contributo della giurisprudenza, è emerso con veemenza il danno esistenziale[22]da intendersi quale pregiudizio che la lesione arrecata ad un interesse essenziale del soggetto provoca sul suo fare areddituale, sulla sua vita di relazione, sulla sua capacità di inserirsi nei contesti sociali esprimendo al meglio la sua personalità[23]. Riconosciuta la sua natura di danno-conseguenza, a rilevare sono appunto le conseguenze pregiudizievoli che la lesione ha causato[24].

Le ingerenze giurisprudenziali sul tema non hanno inteso, si badi bene, a delineare una distinta figura di illecito produttiva di un danno non patrimoniale, che condurrebbe a snaturare la fattispecie risarcitoria. L’art. 2059 c.c. non solo non traccia una autonoma fattispecie di illecito, all’opposto, anzi consente “la riparazione anche dei danni non patrimoniali, nei casi determinati dalla legge, nel presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell'illecito civile[25], che si ricavano dall'art. 2043 c.c.”. 

Il danno esistenziale è stato al centro di numerose dispute dottrinarie concernenti la sua stessa riconoscibilità[26].  Di rado si osava negare la riparabilità del danno conseguente alla violazione di interessi essenziali dell’individuo, alla luce dell’incommensurabile valore che la persona umana riveste nel panorama costituzionale. In discussione vi era, piuttosto, la valenza descrittiva della categoria del danno esistenziale, da qualificarsi come componente dell’unico danno non patrimoniale o come autonomo tipo di pregiudizio da risarcire separatamente rispetto alla sofferenza transeunte e, ove sussistente, al danno biologico. Considerare il danno esistenziale come un’autonoma voce di danno rischiava di causare una scorretta duplicazione risarcitoria che il giudice avrebbe dovuto evitare attraverso un’adeguata personalizzazione del risarcimento che tenesse conto anche delle perdite “esistenziali”.

Tale ultima tesi a favore dell’autonomia risarcitoria finirebbe per ricondurre il danno esistenziale nell’atipicità: ammettere la risarcibilità di qualsiasi pregiudizio per il solo fatto di aver costretto una persona a cambiare abitudini finirebbe per “erodere” i contenuti dell’art. 2059 c.c., conducendo ad una dilagante crescita di liti c.d. bagatellari[27]. Al contrario, appare opportuno garantire il risarcimento del pregiudizio esistenziale solo nei casi espressamente previsti dalla legge, giusta la previsione normativa che necessita di tipicità sul piano della causa[28]giacché solo la lesione di un diritto della persona costituzionalmente garantito può legittimarne il risarcimento[29].

Più che discutere intorno all’autonoma risarcibilità del danno esistenziale appare più proficuo interrogarsi a monte sull’esistenza di un danno ingiusto da risarcire; in tal senso infatti la tesi del danno esistenziale sembra cadere in una tautologica circolarità ravvisando erroneamente l’ingiustizia del danno dal solo fatto che le conseguenze pregiudizievoli di esso abbiano inciso sulla sfera della persona[30].

Occorre chiarire che “il pregiudizio di tipo esistenziale (...) è quindi risarcibile solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell’evento di danno. Se non si riscontra la lesione di diritti costituzionalmente inviolabili della persona non è data tutela risarcitoria[31]”.

4. Le Sezioni Unite del 2008

I molteplici dissidi che hanno interessato la natura nonché l’ambito applicativo del danno esistenziale sono giunti ad un’ulteriore evoluzione grazie ai chiarimenti forniti dalle Sezioni Unite della Cassazione nel 2008[32].

La visione tridimensionale del danno non patrimoniale, la quale ritiene che nel disposto di cui all’art. 2059 c.c. siano sussumibili il danno morale, il danno esistenziale e il danno biologico intesi come tipologie ontologicamente diverse e di conseguenza autonomamente risarcibili, risulta oltremodo erronea. Le Sezioni Unite, infatti, hanno fornito una nozione di danno non patrimoniale unitaria, non suscettibile di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate con la conseguenza che“di danno esistenziale come autonoma categoria di danno non è più dato discorrere”[33].Invero non risulta possibile, dare luogo ad una separata quantificazione delle singole voci di danno non patrimoniale, che rispondo a semplici esigenze descrittive. Per evitare duplicazioni risarcitorie le Sezioni Unite hanno inteso affidare al giudice un’adeguata personalizzazione del danno, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. 

Per ciò che concerne la natura giuridica del pregiudizio esistenziale[34]  le quattro pronunce novembrine hanno ribadito che il danno non patrimoniale, anche qualora sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce un danno-conseguenza. Il pregiudizio esistenziale viene, dunque, a coincidere con il nocumento scaturito dalla lesione stessa. Affermare, che il danno sia in re ipsa, rischia di snaturare la funzione del risarcimento che verrebbe concesso quale pena privata per un comportamento lesivo, anziché in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno. La ricostruzione del pregiudizio de quoin termini di danno-conseguenza non comporta la rinuncia a vagliare il grado di gravità del vulnusrecato al bene di rango costituzionale di guisa che ove il danno rientri nella soglia della normale tolleranza non va accordata alcuna tutela risarcitoria. Il ristoro è dovuto solo nel caso in cui sia superato il normale livello di tollerabilità[35]e il pregiudizio non sia futile[36].

Per individuare la tavola di valori il cui vulnusconcede l’ingresso alla pretesa risarcitoria occorre fare riferimento ai diritti inviolabili della persona umana che meritano quel minimumdi tutela offerto dal risarcimento per equivalente in caso di lesione recata agli stessi[37]. Tale soglia di protezione non può estendersi anche alle offese che attingano valori non aventi rango costituzionale o comunque non ricompresi nel novero dei diritti inviolabili. Per rintracciare i suddetti valori occorre richiamare l’art. 2 Cost. quale forma di catalogo aperto dei diritti inviolabili, suscettibile di un’interpretazione evolutiva a seconda della coscienza sociale e del contesto giuridico del tempo. L’art. 2059 c.c. è una norma di rinvio e l’ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale si ricava dall’individuazione delle norme che ne prevedono la tutela. Si tratta, in primo luogo dell’art. 185 c.p. che prevede il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a reato. Vi è poi il caso in cui sia la legge ordinaria a prevedere il risarcimento dei danni non patrimoniali in relazione alla compromissione di valori personali[38]. Al di fuori di questi casi, la tutela risarcitoria viene estesa al danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione[39]. Si tratta di una tutela che, nella specie, viene ad essere assicurata in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti inviolabili della persona. 

È proprio sulla scia di tale riconoscimento minimo di protezione dei suddetti diritti che le Sezione Unite hanno introdotto l’ultimo dei dicta elaborati nelle pronunce novembrine ovvero il danno non patrimoniale da inadempimento. La lesione dei diritti inviolabili della persona che abbia determinato un danno non patrimoniale comporta l’obbligo di risarcire il danno, quale che sia la fonte della responsabilità contrattuale o extracontrattuale[40].

Grazie a tale escamotagela giurisprudenza ha esteso il rimedio risarcitorio, prevedendo l’applicazione dell’art. 2059 c.c. alla responsabilità contrattuale, da sempre confinata nel campo strettamente patrimoniale a causa di una definizione del danno nei termini della “perdita” e del “mancato guadagno”. Su tale sconfinamento grava un limite ovvero la circostanza che la lesione concerna un diritto della persona tutelato dalla Costituzione. 

In tal caso, dunque, la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale potrà essere versata nell’azione di responsabilità contrattuale, senza dover ricorrere all’espediente del cumulo di azioni. La rilevanza degli interessi di natura non patrimoniale nell’ambito delle obbligazioni contrattuali risulta ulteriormente confermata dal disposto normativo di cui all’art. 1174 c.c. che, nel prevedere la possibilità che la prestazione oggetto dell’obbligazione risponda ad un interesse non patrimoniale del creditore, introduce nel contratto profili non economici. L’individuazione degli interessi deve essere condotta accertando la ragione concreta della dinamica contrattuale[41]. L’esigenza di accertare la sintesi degli interessi non patrimoniali del contratto viene meno nel caso in cui sia proprio il legislatore ad inserire siffatti interessi, presidiati da diritti inviolabili della persona, nel rapporto tra le parti[42]. Il risarcimento quale rimedio ad un inadempimento contrattuale è regolato dalle norme dettate in materia di responsabilità contrattuale, dunque l’art. 1218 c.c., che si occupa del profilo patologico dell’inadempimento, deve essere interpretato nel senso di dare ingresso alla tutela risarcitoria anche del danno non patrimoniale. Parimenti il danno da risarcire exart. 1223 c.c. deve ricondurre tra le perdite e le mancate utilità i nocumenti non patrimoniali determinati dalla lesione dei diritti inviolabili della persona.  

Superato l’ostacolo normativo, le Sezioni unite hanno abbandonato il tradizionale timore[43]sino ad ammettere il risarcimento del danno non patrimoniale in caso di responsabilità contrattuale senza alcun rischio per il principio di tipicità, scolpito dall’art. 2059 c.c. 

Data l’assenza però in ambito contrattuale della clausola generale dell’ingiustizia quale filtro selettivo dei danni risarcibili[44]il legislatore, piuttosto che affidare la questione all’elaborazione giurisprudenziale, è intervenuto ampliando le ipotesi normative in cui è espressamente ammessa la riparazione del danno non patrimoniale da inadempimento.

5. La liquidazione del danno non patrimoniale

Il danno non patrimoniale è ontologicamente un pregiudizio non valutabile in termini economici dal momento che la sua essenza risiede nella lesione di beni che non hanno un mercato e dunque privi di un valore oggettivo. Per garantire riparazione al danneggiato è necessaria, tuttavia, una valutazione monetaria. Questa aporia ha portato la dottrina così come la giurisprudenza ad ondeggiare tra l’equità e la prevedibilità quali opposte tendenze. Il ristoro del danno non patrimoniale è rimesso alla valutazione equitativa del giudice exart. 1226 c.c. attraverso un’adeguata considerazione di tutte le circostanze del caso concreto. La liquidazione equitativa rischia, in taluni casi, di dar luogo a giudizi immotivati, fonti di forti diseguaglianze in casi eguali o viceversa. Per contrastare il rischio persistente di una violazione del principio della giustizia distributiva[45]il legislatore ha tentato di enucleare delle linee-guida cui ancorarsi al fine di evitare difformità di giudicati in situazioni simili e di conseguenza snaturare la funzione del risarcimento del danno, che è quella di ristorare un pregiudizio sofferto[46]. Per la stima del danno dunque sono stati elaborati dei criteri oggettivi, prevedibili ex ante, come ad esempio le tabelle per la liquidazione del danno biologico ovvero la tabella unica nazionale per la liquidazione delle invalidità c.d. micro permanenti[47]in tema di responsabilità civile da circolazione stradale. 

In riferimento al danno alla salute, in particolare, il sistema “tabellare” si è rivelato una valida soluzione idonea a consentire al giudice di dare attuazione alla clausola generale di cui all’art. 1226 c.c., nell’effettiva esplicazione di poteri discrezionali e non già rispondenti ad arbitrio. In assenza di tabelle normativamente determinate il criterio di liquidazione cui i giudici devono attenersi, per garantire l’uniformità, è quello predisposto dal tribunale di Milano, salvo che non sussistano circostanze idonee a giustificarne l’abbandono. Le tabelle di Milano, rielaborate all’esito delle pronunce del 2008, hanno assunto una “vocazione nazionale” in quanto recanti i parametri maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto dell’equità valutativa ed evitare ingiustificate disparità[48].

Per un’analisi coerente dei criteri di liquidazione del danno non patrimoniale occorre preliminarmente operare una scelta in ordine alla funzione da attribuire al risarcimento dello stesso. Nella specie, attribuire al risarcimento una funzione punitiva o satisfattoria vincolerebbe l’analisi del quantum al grado di colpa del danneggiante o al grado di sensibilità del danneggiato, generando gravi inconvenienti. Più coerente con il sistema della responsabilità civile risulta essere un risarcimento del danno non patrimoniale con una funzione “reintegratrice” ovvero volto a sostituire un’utilità perduta con un equivalente pecuniario equitativamente scelto e razionalmente condivisibile[49].

L’ammontare del quantumdovuto a titolo di risarcimento impone la valutazione delle distinte modalità di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso concreto, con la conseguenza di un eventuale incremento del dato tabellare di partenza in sede di personalizzazione. Ciò permette di addivenire ad una liquidazione che non sia irrisoria o meramente simbolica ma equa, e cioè congrua, adeguata e proporzionata, tendente alla maggiore approssimazione possibile all’integrale risarcimento[50]. Alla luce della tesi unitaria, avallata dalla giurisprudenza dominante, la valutazione del danno deve essere sintetica[51] e mirare a mantenere un giusto equilibrio tra le voci di danno con l’obiettivo comune di ristorarle integralmente senza incorrere in alcuna duplicazione del pregiudizio[52]concretamente sofferto.

Il riconoscimento della “portata tendenzialmente onnicomprensiva”del danno biologico, ha causato il conseguente assorbimento in caso di liquidazione, dei patemi d’animo e della mera sofferenza psichica. La sofferenza morale quindi non può risarcirsi più volte allorquando essa non rimanga allo stadio interiore o intimo ma si obiettivizzi, degenerando in danno biologico o esistenziale. Secondo la giurisprudenza più recente[53]il danno biologico non assorbe sempre e comunque il cd. danno esistenziale, essendo al contrario, necessario verificare quali aspetti relazionali siano stati valutati dal giudice e se sia stato assegnato rilievo anche al cambiamento di vita o al cambiamento della personalità del soggetto. Nel caso in cui la liquidazione comprenda anche la richiamata incidenza negativa sugli aspetti dinamico-relazionali del danneggiato è corretto escludere la possibilità che, in aggiunta a quanto già determinato a titolo di danno biologico, venga attribuito un ulteriore ammontare a titolo di danno esistenziale. 

Garantire l'unitarietà e l’integralità del risarcimento non vuol dire presumerne ab origine la quantificazione in una data percentuale delle altre “voci” di danno non patrimoniale rispetto al danno biologico statico ossia quello inerente la menomazione dell'integrità psicofisica in sé per sé considerata. Al fine di garantire la personalizzazione del risarcimento e una corretta liquidazione del danno biologico "dinamico -relazionale" la valutazione delle effettive sofferenze fisiche e psichiche deve dunque essere effettuata in “concreto” e non "ingabbiata" a priori in un aumento percentuale[54].

Ai fini della quantificazione del danno biologico è intervenuto espressamente il legislatore seppur limitatamente nel delicato ambito dei sinistri determinati dalla circolazione di veicoli e natanti. Nel caso di lesioni di non lieve entità, il Codice delle assicurazioni private ha demandato ad un decreto della Presidenza della Repubblica la formazione di una specifica tabella che stabilisca l’ammontare del quantumdovuto a titolo di risarcimento prevedendo un aumento proporzionale sino al trenta per cento sulla base della vita residua e dell’entità della lesione[55]. Ove vengano in rilievo lesioni di lieve entità è lo stesso Codice a fornire i criteri di computo e il possibile aumento “nella misura non superiore ad un quinto”ma sempre “con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato”. Si tratta di un limite massimo di oscillazione fissato dall’art. 139 del Codice delle assicurazioni nei cui confronti è stata sollevata questione di legittimità[56],ipso factodichiarata infondata[57] dalla Corte costituzione, sotto il profilo dell’irragionevolezza di tale soglia, nonché sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza qualora allo stesso tipo di lesioni possa essere attribuito un diverso risarcimento. 

In assenza di chiare indicazioni legislative la giurisprudenza prevalente tende ad applicare le tabelle richiamate anche per settori che esulino dall’ambito di applicazione del d.lgs. 209 del 2005. In questi casi, affinchè la liquidazione equitativanon trasmodi nell’arbitrio occorre che il concreto pregiudizio verificatosi sia allegato e provato. Con riguardo al danno biologico che richiede un accertamento medico-legale[58]il principale mezzo di prova è costituito dalla consulenza tecnica d’ufficio mentre per gli altri nocumenti non patrimoniali può farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e, soprattutto presuntiva. Tra i mezzi consentiti assume rilievo la prova per presunzioni che ricorre alla categoria del fatto notorio[59]e alla luce di un ragionamento presuntivo, condotto prudentemente dal giudice, permette di risalire al fatto ignoto ossia all’esistenza del danno. Attenendo il pregiudizio ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere preminente rilievo così da evitare che la persona danneggiata non si trovi nell’impossibilità di provarlo. 

L’analisi condotta finora circa gli elementi morfologici del danno non patrimoniale e la liquidazione in ordine ai diversi aspetti di cui risulta composto lo stesso, ha evidenziato la necessità di un intervento legislativo volto ad ancorare la materia su parametri puntuali onde scongiurare indebite approssimazioni e un’impropria espansione dell’area di risarcibilità. Tale esigenza deriva dalla stessa peculiarità fenomenica del danno non patrimoniale che nella maggior parte delle sue manifestazioni risulta priva di un substrato naturalistico tangibile. Parametri certi cui affidarsi garantirebbero una giusta previsione del quantumdovuto al danneggiato ed eviterebbero che il risarcimento del danno rivesta, in settori dai labili confini, un carattere di pena in senso lato, con una funzione puramente deterrente[60], estranea al sistema della responsabilità civile da illecito.

6. La successiva evoluzione giurisprudenziale

Alla luce delle Sezioni Unite del 2008 il danno non patrimoniale giunge ad essere definito come una categoria unitaria concernente ipotesi di lesione di interessi inerenti la persona, non connotati da rilevanza economica. Il riferimento a diversi tipi di pregiudizi quali quelli morali, biologici o esistenziali tradisce la natura composita dell’unico danno non patrimoniale, articolantesi tuttavia in una pluralità di voci con funzione meramente descrittiva. 

Dall’analisi condotta dalle note pronunce è emersa la portata tendenzialmente omnicomprensiva che la giurisprudenza ha riconosciuto nel 2008 al danno biologico, in particolare, in base al richiamo della definizione fornita dagli art. 138 e 139 del D.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, Codice delle assicurazioni private ove “per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”. [61]

L’incalzante esigenza di assicurare piena tutela al benessere psico-fisico dell’individuo deve estendersi sino a ricomprendere quelle fattispecie che, pur senza configurare alcun tipo di pregiudizio alla salute, possano precorrere e spesso coesistere con il danno biologico. Al fine di evitare duplicazioni risarcitorie nell’ipotesi in cui una lesione psico-fisica sia accompagnata da un danno morale o da un danno esistenziale, per la liquidazione, come suddetto, occorre fare ricorso alle tabelle previste per il danno biologico. L’aumento del quantumdovuto a titolo di risarcimento va determinato sulla base del valore tabellare che può essere aumentato dal giudice con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato. I limiti posti all’aumento percentuale che i valori della tabella possono subire, non devono costituire un ostacolo per il giudice che, nella libera valutazione del danno, deve offrire alla vittima, quale minima tutela, il risarcimento integrale.  

La necessità di personalizzare la liquidazione del danno porta a doversi disancorare da rigidi parametri che non consentono la valutazione concreta della situazione in base all’id quod plerumque accidite alle condizioni soggettive della persona danneggiata[62].  

Ad oggi, risulta profondamento avvertito il rischio che i suddetti limiti tabellari impediscano riparazioni eque, finendo per sorreggere labili operazioni in base alle quali valori riferiti al solo danno biologico possano venire a coprire, pur senza incrementarsi, voci di danno, come ad esempio il danno morale, prima risarcite disgiuntamente. Nella direzione dei c.d. “giusti risarcimenti” pare muoversi la più recente giurisprudenza che, prendendo le distanze dalle pronunce del 2008, ha imposto, ai fini di una corretta personalizzazione del risarcimento, di apprezzare sia i rivolti dinamico-relazionali che quelli riconducibili alla “sofferenza interna[63]” non potendo lo stesso esaurirsi con un mero aumento eventuale dei valori tabellari oltre il limite.

L’allontanamento dell’attuale giurisprudenza dalle Sezioni Unite del 2008 ha condotto ad un profondo ripensamento in ordine alla liquidazione del danno morale al di sopra dei valori tabellari ed in misura del tutto svincolata dagli stessi. La liquidazione del danno morale “puro”, ossia non accompagnato ad una lesione psico-fisica, può essere condotta equitativamente nonché in maniera totalmente svincolata dai parametri tabellari[64]dal momento che in presenza di una lesione dell’integrità morale non appare opportuno fare ricorso a meccanismi semplificativi di tipo autonomo[65].

Il formante giurisprudenziale si è evoluto sino a rivalutare la storica posizione della Corte in materia e riconoscere così autonoma rilevanza alle singole componenti del danno non patrimoniale. Nell’ambito di tale composita categoria il danno morale inteso quale lesione dell’integrità morale, massima espressione della dignità umana, ha iniziato ad assumere uno specifico e autonomo rilievo anche laddove la sofferenza interiore non degeneri in danno biologico o in danno esistenziale[66]. Un’autonomia strutturale è configurabile anche nel caso di un danno esistenziale che abbia causato pregiudizi attinenti alla sfera di relazione della persona ma non conseguenti ad una lesione psico-fisica, ove gli stessi tuttavia siano stati determinata dalla lesione di un diritto inviolabile della persona. 

Ove l’esistenza di uno di tali pregiudizi venga dedotta e provata, gli stessi dovranno formare oggetto di separata allegazione, valutazione e liquidazione, dal momento che soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali allegate dal danneggiato, che rendano il danno più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado è consentito al giudice incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione [67]. L’ “eccezionalità” di particolari conseguenze “esistenziali” o “morali”, di sovente invocata, dovrebbe giustificare un aumento del quantumdovuto superiore alle soglie “massime” indicate nelle tabelle.

Il risarcimento del danno non patrimoniale necessita che i tutti i risvolti – morali, esistenziale, biologici - di una lesione vengano evidenziati senza rischiare che i limiti tabellari possano costituire delle barriere invalicabili[68]o lascino incorrere in erronei automatismi. L’elevato grado di standardizzazione raggiunto sia dalle tabelle di legge che dalle tabelle sviluppate a livello giudiziario, si scontra con l’esigenza, più volte ribadita dalla giurisprudenza, di attuare una più idonea personalizzazione del danno. La giurisprudenza di legittimità ha inteso riconoscere un’interna autonomia alle diverse voci di danno non patrimoniale “valevole sul piano processuale, oltre che ontologico, proprio per evitare duplicazioni risarcitorie, o ancor peggio automatismi e appiattimenti decisionali[69]”.

Gli interventi chiarificatori della giurisprudenza suesposti hanno contribuito a fornire saldi riferimenti per gli operatori del diritto in un ambito così delicato, tuttavia l’evoluzione giurisprudenziale più recente denota un panorama attuale profondamente contraddittorio. La riaffermazione dell’autonomia ontologica delle diverse voci di danno di cui all’art. 2059 c.c. ha posto in evidenza profonde differenze strutturali e funzionali tra le stesse che devono essere opportunamente valutare dal giudice così da pervenire ad una liquidazione unitaria nel rispetto del principio dell’integrale risarcimento. 

Alla luce dell’analisi condotta appare auspicabile l’intervento del legislatore al fine di uniformare il quadro risarcitorio attraverso la diretta previsione di riferimenti legislativi che assicurino maggiore omogeneità e evitino rischiosi automatismi liquidativi od erronee presunzioni che giungano a curvare la decisione del giudice in una chiave deterrente-sanzionatoria.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Si tratta di due categorie tipiche di responsabilità civile disciplinate nel Libro IV del Codice civile, dedicato ai rapporti obbligatori, accanto alle quali sono individuabili altri modelli normativi di responsabilità come ad esempio le ipotesi di c.d. “responsabilità oggettiva”. In ambito codicistico devono segnalarsi, ad esempio, le ipotesi relative all’esercizio di attività pericolose (art. 2050 c.c.) ovvero al danno da cose in custodia o animali (art. 2051- 2052 c.c.). Sul punto Trimarchi ricostruisce l’esistenza di due diverse ipotesi di responsabilità, una per colpa e una oggettiva, in rapporto di parità. Secondo l’Autore la responsabilità oggettiva risponderebbe ad un’esigenza di tutela legata a danneggiamenti determinati dalle attività economiche e organizzate. Trimarchi P., Rischio e responsabilità oggettiva, Giuffrè, 1961. Per approfondireVisintini G., Due note in tema di responsabilità, in Contratto e impresa n. 1/2004, Cedam; Quadri E., Bocchini F., Diritto privato, ed. VII, Giappichelli, 883.

[2] Cfr. Cass. civ., sez. III, sent. n. 1183 del 2007.

[3] Tale traiettoria è testimoniata da numerosi indici normativi volti a dimostrare l’introduzione nel nostro sistema di rimedi risarcitori con funzione non riparatoria ma sostanzialmente sanzionatoria. A titolo esemplificativo occorre menzionare l’art. 69, comma 3 c.p.c. l’art. 709 ter c.p.; l’art. 125 del d.lgs. 10 febbraio 2005 n. 30. La concezione polifunzionale dellaresponsabilità civile risponde soprattutto ad un’esigenza di effettività della tutela che in molti casi resterebbe sacrificata nell’angustia monofunzionale. Cfr. Corte Cost. sent. n. 238 del 2014 e Cass. civ. sent. n.  21255 del 2013.

[4] Tale definizione si è spinta sino a assimilare la nozione di danno non patrimoniale alla nozione di danno alla persona in un’equiparazione che rischia di essere fuorviante poiché non sempre le evenienze lesive di natura personale originano da lesione di interessi di rango lato sensumorale. In tal senso Chinè G., Fratini M., Zoppini A.,Manuale di diritto civile, X ed., nel diritto, 2019, 2260.

[5]L’art. 1151 del codice civile del 1865 costituiva una norma assai generica che si limitava a sancire “qualunque fatto dell’uomo che arreca danno ad altri obbliga quello per colpa del quale è avvenuto a risarcire il danno” non disciplinando dunque il risarcimento dei pregiudizi derivanti dalla lesione di interessi non economici della persona trattati alla stregua dei danni patrimoniali. Alcuni proprio dalla genericità della formula usata dal legislatore giunsero a riconoscere la risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali. Così Brugi, Risarcimento del danno morale, in Riv. dir. comm., 1921, II, 452 che osservava “Noi crediamo puramente e semplicemente che quando la legge usa la parola “danno” si debba prendere questa parola nel suo completo significato di una diminuzione di tutti i beni della persona di qualunque specie essi siano”. Sul punto Giorgi G., Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano, vol. V, Firenze 1882, 340; Ricci F., Corso teorico-pratico di diritto civile, vol. VI, Torino, 1886, 125.

[6] Il danno non patrimoniale era definito con l’espressione “danno morale” che designava qualsiasi tipo di pregiudizio non pecuniario come ad esempio lo spavento, la paura, il turbamento dell’animo. Sul punto Rossetti M., Il danno non patrimoniale, Giuffrè, Milano, 2010, 12. 

[7] In tal senso Corte App., Milano, 11.5.1920, in Foro it., 1920, l, 554.

[8] Il Gabba osservava sul punto che “il diritto ha (...) per sua natura ad oggetto sempre un oggetto esteriore e sensibile. Non hanno questa natura, e non si possono neppure propriamente dire diritti personali (...) gli oggetti dell’offesa e del danno morale”.Secondo l’autore dunque sarebbero irrisarcibili come danni in senso giuridico dal momento che è impossibile stimare in denaro gli interessi lesi da tali diritti.Gabba, Nota a Cass., Palermo, 23.2.2895, in Foro.it,1896, I, 685. 

[9] A generare il diritto al risarcimento era il vulnusarrecato all’homo faber, cioè l’uomo capace di produrre ricchezza. Così Cass. Torino 23.6.1913, in Riv. dir. comm., 1913, II, 800, che “per la risarcibilità dei danni morali che si fanno consistere nelle sofferenze fisiche (...) occorre avere riguardo alle conseguenze da essi provocate e per essi sopravvenute nelle attività patrimoniali del paziente”.

[10] Ragguagliare il danno inferto alla perdita della capacità lavorativa del danneggiato rischiava di causare enormi disparità di trattamento a seconda dell’attività lavorativa specifica del danneggiato. Si v. il c.d. affaireGennarino (Tribunale di Milano, 1971) in Chinè G., Fratini M., Zoppini A., op. cit., 2263.

[11] Cfr. Cass. civ., sez. un., 8.5.1935, in Foro it., 1935, I, 999-1000.

[12] Alcuni autori sostenevano che il legislatore nell’elaborare l’art. 185 avesse inteso interpretare l’art. 1151 del Codice civile allora previgente. Per approfondire Gentile G., Il risarcimento del danno morale nel nuovo codice penale, in Resp. Civ. prev., 1931, 219.

[13] Si v. art. 2059 c.c. (Danni non patrimoniali) “Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”.

[14] Si riteneva, in passato, che la monetizzazione del danno morale si compendiasse nel ristoro per le lacrime versate. Così Fiandaca L.,Il danno non patrimoniale: percorsi giurisprudenziali, Giuffrè, 2009, 433.

[15] Così Cass. civ., sez. un., III, 31.5.2003, n. 8827 e Cass. civ., sez. un., III, 31.5.2003 n. 8828.

[16] Risulta più corretto parlare di “lesione alla salute” ovvero del bene giuridico salute, costituzionalmente garantito e non di “danno alla salute”, lasciando così al termine “danno” l’accezione naturalistica che di regola, assume in sede privatistica. Così Corte cost., sent. n. 184 del 1986. 

[17]Si è sostenuto rientrare il danno biologico nella categoria dei danni economici (questi sarebbero caratterizzati dall’obiettiva e diretta valutabilità in denaro) ed allorché si è assunto che lo stesso danno consistesse nell’effetto dannoso della lesione dell’integrità psico-fisica del soggetto offeso, che rende il medesimo incapace, anche solo in parte, di ricevere utilità dalla propria attività o dal mondo esterno”. Corte cost., sent. n. 184 del 1986.

[18] Prima delle sentenze c.d. gemelle il danno biologico era considerato un danno specifico ovvero un tipo di danno, identificatosi con un tipo di evento. Si v. Corte cost., sent. n. 184 del 1986.

[19] Così Fiandaca L., op. cit., 6.

[20] Cfr. Corte cost., sent. n. 233 del 2003.

[21] Secondo la Corte di Cassazione tra i “casi previsti dalla legge” (espressione presente nell’art. 2059 c.c., improntato alla tipicità) che consentono il risarcimento del danno non patrimoniale rientrano tutte le ipotesi in cui un fatto illecito abbia leso un diritto della persona costituzionalmente garantito poiché la “legge” cui fa riferimento l’art. 2059 c.c. non è solo quella ordinaria ma anche la legge costituzionale. Così Rossetti M., op. cit., 45.

[22] Si segnala in tal senso Cass. civ, sez. I, sent. n. 7713 del 2000 che afferma la necessità di assicurare un’adeguata tutela ai diritti fondamentali della persona, atteso che l’offesa agli stessi rivolta si concretizza in un pregiudizio di stampo esistenziale alla vita di relazione. La responsabilità per violazione di tali diritti viene ad essere inquadrata, inizialmente, nell’art. 2043 c.c.

[23] Una compiuta nozione di danno esistenziale emerge da Cass. civ., sez. un., sent. n. 6572 del 2006 che lo indentifica nel “pregiudizio che l’illecito datoriale provoca sul fare areddituale del soggetto, alterando le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri sconvolgendo la sua quotidianità e privandolo di occasioni per la espressione e la realizzazione della sua personalità nel mondo esterno”.

[24] A seguito delle sentenze gemelle del 2003 anche i sostenitori della risarcibilità del danno esistenziale sono giunti a riconoscere che non è l’interesse leso a dover avere rilevanza costituzionale ma le conseguenze negative della lesione. Sul piano probatorio emerge l’esigenza di dimostrare, alla lesione del valore fondamentale (danno-evento) anche le ripercussioni negative che dal medesimo ne sono derivate. Cfr. Rossetti M., op. cit., 74.

[25] Gli elementi costitutivi dell’illecito civile consistono nella condotta, nel nesso causale tra condotta ed evento di danno, connotato quest’ultima dall’ingiustizia, determinata dalla lesione, non giustificata, di interessi meritevoli di tutela e nel danno che ne consegue. Cfr. Cass. civ., sez. un., sent. n. 26972 del 2008.

[26] La prima compiuta elaborazione del concetto di “danno esistenziale” quale autonoma categoria di danno si deve a Ziviz. Così Ziviz P.,Alla scoperta del danno esistenziale, in Contratto e impresa, 1994, 845. 

[27]Con tale formula si individuano le cause risarcitorie in cui il danno consequenziale è futile ed irrisorio, ovvero, pur essendo oggettivamente serio, è tuttavia, secondo la coscienza sociale, insignificante o irrilevante per il livello raggiunto”. Così Cass. civ., sez. un., sent. n. 26972 del 2008.

[28] Il danno non patrimoniale resta atipico tuttavia sul piano degli effetti ben potendo questi consistere in qualsiasi, rinuncia, sofferenza o deprimenza morale. Cfr. Rossetti M., op. cit., 94.

[29] Così Cass. civ., sent. n. 15022 del 2005 in cui si è osservato che ai fini dell’art. 2059 c.c. non può farsi riferimento ad una generica categoria di danno esistenziale, poiché attraverso questa via si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità. 

[30] In questo modo si rischia di confondere il piano del danno da riparare con quello dell’ingiustizia da dimostrare. Così Rossetti M., op. cit., 88; Virgadamo P.,Art 2059 c.c.  “ingiustizia conformata”: verso un nuovo assetto del sistema risarcitorio del danno non patrimoniale, in Dir. fam., 2006, 531.

[31] Cfr. Cass. civ., sez. un., sent. n. 26972 del 2008.

[32] Si tratta delle quattro sentenze gemelle delle Sezioni Unite (n. 26972- 26973 – 26974 – 26975 del 2008) che hanno chiarito l’area di risarcibilità del danno non patrimoniale, non più limitata alle ipotesi tipiche ma estendibile anche ai casi in cui l’illecito civile abbia offeso diritti inviolabili della vittima da cui siano derivate conseguenze pregiudizievoli lato sensumorali.

[33] Il primo quesito che l’ordinanza di rimessione (Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2008, n. 4712.) rivolge alle Sezioni Unite concerne la liceità di un danno esistenziale, inteso quale conseguenza della lesione di interessi costituzionalmente garantiti nonché della lesione al fare areddituale del soggetto, diverso dunque dal danno biologico e dal danno morale.

[34] Si discorre se il pregiudizio esistenziale coincida con la lesione inferta al diritto costituzionalmente protetto o piuttosto al nocumento che causa nella stessa. Invero, secondo quesito che pone l’ordinanza di rimessione concerne i caratteri morfologici del danno “esistenziale”. Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2008, n 4712.

[35] Il dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale. Desumere il criterio di tollerabilità dall’art. 2 Cost appare tuttavia riduttivo perché il senso del dovere di solidarietà contenuto nella norma ha a che vedere con questioni che attengono propriamente alla “cura dell’altro” ed al “legame sociale”. Così Barcellona M., La responsabilità extracontrattuale, Utet, 2011, 272.

[36] Secondo le sentenze delle Sezioni Unite del 2008 tale filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento è dovuto solo quando sia superiore il livello di tollerabilità e il pregiudizio non sia futile. Entrambi i requisiti devono essere accertati dal giudice secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico. Così Fiandaca L., op. cit., 20 s.

[37] Un’altra questione che l’ordinanza di rimessione pone alle Sezioni Unite concerne la teoria che distingue tra una presunta atipicità dell’illecito patrimoniale rispetto ad una presunta tipicità del danno non patrimoniale. Si discute in particolare se il concetto di atipicità dell’illecito di cui all’art. 2043 sia riferibile all’evento di danno o alla conseguenza dannosa dell’illecito. Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2008, n. 4712.

[38]Sul punto ne sono esempi: art. 2 1. n. 117/1998: danni derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall'esercizio di funzioni giudiziarie; art 29, comma 9, 1. n. 675/1996: impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali; art. 44, comma 7, d.lgs. n. 286/1998: adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; art. 2 1. n. 89/2001: mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo.

[39]Per il risarcimento del danno prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona deve sussiste un’ingiustizia costituzionalmente qualificata. Criticamente, sul punto, Gazzoni F.,Il danno esistenziale, cacciato, come meritava, dalla porta, rientrerà dalla finestra, in Dir. fam. Pers., 2009, 103 s., sostiene che i diritti inviolabili della persona sono “sostanzialmente, ma anche formalmente, innominati, non essendo essi tipizzati dall’art. 2 Cost. Questa norma, infatti, li presuppone, solo riconoscendoli, quasi essi fossero scritti chissà dove, magari sulle stelle”. 

[40]L’art. 1321 c.c. nello scolpire la nozione di contratto, evidenzia la natura patrimoniale del rapporto giuridico. Alla luce di ciò l’impostazione tradizione ha negato la possibilità di veicolare pretese risarcitorie per danno non patrimoniali derivati dalla inesatta esecuzione della prestazione in esso dedotta. Così Chinè G., Fratini M., Zoppini A.,op. cit.,2299.

[41]Le Sezioni Unite sul punto richiamano ad esempio i contratti di protezione come quelli che si concludono nel settore sanitario ovvero quelli che intercorrono tra gli allievi e l’istituto scolastico. Cass. civ., sez. un., sent. n. 26972 del 2008.

[42]È ad esempio il caso dell’art. 2087 c.c. in cui il legislatore, stabilendo che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’impresa le misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” ha inserito nell’area del rapporto di lavoro interessi non suscettibili di valutazione economica. 

[43]Il metusnell’accordare un siffatto nocumento derivava alla circostanza che nella responsabilità aquiliana una funzione selettiva dei danni risarcibili era affidata alla generale clausola dell’ingiustizia, assente in ambito contrattuale.

 

[45]La giustizia distributiva riguarda la ripartizione, secondo proporzionalità ed equità, dei beni materiali e morali in una comunità politica. Rossetti M., op. cit., 122

[46]Il modo di liquidare un danno può variare a seconda del modo di concepire il risarcimento e delle funzioni che ad esso si assegnano. Il risarcimento del danno non patrimoniale è privo di qualsiasi funzione punitiva, tende piuttosto a collocare il danneggiato nella medesima situazione in cui si trovava prima dell’evento dannoso. Il risarcimento non può dipendere dal grado della colpa dell’offensore perché in tal modo si rischierebbe di attribuirgli una natura sanzionatoria. Essendo pressoché impossibile in rerum natura la ricostruzione del bene perduto la reintegrazione deve avvenire in denaro. Così Barcellona M., op. cit., 129

[47]Il danno biologico da lesioni micro-permanenti è l’unico ad essere stato disciplinato mediante la legge e permette un calcolo più accurato introdotta dal legislatore all’art. 138 e 139 del d.lgs. n. 209 del 2005 (Codice delle assicurazioni).

[48]Oltre a ciò le tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante dalla lesione all’integrità psico-fisica del Tribunale di Milano sono state rielaborate all’esito delle pronunce delle SU del 2008, determinando il valore finale del punto utile al calcolo del danno biologico da invalidità permanente, procedendo ad un aumento dell’originario punto tabellare in modo da includervi la componente già qualificata in termini di “danno morale” che si usava liquidare separatamente.Chinè G., Fratini M., Zoppini A.,op. cit., 2289.

[49]Sul punto Rossetti M., op.cit., 134 

[50]Così Savoia R., Nota a Cass. civ. III sez n. 27590 del 2019, in diritto & giustizia, 2019.

[51]Il dibattito sulla natura unitaria o pluralista del nocumento non patrimoniale interessa anche il profilo concernente la formulazione della domanda introduttiva del giudizio risarcitorio. Ove, infatti, si opti per l’autonomia concettuale delle singole voce risarcitorie, sul piano processuale, ne deriva l’esigenza che la domanda sia formulata analiticamente con riferimento alla tipologia specifica di danno. Chinè G., Fratini M., Zoppini A.,op. cit., 2291.

[52]Per approfondire Garofoli R., Manuale di diritto civile, Nel diritto editore, 2019.

[53]Si allude al quadro tracciato da Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1361.

[54]Così Tribunale civ., sez. II, Salerno, sent. n. 2195 del 2016.

[55]Si tratta del c.d. criterio del punto variabile.

[56]Corte cost., 16 ottobre 2014, n. 235.

[57]Secondo la Corte la tutela risarcitoria dei danneggiati da sinistro stradale è più incisiva e sicura rispetto a quella dei danneggiati da eventi diversi, poiché solo i primi e non anche gli altri, possono avvalersi della copertura assicurativa, ex lege obbligatoria del danneggiante. La Corte ha dichiarato infondata la prospettata disparità di trattamento e anche la censura di violazione dell’art. 24 Cost poiché la paventata limitazione non incide sull’azionabilità in giudizio del diritto risarcitorio.

[58]Come espressamente richiamo dagli art. 138 e 139 del Codice delle assicurazioni private.

[59]I fatti notori sono circostanze concrete, fatti realmente accaduti, caratterizzati dunque da obiettività. Così Cass. civ., sez. un., sent. n. 6572 del 2006. Sul punto si v. Mancini L., La prova del danno non patrimoniale, Giuffrè, 2015. 

[60]Cfr. Cass. civ. Sez. Unite, sent. n. 16601 del 2017 in cui a partire dal problema dell’ammissibilità dei danni punitivi (c.d. punitive damages) la Corte è giunta ad affermare la funzione polifunzionale del risarcimento. Così le due funzioni (riparatoria-sanzionatoria) convivono e ciò consente di accertare il fatto in tutte le sue sfaccettature. Con tale sentenza pare che la Cassazione abbia ammesso la funzione punitiva deterrente della responsabilità civile. 

[61]Tampieri M., La tutela civile della persona: profili risarcitori, Cedam, 2010, 21 s.

[62]Così Bona M., Importanti precisazioni per lo statuto del danno non patrimoniale: sfera morale, personalizzazioni, rischi di recidive e congiunti del sopravvissuto – II parte, in Responsabilità civile e previdenza, fasc. 6, 1 giugno 2019.

[63]Fra gli interventi giurisprudenziali più recenti sul punto Cass. civ., sez. un., sent. n. 2788 del 2019. Cass. civ. sent. n. 901 del 2018.

[64]Per la Cassazione non vi è alcun vincolo legale che spinge ad effettuare la liquidazione del danno morale quale frazione di quello biologico. Così Cass, civ. sent. n. 4878 del 2019.

[65]Cass. civ., sez. VI, sent. n. 16041 del 2013, Cass. civ., sez. III, sent. n. 22909 del 2012. 

[66]In tal senso Cass. civ., sez. III., n. 22585 del 2013. 

[67]Secondo la Corte, solo le conseguenze straordinarie e non ordinarie giustificano una valutazione ulteriore rispetto a quella già offerta dalle tabelle dell’invalidità permanente. In tal senso Cass. civ., sentenza n. 24471 del 2014; Cass. civ., sez. III, ordinanza n. 7964 del 2020. Ulteriore conferma proviene da Cass. civ., sez. III., ordinanza n. 9865 del 2020 secondo la quale non costituisce duplicazione la congiunta attribuzione del "danno biologico" e di un’ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale.

[68]Per un quadro di sintesi della giurisprudenza costituzionale in questione cfr. Bona M.,Il diritto al risarcimento integrale dei danni alla persona: il suo fondamento costituzionale nella giurisprudenza della Consulta, in ridare.it, 16 dicembre 2015.

[69]Cass. civ., sez. III, ordinanza n. 7964 del 2020. 

Barcellona M., La responsabilità extracontrattuale, Utet, 2011

Bona M., Il diritto al risarcimento integrale dei danni alla persona: il suo fondamento costituzionale nella giurisprudenza della Consulta, in ridare.it, 16 dicembre 2015

Bona M., Importanti precisazioni per lo statuto del danno non patrimoniale: sfera morale, personalizzazioni, rischi di recidive e congiunti del sopravvissuto – II parte, in Responsabilità civile e previdenza, fasc. 6, 1 giugno 2019

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