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Pubbl. Mer, 8 Lug 2020

Il doppio binario delle concessioni demaniali

Gianluigi Pallotta



La concezione statica dei beni demaniali - mera tutela e conservazione - ha lasciato spazio ad una concezione dinamica, improntata al corretto utilizzo e indirizzata al raggiungimento di obiettivi di interesse generale: target compatibili e conciliabili con l’interesse economico all’esercizio dell’attività imprenditoriale. La gestione del demanio marittimo si inserisce nell’ambito di una funzione sociale rivolta alla garanzia ambientale e paesaggistica, con uno sguardo rivolto ad uno sviluppo economico improntato a criteri di responsabilità, che tenga conto del benessere della popolazione e degli indici economici rilevanti per la cura del bene pubblico.


Sommario: 1. La famigerata Direttiva Bolkestein. 2. Il problema delle materie trasversali: tutela dell’ambiente e tutela della concorrenza. 3. Applicazione generalizzata dei principi di diritto comunitario al mercato unico. 4. La natura discrezionale dell’atto di concessione. 5. Interesse al rinnovo della concessione: interesse legittimo o diritto di insistenza? 6. La possibilità per il giudice di disapplicare norme nazionali in contrasto.

Sommario: 1. La famigerata Direttiva Bolkestein. 2. Il problema delle materie trasversali: tutela dell’ambiente e tutela della concorrenza. 3. Applicazione generalizzata dei principi di diritto comunitario al mercato unico. 4. La natura discrezionale dell’atto di concessione. 5. Interesse al rinnovo della concessione: interesse legittimo o diritto di insistenza? 6. La possibilità per il giudice di disapplicare norme nazionali in contrasto.

1. La famigerata Direttiva Bolkestein

L’utilizzo dello strumento della concessione è andato aumentando nel corso degli ultimi anni a discapito di un utilizzo pubblico (extra-concessione) dei beni demaniali.

In ambito giuridico, il nodo gordiano da sciogliere nella materia delle concessioni demaniali marittime consiste nel verificare l’applicabilità o meno della Direttiva Bolkestein. La risposta non può che essere affermativa. La Direttiva 2006/123/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno deve essere applicata in subiecta materia. La questione ha un impatto notevole, andando potenzialmente ad incidere sulle concessioni esistenti.

La revisione totale della disciplina vigente non sembra ulteriormente procrastinabile. Tuttavia, il legislatore non appare intenzionato ad adeguarsi, anzi, con L. 30 dicembre 2018, n. 145, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre 2018 n. 302, “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021” ha inteso imporre un’ulteriore proroga generalizzata di quindici anni, fino al 20331.

2. Il problema delle materie trasversali: tutela dell’ambiente e tutela della concorrenza

Nella distinzione della potestà legislativa tra competenza statale e regionale (art. 117 Cost.) si evidenziano delle materie complesse, che non possono essere ricondotte nella competenza specifica dello Stato o delle Regioni: queste sono le materie trasversali. Vi sono alcuni ambiti materiali (ad es: livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali2, ambiente, tutela della concorrenza3) che non possono essere racchiusi all’interno di una singola materia.

La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 407 del 2002, così si esprime:

“In questo senso l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una "materia" in senso tecnico, qualificabile come "tutela dell'ambiente", dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione è agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come “valore” costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia “trasversale”, in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale (cfr., da ultimo, sentenze n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del 1998).

Le complicazioni aumentano, perché sulle concessioni che comportano benefici aventi carattere economico, risultano direttamente applicabili le norme europee e i principi comunitari derivanti dalla giurisprudenza.

Il cardine europeo della concorrenza implica l’utilizzo di procedure ad evidenza pubblica che siano in grado di garantire la scelta del concessionario migliore.

Allora, non può esistere il diritto del concessionario al rinnovo automatico dell’atto di concessione.

Per contemperare l’esigenza di tutela del concessionario uscente, che reclama un diritto di insistenza sul bene pubblico, sarebbe perlopiù riconosciuto un diritto di prelazione anche in sede di gara: al concessionario viene concessa la possibilità di partecipare alla gara e di aumentare la migliore offerta presentata da un diverso operatore4.

3. Applicazione generalizzata dei principi di diritto comunitario al mercato unico

Analizzando le decisioni della giurisprudenza comunitaria non si può fare a meno di riconoscere che la CGUE ha da sempre interpretato i principi fondamentali che reggono la struttura dell’UE come direttamente applicabili a tutte quelle tipologie di attività e rapporti giuridici che siano in grado di modificare il mercato: contratti pubblici, concessione di servizi pubblici e affidamento in gestione di beni pubblici.

Ciò che rileva, insomma, è garantire la concorrenza nel mercato comune ma non la modalità di ingerenza nel mercato: la capacità di concedere denaro o altre forme di aiuto alle imprese5.

Le norme previste nelle direttive che disciplinano il settore degli appalti pubblici possono essere considerati principi generali applicabili in maniera universale alla concessione di beni di rilevanza economica.

I principi suddetti possono essere così identificati: libertà di stabilimento, libertà di prestazione dei servizi, parità di trattamento e divieto di discriminazione in base alla nazionalità (artt. 49 e 56 TFUE), trasparenza e non discriminazione (art. 106 TFUE).

4. La natura discrezionale dell’atto di concessione

L’interesse pubblico plasma l’intera materia del diritto amministrativo6. Costituisce il principio ordinatore dell’apparato amministrativo tout court.

Rappresenta la stella polare da seguire nel complesso mondo della PA, ed in questo senso legittima il potere della stessa ed impone una limitazione forzosa dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi in contrasto insanabile con la tutela dell’interesse della collettività; indica un’idea avente una validità universale da raggiungere attraverso l’esercizio del potere amministrativo, funzionale rispetto all’interesse generale (bene comune) valutato in contrapposizione all’interesse privato7.

L’interesse del singolo (di più individui, ma sempre di una parte) si contrappone all’interesse pubblico.

Sul tema la migliore dottrina segnala che:

Il processo di sgretolamento dell’accezione monolitica di interesse pubblico, universalmente riconosciuta, si presenta non privo di contraddizioni e incertezze, ma è innegabile che l’alba del XX secolo porti con sé un’esigenza ormai ineludibile: quella del passaggio da una configurazione astratta dell’interesse pubblico, per lo più fissato nella norma legislativa, ad una configurazione articolata e composita delineata sul piano concreto dall’azione discrezionale delle amministrazioni.”8

Le contaminazioni tra diritto pubblico e privato - nei sistemi giuridici odierni - sono causa di un complesso amalgama indotto dalla globalizzazione9. La contaminazione tra i principi cardine (fondanti) delle materie non dovrebbe, però, creare una confusione tale da introdurre deroghe surrettizie non propriamente rispettose dei parametri essenziali, propri di ciascuna materia e dei confini di riferimento10.

Se risulta ancora valida una dicotomia tra pubblico e diritto privato, questa distinzione così nitida sta gradualmente perdendo il carattere tranchant11. Non si può trascurare un certo interesse per uno studio fondato sul metodo comparativo sul tema, che risulta affascinante proprio perché trasversale ad ordinamenti profondamente difformi.

Se si può parlare di un declino della distinzione rigida tra diritto pubblico e privato, con fenomeni di trasmigrazione e di assimilazione di alcuni istituti, sicuramente l’interesse pubblico rimane al centro della funzione amministrativa12.

La PA trova la ragione della propria esistenza nello svolgimento della funzione servente, l’interesse pubblico, appunto.

Accanto a quest’ultimo, non possono certo negarsi tipologie di interesse differenti, seppur nella persistenza di una dicotomia tra pubblico e privato meno rigida: il primo improntato alla cura del bene comune, il secondo volto alla tutela del bene rientrante nella sfera privatistica del singolo individuo. Tutto questo non implica che la nozione di interesse pubblico debba restare stritolata entro i margini di un concetto semplificato o addirittura semplicistico, che non tenga conto dei temi emergenti della globalizzazione e dell’europeizzazione.

Seppure la concreta definizione dell’interesse pubblico appartenga alla sfera politico-legislativa, che di volta in volta potrebbe mutare la definizione dei fini da raggiungere, l’azione amministrativa rimane imbrigliata dalla strategia politica, dalla connotazione che ne contraddistingue l’azione.

Tuttavia non si può confondere l’interesse pubblico con quello privato, però l’attività della PA alla non può non essere conformata alla funzione politica.

D’altra parte, questa distinzione appare ben nota13 e cristallizzata nella riforma Bassanini14.

Il sistema attuale si è fatto articolato e complesso. Se livelli distinti di governo sono posti in relazione con le comunità cui si riferiscono, se la globalizzazione e l’europeizzazione avanzano con le oscillazioni di un pendolo, è pur sempre l’interesse pubblico che rappresenta il faro guida della pubblica amministrazione.

Può essere considerato il prisma che differenzia interessi plurimi e posizioni giuridiche differenziate; incardina il momento che sublima catarticamente interessi differenti (coinvolti nella decisione) rappresenta la bussola che può orientare quando si presentano diverse possibilità, diverse soluzioni possibili.

Il termine discrezionalità indica la possibilità di compiere una scelta, seppur entro un certo margine stabilito dalla legge. Pertanto la discrezionalità è indiscutibilmente sottoposta al principio di legalità15. Naturalmente si tratta di un giudizio di opportunità, che può più o meno esteso in base alla congiuntura del momento concretamente analizzato; perciò implica la necessaria valutazione degli interessi considerati16.

La discrezionalità amministrativa rappresenta la possibilità di scelta e la sintesi tra i vari interessi coinvolti nel procedimento17; costituisce l’estrinsecazione del potere amministrativo in grado di tutelare l’interesse generale, intaccando il meno possibile gli interessi limitrofi all’interesse pubblico.

È noto che la discrezionalità amministrativa possa rivelarsi, in concreto, più o meno dilatata, potendo riguardare, separatamente o congiuntamente, l’an, il quando, il quomodo (che concerne le modalità di esternazione del provvedimento e la facoltà di inserirvi elementi accidentali) il quid (la determinazione del contenuto che in concreto si palesi più opportuno).”18

Insomma la discrezionalità non è cosa da poco. L’uso improprio della discrezionalità può trasmodare nel conferire alla fattispecie una qualificazione avente rilevanza penale.

In altri casi, l’aspetto che preoccupa maggiormente risulta il mancato esercizio della discrezionalità, la mancanza di un provvedimento espresso della PA che ingenera un silenzio assordante. Alla luce di queste considerazioni, bisognerebbe ripensare funditus il concetto di discrezionalità, che per un verso rimane ancorato ai solidi principi fondamentali dell’ordinamento, ma si evolve velocemente con la stessa velocità evolutiva determinata dall’innovazione in ambito giuridico.

Quindi, non si può prescindere da una nozione di discrezionalità amministrativa che sia costituzionalmente orientata; purtuttavia, l’influenza del diritto europeo coinvolge radicalmente anche concetti che, prima facie, appaiono così ben strutturati che non sembrano essere scalfiti dalla forza del cambiamento.

Eppure anche dogmi apparentemente inattaccabili divengono cedevoli rispetto alla forza del mutamento politico-amministrativo, cosicché il principio di legalità, in alcuni casi, potrebbe risultare recessivo al cospetto della logica del risultato.

La contrapposizione appare evidente. La dottrina più illustre evidenzia una situazione di incompatibilità totale: “... si tratta di due modi distinti e concorrenti, anzi in qualche modo intrecciati, di valutazione dell'attività amministrativa”19.

La discrezionalità del provvedimento concessorio risulta ampiamente riconosciuta in dottrina e in giurisprudenza20.

Il rilascio di concessione demaniale, in primo luogo, è atto rimesso a valutazioni discrezionali dell’Amministrazione, circa l’opportunità e la convenienza sottostanti all’instaurazione del rapporto, che può scaturire solo da formale rilascio di titolo abilitativo per il godimento di un bene di proprietà pubblica.

Il rinnovo tacito del titolo in questione, se non testualmente previsto nell’atto di concessione, non può in linea di principio essere riconosciuto dopo la scadenza dello stesso, anche se sussiste un obbligo dell’Amministrazione di emettere provvedimento motivato, in presenza di istanze di proroga (ammissibili solo prima della scadenza della concessione), o di rinnovo, ovvero di rilascio di nuova concessione (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. VI, 17 marzo 2010, n. 1566, 1 febbraio 2013, n. 626; TAR Lazio, Roma, sez. II, 4 novembre 2008, n. 9569; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 29 settembre 2011, n. 4523; TAR Campania, Napoli, sez. II, 14 febbraio 2006, n. 2102).

5. Interesse al rinnovo della concessione: interesse legittimo o diritto di insistenza?

Facendo seguito al provvedimento di concessione viene stipulata una convenzione accessiva all’atto prestabilito.

Premesse le norme comunitarie che stabiliscono l’obbligatorietà della procedura ad evidenza pubblica per l’assegnazione dei beni pubblici, la pretesa di rinnovo della concessione stessa non può essere qualificata come un diritto convenzionale nascente dalla sottoscrizione della medesima21.

La situazione nella quale viene a trovarsi il concessionario si attaglia maggiormente a quella dell’interesse legittimo pretensivo, caratterizzato dalla facoltà di richiedere il rinnovo, che implica la piena discrezionalità della pubblica amministrazione nel concederlo o meno22.

Rimane in capo all’amministrazione la determinazione degli obiettivi da realizzare mediante una gestione efficiente del bene pubblico, anche attraverso la realizzazione di una procedura competitiva ad evidenza pubblica che sia in grado di salvaguardare il concessionario uscente, e che consenta a quest’ultimo di partecipare alla competizione proponendosi come operatore23.

In effetti il concessionario uscente, potrebbe far valere anche il legittimo affidamento nel caso di un investimento considerevole sul bene demaniale. Un diverso tipo di problema attiene alla scarsità della risorsa naturale concessa, cioè alle ridotte possibilità per l’impresa di svolgere altrove l’attività economica.

Un ulteriore profilo problematico è costituito dal cosiddetto interesse transfrontaliero. Difatti, dove vi siano situazioni prive dalle caratteristiche della transnazionalità, queste restano confinate all'interno di uno Stato membro e, come tali, e rimangono disciplinate dall’ordinamento giuridico nazionale.

6. La possibilità per il giudice di disapplicare norme nazionali in contrasto

La primazia del diritto dell’UE significa in primis la possibilità per il giudice di disapplicare la norma giuridica interna in contrasto con quella euro-unitaria24.

L’istituto della disapplicazione è ampiamente ammesso nel processo amministrativo25. L’esigenza di uniformità di applicazione del diritto all’interno dell’UE è garantito dalla diretta applicabilità nell’ordinamento interno delle fonti euro-unitarie26.

La supremazia del diritto comunitario sul diritto interno si giustifica per una ragione finalistica27, piuttosto che su una presupposta superiorità gerarchica, e trova fondamento nella cessione di sovranità ai sensi dell’art. 11 della Costituzione. L’istituto della disapplicazione si distingue dall’abrogazione in quanto comporta effetti solamente inter partes nell’ambito del giudizio, mentre l’abrogazione comparta la cessazione definitiva della norma avente effetti erga omnes28.

La Corte Giustizia29 ha stabilito l’obbligo di interpretazione conforme del diritto euro-unitario dalla sentenza Von Colson et Kamann, punto 26:

“l’obbligo degli stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa contemplato, come pure l’obbligo loro imposto dall’art.5 del trattato di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi degli stati membri ivi compresi, nell’ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali.ne consegue che nell’applicare il diritto nazionale, e in particolare la legge nazionale espressamente adottata per l’attuazione della direttiva n.76/207,il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato contemplato dall’art.189,3º comma”.

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 125/2009 ha posto in evidenza il rapporto tra l’art 117, primo comma, Cost. e l'art.11 Cost., come fonte della diretta applicazione delle norme comunitarie nell’ordinamento interno:

“… per giurisprudenza ormai costante di questa Corte, nei rapporti tra diritto comunitario e diritto interno i due sistemi sono configurati come autonomi e distinti, ancorché coordinati, secondo la ripartizione di competenza stabilita e garantita dal Trattato (sentenze n. 168 del 1991, n. 170 del 1984 e n. 183 del 1973). Le norme derivanti dalla fonte comunitaria vengono a ricevere, ai sensi degli artt. 11 e 117, primo comma, Costi., diretta applicazione nel territorio italiano, ma rimangono estranee al sistema delle fonti interne e, se munite di efficacia diretta, precludono al giudice nazionale di applicare la normativa interna con esse ritenuta inconciliabile (ove occorra, previo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, extra. 234 del Trattato CE)”.

Sul punto appare chiarissima la sentenza n.7874-2019 del Consiglio di Stato:

“Fermo tutto quanto si è fin qui illustrato il Collegio deve farsi carico di rammentare che la tesi prevalente in giurisprudenza, allo stato e condivisa dal Collegio, tende ad affermare che il provvedimento amministrativo adottato dall’amministrazione in applicazione di una norma nazionale contrastante con il diritto eurounitario non va considerato nullo, ai sensi dell’art. 21-septies l. 241/1990 per difetto assoluto di attribuzione di potere in capo all’amministrazione procedente, sebbene alla medesima amministrazione, per quanto si è sopra riferito, è fatto carico dell’obbligo di non applicare la norma nazionale contrastante con il diritto eurounitario, in particolar modo quando tale contrasto sia stato sancito in una sentenza della Corte di giustizia UE. Per effetto di tale prevalente orientamento, quindi, la violazione del diritto eurounitario implica solo un vizio di illegittimità non diverso da quello che discende dal contrasto dell'atto amministrativo con il diritto interno, sussistendo di conseguenza l'onere di impugnare il provvedimento contrastante con il diritto europeo dinanzi al giudice amministrativo entro il termine di decadenza, pena l'inoppugnabilità del provvedimento medesimo (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. III, 8 settembre 2014 n. 4538).”3


Note e riferimenti bibliografici

1 L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 683: “Al fine di garantire la tutela e la custodia delle coste italiane affidate in concessione, quali risorse turistiche fondamentali del Paese, e tutelare l'occupazione e il reddito delle imprese in grave crisi per i danni subiti dai cambiamenti climatici e dai conseguenti eventi calamitosi straordinari, le concessioni di cui al comma 682, vigenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge 31 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, nonché quelle rilasciate successivamente a tale data a seguito di una procedura amministrativa attivata anteriormente al 31 dicembre 2009 e per le quali il rilascio è avvenuto nel rispetto dell'articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 15 febbraio 1952, n. 328, o il rinnovo è avvenuto nel rispetto dell'articolo 02 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, hanno una durata, con decorrenza dalla data di entrata in vigore della presente legge, di anni quindici. Al termine del predetto periodo, le disposizioni adottate con il decreto di cui al comma 677 rappresentano lo strumento per individuare le migliori procedure da adottare per ogni singola gestione del bene demaniale.”

2 “Quanto poi ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, non si tratta di una “materia” in senso stretto, ma di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle.” (Corte Cost., sent. n. 282 del 2002).

3 “Dal punto di vista del diritto interno, la nozione di concorrenza non può non riflettere quella operante in ambito comunitario, che comprende interventi regolativi, la disciplina antitrust e misure destinate a promuovere un mercato aperto e in libera concorrenza. Quando l'art. 117, secondo comma, lettera e), affida alla potestà legislativa esclusiva statale la tutela della concorrenza, non intende certo limitarne la portata ad una sola delle sue declinazioni di significato. Al contrario, proprio l'aver accorpato, nel medesimo titolo di competenza, la moneta, la tutela del risparmio e dei mercati finanziari, il sistema valutario, i sistemi tributario e contabile dello Stato, la perequazione delle risorse finanziarie e, appunto, la tutela della concorrenza, rende palese che quest'ultima costituisce una delle leve della politica economica statale e pertanto non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell'accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali.

Una volta riconosciuto che la nozione di tutela della concorrenza abbraccia nel loro complesso i rapporti concorrenziali sul mercato e non esclude interventi promozionali dello Stato, si deve tuttavia precisare che una dilatazione massima di tale competenza, che non presenta i caratteri di una materia di estensione certa, ma quelli di una funzione esercitabile sui più diversi oggetti, rischierebbe di vanificare lo schema di riparto dell'art. 117 Cost., che vede attribuite alla potestà legislativa residuale e concorrente delle Regioni materie la cui disciplina incide innegabilmente sullo sviluppo economico. Si tratta allora di stabilire fino a qual punto la riserva allo Stato della predetta competenza trasversale sia in sintonia con l'ampliamento delle attribuzioni regionali disposto dalla revisione del Titolo V. È il criterio sistematico che occorre utilizzare al fine di tracciare la linea di confine tra il principio autonomistico e quello della riserva allo Stato della tutela della concorrenza.” (Corte Cost., sent. n. 14 del 2004).

4 “Si badi che la scelta comunale del riconoscimento della prelazione rappresenta comunque una – seppure parziale – deroga al regime della pubblica gara, che imporrebbe invece di premiare esclusivamente l’offerta migliore per la parte concedente, senza alcuna particolare preferenza per il gestore uscente.

In altri termini, la decisione comunale di procedere alla pubblica gara, seppure con il riconoscimento della prelazione, appare rispettosa non solo dei più volte citati principi generali posti a favore della concorrenza, ma anche di esigenze di proporzionalità ed adeguatezza dell’azione amministrativa.” TAR Lombardia – Sez. IV n. 2106-2019.

5 “… è preso in considerazione dalla direttiva 93/38 un contratto a titolo oneroso, stipulato in forma scritta tra, da un lato, un'impresa cui la legislazione di uno Stato membro specificamente assegna il compito di gestire un servizio di telecomunicazioni e il cui capitale è interamente detenuto dalle autorità pubbliche di tale Stato membro e, dall'altro, un'impresa privata, laddove con tale contratto la prima impresa affida alla seconda la produzione e la pubblicazione per la diffusione al pubblico di elenchi degli abbonati al telefono, stampati e utilizzabili elettronicamente (elenchi telefonici); sebbene sia considerato dalla direttiva 93/38, siffatto contratto è escluso, allo stadio attuale del diritto comunitario, dalla sfera di applicazione della stessa direttiva, a causa in particolare del fatto che la controprestazione fornita dalla prima impresa alla seconda consiste nell'ottenimento, da parte di quest'ultima, del diritto di sfruttare, ai fini della sua remunerazione, la propria prestazione.” CGUE (Sesta Sezione) Sentenza 7 dicembre 2000 C-324/98 - Telaustria e Telefonadress.

6 Hans Kelsen, Diritto pubblico e privato, Rivista Internazionale di Scienze Sociali e Discipline Ausiliarie, Vol. 101, Fasc. 388 (Aprile 1925), pagg. 349-351.

7 GALLI DELLA LOGGIA E., Il potere vuoto di un Paese fermo, Il Corriere della Sera, 20 ottobre 2013, “(…) la burocrazia, la giustizia, l’istruzione appaiono ancora arcaiche, organizzate per favorire soprattutto chi ci lavora e non i cittadini, estranee al criterio del merito: dominate da lobby sindacali o da cricche interne, dall’anzianità, dal formalismo, dalla tortuosità delle procedure, dalla demagogia che, in realtà, copre l’interesse personale (…).”

8 SCOCA F.G., L' interesse legittimo. Storia e teoria, Giappichelli, 2017, pag. 15.

9 VALORI G.E., Globalizzazione asimmetrica. L'instabilità e le sfide della postmodernità, Rubbettino, 2018.“Con il termine di globalizzazione intendiamo quel processo, più correttamente, quell’insieme di processi per cui: aumentano quanto a numero e si rafforzano quanto ad intensità i contatti, le relazioni, gli scambi e i rapporti di dipendenza e di interdipendenza fra le diverse aree del mondo[…] si trasforma la rilevanza che le dimensioni “spazio” e “tempo” hanno sul numero, sulla natura e sull’intensità di tali relazioni e rapporti […]aumenta e si diffonde tra gli abitanti del pianeta la consapevolezza dell’esistenza di tali legami e rapporti, nonché della rilevanza che essi assumono per la propria esistenza personale.” CASELLI M., Globalizzazione e sviluppo. Quali opportunità per il sud del mondo?, Vita e Pensiero Editore, Milano, 2002, pagg. 17-18.

I populisti, sia nei mercati emergenti sia nei paesi avanzati, danno voce al malcontento dei loro cittadini nei confronti della globalizzazione, ma solo pochi anni prima, i politici dell’establishment avevano promesso che tutti avrebbero tratto giovamento dalla globalizzazione. E anche due secoli e mezzo di ricerca economica – a partire da Adam Smith che scriveva alla fine del Settecento e David Ricardo agli inizi dell’Ottocento – confermavano che la globalizzazione sarebbe andata a vantaggio di tutti i paesi3. Se dicevano il vero, come si spiega che tante persone nei paesi avanzati e in via di sviluppo nutrono invece sentimenti di così grande ostilità? È possibile che a sbagliarsi non siano stati solo i politici, ma anche gli economisti?” STIGLITZ J.E., La globalizzazione e i suoi oppositori. Antiglobalizzazione nell'era di Trump, Einaudi, 2018.

La parola globalizzazione è diventata di uso comune nei ruggenti anni novanta perché coglieva la natura sempre più interdipendente della vita sociale del nostro pianeta. Oggi si possono trovare milioni di riferimenti alla globalizzazione sia su internet sia sulla carta stampata” (pag. 11). STEGER M.B., La globalizzazione, Il Mulino, 2016.

Non è possibile perseguire simultaneamente la democrazia, l’autodeterminazione nazionale e la globalizzazione economica. Se vogliamo spingere più avanti la globalizzazione, dobbiamo rinunciare allo Stato nazionale oppure alla politica democratica. Se vogliamo mantenere e approfondire la democrazia, dobbiamo scegliere tra lo Stato nazionale e l’integrazione economica internazionale. E se vogliamo conservare lo Stato nazionale e l’autodeterminazione, dobbiamo scegliere tra maggiore democrazia o maggiore globalizzazione. Questo è il trilemma politico fondamentale dell’economia mondiale. I nostri problemi affondano le loro radici nella riluttanza da parte nostra ad affrontare queste scelte ineluttabili.” RODRIK D., La globalizzazione intelligente, Laterza, 2015.

10 MANNORI L., SORDI B., Storia del diritto amministrativo, Laterza, 2001.

11 BOBBIO N., Pubblico/privato, voce in Enciclopedia, vol. XIII, Torino, Einaudi, 1981. “… stabilire una divisione che è insieme totale, in quanto tutti gli enti cui attualmente e potenzialmente la disciplina si riferisce debbono potervi rientrare, e principale, in quanto tende a far convergere verso sé altre dicotomie che diventano rispetto ad esse secondarie.”

12 TORCHIA L., Diritto amministrativo, potere pubblico e società nel terzo millennio o della legittimazione inversa, in AA.VV., Il diritto amministrativo oltre i confini, Milano, Giuffrè, 2008, pag. 46. Sul punto si osserva che il potere amministrativo resta finalizzato alla cura dell’interesse pubblico, “la cui unica correzione può venire da un controllo di legittimità affidato ad un giudice obbligato a fermarsi sul perimetro di quella “dark matter” che viene definita discrezionalità.”

13 “Quel che caratterizza la posizione del manager privato è, però, la precarietà: l’imprenditore, per la natura del rapporto che lo lega al manager, può deciderne il licenziamento ad nutum, in nome della legge del profitto e della libera disponibilità del bene di proprietà. Tale condizione non può essere trasposta tout-court nella dirigenza pubblica, perché la sua stabilità è una condizione indispensabile per il rispetto del principio costituzionale dell’imparzialità della burocrazia (art. 97 cost.), anche in virtù della particolare circostanza della temporaneità del mandato elettorale”.

Venti anni di “politica e amministrazione” in Italia, IRPA Working Paper – Policy Papers Series, n. 1/2014.

14 PINTO F., Bassanini, Brunetta e i gattopardi nella difficile riforma della pubblica amministrazione, in AA.VV., Scritti in onore di Michele Scudiero, pagg. 1791-1837, Jovene Editore, Napoli, 2008.

15 “La modifica costituzionale che avrebbe radicalmente trasformato il sistema, proposta dalla Commissione parlamentare per le riforme costituzionali (l. cost. n. 1/1997), attraverso l’introduzione del principio che “le pubbliche amministrazioni, salvo i casi previsti dalla legge per ragioni di interesse pubblico, agiscono in base alle norme del diritto privato” (art. 106, Atto Camera n. 3931-A, XIII Leg.ra), com’è noto, non fu approvata, insieme a tutto il resto della riforma costituzionale.” CERULLI IRELLI V., Diritto pubblico e diritto privato nella pubblica amministrazione (profili generali e costituzionali), Rivista Italiana per le Scienze Giuridiche, nuova serie, n.7 - 2016, pag. 255.

16 “L’interesse legittimo è quindi una situazione giuridica soggettiva, ha carattere sostanziale, si svolge nel procedimento ed è diretta a influenzare nel merito l’esercizio del potere dell’amministrazione; è una figura di teoria generale che va “oltre il diritto amministrativo”; inoltre, mira all’ottenimento di un vantaggio che è privato e personale e, sotto questo punto di vista, direi quasi che è riflessa la tutela dell’interesse pubblico. È una situazione diacronica, come si è detto, che coglie nella sua concretezza le vicende dinamiche del rapporto tra potere pubblico e cittadino.” PATRONI GRIFFI F., Una breve riflessione sull’interesse legittimo, scritto in occasione della presentazione del libro di F.G. SCOCA, L’interesse legittimo. Storia e teoria. Torino, 2017 (Roma -Senato della Repubblica, Sala Zuccari - 12 giugno 2018).

17 COFRANCESCO G., BORASI F., Le figure della discrezionalità amministrativa, Giappichelli, 2012.

18 JORI P., Natura e fondamento della discrezionalità delle Pubbliche Amministrazioni, LexItalia n. 1/2013.

19 SCOCA F.G., Attività amministrativa (voce), in Enc. dir., Milano, IV agg., 2002, 75 ss.

20 Cfr. in tal senso: Cons. St., sez. VI, 17 marzo 2010, n. 1566, 1 febbraio 2013, n. 626; TAR Lazio, Roma, sez. II, 4 novembre 2008, n. 9569; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 29 settembre 2011, n. 4523; TAR Campania, Napoli, sez. II, 14 febbraio 2006, n. 2102.

21 BOSCOLO E., Beni pubblici e concorrenza: le concessioni demaniali marittime, in Urb. app., 2016, p. 1217 ss.; MARCHEGIANI G., Le concessioni di beni del demanio marittimo alla luce del diritto UE, in giustamm.it, n. 10/2016; RIGHI R., NESI E., Osservazioni sulla sentenza della corte di giustizia dell’unione europea, sez. v, 14 luglio 2016, in c-458/14 e c-67/15, con particolare riferimento ai suoi effetti sui rapporti concessori in atto, ivi, n. 11/2016.

22 Cons. Stato, Sez. V, 11 giugno 2018, n. 3600: “… essendo la concessione del 2009 stata prorogata sino al 2020, non sarebbe ravvisabile un interesse della ricorrente, concreto ed attuale, ad ottenere una pronuncia su di un’istanza di proroga proposta in un tempo considerevolmente antecedente alla scadenza”.

23 Consiglio di Stato, sentenza n. 2933-2014: “Il rilascio di concessione demaniale, in primo luogo, è atto rimesso a valutazioni discrezionali dell’Amministrazione, circa l’opportunità e la convenienza sottostanti all’instaurazione del rapporto, che può scaturire solo da formale rilascio di titolo abilitativo per il godimento di un bene di proprietà pubblica. Il rinnovo tacito del titolo in questione, se non testualmente previsto nell’atto di concessione, non può in linea di principio essere riconosciuto dopo la scadenza dello stesso, anche se sussiste un obbligo dell’Amministrazione di emettere provvedimento motivato, in presenza di istanze di proroga (ammissibili solo prima della scadenza della concessione), o di rinnovo, ovvero di rilascio di nuova concessione (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. VI, 17 marzo 2010, n. 1566, 1 febbraio 2013, n. 626; TAR Lazio, Roma, sez. II, 4 novembre 2008, n. 9569; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 29 settembre 2011, n. 4523; TAR Campania, Napoli, sez. II, 14 febbraio 2006, n. 2102).”

24 VECCHIO F., Primazia del diritto europeo e salvaguardia delle identità costituzionali. Effetti asimmetrici dell'europeizzazione dei controlimiti, Giappichelli, 2013.

25 DIPACE R., La disapplicazione nel processo amministrativo, Giappichelli, 2011.

26 L' effetto diretto delle fonti dell'ordinamento giuridico dell'Unione europea. Riflessioni sui rapporti tra fonti dell'Unione e fonti interne, a cura di DISTEFANO M., Editoriale Scientifica, 2017.

27 MÖLLERS C., European Governance: Meaning and value of a Concept, in CMLR43, 2006, p. 316 ss.

28 MANFRELLOTTI F., Abrogazione di norme e razionalità dell’ordinamento giuridico, Osservatoriosullefonti.it, fasc. 3/2011.

29 Corte Giust., 10 aprile 1984, causa 14/83, Sabine von Colson e Elisabeth Kamann c. Land Nordrhein-Westfalen.

30 Sulla stessa linea CdS sent.n. 1368-2019: “Sicché non vi è più oggi luogo al rinnovo automatico e tacito delle concessioni demaniali. Del resto anche Cons. Stato, V, 28 febbraio 2018, n. 1219 aveva rilevato che la normativa interna che prevede proroghe ex lege di concessioni scadute va contro principi di diritto eurounitario. Con la decisione del 16 luglio 2016, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha statuito: “L’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati. L’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico-ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo.”