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Pubbl. Sab, 20 Giu 2020

Il danno da mero ritardo: secondo le Sezioni Unite la giurisdizione spetta al G.O.

Umberto Nappi



Spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell’affidamento del privato nell’emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della P.A. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da contatto sociale qualificato, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. (Cass. 28 aprile 2020, n. 8236)


Sommario: 1. Premessa - 2. Procedimento amministrativo: analisi artt. 2 e 2 bis l. 241/90 - 3. Distinzione danno da ritardo in senso stretto e danno da mero ritardo 4.Profili di giurisdizione - 5. Natura giuridica della responsabilità della P.A. nel procedimento amministrativo - 6. Conclusioni

Sommario: 1. Premessa - 2. Procedimento amministrativo: analisi artt. 2 e 2 bis l. 241/90 - 3. Distinzione danno da ritardo in senso stretto e danno da mero ritardo 4.Profili di giurisdizione - 5. Natura giuridica della responsabilità della P.A. nel procedimento amministrativo - 6. Conclusioni

1. Premessa

Il danno da mero ritardo, in diritto amministrativo, è stato oggetto da sempre di dibattito in dottrina e in giurisprudenza.

Esso si configura quando la P.A. non conclude il procedimento amministrativo ovvero lo conclude in ritardo e il privato, da tale situazione, subisce un danno alla propria sfera giuridica.

Tale figura rappresenta un'evoluzione nel rapporto stesso tra Amministrazione e privato. Infatti, l'Amministrazione è obbligata a risarcire il danno patito dal privato, a prescindere dalla spettanza del bene della vita.

La recente ordinanza n. 8236 del 28.04.2020 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha fornito un importante contributo sull'argomento e, nel dettaglio, ha preso posizione sulla giurisdizione sul danno da mero ritardo, confermando, implicitamente, l'orientamento che ritiene risarcibile tale ipotesi di danno.

Per comprendere la soluzione fornita dalla Sezioni Unite, tuttavia, è necessario analizzare la situazione giuridica soggettiva sottesa al danno da mero ritardo, partendo dall'analisi del caso concreto ed esaminando la pronuncia della Corte di Cassazione.

Un'azienda citava in giudizio la Pubblica Amministrazione, innanzi al G.O., per il risarcimento del danno per la lesione dell'affidamento. In particolare, parte attrice lamentava che l'Amministrazione nel corso del procedimento avesse mantenuto un comportamento contraddittorio e che, inoltre, il procedimento stesso si era protratto per svariati anni senza mai concludersi.

Dalla sommaria descrizione del fatto concreto, anzitutto, si può evincere che la questione non verte sulla legittimità o meno del provvedimento, in quanto quest'ultimo pacificamente non è mai stato emanato.

Inoltre, si può desumere che, nel caso concerto, sia configurabile un'ipotesi di silenzio - inadempimento in quanto l'Amministrazione non ha provveduto alla conclusione del procedimento.

Queste considerazioni hanno una particolare importanza sulla situazione giuridica vantata dal privato. Infatti, la situazione giuridica ritenuta lesa dal privato è rappresentata dall'incertezza sull'esito finale del provvedimento.

Tale situazione, tuttavia, deve essere tenuta distinta dall'interesse legittimo di cui il privato è titolare nel procedimento.

La diversità delle due posizioni giuridiche soggettive pone il dubbio se la situazione vantata dal privato - la lesione dell'affidamento - sia autonomamente risarcibile a prescindere dalla spettanza del bene della vita del privato.

Per rispondere a tale interrogativo è necessario, preliminarmente, analizzare le norme sul procedimento amministrativo poste dalla legge 241/90.

2. Il procedimento amministrativo: analisi dell'art. 2 e 2 bis L. 241/90

Il procedimento amministrativo può essere descritto come la serie di atti consequenziali finalizzati all'emanazione del provvedimento amministrativo. In tal senso, esso viene definito come la forma di esercizio del potere pubblico(1).

In realtà, questa definizione sembra sminuire quella è che la vera portata innovativa della l. 241/90. Infatti, nell'impostazione originaria della legge, il procedimento rappresenta il nucleo essenziale dell'azione amministrativa, relegando, invece, il provvedimento alla fase conclusiva della stessa. In questa prospettiva, allora, il provvedimento rappresenterebbe solo l'esito finale della ponderazione degli interessi, pubblici e privati, che l'Amministrazione ha già compiuto nel procedimento.

A conferma di tale impostazione, basti pensare che la l. 241/90, nella sua prima versione, non prevedeva una disciplina sul provvedimento. Quest'ultima, infatti, è stata inserita solo dalla l. 11 Febbraio 2005 n. 15 che ha inserito nella normativa il Capo IV bis relativo "all'efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo".

L'importanza decisiva del procedimento, confermata dalla l.241/90, conduce ad affermare che nel suo ambito si possa parlare di rapporto amministrativo c.d. procedimentale(2).

Il rapporto amministrativo c.d. procedimentale è quello che si instaura con l'avvio del procedimento. Questo tipo di rapporto deve essere tenuto distinto dal rapporto amministrativo c.d. provvedimentale, che è quello si determina tra P.A. e privato a seguito dell'emanazione del provvedimento amministrativo e che è disciplinato dallo stesso provvedimento amministrativo(3).

Invero, parte della dottrina ha sempre posto resistenze avverso la possibilità di configurare un rapporto amministrativo procedimentale, dal momento che l'Amministrazione agirebbe sempre autoritativamente(4).

Tuttavia, tale affermazione, sembra porsi in contrasto con la l. 241/90 che pone in capo ai soggetti del procedimento, tra cui anche la P.A., diritti ed obblighi.

Infatti, la l. 241/90 attribuisce al privato vari diritti di svariata intensità. A titolo esemplificativo si può citare l'art. 10 della l. cit. il quale disciplina i diritti dei partecipati nel procedimento; i quali consistono in: "a) prendere visione degli atti del procedimento; e nel b) presentare memorie scritte e documenti (...)."

L'Amministrazione, a fronte di tali diritti, ha una serie di obblighi anche'essi variabili per intensità. Continuando ad analizzare l'art. 10 cit., specularmente al diritto di presentare memorie, è previsto che "la P.A. ha l'obbligo di valutare (le memore e documenti), ove siano pertinenti". In questo caso, pertanto, il Legislatore stabilisce in capo all'Amministrazione un obbligo di valutazione.

Dunque, si può affermare che Pubblica Amministrazione e cittadino, all'interno del procedimento, agiscono sempre più in una dimensione paritaria.

Questa prospettiva ha posto il dubbio se il rapporto giuridico procedimentale possa essere equiparato al rapporto giuridico del diritto civile (5). Al riguardo, recenti arresti giurisprudenziali e novità normative, sembrano di poter affermare che il rapporto giuridico procedimentale possa essere equiparato al rapporto giuridico privatistico.

Tale aspetto, infatti, è stato recentemente ben analizzato dalla Adunanza Plenaria n. 5/2018 che si è occupata della responsabilità precontrattuale della P.A. nella fase precedente all'aggiudicazione della gara ed  è giunta ad affermare che i principi di buona fede, correttezza e lealtà, tipici del rapporto privatistico, sono applicabili anche quando l'Amministrazione agisce tramite il procedimento amministrativo.

Dunque, dal momento che la P.A. è tenuta al rispetto di quei canoni di condotta, come qualsiasi privato, sembra potersi affermare la natura paritetica del rapporto tra Amministrazione e amministrati.

Pertanto, nel procedimento amministrativo, il privato è portatore, oltre all'interesse legittimo, di un diritto soggettivo corrispondente al rispetto delle regole di condotta da parte dell'Amministrazione.

Due previsioni tra quelle della l. 241/90 rappresentano una delle visioni più concrete del mutato rapporto tra P.A. e amministratati. Ci si riferisce, in particolare, agli artt. 2 e 2 bis della l. 241/90.

L'art. 2 co. 1 l. cit. stabilisce che "ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un'istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso. Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo"

La norma, anzitutto, impone alla P.A. di concludere il procedimento con un provvedimento espresso. Successivamente, stabilisce che tale obbligo sussiste anche in quei casi in cui l'Amministrazione rilevi che la domanda del privato presenti delle situazioni manifeste che non consentano di accoglierla.

Invero, il secondo capoverso della norma è stato inserito dall'art. 1 co. 38 l. 6 novembre 2012 n. 190. Il Legislatore, con la novella normativa citata, ha voluto di fatto superare quell'orientamento, formatosi nella giurisprudenza amministrativa, che riteneva non sussistente l'obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso nei casi di manifesta infondatezza della domanda.

In questo caso, come nel caso di irricevibilità, inammissibilità ed improcedibilità, l'Amministrazione ha pur sempre l'obbligo di emanare un provvedimento espresso, seppur con una motivazione semplificata.

La possibilità della motivazione in forma semplificata realizza un equo contemperamento degli interessi in gioco, che sono, da un lato, l'interesse del privato alla conclusione del procedimento, e, dall'altro lato la speditezza dell'azione amministrativa.

L'art. 2, inoltre, prevede nei commi successivi una dettagliata normativa sia per stabilire il termine di conclusione del procedimento sia per evitare che la P.A. possa rimanere inerte.

Dunque, nella prospettiva del Legislatore, il provvedimento è sintomo di buona amministrazione, mentre l'inerzia è valutata come un aspetto patologico dell'azione amministrativa.

Successivamente, l'art. 2 bis, introdotto dal d.l. 21 giugno 2013 n. 69, convertito in l. 9 agosto 2013 n. 98, disciplina le conseguenze per il ritardo dell'amministrazione nella conclusione del procedimento. Nel dettaglio, il co. 1 dell'art. 2 bis prevede che la pubblica amministrazione "è tenuta a risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento". Il co. 1 bis, successivamente, prevede il diritto dell'istante ad un indennizzo per il mero ritardo, stabilendo che "le somme corrisposte a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento".

Alla luce dell'attenzione del Legislatore mostrata verso l'interesse del privato a vedere concluso il procedimento, dottrina e giurisprudenza si sono interrogati sulla natura giuridica della posizione del privato. Inoltre, ci si è interrogati se tale posizione giuridica possa essere risarcibile, nel caso in cui la p.a. non abbia concluso il procedimento nel termine.

Tali dubbi hanno portato a distinguere tra danno da ritardo in senso stretto e danno da mero ritardo.

3. Distinzione tra danno da ritardo in senso stretto e danno da mero ritardo

Nel caso in cui il termine di conclusione del procedimento sia scaduto e la P.A. non abbia provveduto, si pone il problema di capire se vi sia lesione della sfera giuridica soggettiva del privato e se tale lesione sia meritevole di tutela.

Anzitutto, il mancato esercizio del potere nel termine di conclusione del procedimento non incide sulla validità del provvedimento. In altri termini, il provvedimento amministrativo rilasciato dall'Amministrazione oltre il termine di conclusione non è illegittimo.

Tuttavia, il comportamento omissivo della P.A. è comunque da ritenersi illecito, nel caso in cui il ritardo sia colposo o doloso. In tale ipotesi, infatti, la violazione dell'obbligo di conclusione del procedimento, nel termine previsto, comporta l'obbligo in capo alla P.A. del risarcimento del danno patito dal privato.

Quest'ultimo può essere di due tipi.

I primi sono riferibili al mancato godimento del bene della vita che la P.A. riconosce al privato in ritardo.

Questi sono classificabili nella categoria dei danni da "ritardo in senso stretto", in quanto presuppongono la certezza sulla spettanza del bene della vita. (6)

Con il riconoscimento del risarcimento del danno da lesione dell'interesse legittimo in virtù della nota sentenza n. 500/99, tale categoria di danni è stata generalmente ritenuta risarcibile.  Infatti, nel caso di specie, si configura un'ipotesi di lesione dell'interesse legittimo, in quanto il privato avrebbe dovuto ottenere il bene della vita senza il ritardo. In questa prospettiva, allora il silenzio della P.A. è un comportamento illecito, ove doloso o colposo, lesivo dell'interesse legittimo del privato, e pertanto, meritevole di tutela.

Il danno risarcibile, nel caso di specie, si quantifica in termini di interesse positivo differenziale: infatti, se il bene della vita fosse stato riconosciuto nel termine, il privato avrebbe avuto una maggiore utilità. La differenza tra l'utilità eventuale maggiore e l'utilità effettivamente conseguita è il danno risarcibile nel caso di ritardo in senso stretto.

L'altra tipologia di danno è quello che viene classificata come danno da "mero ritardo". In questa ipotesi, il danno deriva dalla lesione dell'affidamento serbato dal privato nel rispetto del termine di conclusione del procedimento. In tal caso, dunque, il danno prescindere dalla circostanza che il privato avesse il diritto o meno al bene della vita.

Dottrina e giurisprudenza hanno molto discusso sulla risarcibilità del danno da mero ritardo. Infatti, la tesi negativa (7) osserva come non si possa riconoscere il risarcimento del danno al privato nei casi in cui non abbia diritto al bene della vita. Infatti, per accedere alla tutela risarcitoria sarebbe necessaria una lesione di un interesse meritevole di tutela da parte dell'ordinamento, che, nel caso del danno da mero ritardo, non sussisterebbe.

 La tesi negativa, inoltre, ritiene che l'art. 2 bis abbia confermato tale orientamento: infatti, il Legislatore, prevedendo l'indennizzo per il mero ritardo, sembrerebbe aver escluso la risarcibilità del danno nel caso di specie.

Tuttavia, altro orientamento critica l'esegesi fornita dell'art. 2 bis osservando come, in realtà, il Legislatore nel medesimo articolo stabilisce che "le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento".

Tale disposizione non avrebbe alcun significato se non si ammettesse la possibilità di risarcire il danno da mero ritardo. Di conseguenza, altra tesi, ritiene risarcibile il risarcimento del danno(8).

Inoltre, si afferma che la teoria favorevole sarebbe confermata dalla mutata considerazione degli interessi rilevanti nel rapporto amministrativo procedimentale. Infatti, come rilevato, all'interno del procedimento il privato vanta un affidamento che la P.A. ha l'obbligo di salvaguardare.

Dunque, il ritardo nell'emissione del provvedimento, seppur sfavorevole, comporta la lesione dell'affidamento serbato dal privato nella conclusione del procedimento nel termine

Pertanto, si deve ritenere che il bene tutelato nel danno da mero ritardo è la certezza del rapporto giuridico tra amministrazione e cittadino, in cui il fattore tempo diventa esso stesso un bene della vita.

Il danno risarcibile nel danno da mero ritardo, ovviamente, è diverso dal danno derivando dal ritardo in senso stretto. Infatti, il risarcimento del danno nel mero ritardo attiene esclusivamente all'interesse negativo, non avendo il privato diritto all'utilità corrispondente al bene della vita.

L'interesse negativo, nel caso di specie, consiste nelle spese e negli oneri che il privato ha sostenuto in attesa che la P.A. provvedesse sulla sua istanza.

La ordinanza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 28.04.2020 n. 8236, come affermato in premessa, stabilendo che l'ipotesi di risarcimento del danno da mero ritardo spetta alla giurisdizione del G.O., ha confermato la tesi favorevole al risarcimento di tale tipologia di danni.

4. Profili di giurisdizione

Prima di affrontare il percorso argomentativo dell'ordinanza, che ha portato a riconoscere la giurisdizione del G.O., preliminarmente, è necessario affermare che il caso concreto può astrattamente essere ricompreso nell'alveo della giurisdizione esclusiva del G.A. ai sensi dell'art. 133 lett. a) n. c.p.a., che attribuisce, appunto, a tale giurisdizione "le controversie in materia di risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo". Infatti, come rilevato, il procedimento non si era mai concluso.

Tuttavia, La Corte afferma che, nell'ipotesi in esame, "la causa petendi della domanda non è l'inosservanza di un termine procedimentale, bensì la violazione dell'affidamento ingenerato dall'amministrazione comunale in un determinato esito, favorevole alla società attrice, del procedimento".

Dunque, la sfera giuridica del ricorrente, secondo la sua ricostruzione, è lesa non da "atti o provvedimenti", bensì da un comportamento.

Dunque, la Corte si interroga se il comportamento amministrativo, configurabile nell'ipotesi di danno da mero ritardo, sia riconducibile alla giurisdizione del G.O. o del G.A.

A tal fine la Corte richiama gli orientamenti formatosi su un caso simile: ci si riferisce all'ipotesi della richiesta di risarcimento del danno da provvedimento illegittimo favorevole, ma poi annullato in via di autotutela ovvero in via giurisdizionale.

Infatti, parte della giurisprudenza ritiene in questa ipotesi ritiene sussistente la giurisdizione del G.O. in quanto il ricorrente non discute della legittimità dell'atto amministrativo, ma lamenta "la lesione dell'affidamento sulla legittimità degli atti annullati e chiedono il risarcimento dei danni patiti per aver orientato le proprie scelte negoziali o imprenditoriali confidando, fino all'annullamento dell'atto, nella relativa legittimità"(9).

Infatti, il comportamento della P.A. lederebbe in tal caso il diritto soggettivo del privato riconducibile al diritto alla "libertà di autodeterminazione"(10)

Tuttavia, altre pronunce hanno ritenuto non seguire tale orientamento, in quanto nel caso di provvedimento illegittimo favorevole, ma poi annullato, la questione verte "sull'agire provvedimentale nel suo complesso". Dunque, sussisterebbe la giurisdizione di esclusiva del giudice amministrativo(11).

La Corte, pertanto, ritiene di dover stabile se, nel caso in cui manchi del tutto il provvedimento amministrativo, siano applicabili le coordinate ermeneutiche del primo o del secondo orientamento.

La stessa ordinanza, preliminarmente, richiama gli art. 7 e 30 co. 2 del c.p.a. che si occupano dei profili relativi alla giurisdizione.

In particolare, l'art. 7 c.p.a. stabilisce che "sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritto soggettivi, concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti,atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale poteri, posti in essere da pubbliche amministrazioni".

L'art. 30 co. 2 c.p.a., poi, dispone che "nei casi di giurisdizione esclusiva può essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi".

Dunque, per stabilire la giurisdizione sul danno da mero ritardo è necessario, anzitutto, stabilire se il comportamento della P.A. sia "mediamente riconducibile all'esercizio del potere".

La Corte di Cassazione, nell'ordinanza in esame, ritiene che in questo caso il danno sia causato da un comportamento posto in violazione delle regole di correttezza e buona fede e pertanto non sussisterebbe nessun tipo di collegamento con il potere pubblicistico(12).

Medesime considerazioni sono svolte con riguardo all'ipotesi in cui si verta in una materia di giurisdizione esclusiva del G.A, sebbene la disciplina dettata dall'art. 30 co. 2 c.p.a. Infatti, la Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 204/2004, ha affermato che una  materia "può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo". Dunque, anche nel caso in cui il caso concreto sia riconducibile ad una materia che il Legislatore riserva alla giurisdizione esclusiva del G.A., se la P.A. non spende il potere pubblico, la controversia spetta al G.O.

Ebbene, la Corte di Cassazione conclude che, nel caso di danno da mero ritardo, non è applicabile la giurisdizione del G.A. nelle materie di giurisdizione esclusiva, avendo rilevato che la P.A. violi regole di correttezza e buona fede, alla cui osservanza è tenuto qualsiasi soggetto dell'ordinamento.

In conclusione, la Corte di Cassazione nell'ordinanza in esame, ritiene che la giurisdizione nel caso di danno da mero ritardo spetti al G.O. perchè la P.A. non agisce in via autoritativa e in quanto la situazione giuridica soggettiva del ricorrente non è interesse legittimo, ma di diritto soggettivo.

5. Natura della responsabilità dell'Amministrazione

Successivamente, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 8236 del 28.04.2020 si sofferma anche sulla natura giuridica della responsabilità della P.A.

L'ordinanza, infatti, ritiene che "detta responsabilità vada ricondotta al paradigma della responsabilità da contatto sociale qualificato".

Il contatto sociale qualificato(13) è una figura dottrinale elaborata in diritto civile che consente di ritenere sussistente un rapporto obbligatorio anche in assenza di un contratto, purché tra due soggetti vi sia un contatto qualificato idoneo ad instaurare tale relazione. L'oggetto di tale rapporto obbligatorio è l'obbligo di comportarsi secondo buona fede. Una prestazione di protezione dei diritti dell'altro soggetto del rapporto(14).

In questa prospettiva, allora il contatto qualificato sarebbe una fonte dell'obbligazione ai sensi dell'art. 1173 c.c. riconducibile ad "ogni altro atto o fatto idoneo a produrre (obbligazioni) in conformità dell'ordinamento giuridico".

La responsabilità per violazione delle regole del rapporto obbligatorio instauratosi con il contatto sociale viene qualificata come responsabilità da inadempimento, ai sensi dell'art. 1218 c.c. La natura giuridica di siffatta responsabilità, infatti, non sarebbe riconducibile al principio "neminem leadere", proprio perchè tra i soggetti del rapporto preesistente un'obbligazione, instauratasi con il contatto sociale.

Tale dottrina, tuttavia, non ha trovato molto spazio in diritto amministrativo, nella qualificazione della natura giuridica della responsabilità della P.A.

L'orientamento maggioritario, infatti, è sempre stato di ritenere che la P.A. fosse responsabile ai sensi dell'art. 2043 c.c. dal momento che l'Amministrazione cura l'interesse pubblico, e non assume come obbligazione la protezione dell'interesse del privato.

Tuttavia, la giurisprudenza in qualche occasione già aveva fatto applicazione della teoria in esame in alcune pronunce, in particolare nell'attività contrattuale dell'Amministrazione(15).

Recentemente, la già richiamata sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 5/2018 sulla responsabilità precontrattuale della P.A., aveva sottolineato come nel caso di specie "vi fosse un quid pluris rispetto al generale precetto del neminem leadere; non si tratta della generica "responsabilità del passante", ma della responsabilità che sorge tra soggetti che si conoscono reciprocamente già prima che si verifichi un danno; danno che consegue non alla violazione di un dovere di prestazione ma alla violazione di un dovere di protezione, il quale sorge non da un contratto ma dalla relazione che si instaura tra l'amministrazione ed il cittadino nel momento in cui quest'ultimo entra in contatto con la prima".

L'ordinanza in commento, dunque, estende tali considerazioni al rapporto giuridico procedimentale che viene in rilievo tra P.A. e cittadino nel procedimento.

La Corte perviene a tale conclusione proprio valorizzando la posizione giuridica soggettiva del privato all'interno del rapporto che si instaura con il procedimento. Infatti, l'amministrato deve poter fare affidamento sul rispetto da parte dell'Amministrazione delle regole di condotta, ispirate dalla correttezza e dalla buona fede, tendenti alla protezione dei suoi interessi meritevoli di tutela.

6. Conclusioni

L'ordinanza in commento si segnala per una valorizzazione del rapporto tra privato e Amministrazione. Questo rapporto, infatti, sembra sempre più sovrapponibile al rapporto giuridico privatistico.

Infatti, se la P.A. nel procedimento non agisce autoritariamente e se la violazione di regole di condotte conduce ad una sua responsabilità da inadempimento ai sensi dell'art. 1218 c.c., significa che privato e Amministrazione sono sullo stesso piano.

La conclusione a cui si arriva, allora, segna un momento decisivo del rapporto tra P.A. e amministrati.

Tale ordinanza, inoltre, si colloca in una serie di interventi normativi e giurisprudenziali volti in questa ottica.

Tra gli interventi giurisprudenziali che hanno valorizzato tali aspetti, si può ricordare anche la recente sentenza della Corte di Cassazione Sezioni Unite n. 13246 del 16 maggio 2019, che hanno applicato la responsabilità oggettiva e presunta prevista dall'art. 2049 alla P.A. nel caso di danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito commesso dal pubblico funzionario, ritenendo l'orientamento che escludeva l'applicazione dell'art. 2049 alla P.A., in tale ipotesi, un ingiustificato privilegio.

Dunque, l'ordinanza n. 8236 del 28.04.2020 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite rappresenta un ulteriore momento di evoluzione del sistema.

Ciò posto, se l'ordinanza sulla giurisdizione del danno da mero ritardo può essere vista con favore per quanto attiene alla dimensione del rapporto giuridico procedimentale, in ogni caso si deve rilevare che la stessa pone alcune criticità.

Infatti, anzitutto, sembra davvero difficile negare che il comportamento tenuto all'interno del procedimento amministrativo non sia collegato al potere pubblico. Infatti, se la P.A. deve instaurare il procedimento per esercitare il proprio potere, conseguenza logica è che ogni comportamento dell'Amministrazione all'interno dello stesso sia riconducibile al potere pubblicistico.

Dunque, almeno nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva, bisognerà verificare se l'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione verrà seguito.

Infine, se il danno da mero ritardo spetta alla giurisdizione del G.O., tale conclusione si pone in contraddizione con l'orientamento che ritiene, invece, il danno da ritardo in senso stretto della giurisdizione del G.A.

L'inconciliabilità deriva dalla circostanza che il privato dovrebbe instaurare due procedimenti giudiziari dinnanzi ai rispettivi giudici, con pregiudizio della sua posizione giuridica e dei propri diritti difensivi, nel caso in cui il risarcimento derivante sia dal danno da mero ritardo sia dal danno da ritardo in senso stretto.

Infatti, in tale ipotesi, non sarebbe ammissibile invocare dell'istituto della connessione, in quanto quest'ultimo è applicabile solo nei casi in cui comporti una deroga alla competenza. Nel caso in cui, invece, la connessione comporterebbe una deroga alla giurisdizione, essendo questa una materia indisponibile, non sarebbe invocabile.

Alla luce di queste osservazioni, pertanto, sarà necessario verificare come l'orientamento in esame si sviluppi.


Note e riferimenti bibliografici

(1) M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2019, p. 229 ss

(2)  M.S. Giannini, Discorso generale sulla giustizia amministrativa, in Riv. Tri. Dir. pro. 1963 pp 28 secondo cui l'inizio del procedimento determina la costituzione del rapporto amministrativo

(3) R. Greco, Le situazioni giuridiche soggettive e il rapporto procedimentale, in L'attività amministrativa e le sue regole (a trent'anni dalla legge n. 241/90), Piacenza 2020

(4) F. G. Scoca, Diritto Amministrativo, 2019, p. 164 ss

(5) A. Orsi Battaglini, Alla ricerca dello Stato di diritto. Per una giustizia non amministrativa, Milano 2005

(6) M. Fratini, Manuale sistematico di diritto amministrativo, Roma, 2020 p. 541: la certezza sulla spettanza ricorre: a) il privato abbia agito contro il provvedimento illegittimo sfavorevole, ne abbia ottenuto l'annullamento e l'amministrazione, in sede di doveroso riesercizio del potere amministrativo, abbia infine rilasciato, ma con ritardo, il provvedimento favorevole; b) il privato abbia ottenuto un provvedimento legittimo favorevole, ma in ritardo rispetto al termine stabilito dalla legge; c) il privato abbia agito contro il silenzio della p.a. ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a. ottenendo il rilascio del provvedimento favorevole; d) il privato abbia agito contro il provvedimento sfavorevole, chiedendo non solo il relativo annullamento, ma anche la condanna della p.a. al rilascio del provvedimento richiesto, e il giudice amministrativo, venendo in rilievo un'attività vincolata o essendo esauriti i profili di discrezionalità amministrativa, abbia accertato la relativa spettanza ai sensi dell'art. 31 co 3 c.p.a.

(7) Con. Stato Sez V 22 settembre 2016, n.  3920

(8) Con. Stato Sez V 21 giugno 2013, n. 3408

(9) Corte di Cassazione, SS. UU. Ordinanze nn. 6594, 6595, 6596 del 2011

(10) Corte di Cassazione, SS. UU. 22/5/2017 n. 12799

(11) Corte di Cassazione, SS. UU. n. 8057/2016

(12) In questi termini si esprime Corte di Cassazione Sezioni Unite ordinanza n. 8236 del 28.04.2020, p. 16 "detto comportamento si colloca in una dimensione relazione complessiva tra amministrazione ed il privato, nel cui ambito un atto provvedimentale di esercizio del potere amministrativo potrebbe mancare del tutto (come nel caso oggetto del presente giudizio) o, addirittura, essere legittimo, cosi da risultare " un frammento legittimo di un mosaico connotato da una condotta complessivamente superficiale, violativa dei più elementari obblighi di trasparenza, attenzione, di diligenza, al cospetto dei quali si stagliano i corrispondenti diritti soggettivi di stampo privatistico".

(13) C. Castronovo, L'obbligazione senza prestazione. Ai confini tra contratto e torto, in Scritti in onore di l. Mengoni, vol I, Milano, 195 pp 148 ss

(14) La teoria del contatto sociale qualificato ha trovato spazio in giurisprudenza in tutti quei rapporti in cui da uno status professionale di un soggetto derivano una serie di obblighi nei confronti di soggetti determinati: Cass. civ. Sez. Un. 27 giugno 2002, n. 9436 ( in materia di responsabilità dell'insegnante per danni cagionati dall'alunno a sè stesso); Cass. Civ. Sez III, 22 gennaio 1999, n. 589 (in tema di responsabilità del medico dipendente da struttura ospedaliera nei confronti dei soggetti in cura)

(15) Sentenza n. 24438/2011