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Pubbl. Sab, 6 Giu 2020

Il Trust come opportunità per l´impresa sociale

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Chiara Campagna



Il tema del ”trust”, quale opportunità per l´impresa sociale, si inquadra nella più ampia tematica della tutela dei diritti della persona nell´ambito del sistema economico attuale che ha visto la nascita del Terzo Settore. Una delle finalità perseguite è, infatti, quella di costituire patrimoni di scopo destinati al raggiungimento di specifici obiettivi spesso benefici o umanitari, evitando il rischio di confusione con il patrimonio dell´ente benefico individuato e divenendo una più efficiente alternativa alla donazione e alla fondazione. Tale strumento di protezione patrimoniale si annovera, altresì, nella più ampia categoria degli strumenti di protezione personale dei soggetti deboli (minori, disabili, anziani) accostando la figura del trustee a quelle già teorizzate nell´ordinamento.


ENG The Trust as an opportunity for the social enterprise and is one of the instruments for the protection of human rights in the current economic system . The aim is to create purpose assets for specific humanitarian or benefit objectives, without being confused with the charitable institution´s assets and constituting a valid alternative to direct donation anche foundation. The Trust is also used as a personal protection instrument for weak people (minors, disabled, elderly) of a different legal nature than the instruments already contemplated in our legal system.

Sommario: 1. Profili generali - 2. Il Terzo settore – 3. Il trust come opportunità per l’impresa sociale a tutela dei soggetti “deboli” – 4. Il Trust “Dopo di Noi” – 5. Misure di protezione dei soggetti affetti da disabilità: l’amministratore di sostegno, il tutore e il trustee - 6. L’operatività dei trusts nel Terzo settore e l’attribuzione della qualifica di Onlus: un esempio – 7. Conclusioni.

1. Profili generali 

Nel panorama giuridico italiano si è sempre cercato di approfondire l’utilizzo del trust[1] applicato alla gestione e alla protezione dei patrimoni sia nel caso di passaggio generazionale nelle imprese familiari sia nel caso di eventuale applicazione nell’ambito delle imprese sociali.

Infatti, è proprio per adeguarsi ad una realtà sociale che ha ormai varcato i confini nazionali che, in virtù della ratifica della Convenzione dell’Aja, da oltre tre lustri si è diffuso nel nostro Paese l’uso di uno strumento, il trust, che per la sua duttilità e flessibilità consente di adattarsi ad ogni esigenza, essendo del resto considerato una valida opportunità per le imprese di famiglia e per la protezione dei soggetti deboli, poiché, meglio di altri strumenti tipizzati dall’ordinamento nazionale, garantisce la protezione del patrimonio[2]_.

Nella pratica, si tratta essenzialmente di un istituto di origine anglosassone che si identifica in un rapporto di affidamento e che tiene conto di una serie di situazioni in cui un soggetto (disponente) affida ad un altro (trustee) la gestione di una posizione giuridica soggettiva, trasferendogliela affinchè la amministri, la gestisca e la destini ad una specifica funzione.

Per anni, la sua validità nel nostro ordinamento ha rappresentato argomento di intenso dibattito dottrinale e giurisprudenziale[3].

Infatti, in considerazione dell’estraneità del trust rispetto alla realtà giuridica italiana, assai complesso e articolato è risultato il suo procedimento di assimilazione con l’ordinamento nazionale[4]. Il che ha comportato, di conseguenza, accesi dibattiti sia interpretativi che dottrinali.

La fondatezza di tali dubbi interpretativi ha portato il legislatore a coniare una serie di sintagmi - “proprietà dedicata”, “proprietà destinata”, “proprietà qualificata[5] - che evocando l’esistenza di un nuovo tipo di appartenenza giuridica acquisita nell’interesse altrui e, incardinandosi sistematicamente sulla nostra tradizione dominicale, hanno rappresentato al meglio la fattispecie del trust.

È proprio la portata innovativa dell’istituto, sotto questo profilo, che ha permesso alla giurisprudenza di merito di affermare con convinzione che “[…] il trustee risulta titolare di un diritto reale non nell’interesse proprio, ma nell’interesse altrui, non essendovi nel caso uno sdoppiamento del diritto di proprietà, ma il semplice trasferimento di un diritto reale da un soggetto disponente ad un altro che accetta il trasferimento come collegato ad un obbligo di amministrazione e di gestione[6].

Sicchè, nell’ambito del genus diritto, si è potuta rinvenire la species atipica del trust, quale microcosmo disciplinato da proprie regole e principi cardine.

Oggi, in Italia si accoglie l’applicabilità del trust quale strumento perfettamente valido, non potendone rinvenire elementi di discrasia né dal punto di vista oggettivo (avuto riguardo ai beni conferiti), né dal punto di vista soggettivo (in relazione, quindi, alle persone del disponente, ovvero a quella del trustee), ad eccezione della legge regolatrice straniera.

È evidente il riferimento alla legge regolatrice di Jersey, approvata nel 1984, poi successivamente emendata[7], la quale costituisce una delle discipline più favorevoli, caratterizzata non solo da un contenuto fortemente dispositivo, ma anche da una serie di norme derogabili da parte del disponente, attraverso la semplice previsione di una regolamentazione differente nell’atto istitutivo di trust[8].

Invero, emerge, secondo l’opinione ormai consolidata in dottrina[9] e nella giurisprudenza di merito[10], il riconoscimento non solo di trust “internazionali[11], ma anche di trustinterni[12], intesi come strumenti di segregazione patrimoniale o di parte dei beni appartenenti ad un soggetto, posti sotto il controllo di un trustee[13] e a favore di uno o più beneficiari, ovvero per la protezione di interessi che l’ordinamento ritiene meritevoli di tutela (c.d. trust di scopo), come legittimamente stabilito dall’art. 6 della Convenzione dell’Aja.

Riconoscimento che può trovare la sua fonte giuridica nella disposizione contenuta nell’art. 6 della medesima Convenzione, la quale lascia presagire una libertà illimitata attribuita al disponente nella scelta della legge regolatrice del trust e che, peraltro, letta in combinato disposto con l’art. 13 della Convenzione de L’Aja[14], non consente l’effettiva ammissibilità dei c.d. “trust immeritevoli di tutela”.

L’adozione della legge n. 364 del 16 ottobre 1989[15] ha, infatti, operato un vero e proprio riconoscimento della causa “astratta” dell’istituto, statuendo come quella “concreta”, al più, necessita di essere analizzata caso per caso[16].

Ai fini della trattazione, si cercherà, dunque, di focalizzare l’attenzione non già sullo sviluppo e sulla valorizzazione del family business, quale tema ampiamente dibattuto in ambito nazionale e sovranazionale, ma, più specificamente, sulla conseguente applicazione dello strumento “esotico” del trust nell’ambito dell’impresa sociale[17], “quale organizzazione imprenditoriale di qualsiasi forma e natura giuridica, che ha per statuto una missione di miglioramento sociale e che, per raggiungerla, non si basa principalmente su sovvenzioni pubbliche e beneficenza, bensì svolge un’attività commerciale sul mercato come una qualsiasi impresa for profit[18]”.

Una delle finalità perseguite dal trust nell’ambito dell’impresa sociale è, infatti, la possibilità di costituire patrimoni di scopo[19], ossia fondi destinati al raggiungimento di specifici obiettivi che hanno spesso finalità benefiche o umanitarie, consentendo di destinare le somme solo al progetto benefico individuato, senza il rischio di confusione con il patrimonio dell’ente benefico e divenendo una alternativa più efficiente alla donazione diretta ed alla fondazione.

2. Il Terzo Settore

Di recente in tutta Europa, Italia compresa, si è assistito ad una forte espansione del c.d. terzo settore.

Con questo termine si allude a tutte quelle organizzazioni che nel sistema economico si collocano tra lo Stato e il mercato, ma che, nello specifico, non sono pienamente riconducibili né all’uno né all’altro: sono cioè soggetti di natura privata, ma volti alla produzione di beni e servizi a destinazione pubblica o collettiva[20].

E' proprio l’impresa sociale che, a distanza di dieci anni dall’entrata in vigore della sua normativa (Legge 155/2006), rappresenta qualcosa di nuovo.

La stessa consente di unificare due mondi finora separati: quello della produzione a carattere imprenditoriale e quello della produzione di beni e servizi di utilità sociale.

Trattasi, invero, di una innovazione assolutamente rilevante che connota l’impresa sociale, configurandola come concetto e categoria di ampia portata che opera espressamente in un contesto teso alla valorizzazione dell’interesse generale e non solo fungendo da mero strumento di vantaggio dei soli soci che ivi hanno investito il loro capitale.

Per tali ragioni, l’istituto del trust, tradizionalmente inteso, grazie alla sua duttilità e flessibilità consente di modularsi, anche nell’ambito dell’impresa sociale, alla specificità del caso concreto, evitando il ricorso a strumenti che già connotano il nostro ordinamento giuridico e di fatto più rigidi e complessi.

Ne consegue che, al fine di dare concreta attuazione a tali innovazioni, gli studiosi hanno cercato di scindere l’economia sociale dal Terzo Settore, inserendola nel nuovo campo del Quarto Settore che, più di altri, trova la sua base legale in una nuova forma di economia tesa alla valorizzazione dell’interesse delle persone.

A ben vedere, oggi, tutto ruota attorno ai sei punti chiave che riescono al meglio a definire l’impresa sociale: integrity, sincerity, reliability, consistency, commitment, competence[21].

Il vento sembra ormai essere cambiato: basti pensare agli innumerevoli studi specifici sul tema che hanno aumentato in maniera assolutamente esponenziale lo spazio riservato agli studi sul fenomeno dell’impresa sociale.

3. Il trust come opportunità per l’impresa sociale a tutela dei soggetti “deboli”

Alla luce delle considerazioni espresse, ci si potrebbe, a tal punto, dedicare all’utilizzo dello strumento del trust, quale vera e propria opportunità per l’impresa sociale.

Definito da molti come “strumento dagli effetti magici”, il trust, seppur teoricamente adatto ad una molteplicità di fattispecie, risulta particolarmente utile nel settore delle imprese sociali.

Nella disciplina inerente il rapporto di affidamento fiduciario, infatti, si potrebbe ipotizzare un trust a scopo benefico, come vera e propria forma di impresa sociale, incentrato su di un principio di solidarietà di difficile traduzione sul piano giuridico.

Il trust, in quest’ambito, trova applicazione grazie alla presenza dei tre punti cardine che connotano l’impresa sociale: a) solidarietà diretta ai bisogni della collettività; b) mutualità rivolta ai bisogni dei soci o associati; c) rilevanza delle condizioni dei destinatari, quali soggetti svantaggiati a livello fisico, psichico, economico, sociale o familiare. 

Pertanto, nella realtà odierna, il trust può costituire una valida alternativa di protezione dei soggetti deboli, ad esempio rispetto all’amministrazione di sostegno.

A bene vedere, si tratta di uno strumento che garantisce a pieno la tutela sia dal punto di vista patrimoniale che personale di tali soggetti, quali minori, disabili e anziani, a dispetto di altri strumenti giuridici di diritto interno che, il più delle volte, possono dimostrarsi lacunosi.

Inoltre, per comprendere a fondo le ragioni che hanno indotto la dottrina e la giurisprudenza all’applicazione di uno strumento così incisivo, qual’è quello del trust, viene qui in soccorso la relazione del prof. Maurizio Lupoi, nel corso del II Congresso Nazionale dell’Associazione “Il trust in Italia”, tenutosi a Milano nel marzo del 2002, nell’ambito della quale egli ha specificamente definito il trust come “strumento di carattere etico-giuridico, che si pone a garanzia e tutela di soggetti affetti da disabilità”.

Nel caso di specie, il Prof. Lupoi faceva espressa menzione dei soggetti legittimari, privati della loro quota di eredità, per effetto della destinazione in trust dell’intero patrimonio familiare, finalizzata esclusivamente per la necessità di un fratello portatore di handicap.

Da tempo, infatti, la legislazione nazionale ha iniziato a modificare il diritto in favore della posizione dei soggetti più deboli mediante la previsione di una serie di misure di protezione volte a garantire “una vita di relazione il più possibile adeguata alla loro personalità, ai loro interessi e alle loro potenzialità[22].

Tra queste si annoverano la legge n. 482 del 1968 sulle assunzioni obbligatorie presso le amministrazioni pubbliche e le aziende private degli invalidi civili;  la legge n. 18 del 1980 sull’indennità di accompagnamento;  la Legge n. 104 del 1992, per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone portatrici di handicap;  da ultimo, la Legge n. 122 del 2016, definita quale “legge dopo di noi”.

È evidente che il riconoscimento che l’istituto del trust ha avuto nell’ordinamento nazionale, ha sviluppato sempre di più una sua spiccata propensione verso la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, non solo dal punto di vista etico e sociale, ma anche economico.

Basti pensare all’art. 3 della legge del 5 febbraio 1992 n. 104, definita “legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti del disabile”, che considera disabile “colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa, tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”.

Si tratta essenzialmente di un caposaldo del sistema giuridico italiano che rinviene tra le sue finalità principali quelle inerenti, non soltanto al pieno rispetto dei diritti di libertà e autonomia del soggetto affetto da tale minorazione, ma anche al rispetto della dignità umana, promuovendone l’inserimento nella società, nella famiglia e nel lavoro.

Si è cercato, dunque, di delineare un vero e proprio statuto della famiglia del portatore di handicap, nel quale la famiglia stessa diventa destinataria non solo delle attenzioni dello Stato nel suo interesse, ma anche di obbligazioni verso un suo componente debole.

Il compito del trust sarà, quindi, quello, rispetto ad altri strumenti di diritto interno, di tutela del figlio portatore di handicap, potendo raggiungere con maggiore semplicità le finalità per le quali è stato istituito.

4. Il Trust “Dopo di Noi”

Fatte queste valutazioni, giova notare come, al fine di ridurre gli ostacoli applicativi tra l’istituto del trust e il nostro sistema civilistico, da tempo si sia avvertita l’esigenza di introdurre nell’ordinamento giuridico nazionale una disciplina specifica del trust, specie a favore dei soggetti portatori di handicap[23].

Invero, la legge del 22 giugno 2016, n. 122, c.d. “Legge sul Dopo di Noi”, recante disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, è stata emanata con il solo obiettivo di “favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità, agevolando, attraverso regimi fiscali di favore, la costituzione di un trust, di vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e di fondi speciali[24].

Si tratta di una legge che ha, altresì, consentito la tipizzazione, ad eccezione degli atti di destinazione codicisticamente previsti dall’art. 2645-ter c.c., di istituti normativamente sconosciuti al nostro sistema[25].

Nel silenzio normativo appare, del resto, rilevante la questione relativa all’individuazione del tipo di trust[26] cui il legislatore ha inteso far riferimento nella l. n. 122 del 2016, anche alla luce di alcune sentenze[27] contrarie al trust c.d. “interno[28], che hanno vietato ai cittadini residenti in Italia la costituzione di un trust, i cui elementi essenziali fossero tutti connessi al nostro Paese, ad eccezione della legge regolatrice.

Ciò, a causa della dichiarata incompatibilità del trust con i principi fondamentali del nostro sistema giuridico.

Tuttavia, nonostante tale rifiuto, pare che, ad oggi, grazie alla duttilità e alla conformabilità del trust ad una molteplicità di esigenze, si stia cedendo il passo alla sua metabolizzazione con il concorso della prassi negoziale, della giurisprudenza e della dottrina[29].

Invero, a distanza di trent’anni dalla ratifica della Convenzione de L’Aja, il trust risulta istituito non soltanto per la tutela dei soggetti deboli, ma anche per interessi familiari, come nel caso di separazione e divorzio, o ancora per finalità pubbliche[30].

Sebbene, la giurisprudenza maggioritaria sia favorevole all’istituzione del trust, non sono mancate comunque delle pronunce che ne hanno negato l’ammissibilità, registrandosi sul punto dei contrasti in dottrina.

Per non giungere a conclusioni paradossali, si è preferito, allora, dar vita ad un trust c.d. “amorfo”, alla stregua della legge sul “Dopo di Noi”, nella quale il legislatore, facendo sic et simpliciter riferimento al trust costituito in favore di persone con disabilità grave, sembra aver non solo recepito l’importanza normativa dell’istituto, ma averlo applicato anche per scopi diversi da quelli assistenziali.

Così, attraverso il trust istituito per la cura dei soggetti deboli, i genitori possono riservare una parte del proprio patrimonio per sostenere ogni costo inerente la vita del figlio affetto da disabilità grave intesa come “minorazione, singola o plurima” che “abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione[31].

In altri termini, il trust “Dopo di Noi” può essere istituito sia senza l’instaurazione di procedure di protezione legale che prevedano il coinvolgimento di autorità giudiziali o amministrative, consentendo, in tal modo, una maggiore riservatezza delle condizioni economiche e di salute dei soggetti deboli coinvolti, sia in presenza di procedure di protezione legale già aperte.

In tali casi, nella prassi, è solito che al tutore, al curatore o all’amministratore di sostegno del disabile sia affidato il ruolo di guardiano del trust con il compito di controllare l’operato del trustee nell’interesse del soggetto debole.

In particolare, il reddito prodotto dai beni inclusi nel fondo in trust e, se insufficiente, i beni stessi, sono posti a servizio delle persone con disabilità grave ma alla loro morte e, quindi, alla cessazione del trust, il trustee trasferirà i beni inclusi nel fondo o i beni residui a soggetti diversi da quelli in favore dei quali i beni erano stati vincolati nel corso della durata del trust (beneficiari del residuo).

In ogni caso, il soggetto debole non dovrà necessariamente essere individuato come il beneficiario diretto del trust.

A seconda delle situazioni, infatti, il disponente nell’atto istitutivo di trust può attribuire direttamente al beneficiario un diritto su una certa quota del reddito (trust fisso) oppure può attribuire al trustee il potere di impiegare quanto risulterà di volta in volta necessario a soddisfare le esigenze del soggetto da assistere (trust discrezionale).

Ne consegue che, il disponente potrà prevedere nell’atto istitutivo un trustee che si occupi esclusivamente della gestione e dell’amministrazione dei beni inclusi nel fondo in trust per la realizzazione dei fini indicati nell’atto istitutivo e un guardiano che sia preposto alla cura e alla tutela del soggetto debole e alle sue vicende personali.

Passando, ora, all’analisi delle singole fattispecie riconducibili nell’alveo del trust “Dopo di Noi”, conviene brevemente far menzione del ruolo importante assunto dalle lettere di desiderio (letters of wishes), con le quali il disponente potrà fornire al trustee o al guardiano tutte le indicazioni attinenti alle abitudini di vita quotidiana del soggetto debole.

Come noto, le lettere di desiderio saranno utili soprattutto per il tempo in cui il genitore-disponente non sia più in grado di provvedere in prima persona alle necessità del disabile.

Per quel che concerne, invece, i beni e i diritti conferiti in trust istituiti in favore di persone con disabilità grave, essi saranno esenti dall’imposta sulle successioni e donazioni (art. 2, commi da 47 a 49, D.L. 3 ottobre 2006 n. 262) qualora:

  1. il trust sia istituito per atto pubblico;
  2. il trust persegua come finalità esclusiva l’inclusione sociale, la cura e l’assistenza delle persone con disabilità grave, in favore delle quali il trust è istituito;
  3. l’atto istitutivo indichi in maniera chiara ed univoca: i soggetti coinvolti e i rispettivi ruoli; la funzionalità e i bisogni specifici delle persone con disabilità grave; le attività assistenziali necessarie a garantire la cura e la soddisfazione dei bisogni delle persone con disabilità, comprese le attività finalizzate a ridurre il rischio della istituzionalizzazione delle persone con disabilità; gli obblighi del trustee con riguardo al progetto di vita e agli obiettivi del benessere che deve promuovere in favore delle persone con disabilità grave; il soggetto preposto al controllo delle obbligazioni imposte all’atto dell’istituzione del trust (necessaria presenza del guardiano);
  4. gli esclusivi beneficiari del trust siano le persone con disabilità grave e i beni conferiti nel trust siano destinati esclusivamente alla realizzazione delle finalità assistenziali del trust; l’atto istitutivo fissi il termine finale di durata del trust nella data della morte della persona con disabilità grave e stabilisca la destinazione del patrimonio.

Appare, pertanto, notevolmente superato il contrasto del trust con i principi fondamentali del nostro sistema, che lo vedevano incompatibile, ad esempio, con il principio del numerus clausus dei diritti reali. Oggi sembra più corretto parlare di trust come forma di proprietà “fiduciaria” o “nell’interesse altrui”, caratterizzata da un particolare vincolo di destinazione.

Non si rileva, dunque, la creazione di un nuovo diritto reale su cosa altrui, ma si mira ad assicurare tutela ad un determinato scopo, quale quello dell’assistenza e della cura delle persone con disabilità grave.

Ne consegue che, a tutt’oggi, risulta controproducente prescindere dai processi di cura e dai programmi di sostegno alla persona affetta da disabilità, avendo, peraltro, l’affectio familiaris da sempre contribuito all’evoluzione culturale della società civile.

Sicchè, si fa più viva l’esigenza di provvedere e prevedere forme di assistenza del disabile, in particolare, durante il periodo successivo al disfacimento del nucleo familiare.

Dunque, se da un lato è cresciuta la consapevolezza di una presenza costante, in ambito sociale, dei c.d. soggetti deboli, dall’altro è venuta meno la tradizionale fiducia negli strumenti di protezione proposti dal nostro ordinamento giuridico. Tali problematiche hanno consentito allo strumento del trust di rivestire, specie in Italia, un ruolo suppletivo, essendo, meglio degli altri istituti, adattabile a qualsivoglia esigenza, sia essa familiare sia essa sociale.

Invero, l’esigenza dei genitori di assicurare, al momento del disfacimento del nucleo familiare, una protezione economica, riferibile anche ai bisogni quotidiani, ai figli affetti da disabilità, è stata nel corso del tempo riconosciuta meritevole di tutela anche dal punto di vista giuridico.

Si è, pertanto, fatta strada la necessaria creazione di una nuova forma di protezione attraverso la costituzione di un trust e, più specificamente, di un “family trust”, come definito nei paesi di common law, il cui scopo fondamentale è quello di destinare in tutto o in parte il patrimonio appartenente ai familiari del disabile per il soddisfacimento dei bisogni primari della sua vita quotidiana.

Essendo, peraltro, il “family trust” una sorta di preordinazione dell’assetto patrimoniale nel periodo successivo alla morte, non pochi problemi sono sorti, stante la rigidità della normativa vigente nel nostro ordinamento giuridico.

Quanto al procedimento, una volta dichiarata l’istituzione di un trust, i disponenti devono impegnarsi a trasferire il proprio patrimonio ad un trustee da loro stessi nominato, il quale, ricevuti in proprietà tali beni, li amministrerà e ne disporrà, soltanto, per il soddisfacimento delle esigenze di mantenimento e assistenza del soggetto debole.

Si tratta, nel caso di specie, di una forma vera e propria di segregazione patrimoniale destinata ad uno specifico scopo.

Orbene, il trustee può essere sostanzialmente equiparabile al tutore, dal quale si distingue per il fatto che acquisisce la piena proprietà dei beni, seppure segregati.

I soggetti preposti devono essere tutti cittadini italiani, così come italiana deve essere necessariamente la legge prescelta per l’amministrazione del trust, essendo straniera la legge regolatrice del trust stesso.

Da quanto dedotto e argomentato, ci si troverebbe dinanzi ad un esempio chiaro di “trust interno”, ossia di un trust i cui "elementi obiettivi, non modificabili dal disponente, sono connessi ad un solo ordinamento giuridico”, nel nostro caso quello italiano, ad eccezione della legge regolatrice del trust stesso che è quella di Jersey[32].

Si tratta, al più, di una tipologia di trust riconosciuta dal nostro ordinamento anche sotto il nome di “trust tricolore[33].

5. Misure di protezione dei soggetti affetti da disabilità: l’amministratore di sostegno, il tutore e il trustee

Può, dunque, il trust rappresentare un efficace strumento al quale i soggetti deboli possono ricorrere per godere di adeguata protezione?

Sicuramente il trust può essere considerato come fattispecie idonea, rispetto ad esempio all’amministrazione di sostegno o all’interdizione, a salvaguardare gli interessi economici e personali dei disabili, operando una sorta di pianificazione familiare.

Ora, mentre di regola per la nomina di un amministratore di sostegno è necessario un accertamento dei medici prima e la valutazione del nesso causale tra infermità e impossibilità anche parziale di provvedere ai propri bisogni poi, con il trust il procedimento appare più semplificato, dal momento che non si sente la necessità di far ricorso all’autorità giudiziaria[34]. Con la sola stipulazione di un atto pubblico, infatti, è possibile dare una risposta agli interrogativi che affliggono i genitori di un diversamente abile o di un soggetto anziano privo di autonomia[35].

Nell’ambito del nostro ordinamento giuridico, pertanto, tre sono le figure che al meglio garantiscono, con modalità differenti, la protezione del soggetto privo di autonomia: il tutore, l’amministratore di sostegno e il trustee[36].

La riflessione sull’opportunità del ricorso al trust è maturata al fine di integrare il quadro degli strumenti di protezione degli inabili.

In primo luogo, si è assistito all’emanazione della legge n. 6 del 2006, che ha introdotto la nuova figura dell’amministratore di sostegno; successivamente, all’introduzione dell’art. 2645-ter c.c. relativo alla trascrizione degli atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità.

La diversità del trust, rispetto agli istituti appena citati, sta nella capacità di poter coniugare una molteplicità di elementi essenziali per la cura della persona.

Tra i vantaggi di tale strumento si rivengono specificamente: la possibilità di semplificare il procedimento rispetto all’attivazione di una misura istituzionale che preveda il ricorso all’autorità giudiziaria, con la mera stipula di un atto istitutivo;  l’opportunità di una pianificazione familiare, al fine di risolvere problemi di gestione di un patrimonio che si voglia destinare a vantaggio di un soggetto diversamente abile, ma senza poter attribuire a lui la titolarità e l’amministrazione degli stessi beni;  la possibilità di nominare, nel corso della durata del trust, ulteriori beneficiari o di modificarli[37];  la possibilità che l’istituzione del trust si configuri come atto inter vivos con effetti post mortem.

L’art. 424 c.c. detta le regole inerenti la nomina del tutore dell’interdetto, che potrà sostanziarsi nella persona del familiare o, in mancanza, di altra persona idonea a garantire la cura e gli interessi del beneficiario.

L’amministratore di sostegno, invece, come disciplinato dall’art. 408 c.c., mira a tener conto delle possibili aspirazioni del beneficiario, introducendo un parametro di valutazione non propriamente tecnico volto ad evidenziare il vincolo di solidarietà, di fiducia e di qualità quasi genitoriale che deve fondare il rapporto tra amministratore di sostegno e beneficiario[38].

Anche la scelta del trustee deve riguardare una persona di fiducia, essendo lo scopo essenziale del trust, a differenza degli altri istituti, quello inerente la gestione del patrimonio[39].

Circa le caratteristiche, infatti, la persona del trustee deve “impiegare la diligenza e l’abilità ragionevolmente richieste nelle specifiche circostanze nelle quali egli si trovi ad agire[40].

Tra le figure attenzionate, si possono, peraltro, rinvenire sintomatiche differenze.

Mentre l’amministratore di sostegno non è titolare dei diritti sui beni del beneficiario, potendo compiere su tali beni gli atti stabiliti nel decreto di nomina, il trustee, a contrario, gode della facoltà e dell’onere di disporre dei beni, utilizzarli e venderli non per un proprio vantaggio, ma a vantaggio del soggetto debole, sempre nei limiti dell’atto istitutivo.

Il trust, dunque, con un solo istituto permette di soddisfare l’esigenza di provvedere ad un soggetto destinandogli dei beni e di risolvere contestualmente il problema della gestione degli stessi e della sua persona, costituendo, pertanto, un patrimonio segregato, con tutte le garanzie di intangibilità che esso comporta.

Si rimette comunque alle parti la facoltà di scegliere e decidere quale istituto o quale combinazione di strumenti risulti più efficiente in relazione alle loro esigenze.

6. L’operatività dei trusts nel Terzo settore e l’attribuzione della qualifica di Onlus: un esempio

È ormai pacifico, dunque, che lo strumento giuridico del trust sia una risposta efficiente e concreta rispetto alle problematiche che attanagliano i vari ambiti della vita e che si riferiscono, ora alla programmazione delle risorse patrimoniali in vista di un passaggio generazionale, ora ai trust a sostegno dei soggetti affetti da disabilità o ancora trust successori o puri.

La flessibilità riconosciuta a tale istituto, permette di coinvolgerlo anche nei settori, come quello della beneficienza, che, ad oggi, tentano ancora di farsi spazio e di acquisire rilevante importanza per la società.

Dall’art. 1 della legge del 6 giugno 2016, n. 106[41] emerge in modo assolutamente chiaro che la definizione “complesso di enti privati” si aggancia perfettamente al trust che, quindi, può validamente considerarsi rientrante tra i soggetti che possono operare nel Terzo settore, godendo anche della qualifica di Onlus[42] solo a determinate condizioni.

Si tratta di prerogative che l’Agenzia per il Terzo settore ha così riassunto: deve essere espresso che il trust ha per scopo il perseguimento di finalità di solidarietà sociale;  il trust non deve annoverare tra i beneficiari il disponente;  deve essere previsto che, in caso di perdita della qualifica di Onlus, il patrimonio sia devoluto ad altre Onlus;  la legge regolatrice del trust non deve recare norme che siano di ostacolo al perseguimento di finalità di solidarietà sociale del trust.

Proprio per comprendere al meglio la finalità e l’importanza del trust con scopo benefico, risulta utile porre l’attenzione su di un esempio sintomatico che ha permesso l’applicazione del trust, qual strumento qualificabile come Onlus.

In occasione del terremoto che ha sconvolto l’Italia a ridosso dell’entrata in vigore della legge 106/2016 è nata l’idea di istituire un trust per i terremotati di Accumoli e Amatrice, c.d. per chiara esemplificazione “Trust TAA”.

L’esigenza di adottare tale strumento al posto di altri è stata sostenuta dalle caratteristiche di trasparenza e di economicità che contraddistinguono tale istituto, specie nell’ambito dei vantaggi che ne possano derivare dal Terzo settore e dal riconoscimento della qualifica di Onlus.

Si tratta, più specificamente, di un trust di scopo volto a sostenere i costi dell’assistenza ai terremotati attraverso forme di beneficienza.

Invero, le caratteristiche di flessibilità, efficienza e trasparenza del trust medesimo hanno incentivato coloro che vogliono donare a terzi più sfortunati ad eliminare le barriere di diffidenza che sorgono spesso rispetto ad alcune iniziative caritatevoli, che seppur meritevoli, scontano purtroppo il peso dell’opacità informativa verso l’esterno.

Opacità che può essere dovuta non tanto alla professionalità dei soggetti attivi, quanto a strumenti giuridici inefficaci e inidonei a raggiungere obiettivi utili a tutta la società.

7. Conclusioni

Si potrebbe, pertanto, concludere affermando che un trust utile ai fini di protezione di un soggetto diversamente abile, risulta perfettamente compatibile con l’ordinamento giuridico nostrano, che si mostra sempre più spinto a contemperare le varie esigenze sociali con i diritti della dignità della vita e della libertà dal bisogno di ciascun essere umano.

In altri termini, “la tendenza verso cui sta volgendo il diritto nazionale è oggi quella di offrire sempre maggiore apertura verso l’autonomia privata, proprio in attuazione del principio di sussidiarietà, creando un diritto vivente meno rigido e schematico, ma più flessibile e modulabile in modo da tutelare più concretamente e con maggiore efficacia gli effettivi interessi delle persone[43].

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Istituto giuridico di origine anglosassone introdotto in Italia a seguito della Legge del 16 ottobre 1989 n. 364 di ratifica della Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985 avente ad oggetto «la legge applicabile ai trust e al loro riconoscimento». Per trust si intendono i rapporti giuridici istituiti da un soggetto disponente che con atti inter vivos o mortis causa trasferisce determinati beni ad una persona fisica o giuridica in qualità di trustee: nell’interesse di uno o più beneficiari («trust per beneficiari»); per un fine specifico («trust per uno scopo»). Un trust di scopo non prevede beneficiari ma lo scopo potrebbe essere strutturato in modo tale da recare beneficio a determinate persone senza conferire loro i diritti tipici dei beneficiari di un trust. La forma più estrema di trust di scopo è quella usata nelle Isole Cayman e denominata «STAR trust», dal nome della legislazione «Special Trusts (Alternative Regime) Law» che lo regola.

[2] M. G. MONEGAT, Trust: aspetti sostanziali e applicazioni nel diritto di famiglia e delle persone, Torino, 2010, p. 10.

[3] Altre disposizioni di legge contemplano il trust nel nostro ordinamento nazionale: l’art 1, commi 74-76 della L. 27 dicembre 2006, n. 269 (legge finanziaria 2007), che riconosce al trust un’autonomia soggettiva tributaria; l’ art 13 d.P.R. 29 settembre 1973 n.600, che include i trust, che esercitano attività commerciali, tra i soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili; la legge 24 novembre 2006 n. 286, che assoggetta la costituzione dei vincoli di destinazione sui beni e diritti all’imposta sulle successioni e donazioni.

[4] AA. VV., La giurisprudenza italiana sui trust – dal 1899 al 2006, Trust, Quaderni, n. 4, Milano, 2005.

[5] La definizione è contenuta nella sentenza Trib. Bologna, 1 ottobre 2003, in Trusts, 2004, p. 67.

[6] Trib. Venezia, 4 gennaio 2005, i cui concetti sono rievocati nell’ordinanza del Trib. Reggio Emilia, 14 maggio 2007.

[7] F. PIGHI, Legge di Jersey e regole per il trustee, in M. Lupoi (cur.), I professionisti e il trust, Atti del IV congresso Nazionale dell’Associazione “Il Trust in Italia”, Milano, 2009, p. 313 ss. La legge del 1984 è stata emendata nel 1989. Un secondo intervento adegua nel 1991 alcune sue disposizioni alla Convenzione de L’Aja; nel 1996, si introduce l’importante novità della validità dei trust di scopo per finalità non charitable.

[8] Ciò non significa che essa sia completa. Infatti, in presenza di lacune, è ampio il ricorso ad altre fonti di diritto ed, in primis, alla giurisprudenza.

[9] M. LUPOI, Effects of the Hague Convention in a Civil Law Country - Effetti della Convenzione dell’Aja in un Paese civilista, in Vita not., 1998, p. 19; A. BUSANI, I notai ammettono il trust interno, Il Sole 24 Ore, 23 febbraio 2006, p. 27; R. PARTISANI, Trust interno e responsabilità civile del disponente, in Resp. civ., 2005, p. 543.

[10] Trib. Lucca, 23 settembre 1997, in Foro it., 1998, p. 3391. Si veda, anche, Trib. Velletri, 29 giugno 2005 che, nel negare l’applicabilità della Convenzione ad un trust interno, ha ritenuto ammissibile l’istituzione di un trust interno, riconoscendone i relativi effetti, in quanto negozio atipico degno di tutela in ragione della meritevolezza degli interessi perseguiti ai sensi degli artt. 1322 e 1324 c.c. La sua causa è astrattamente lecita e non è dissimile da quella tipica di altre figure già previste nel nostro ordinamento (fondazioni familiari, fondo patrimoniale, ecc.).

[11] Quelli che presentano elementi di estraneità rispetto all’ordinamento italiano (residenza del disponente, del trustee, dei beni da segregarsi).

[12]F. TEDIOLI, “Trust con funzione liquidatoria e successivo fallimento”, in Trust e attività fiduciarie, 2010, p. 498. Nel definire il trust interno afferma, infatti, che:  “a differenza di quanto accade nel patrimonio separato, vi è un’incomunicabilità assoluta tra beni che ne costituiscono l’oggetto ed il soggetto che ne è titolare, ed una completa coincidenza tra proprietà e gestione e tra titolarità e godimento. Non vi è alcuna possibilità di distinzione tra gestore (trustee) ed il complesso di beni, come, invece, accade nel patrimonio autonomo. In ogni caso, dottrina e giurisprudenza, per legittimare il trust interno,richiamano l’istituto del patrimonio separato, rammentando le sue diverse applicazioni: a) nel mandato senza rappresentanza, ove il mandante è ammesso a rivendicare direttamente le cose mobili acquistate dal mandatario in nome proprio e tali beni sono sottratti all’azione esecutiva dei creditori del mandatario (art.1707 cod.civ.); b) nel fondo patrimoniale (167 cod. civ.), ove è data facoltà ai coniugi di separare una parte del patrimonio destinandolo ai bisogni della famiglia, con possibilità dei soli creditori relativi alle obbligazioni contratte per tali bisogni di agire sui beni costituenti il fondo (art.170 cod.civ.); c) nell’art. 22 del D. Lgsl. 24 febbraio 1998, n. 58, che ha introdotto nuove figure di intermediari destinati a gestire gli investimenti in strumenti finanziari, prevedendo la separazione, anche in sede concorsuale, del patrimonio amministrato dal patrimonio dell’intermediario; d) nell’art.2447 quinquies cod. civ. relativamente ai patrimoni destinati ad uno specifico affare; e) nell’art. 4, II comma, della L.30 aprile 1999 n.30, in tema di cartolarizzazione dei crediti, il quale prevede che, dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della notizia dell’avvenuta cessione dei crediti, sui crediti acquistati e sulle somme corrisposte dai debitori ceduti, sono ammesse azioni solo da parte dei portatori dei diritti incorporati dei titoli emessi dalla stessa società di cartolarizzazione o da altra società (c.d. società veicolo). Si vedano anche: f) i negozi di destinazione di cui all’art.2645 ter cod.civ., in cui uno o più beni vengono vincolati ad uno scopo (con un vincolo di tipo “reale”), con conseguente separazione patrimoniale. In particolare, l’interesse deve essere meritevole di tutela ai sensi dell’art.1322 cod.civ., II comma, cod. civ., con riferimento ai disabili, alla pubblica amministrazione o di pubblica utilità, giustificato da una funzione socio economica e con riferimento a valori solidaristici ed interessi superindividuali”.

[13] Il trustee ha l’amministrazione dei beni, di cui acquista la proprietà, vincolata peraltro agli scopi indicati dal disponente. Il trustee non è possessore o detentore dei beni in trust, ma ne è titolare, ha diritti pieni ed incondizionati (in inglese absolutely entitled) sul fondo in trust, anche se tali beni costituiscono un patrimonio separato rispetto al suo patrimonio personale. Simili considerazioni si rinvengono anche nella pronuncia del Trib. pen. Venezia, 4 gennaio 2005, secondo cui “il trustee è titolare di un diritto reale non nell’interesse proprio, ma nell’interesse altrui. Non vi è la nascita di un nuovo diritto reale, né uno sdoppiamento del diritto di proprietà, ma il semplice trasferimento di un diritto reale da un soggetto ad un altro” che lo accetta assumendo un essenziale obbligo di amministrazione e gestione. Anche nell’art. 24 della legge di Jersey, infine, è previsto che “ferme restando le disposizioni dell’atto istitutivo e le obbligazioni del trustee, questi ha gli stessi poteri sui beni in trust di una persona fisica che agisca in qualità di proprietario (beneficial owner)”.

[14] Come si è accennato, l’art. 13 Convenzione prevede che “nessuno Stato è tenuto a riconoscere un trust i cui elementi importanti, ad eccezione della scelta della legge da applicare, del luogo di amministrazione e della residenza abituale del trustee, sono più strettamente connessi a Stati che non prevedono l’istituto del trust o la categoria del trust in questione”. La disposizione in esame, secondo gli interpreti, riconosce pertanto la possibilità di negare il riconoscimento di un trust interno qualora appaia in concreto in contrasto con le norme dell’ordinamento giuridico del nostro Paese, prendendo come riferimento il principio del rispetto dell’ordine pubblico interno.  

[15] Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a l’Aja l’1 luglio 1985.

[16] Secondo Trib. Cassino, 8 gennaio 2009 “occorre esaminare la meritevolezza della causa concreta del trust, senza fermarsi allo scopo negoziale che prima facie le parti intendono perseguire, ma verificando se anche l’eventuale scopo effettivo, sotteso a quello apparente, sia conforme ai principi generali dell’ordinamento”.

[17] Trattasi, nello specifico, di una impresa a cui l’ordinamento affida la produzione di beni e servizi di utilità sociale, dichiarandosi tali, infatti, i beni o i servizi che ricadono nei settori tassativamente indicati dal d.lgs. 155/2006.

[18] A. RAPACCINI, “Riforma Terzo Settore, quanti malintesi sull’impresa sociale”, www.vita.it, 2015;

[19] A.FUSARO, “Patrimoni di scopo, trust e fiducia nell’esperienza giuridica italiana”, in  www.masterdirittoprivatoeuropeo.it, ammette che “la stessa teoria generale distingue i patrimoni autonomi dai patrimoni separati, a seconda che siano dotati di soggettività, oppure, pur continuando a fare capo ad un soggetto, tuttavia rimangano accantonati, segregati rispetto alla complessiva ricchezza di quest’ultimo; quindi uno dei momenti di rilevanza cruciale del patrimonio separato lo si coglie rispetto alla garanzia del debitore, sancita dall’art. 2740 c.c. Il nostro ordinamento conosce, invero, due vie per limitare la responsabilità: l’autonomia patrimoniale, laddove la limitazione della responsabilità e giustificata dall’organizzazione; il patrimonio destinato, ove la giustificazione risiede nello scopo. Nel diritto italiano si parla, pertanto, di patrimoni di scopo, annoverando in tale ambito il trust quale esemplare straniero a fianco degli istituti interni disciplinati dalla normativa codicistica”.

[20] P. ABATE, L’utile senza gli utili: guida alla creazione dell’impresa sociale, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura Roma, 2009, p. 9.

[21]integrità”; “realità”; “affidabilità”; “consistenza”; “impegno”; “competenza”.

[22] Cass., sezione I, 19 dicembre 2001, n. 16027, in Giust. civ., 2002, I, p. 1271;

[23] Si pensi alla proposta di legge n. 2733/02, «Norme in materia di trust a favore di portatori di handicap», che riprendeva la n. 5494, o ancora alla proposta d.d.l. n. 3972, relativa all’assegnazione di determinati beni in favore di soggetti portatori di gravi handicap per favorirne l’autosufficienza mediante, tra l’altro, la creazione di un patrimonio destinato a favore delle persone con disabilità.

[24] Più precisamente, la l. n.112/16 reca “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare” e «disciplina misure di assistenza, cura e protezione nel superiore interesse delle persone con disabilità grave, non determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, prive di sostegno familiare in quanto mancanti di entrambi i genitori o perché gli stessi non sono in grado di fornire l’adeguato sostegno genitoriale, nonché in vista del venir meno del sostegno familiare, attraverso la progressiva presa in carico della persona interessata già durante l’esistenza in vita dei genitori» (art. 2). Il d.d.l. n. 2232 contemplava il trust come unico strumento giuridico di tutela delle persone con disabilità grave ma, in fase di approvazione definitiva, l’unicità del trust è stata ridimensionata e, nell’attuale testo di legge, vi sono altre forme di protezione a beneficio del disabile grave: l’articolo 2645 ter c.c. e il contratto di affidamento fiduciario.

[25] F. FIORINI, Arrivano polizze di assicurazione,trust e fondi speciali, in Guida al dir., 2016, 39, p. 29.

[26] A. REALI, I trusts, gli atti di assegnazione di beni in trust e la Convenzione dell'Aja. Parte prima: i principi generali, in Riv. dir. civ., 2017, p. 398 ss. e Parte seconda: le regole giuridiche operative, ivi, 2017, p. 608 ss.

[27] Trib. Udine 28 febbraio 2015, in Corr. giur., 2016, p. 1097 ss., alla cui stregua la Convenzione de l'Aja non impone agli Stati contraenti il riconoscimento dei trust interni, né alla legge di ratifica può essere attribuito valore normativo diverso ed ulteriore rispetto a quello desumibile dalla Convenzione medesima; Trib. Monza 13 ottobre 2015, in www.ilcaso.it.

[28] M. LUPOI, Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, Padova, 2008, p. 23: con l'espressione "trust interno" si indica quel trust i cui elementi essenziali sono italiani, ad eccezione della legge regolatrice.

[29] La giurisprudenza italiana si è pronunciata centinaia di volte sul trust negli ultimi vent’anni, di volta in volta riscontrando gli interessi sottostanti allo specifico trust e negandone l’ammissibilità nel nostro ordinamento in caso di esito negativo di siffatta valutazione: così, Cass. n. 13276/2011, in Guida al dir., 7, 2011, p. 53 ss., investita del ricorso contro un’ordinanza del Trib. del riesame che confermava il sequestro preventivo sui beni segregati in trust, ha ritenuto nullo in quanto in frode ai creditori la costituzione di un trust autodichiarato in cui il disponente di fatto manteneva la disponibilità dei beni vincolati, esercitando i poteri di trustee senza alcun obbligo di giustificare i propri poteri; analogamente, App. Milano 29 ottobre 2009, in Trusts e att. fid., 2010, p. 494 ss. (con nota di Tedioli), per un trust liquidatorio con il solo effetto, in concreto, di sottrarre e/o distrarre i beni di una società insolvente dal legittimo impiego nella regolarizzazione dei debiti

[30] Cass. n. 5322/2015, in Notariato, 2015, p. 443, relativa al conferimento di somme in un trust, costituito da una Regione e da una fondazione con la finalità di provvedere alla manutenzione e alla riqualificazione di un aeroporto.

[31] art. 3, comma 3, della Legge 5 febbraio 1992 n. 104 richiamato dall’art. 6, comma 1, della Legge sul «Dopo di noi».

[32] P. PANICO- F. PIGHI, La legge di Jersey sul trust, in Trust e att. fiduc., 2007, propone dunque un ampio studio del trust di Jersey, dei dati di base, e soprattutto dei trust di scopo (charitable e non-charitable).

[33] parere Consob 10 marzo 1998.

[34]Trib. Di Modena, Giudice Tutelare, 24 febbraio 2005, in Guida al Diritto, 2004, pp. 50 ss.;

[35] M. LUPOI, Trusts, Milano, 2001, p. 644 ss.;

[36] G. BONILINI - A. CHIZZINI, L’amministrazionedi sostegno, Padova, 2004,  p. 21 ss. e p. 52 s., ove si segnala che la nomina di un amministratore di sostegno comporta pur sempre una limitazione della capacità della persona, con il conseguente invito alla moderazione nell'uso dello strumento di protezione e alla introduzione di limitazioni alla capacità di agire del beneficiario solo se necessarie alla sua tutela.

[37] A. TONELLI, Trust in luogo di amministrazione di sostegno e con finalità successorie, in Leggi d’Italia, 2007, p. 643.

[38] L. SANTORO, Il trust in Italia, in Il diritto privato oggi, a cura di P. Cendon, Milano, 2004, p. 329 ss.;

[39] A. GAMBARO, voce “Trust”, Dig.disc.priv., Sez.Civ., Torino, 1999, da p. 449 a p. 452;

[40] M. LUPOI, Trusts, Milano, 2001, p. 644 ss. con particolare riferimento ad un caso di trust istituito da un soggetto ai fini della gestione e della destinazione del proprio patrimonio, per l’ipotesi di sopravvenuta incapacità.

[41]Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale (G.U., Serie Generale n. 141 del 18 giugno 2016). Entrata in vigore il 3 luglio 2016.

[42] Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale.

[43] M. NUZZO, “Il principio di sussidiarietà nel diritto privato”: II – Coordinamento tra imprese- Responsabilità patrimoniale del debitore- Soluzione negoziale della crisi di impresa”, Giappichelli, Torino, 2015, p. 298;

 

BIBLIOGRAFIA

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TONELLI A., Trust in luogo di amministrazione di sostegno e con finalità successorie, in Leggi d’Italia, 2007.

 

APPENDICE GIURISPRUDENZIALE

Trib. Lucca, 23 settembre 1997.

Parere Consob 10 marzo 1998.

Cass., sezione I, 19 dicembre 2001, n. 16027.

Trib. Bologna, 1ottobre 2003.

Trib. Venezia, 4 gennaio 2005.

Trib. Di Modena, Giudice Tutelare, 24 febbraio 2005.

Trib. Reggio Emilia, 14 maggio 2007.

Trib. Cassino, 8 gennaio 2009.

Trib. Udine 28 febbraio 2015.

Cass. n. 5322 del 2015.