Il calcolo della quota di legittima e la rinunzia all´azione di riduzione
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Giulia Fadda
Con la sentenza del 28 febbraio 2020, n. 518, la Corte di Appello di Catania ha affermato che le quote di legittima non variano in seguito alla rinunzia all´azione di riduzione da parte di un legittimario. La ragione risiede nella circostanza che il momento da prendere in considerazione per il calcolo delle quote di legittima sia solo quello dell´apertura della successione. Il presente contributo approfondisce la questione della necessità della rideterminazione delle quote di legittima in varie fattispecie. In particolare, dopo aver indicato gli aspetti fondamentali della successione necessaria, affronta la suddetta problematica negli ambiti del mancato esercizio dell´azione di riduzione per prescrizione o rinunzia; della rinunzia all´eredità e della dichiarazione giudiziale d´indegnità.
Sommario: 1. Premessa; 2. La vicenda processuale; 3. La successione necessaria; 4. Il mancato esercizio dell’azione di riduzione per rinunzia o prescrizione; 5. La rinunzia all'eredità da parte di un legittimario; 6. La dichiarazione di indegnità di un legittimario; 7. Conclusioni.
1. Premessa
Con la sentenza del 28 febbraio 2020, n. 518, la Corte di Appello di Catania è tornata sulla questione se sia necessaria la rideterminazione delle quote di legittima in caso di rinunzia all’azione di riduzione.
L’analisi della suddetta decisione costituisce la base di partenza della trattazione oggetto del presente elaborato.
Infatti, innanzitutto sono state analizzate le due teorie della cristallizzazione delle quote e della rideterminazione delle stesse nell’ipotesi del mancato esercizio dell’azione di riduzione per rinunzia o per prescrizione.
E’ necessario precisare che limitarsi ad affrontare la tematica del ricalcolo delle quote di legittima soltanto dal suddetto punto di vista sarebbe riduttivo e non potrebbe far comprendere la complessità del fenomeno.
Di conseguenza, l’analisi ricomprende anche il caso della rinunzia all’eredità da parte di un legittimario e l'ipotesi della dichiarazione d’indegnità contro quest’ultimo.
2. La vicenda processuale
Il processo ha ad oggetto il caso di alcuni legittimari che ritengono di aver subito una lesione della quota di legittima loro spettante in riferimento ad una successione apertasi nel 2001.
Nello specifico, quest’ultimi si sono rivolti al Tribunale di Caltagirone al fine di ottenere la reintegrazione della propria quota di legittima.
Il suddetto Tribunale con la sentenza del 23 aprile 2016, n. 148 ha accolto soltanto alcune delle domande di reintegrazione.
In particolare, ha definito il quantitativo della quota di legittima da reintegrare considerando tra i legittimari anche la moglie del de cuius avente rinunziato all’azione di riduzione.
In tal modo ha ritenuto che la suddetta rinunzia non intaccasse il calcolo delle quote di legittima. Di conseguenza, ha appoggiato la teoria della cristallizzazione delle quote. Quest’ultima prevede che il momento da prendere in considerazione per la determinazione delle quote sia quello dell’apertura della successione.
I ricorrenti hanno impugnato la suddetta sentenza e si sono rivolti alla Corte di Appello di Catania. In particolare, hanno richiesto la rideterminazione delle quote di legittima.
Quest’ultimi hanno sostenuto che il Tribunale di primo grado avesse errato nel calcolare le suddette quote senza tenere conto della rinunzia della moglie del de cuius.
In particolare, secondo i ricorrenti, in seguito alla suddetta rinunzia la disposizione normativa da prendere in considerazione per il calcolo della legittima è l’art. 537, comma 2 c.c.1 e non l’art. 542, comma 2 c.c.2.
Detta affermazione si basa sul convincimento che il momento rilevante per il calcolo della legittima non sia quello dell’apertura della successione, ma del mancato esercizio dell’azione di riduzione per rinunzia alla stessa.
Infatti, i ricorrenti hanno affermato che con la rinunzia all’azione di riduzione il coniuge non debba più essere tenuto in considerazione per il calcolo delle quote di legittima.
Di conseguenza, non si tratta più di un concorso tra figli e coniuge, disciplinato dall’art. 542, comma 2 c.c., ma di un concorso tra soli figli, regolato dall’art. 537, comma 2 c.c. L’applicazione di quest’ultima norma, piuttosto che dell’altra, comporta che la quota di riserva spettante ai figli da dividere in parti uguali è pari ai due terzi del patrimonio e non ad un mezzo. Inoltre, la porzione del patrimonio di cui il de cuius poteva disporre in vita è di un terzo e non di un quarto.
La Corte di Appello di Catania con la sentenza 28 febbraio 2020 n. 518 ha rigettato detto motivo di ricorso e ha confermato la sentenza di primo grado.
Di conseguenza, ha ritenuto giusto che la moglie del de cuius avente rinunziato all’azione di riduzione fosse comunque considerata tra i legittimari.
Il ragionamento dei giudici si basa sul principio dettato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza 9 giugno 2006 n. 13.4293.
La Suprema Corte in detta sentenza ha affermato che il mancato esercizio dell’azione di riduzione per prescrizione o per rinunzia alla stessa non comporti una rideterminazione delle quote di legittima, dato che il momento da prendere in considerazione per il calcolo di quest’ultime è l’apertura della successione.
3. La successione necessaria
Prima di procedere all’analisi della questione della rideterminazione o della cristallizzazione della quota di legittima al momento dell’apertura della successione in seguito alla rinunzia all’azione di riduzione è doveroso compiere brevi cenni alla successione necessaria e al suo funzionamento.
L’art. 587 c.c.4 riconosce la possibilità per ciascun individuo di disporre delle proprie sostanze per quando avrà cessato di vivere mediante lo strumento giuridico del testamento.
Quest’ultimo, secondo la dottrina prevalente5, ha natura di negozio giuridico mortis causa. Il suo perfezionamento avviene fin dal momento della sua formazione, ma la sua efficacia decorre dal giorno della morte del testatore, che segna anche l’apertura della sua successione.
La libertà di disporre riconosciuta al testatore è limitata dalla normativa sulla successione necessaria.
Infatti, il legislatore ha cercato di contemperare il principio dell’autonomia privata, consistente nella suddetta libertà, con la tutela dei soggetti legati al testatore da un determinato vincolo familiare.
Di conseguenza, ha previsto che una certa quantità del patrimonio, che varia a seconda delle categorie e del numero dei legittimari, sia riservata a quest’ultimi.
Ai sensi dell’art. 536 c.c.6, sono legittimari il coniuge, i figli e, in mancanza di quest’ultimi, gli ascendenti del de cuius.
È necessario precisare che i diritti successori riservati ai figli spettano anche ai loro discendenti che subentrano nella quota di eredità mediante il meccanismo della rappresentazione.
Quest’ultimo è lo strumento giuridico, previsto dall’art. 467 c.c.7, che permette ai discendenti del figlio o del fratello o della sorella del de cuius di subentrare nella posizione del chiamato all’eredità nel caso in cui quest’ultimo non voglia o non possa accettare l’eredità.
Il legislatore, conscio della possibilità che il testatore possa con il proprio testamento violare la quota spettante a ciascun legittimario, ha previsto delle tutele per la salvaguardia di suddetta quota.
Innanzitutto, con l’art. 549 c.c.8 ha inserito il principio d’intangibilità della legittima. Infatti, al testatore è fatto divieto di apporre delle condizioni o dei pesi sulla quota di legittima, salvo la normativa in materia di divisione ereditaria.
Inoltre, per il legittimario leso o completamente pretermesso è stato riconosciuto lo strumento dell’azione di riduzione a cui è collegata l’azione di restituzione.
La prima permette di rendere inefficaci verso colui che agisce le disposizioni testamentarie e le donazioni compiute dal de cuius e lesive della quota di legittima.
La seconda, invece, costituisce lo strumento mediante il quale il legittimario riesce a reintegrare effettivamente la propria quota.
In riferimento al calcolo della quota di legittima, il legislatore ha costruito il c.d. sistema della quota mobile.
Si tratta di un meccanismo in base al quale la quota di legittima varia a seconda delle categorie di legittimari presenti e del numero degli stessi in ciascuna categoria.
Infatti, il legislatore prevede negli artt. 5379, 53810 e 540, comma 111 c.c. i casi in cui siano presenti soltanto i figli o gli ascendenti o il coniuge e negli artt. 54212 e 54413 c.c. le ipotesi in cui ci sia un concorso tra il coniuge e i figli oppure tra il primo e gli ascendenti.
Inoltre, in detti articoli avviene una differenziazione anche in base alla presenza di un solo soggetto nella categoria dei figli o degli ascendenti oppure di più soggetti.
Il suddetto sistema ha comportato l’insorgenza della problematica di determinare quale sia il momento da prendere in considerazione per il calcolo della quota di legittima.
Infatti, è possibile che all’apertura della successione sia presente un determinato numero di legittimari, ma che successivamente la situazione cambi.
In particolare, detto cambiamento potrebbe derivare dal mancato esercizio dell’azione di riduzione per prescrizione o rinunzia; dalla rinunzia all’eredità da parte di uno dei legittimari oppure dalla dichiarazione d’indegnità di uno dei legittimari chiamati alla successione.
Soprattutto nei casi di mancato esercizio dell’azione di riduzione e rinunzia all’eredità, come sarà possibile analizzare nei prossimi paragrafi, è presente una divisione tra due linee di pensiero.
Da una parte sono rinvenibili coloro che sostengono la cristallizzazione delle quote al momento dell’apertura della successione.
Di conseguenza, il mancato esercizio dell’azione di riduzione o la rinunzia all’eredità non comporta una rideterminazione delle quote di legittima, ma accresce la porzione di patrimonio di cui il de cuius poteva disporre.
In questo modo è valorizzata la libertà di disposizione del de cuius a discapito della tutela dei legittimari.
Dall’altra, invece, sono presenti coloro che appoggiano la teoria della rideterminazione delle quote.
Di conseguenza, detti sostenitori affermano che in caso di mancato esercizio dell’azione di riduzione oppure di rinuncia all’eredità il legittimario continui ad essere considerato al fine del calcolo della quota di legittima, dato che il momento da prendere in considerazione è soltanto quello dell’apertura della successione.
Quindi, in questo caso è maggiormente valorizzata la tutela dei legittimari rispetto alla libertà di disposizione riconosciuta al de cuius.
4. Il mancato esercizio dell’azione di riduzione per rinunzia o prescrizione
Come accennato nel precedente paragrafo il legittimario leso o completamente pretermesso ha la possibilità di esercitare l’azione di riduzione, che gli permette di rendere inefficace determinate disposizioni testamentarie e donazioni lesive della propria quota di legittima.
Però, potrebbe accadere che l’azione di riduzione incorra nella prescrizione oppure che il titolare della stessa decida di rinunziarvi.
Per quanto riguarda la prescrizione dell’azione di riduzione è necessario compiere alcune considerazioni.
Innanzitutto, il termine prescrizionale è quello ordinario previsto dall’art. 2946 c.c.14, vale a dire dieci anni.
Inoltre, per molto tempo è stato discusso quale fosse il dies a quo della decorrenza del suddetto termine.
A tal proposito è intervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza del 25 ottobre 2004, n. 20.644, che ha distinto tra la lesione derivante da donazione e quella ricollegabile ad una disposizione testamentaria.
Infatti, ha affermato che nel caso in cui la quota di legittima sia lesa da donazioni non si pone un problema di individuazione del dies a quo, in quanto quest’ultimo coincide con l’apertura della successione.
Tale affermazione deriva dalla circostanza che, laddove l’azione di riduzione abbia ad oggetto delle donazioni, è certo che il patrimonio relitto del de cuius non sia sufficiente a reintegrare la lesione subita.
Infatti, ai sensi dell’art. 555, comma 2 c.c.15, le donazioni sono sottoposte ad azione di riduzione solamente laddove non sia sufficiente il valore dei beni oggetto delle disposizioni testamentarie.
Il problema d’individuazione del momento dal quale far decorrere il termine prescrizionale dell’azione di riduzione si pone nel caso in cui la lesione derivi da disposizioni testamentarie.
La Corte di Cassazione individua il dies a quo nel momento dell’accettazione dell’eredità da parte del chiamato beneficiario della disposizione lesiva della quota di legittima 16.
Secondo gli ermellini soltanto da tale momento il legittimario può essere sicuro di aver subito una lesione della propria legittima.
Di conseguenza, nell’attesa di detta accettazione quest’ultimo ha soltanto la possibilità di esperire l’azione interrogatoria, prevista dall’art. 481 c.c.17, al fine di far assegnare un termine per l’accettazione al destinatario della disposizione testamentaria.
In questo modo la Cassazione ha ricusato le teorie presenti fino a quel momento. Una prima teoria sosteneva che la decorrenza del termine avvenisse dall’apertura della successione, mentre un’altra dalla pubblicazione del testamento18.
Nello specifico, la Corte ritiene che nessuna norma preveda la decorrenza del termine di esercizio dell’azione di riduzione dall’apertura della successione.
Inoltre, il solo fenomeno dell’apertura della successione non comporta la lesione della legittima. Di conseguenza, non possono essere presenti le condizioni giustificanti l’esercizio dell’azione di riduzione19.
Inoltre, in riferimento alla seconda teoria, gli ermellini sostengono che non esiste alcuna norma prescrivente che la pubblicazione del testamento comporti una presunzione di conoscenza da parte dei legittimari lesi. Inoltre, non è detto che con tale pubblicazione i legittimari vengano realmente a conoscenza della lesione. Infine, è possibile che un soggetto abbia già compiuto degli atti che comportino accettazione dell’eredità prima della pubblicazione di un testamento olografo20.
In riferimento, invece, alla rinunzia all’azione di riduzione l’art. 557, comma 2 c.c.21 prescrive che possa essere compiuta solamente dopo la morte del donante.
La stessa si distingue dalla rinunzia all’eredità, dato che non comporta la venuta meno del diritto di accettare l’eredità. Infatti, ha come conseguenza l’estinzione del diritto del legittimario di far valere i propri diritti in riferimento alla lesione della quota di legittima subita22.
Nel momento in cui si verifica la prescrizione o la rinunzia all’azione di riduzione si pone il problema se rideterminare le quote di legittima, senza contare il legittimario titolare della suddetta azione, oppure considerare le stesse cristallizzate al momento dell’apertura della successione.
Vi è stata un’evoluzione nella giurisprudenza di legittimità in riferimento alla suddetta questione.
Inizialmente, la Corte di Cassazione23 ha sostenuto la teoria della rideterminazione delle quote di legittima, che si basa sulla concezione che il mancato esercizio dell’azione di riduzione per rinunzia o per prescrizione della stessa ha efficacia retroattiva e comporta l’accrescimento della quota verso gli altri legittimari.
Di conseguenza, i sostenitori di detta tesi ritengono applicabile alla rinunzia all’azione di riduzione gli artt. 52124 e 52225 c.c., dettati in materia di rinunzia all’eredità.
La prima norma prescrive che colui che rinunzia è come se non fosse mai stato chiamato. Quindi, è presente una retroattività degli effetti dell’atto di rinunzia al momento dell’apertura della successione.
La seconda disposizione, invece, prevede l’accrescimento della quota a favore di coloro che avrebbero concorso con il rinunziante, salvo il meccanismo dell’istituto giuridico della rappresentazione e il disposto dell’ultimo comma dell’art. 571 c.c. 26.
Quindi, secondo questa teoria, il titolare dell’azione di riduzione rinunziata o prescritta non deve essere più considerato tra i legittimari. Inoltre, la sua quota non è imputata alla porzione di patrimonio di cui il de cuius poteva disporre.
Di conseguenza, i legittimari sono quelli che partecipano concretamente al riparto dell’asse ereditario e non quelli che teoricamente avrebbero potuto partecipare. Questo significa che deve essere preso in considerazione il momento del mancato esercizio dell’azione di riduzione per rinunzia o per prescrizione e non quello dell’apertura della successione.
Con la sentenza a Sezioni Unite 9 giugno 2006 n. 13.429, gli ermellini hanno cambiato opinione. Infatti, hanno appoggiato la teoria di cristallizzazione delle quote.
In particolare, hanno sostenuto che il mancato esercizio dell’azione di riduzione non comporti la rideterminazione delle quote di legittima che rimangono cristallizzate al momento dell’apertura della successione27.
Di conseguenza, il legittimario titolare della suddetta azione continua ad essere considerato al fine del calcolo della legittima. Inoltre, la quota che sarebbe spettata allo stesso non si accresce agli altri legittimari, ma è considerata parte della porzione di patrimonio di cui il de cuius poteva disporre liberamente.
La Corte di Cassazione basa il proprio ragionamento su alcune considerazioni.
Innanzitutto, ritiene errato considerare applicabile anche alla successione necessaria le norme degli artt. 521 e 522 c.c.
Infatti, sostiene che non sia presente nel caso della successione necessaria né l’esigenza a cui pone rimedio lo strumento dell’accrescimento né il presupposto dello stesso.
Nello specifico, secondo la Corte, in caso di mancato esercizio dell’azione di riduzione non è riscontrabile la necessità di rinvenire un titolare della quota di legittima, dato che i beni che ne fanno parte appartengono a legatari, eredi o donatari. Si tratta quindi di un’ipotesi ben diversa dal caso della rinunzia all’eredità, la cui efficacia retroattiva comporta la necessità di individuare un titolare dei beni rinunziati.
Inoltre, non è presente la chiamata congiunta in una medesima quota che costituisce il presupposto per l’istituto dell’accrescimento, previsto dall’art. 522 c.c.28.
In secondo luogo, gli ermellini sostengono che dal tenore letterale degli artt. 537, 538 e 542 c.c., dove è utilizzato il verbo “lasciare”, è rinvenibile la circostanza che il momento da prendere in considerazione per il calcolo delle quote di legittima sia quello dell’apertura della successione29.
Inoltre, la Corte sottolinea che la rideterminazione delle quote di legittima rispetto a quelle calcolate all’apertura della successione comporterebbe una difficoltà per il testatore in riferimento all’individuazione dei limiti alla facoltà di quest’ultimo di disporre del proprio patrimonio mediante testamento30.
Infatti, con la cristallizzazione delle quote il testatore ha la possibilità di calcolare quali siano detti limiti in base alla composizione del suo nucleo familiare, salvo sempre la consapevolezza che essi rimarranno tali solo se all’apertura della successione la composizione del nucleo familiare sarà la stessa. Nell’ipotesi, invece, di rideterminazione delle quote di legittima il testatore non potrebbe neppure calcolare detti limiti.
Infine, i giudici riscontrano delle difficoltà pratiche derivanti dalla teoria della rideterminazione delle quote31.
In particolare, sostengono che il termine di esercizio dell’azione di riduzione sia lungo e non sia presente la previsione della possibilità di un’azione interrogatoria, prevista invece nell’ambito dell’accettazione dell’eredità dall’art. 481 c.c..
Di conseguenza, la rinunzia alla stessa o la sua prescrizione potrebbe intervenire anche dopo molto tempo rispetto all’apertura della successione. Questo comporta che il legittimario, che eserciti l’azione di riduzione, potrebbe essere costretto a richiedere un supplemento della propria quota di legittima nel caso in cui qualcuno dei legittimari rinunci alla propria azione di riduzione o la stessa si prescriva per decorso del termine.
5. La rinunzia all’eredità da parte di un legittimario
Ai sensi dell’art. 519, comma 1 c.c.32, la rinunzia all’eredità deve essere compiuta mediante una dichiarazione espressa di fronte al notaio o al cancelliere del tribunale del circondario del luogo dove si è aperta la successione.
Nonostante il legislatore non precisi quale sia il termine entro il quale il chiamato deve compiere la dichiarazione di rinunzia all’eredità, si ritiene che quest’ultimo coincida con quello dell’accettazione dell’eredità, previsto dall’art. 480 c.c.33, vale a dire dieci anni dal giorno dell’apertura della successione.
A differenza dell’accettazione dell’eredità, caratterizzata dall’irrevocabilità della dichiarazione, la rinunzia può essere revocata da chi l’ha compiuta, ma nel rispetto dei presupposti previsti dall’art. 525 c.c.34.
Innanzitutto, non deve essere prescritto il diritto di accettare l’eredità. Inoltre, la quota di eredità non deve essere stata acquistata da altri chiamati e i diritti dei terzi non devono essere pregiudicati35.
Nel caso in cui la rinunzia all’eredità sia compiuta da parte di un legittimario si è posto il problema se la stessa comporti una rideterminazione delle quote di legittima.
A differenza del mancato esercizio dell’azione di riduzione per prescrizione o rinunzia da parte del titolare, dove è intervenuta la Cassazione a Sezioni Unite a dirimere il dibattito in corso, in questo ambito la discussione risulta essere ancora aperta36.
Parte della dottrina37 sostiene la teoria della cristallizzazione delle quote di legittima al momento dell’apertura della successione sulla base di alcune argomentazioni.
Innanzitutto, dal tenore letterale degli artt. 537, 538 e 542 c.c., dove è utilizzato il verbo “lasciare”, è deducibile che il momento da prendere in considerazione per la determinazione delle quote di legittima sia soltanto quello dell’apertura della successione.
Inoltre, detta dottrina sostiene che se si appoggiasse la teoria della rideterminazione delle quote di legittima la rinunzia da parte di tutti i figli del de cuius dovrebbe comportare il subentro degli ascendenti, che fino a detto momento non erano legittimari.
Infine, ritiene che la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 2006, precedentemente analizzata nell’ambito del mancato esercizio dell’azione di riduzione per rinunzia o prescrizione, comprenda anche il caso della rinunzia all’eredità.
Di conseguenza, in base a detta teoria la rinunzia dell’eredità da parte di un legittimario non comporta la rideterminazione delle quote di legittima degli altri legittimari, dato che il momento da prendere in considerazione per il calcolo di quest’ultime è soltanto quello dell’apertura della successione.
Quindi, la parte di eredità spettante al rinunziante accresce la porzione di patrimonio di cui il de cuius poteva disporre.
Altra parte della dottrina38, invece, appoggia la teoria della rideterminazione delle quote di legittima.
Infatti, sostiene che la rinunzia all’eredità da parte di un legittimario renda necessario compiere un nuovo calcolo delle quote. Di conseguenza, la parte di eredità rinunziata non accresce la quota disponibile, ma le quote degli altri legittimari.
In base a detta teoria, la determinazione compiuta al momento dell’apertura della successione non è definitiva. Infatti, si devono tenere in considerazione soltanto gli eredi che effettivamente concorrono alla ripartizione dell’eredità e non quelli che teoricamente avrebbero potuto partecipare.
Innanzitutto, gli autori che sostengono la teoria della rideterminazione si basano sulla considerazione che l’art. 521 c.c. preveda la retroattività della rinunzia all’eredità fino al momento dell’apertura della successione.
Di conseguenza, deducono che se il legittimario che rinunzia è come se non fosse mai stato chiamato, allora non è possibile considerarlo ancora tra i legittimari.
In secondo luogo, sulla base della suddetta considerazione ritengono che il termine “lasciare” utilizzato negli artt. 537, 538 e 542 c.c. non possa essere considerato sintomatico di una cristallizzazione delle quote al momento dell’apertura della successione.
Inoltre, aggiungono che per l’operare dell’art. 538 c.c., che riguarda la riserva destinata agli ascendenti nel caso in cui non vi siano dei figli, non conta soltanto la mancanza dei figli fin dall’apertura della successione, ma anche la loro venuta meno per rinunzia all’eredità.
In terzo luogo, affermano che la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite del 2006 non possa essere estesa anche al caso della rinunzia all’eredità, perché quest’ultima si differenzia dalla rinunzia all’azione di riduzione per diversi fattori.
Infatti, la rinunzia all’eredità comporta la perdita del diritto di accettare, mentre la rinunzia all’azione di riduzione ha come conseguenza soltanto la perdita della tutela giurisdizionale per la lesione della quota di legittima.
Di conseguenza, il legittimario che rinunzia all’azione di riduzione non perde la qualità di erede. La stessa conclusione vale anche per il legittimario completamente pretermesso. Infatti, quest’ultimo potrebbe divenire erede anche successivamente e la suddetta rinunzia non vale come rinunzia all’eredità.
Infine, i sostenitori di detta teoria ritengono che una conferma della tesi della rideterminazione delle quote di legittima sia rinvenibile nell’art. 552 c.c.39. Quest’ultimo prevede che nel caso in cui un erede rinunzi all’eredità ha la possibilità di ritenere quanto ricevuto per donazione oppure conseguire i legati compiuti in conto di legittima. Aggiunge, inoltre, che in caso di necessità di reintegrazione della legittima quanto ritenuto è oggetto di riduzione in via prioritaria rispetto alle assegnazioni compiute dal testatore sulla disponibile, che non sarebbero state intaccate, laddove il soggetto rinunziante avesse accettato l’eredità.
Secondo i sostenitori della teoria della rideterminazione, se avvenisse realmente una cristallizzazione delle quote al momento dell’apertura della successione e quanto rinunziato fosse da considerare parte della disponibile, allora detta norma non avrebbe senso. Infatti, quanto ritenuto dal rinunziante dovrebbe gravare sulla disponibile, vale a dire sulla quota del patrimonio di cui il de cuius poteva disporre.
È necessario precisare che i sostenitori della teoria della rideterminazione delle quote si dividono in riferimento alla modalità di realizzazione di detta rideterminazione.
Parte di essi sostiene che avvenga un accrescimento delle quote dei legittimari. In questo modo ritiene applicabile l’art. 522 c.c. alla successione necessaria.
Altra parte di essi, invece, afferma che si tratti di un’espansione della quota degli altri legittimari, che avviene come conseguenza della retroattività della rinunzia all’eredità.
6. La dichiarazione d’indegnità di un legittimario
L’indegnità è l’istituto giuridico in base al quale in determinati casi tassativi previsti dalla legge un soggetto è escluso dalla successione. È discussa la natura giuridica40.
Parte minoritaria della dottrina sostiene che si tratti di un’incapacità relativa a succedere.
In particolare, ritiene che la causa d’indegnità agisca automaticamente e che la sentenza dichiarante tale stato ha una natura meramente dichiarativa. Di conseguenza, la causa d’indegnità impedisce che il soggetto sia un chiamato all’eredità.
La dottrina prevalente e la giurisprudenza, invece, affermano che l’indegnità comporti un’esclusione ex post dalla successione.
Secondo questa impostazione, la sentenza dichiarante l’indegnità ha valore costitutivo e non meramente dichiarativo. Infatti, l’indegnità non impedisce che il soggetto sia chiamato all’eredità e possa anche accettarla.
Di conseguenza, fino a che non interviene la sentenza dichiarante l’indegnità detto soggetto sarà legittimamente chiamato all’eredità oppure erede, se ha già compiuto l’accettazione. La dichiarazione d’indegnità avrà un’efficacia retroattiva.
I sostenitori della suddetta teoria si basano, innanzitutto, sul tenore letterale dell’art. 463 c.c.41, che prevede espressamente che l’indegno è “escluso dalla successione”.
Inoltre, sottolineano che l’indegnità non può essere equiparata ad un’incapacità relativa a succedere per una serie di motivi.
In primo luogo, la disciplina dell’indegnità è inserita in un capo del Codice civile separato rispetto alla capacità a succedere.
Inoltre, l’incapacità a succedere riguarda la successione di qualsiasi defunto, mentre l’indegnità solo la successione di un determinato soggetto.
Infine, per l’indegnità è possibile che il soggetto della cui successione si tratta decida di compiere la riabilitazione dell’indegno, ai sensi dell’art. 466 c.c.42, mentre nell’ipotesi d’incapacità a succedere tale possibilità non è prevista.
In riferimento al tema oggetto del presente contributo, è sostenuto in dottrina43 che anche nel caso di dichiarazione d’indegnità da parte di un legittimario avvenga una rideterminazione delle quote di legittima.
È necessario precisare che chi afferma questo sostiene in riferimento all’indegnità la natura di esclusione ex post dalla successione e con riguardo alla rinunzia all’eredità la tesi della rideterminazione delle quote di legittima. Infatti, per coloro che appoggiano la teoria dell’incapacità a succedere in riferimento all’indegnità il problema non si pone, dato che il legittimario non può neppure essere chiamato all’eredità.
In particolare, la rideterminazione delle quote di legittima avverrebbe perché si ritiene che la dichiarazione d’indegnità sia equiparabile alla rinunzia all’eredità dal punto di vista degli effetti.
Infatti, anche in essa è presente l’esclusione del soggetto con privazione del titolo successorio in maniera definitiva, salvo che il soggetto della cui successione si tratta non decida di compiere la riabilitazione.
Di conseguenza, il legittimario dichiarato indegno non è più considerato tra i legittimari. Inoltre, la sua quota non accresce la parte di patrimonio disponibile, ma le quote degli altri legittimari.
7. Conclusioni
Alla luce di quanto esposto è possibile concludere che l’analisi della sentenza della Corte di Appello di Catania ha consentito di riportare l’attenzione su una delle questioni più dibattute in ambito successorio. Si tratta dell’influenza di determinate vicende riguardanti un legittimario sul calcolo della quota di legittima.
I giudici in detta sentenza si sono soffermati soltanto su un aspetto di detta problematica, vale a dire la rinunzia all’azione di riduzione.
In particolare, si sono limitati a richiamare ed appoggiare la teoria della cristallizzazione delle quote affermata dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 2006.
Ma l’analisi di detta sentenza ha consentito di spingersi al di là di ciò che è stato oggetto di decisione, per affrontare le problematiche derivanti dal sistema della quota mobile, caratterizzante la successione necessaria ed il calcolo della quota di legittima.
Infatti, al fine di permettere di avere una visione più completa delle suddette problematiche il presente contributo ha allargato l’analisi anche agli ambiti della rinunzia dell’eredità da parte di un legittimario e della dichiarazione d’indegnità diretta verso quest’ultimo.
Quindi, è stato possibile evidenziare che nell’ambito della rinunzia all’azione di riduzione il dibattito appare essere sopito dall’intervento delle Sezioni Unite. La stessa cosa, invece, non è raggiungibile per il caso della rinunzia all’eredità.
Note:
1. L’art. 537, comma 2 c.c. recita: “Se i figli sono più, è loro riservata la quota dei due terzi, da dividersi in parti uguali tra tutti i figli”.
2. L’art. 542, comma 2 c.c. prescrive: “Quando i figli sono più di uno, ad essi è complessivamente riservata la metà del patrimonio e al coniuge spetta un quarto del patrimonio del defunto. La divisione fra tutti i figli è effettuata in parti uguali”.
3. Corte d’Appello di Catania, Sez. II, 28/2/2020, n. 518: “ …le parti censurano la sentenza perché, dopo aver preso atto della rinuncia alla quota di riserva da parte del coniuge del de cuius, doveva applicarsi la disposizione di cui all’art. 537, secondo comma, c.c., riservando, quindi, ai figli la quota di due terzi dell’intero asse.
Questo motivo appare infondato.
Infatti, la S.C. con la sentenza a sezioni unite n. 13429/2006 statuisce che “ Ai fini dell’individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari ed ai singoli legittimari nell’ambito della medesima categoria, occorre far riferimento alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione e non a quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento, per rinunzia o prescrizione, dell’azione di riduzione da parte di taluno dei legittimari”. Indi, giustamente il primo giudice fa riferimento all’art. 542, 2 co., c.c.”.
4. L’art. 587 c.c. prevede: “Il testamento è un atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse.
Le disposizioni di carattere non patrimoniale, che la legge consente siano contenute in un testamento, hanno efficacia, se contenute in un atto che ha la forma del testamento, anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale”.
5. Per una disanima sulle teorie riguardanti la natura giuridica del testamento: L. Genghini, C. Carbone, “Le successioni a causa di morte”, Tomo II, I ed., in “Manuali notarili” a cura di L. Genghini, Vol. IV, Cedam, 2012, pp. 857 – 868; G. Capozzi, “Successioni e donazioni”, Tomo I, IV ed., Giuffré Editore, 2015, pp. 720 – 727.
6. L’art. 536 c.c. prescrive: “Le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti nella successione sono: il coniuge, i figli, gli ascendenti.
Ai figli sono equiparati gli adottivi.
A favore dei discendenti dei figli, i quali vengono alla successione in luogo di questi, la legge riserva gli stessi diritti che sono riservati ai figli”.
7. L’art. 467 c.c. prevede: “La rappresentazione fa subentrare i discendenti nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questi non può o non vuole accettare l’eredità o il legato.
Si ha rappresentazione nella successione testamentaria quando il testatore non ha provveduto per il caso in cui l’istituito non possa o non voglia accettare l’eredità o il legato, e sempre che non si tratti di legato di usufrutto o di altro diritto di natura personale”.
8. L’art. 549 c.c. recita: “Il testatore non può imporre pesi o condizioni sulla quota spettante ai legittimari, salva l’applicazione delle norme contenute nel titolo IV di questo libro”.
9. L’art. 537, comma 1 c.c. prescrive: “Salvo quanto disposto dall’art. 542, se il genitore lascia un figlio solo, a questi è riservata la metà del patrimonio”.
Per il tenore letterale del comma 2 v. nota 1.
10. L’art. 538 c.c. prevede: “Se chi muore non lascia figli, ma ascendenti, a favore di questi è riservato un terzo del patrimonio, salvo quanto disposto dall’art. 544.
In caso di pluralità di ascendenti, la riserva è ripartita tra i medesimi secondo i criteri previsti dall’art. 569.”
11. L’art. 540, comma 1 c.c. prescrive: “A favore del coniuge è riservata la metà del patrimonio dell’altro coniuge, salvo le disposizioni dell’art. 542 per il caso di concorso con i figli”.
12. L’art. 542, comma 1 c.c. prevede: “Se chi muore lascia, oltre al coniuge, un solo figlio, a quest’ultimo è riservato un terzo del patrimonio ed un altro terzo spetta al coniuge”.
Per il tenore letterale del comma 2 v. nota 2.
13. L’art. 544 c.c. prescrive: “Quando chi muore non lascia figli, ma ascendenti e il coniuge, a quest’ultimo è riservata la metà del patrimonio, ed agli ascendenti un quarto.
In caso di pluralità di ascendenti, la quota di riserva ad essi attribuita ai sensi del precedente comma è ripartita tra i medesimi secondo i criteri previsti dall’art. 569 c.c.”.
14. L’art. 2946 c.c. prevede: “Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni”.
15. L’art. 555, comma 2 c.c. prescrive: “Le donazioni non si riducono se non dopo esaurito il valore dei beni di cui è stato disposto per testamento”.
16. Cass., Sez. Unite, 25/10/2004, n. 20.644: “Nel caso in cui la lesione derivi da donazioni, infatti, è indubbio che tale termine decorre dalla data di apertura della successione, non essendo sufficiente il relictum a garantire al legittimario il soddisfacimento della quota di riserva.
…Il termine di prescrizione dell'azione di riduzione decorre dalla data di accettazione dell'eredità da parte del chiamato in base a disposizioni testamentarie lesive della legittima".
17. L’art. 481 c.c. prescrive: “Chiunque vi ha interesse può chiedere che l’autorità giudiziaria fissi un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia all’eredità. Trascorso questo termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare”.
18. Per un approfondimento in riferimento alle richiamate teorie: G. Capozzi, “Successioni e donazioni”, Tomo I, IV ed., Giuffré Editore, 2015, pp. 552 – 556.
19. Cass. Sez. Unite, 25/10/2004, n. 20.644: “Nessuna norma prevede che il termine (incontestabilmente quello decennale di cui all'art. 2946 cod. civ.) per esperire l'azione di riduzione decorra dalla data di apertura della successione.
… Con la sola apertura della successione, infatti, non si è ancora realizzata la lesione di legittima e quindi mancano le condizioni di diritto perché possa iniziare a decorrere il termine per l'esperimento del rimedio predisposto dal legislatore per porre riparo a tale lesione”.
20. Cass. Sez. Unite, 25/10/2004, n. 20.644: “Per quanto riguarda il testamento pubblico, infatti, la comunicazione agli eredi e legatari da parte del notaio che l'ha ricevuto, prevista dall'art. 623 cod. civ., potrebbe in astratto valere come presunzione di conoscenza (salvo individuare le concrete conseguenze sul piano giuridico) per i destinatari di tale comunicazione, ma non per il legittimario leso in base a tale testamento.
Per quanto riguarda specificamente il testamento olografo, ricollegando l'inizio della prescrizione dell'azione di riduzione alla pubblicazione dello stesso, a prescindere dal fatto che anche in tal caso non viene chiarito quale sarebbe il fondamento logico di una presunzione di conoscenza da parte dei legittimari, non si tiene conto che: a) tale pubblicazione può anche mancare (cfr. la sentenza di questa S.C. 24 febbraio 2004 n. 3636); b) tale pubblicazione deve essere richiesta da chi è nel possesso del testamento, che potrebbe essere - ed anzi spesso è - persona diversa dal chiamato all'eredità in base ad esso e quindi da essa non è desumibile una accettazione dell'eredità da parte del chiamato; c) alla richiesta di pubblicazione del testamento olografo, anche ove dovesse provenire dal chiamato in base ad esso, non è necessariamente ricollegabile una accettazione dell'eredità, potendo essere fatta esclusivamente in adempimento dell'obbligo di cui all'art. 620, primo comma, cod. civ..
Alla pubblicazione del testamento può essere ricollegata, ai sensi dell'art. 475 cod. civ., l'accettazione dell'eredità (e, correlativamente, la decorrenza del termine di prescrizione per l'esperimento dell'azione di riduzione) solo ove il chiamato assuma espressamente nel relativo verbale la qualità di erede.
Va, poi, aggiunto che la pubblicazione serve a dare legale esecuzione al testamento olografo, ma nulla esclude che il chiamato in base ad esso abbia compiuto in precedenza atti idonei a comportare l'accettazione dell'eredità e quindi la decorrenza del termine di prescrizione dell'azione di riduzione”.
21. L’art. 557, comma 2 c.c. prevede: “Essi non possono rinunziare a questo diritto, finché vive il donante, né con dichiarazione espressa, né prestando il loro assenso alla donazione”.
22. Per una disamina delle caratteristiche della rinunzia all’azione di riduzione: L. Genghini, C. Carbone, “Le successioni a causa di morte”, Tomo I, I ed., in “Manuali notarili” a cura di L. Genghini, Vol. IV, Cedam, 2012, p. 778; G. Capozzi, “Successioni e donazioni”, Tomo I, IV ed., Giuffré Editore, 2015, pp. 556 – 557.
23. Cass. Civ., Sez. II, 9/3/1987, n. 2434: “…invero occorrerebbe far riferimento - per determinare quale sia la quota riservata e quale la disponibile - a coloro a cui l'eredità è effettivamente lasciata”.
Cass. Civ., Sez. II, 11/2/1995, n. 1529: “…è evidente che, ai fini della determinazione della quota di riserva spettante ai discendenti in relazione alle varie ipotesi di concorso con altri legittimari, non deve farsi riferimento alla situazione teorica al momento dell'apertura della successione ma alla situazione concreta degli eredi legittimi che effettivamente concorrono alla ripartizione dell'asse ereditario”.
24. L'art. 521 c.c. prescrive: “Chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato.
Il rinunziante può tuttavia ritenere la donazione o domandare il legato a lui fatto sino alla concorrenza della porzione disponibile, salve le disposizioni degli artt. 551 e 552”.
25. L’art. 522 c.c. prevede: “Nelle successioni legittime la parte di colui che rinunzia si accresce a coloro che avrebbero concorso col rinunziante, salvo il diritto di rappresentazione e salvo il disposto dell’ultimo comma dell’art. 571. Se il rinunziante è solo, l’eredità si devolve a coloro ai quali spetterebbe nel caso che egli mancasse”.
26. L’art. 571, ultimo comma c.c. prescrive: “Se entrambi i genitori non possono o non vogliono venire alla successione e vi sono ulteriori ascendenti, a questi ultimi si devolve, nel modo determinato dall’art. 569, la quota che sarebbe spettata a uno dei genitori in mancanza dell’altro”.
27. Cass. Civ., Sez. Unite, 9/6/2006, n. 13.429: “Alla luce delle considerazioni svolte si può, pertanto, concludere che ai fini della individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari e ai singoli legittimari nell'ambito della stessa categoria occorre fare riferimento alla situazione esistente al momento dell'apertura della successione e non a quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento (per rinunzia o prescrizione) dell'azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari”.
28. Cass. Civ., Sez. Unite, 9/6/2006, n. 13.429: “Nella successione legittima il c.d. effetto retroattivo della rinuncia di uno dei chiamati e il conseguente accrescimento in favore degli accettanti trovano una spiegazione logica nel fatto che, diversamente, non si saprebbe quale dovrebbe essere la sorte della quota del rinunciante.
La situazione è ben diversa con riferimento alla c.d. successione necessaria.
Il legislatore, infatti, si è preoccupato di far sì che ad ognuno del legittimari considerati venga garantita una porzione del patrimonio del de cuius anche contro la volontà di quest'ultimo.
Mancando una chiamata congiunta ad una quota globalmente considerata con riferimento alla ipotesi di pluralità di riservatari (ed anzi essendo proprio la mancanza di chiamata ereditaria il fondamento della successione necessaria), da un lato, viene a cadere il presupposto logico di un teorico accrescimento, e, dall'altro, non esistono incertezze in ordine alla sorte della quota (in teoria) spettante al legittimario che non eserciti l'azione di riduzione: i donatari o gli eredi o i legatari, infatti, conservano una porzione dei beni del de cuius maggiore di quella di cui quest'ultimo avrebbe potuto disporre”.
29. Cass. Civ., Sez. Unite, 9/6/2006, n. 13.429: “Dalla formulazione degli artt. 537 cod. civ., comma 1 ("se il genitore lascia"), art. 538 cod. civ., comma 1 ("se chi muore non lascia"), art. 542 cod. civ., comma 1 ("se chi muore lascia"), art. 542 cod. civ., comma 2 ("quando chi muore lascia"), risulta chiaramente che si deve fare riferimento, ai fini del calcolo della porzione di riserva, alla situazione esistente al momento dell'apertura della successione; non viene preso, invece, in considerazione, a tal fine, l'esperimento dell'azione di riduzione da parte di alcuno soltanto dei legittimari”.
30. Cass. Civ., Sez. Unite, 9/6/2006, n. 13.429: “…in contrasto con la ratio ispiratrice della successione necessaria, che non è solo quella di garantire a determinati parenti una porzione del patrimonio del de cuius, ma anche (come rovescio della medaglia) quella di consentire a quest'ultimo di sapere entro quali limiti, in considerazione della composizione della propria famiglia, può disporre del suo patrimonio in favore di terzi.
E' evidente che l'esigenza di certezza in questione non verrebbe soddisfatta ove tale quota dovesse essere determinata, successivamente all'apertura della successione, in funzione del numero di legittimari che dovessero esperire l'azione di riduzione”.
31. Cass. Civ., Sez. Unite, 9/6/2006, n. 13.429: “Occorre, a tal fine, partire dalla considerazione che l'esercizio dell'azione di riduzione è soggetto all'ordinario termine di prescrizione decennale e che non è prevista una actio interrogatoria, al contrario di quanto avviene con riferimento all'accettazione dell'eredità (art. 481 cod. civ.).
Ne consegue che all'apertura della successione ogni legittimario può esperire l'azione di riduzione solo con riferimento alla porzione del patrimonio del de cuius che gli spetterebbe in base alla situazione familiare di quest'ultimo a tale momento. Solo dopo la rinunzia all'esercizio dell'azione di riduzione da parte degli altri legittimari o la maturazione della prescrizione in danno degli stessi potrebbe agire per ottenere un supplemento di legittima, con evidente incertezza medio tempore in ordine alla sorte di una quota dei beni di cui il de cuius ha disposto per donazione o per testamento a favore di terzi”.
32. L’art. 519, comma 1 c.c. prevede: “La rinunzia all’eredità deve farsi con dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, e inserita nel registro delle successioni”.
33. L’art. 480 c.c. prevede: “Il diritto di accettare l’eredità si prescrive in dieci anni.
Il termine decorre dal giorno dell’apertura della successione e, in caso d’istituzione condizionale, dal giorno in cui si verifica la condizione. In caso di accertamento giudiziale della filiazione il termine decorre dal passaggio in giudicato della sentenza che accerta la filiazione stessa.
Il termine non corre per i chiamati ulteriori, se vi è stata accettazione da parte di precedenti chiamati e successivamente il loro acquisto ereditario è venuto meno”.
34. L’art. 525 c.c. prescrive: “Fino a che il diritto di accettare l’eredità non è prescritto contro i chiamati che vi hanno rinunziato, questi possono sempre accettarla, se non è già stata acquistata da altro dei chiamati, senza pregiudizio delle ragioni acquistate da terzi sopra i beni dell’eredità”.
35. Per una ricostruzione della disciplina della rinunzia all’eredità: L. Genghini, C. Carbone, “Le successioni a causa di morte”, Tomo I, I ed., in “Manuali notarili” a cura di L. Genghini, Vol. IV, Cedam, 2012, pp. 347 – 382; G. Capozzi, “Successioni e donazioni”, Tomo I, IV ed., Giuffré Editore, 2015, pp. 311 – 335.
36. Per una disamina della questione: L. Genghini, C. Carbone, “Le successioni a causa di morte”, Tomo I, I ed., in “Manuali notarili” a cura di L. Genghini, Vol. IV, Cedam, 2012, pp. 524 – 541; G. Capozzi, “Successioni e donazioni”, Tomo I, IV ed., Giuffré Editore, 2015, pp. 429 – 435.
37. Per tutti: C.M. Bianca, “Invariabilità della quote di legittima: il nuovo corso della Cassazione e suoi riflessi in tema di donazioni e legati di legittima”, in Rivista Diritto Civile, n. 2/2008, pp. 211 – 221.
38. Per tutti: L. Genghini, C. Carbone, “Le successioni a causa di morte”, Tomo I, I ed., in “Manuali notarili” a cura di L. Genghini, Vol. IV, Cedam, 2012, pp. 533 – 541
39. L’art. 552 c.c. prevede: “Il legittimario che rinunzia all’eredità, quando non si ha rappresentazione, può sulla disponibile ritenere le donazioni o conseguire i legati a lui fatti; ma quando non vi è stata espressa dispensa dall’imputazione, se per integrare la legittima spettante agli eredi è necessario ridurre le disposizioni testamentarie o le donazioni, restano salve le assegnazioni, fatte dal testatore sulla disponibile, che non sarebbero soggette a riduzione se il legittimario accettasse l’eredità, e si riducono le donazioni e i legati fatti a quest’ultimo”.
40. Per una disamina della problematica e delle teorie al riguardo: L. Genghini, C. Carbone, “Le successioni a causa di morte”, Tomo I, I ed., in “Manuali notarili” a cura di L. Genghini, Vol. IV, Cedam, 2012, pp. 416 – 419; G. Capozzi, “Successioni e donazioni”, Tomo I, IV ed., Giuffré Editore, 2015, pp. 178 – 180.
41. L’art. 463 c.c. prescrive: “È escluso dalla successione come indegno:
1) chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere la persona della cui successione si tratta, o il coniuge, o un discendente, o un ascendente della medesima, purché non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità a norma della legge penale;
2) chi ha commesso, in danno di una di tali persone, un fatto al quale la legge dichiara applicabili le disposizioni sull'omicidio;
3) chi ha denunziato una di tali persone per reato punibile con l'ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni, se la denunzia è stata dichiarata calunniosa in giudizio penale; ovvero ha testimoniato contro le persone medesime imputate dei predetti reati, se la testimonianza è stata dichiarata, nei confronti di lui, falsa in giudizio penale;
3 bis) chi, essendo decaduto dalla responsabilità genitoriale nei confronti della persona della cui successione si tratta a norma dell'art. 330, non è stato reintegrato nella responsabilità genitoriale alla data di apertura della successione medesima;
4) chi ha indotto con dolo o violenza la persona, della cui successione si tratta, a fare, revocare o mutare il testamento, o ne l'ha impedita;
5) chi ha soppresso, celato, o alterato il testamento dal quale la successione sarebbe stata regolata;
6) chi ha formato un testamento falso o ne ha fatto scientemente uso”.
42. L’art. 466 c.c. prevede: “Chi è incorso nell’indegnità è ammesso a succedere quando la persona, della cui successione si tratta, ve lo ha espressamente abilitato con atto pubblico o con testamento.
Tuttavia, l’indegno non espressamente abilitato, se è stato contemplato nel testamento quando il testatore conosceva la causa dell’indegnità, è ammesso a succedere nei limiti della disposizione testamentaria”.
43. L. Genghini, C. Carbone, “Le successioni a causa di morte”, Tomo I, I ed., in “Manuali notarili” a cura di L. Genghini, Vol. IV, Cedam, 2012, pp. 540 – 541.
Bibliografia:
Giurisprudenza:
Cass. Civ., Sez. II, 9/3/1987, n. 2434;
Cass. Civ., Sez. II, 11/2/1995, n. 1529;
Cass., Sez. Unite, 25/10/2004, n. 20.644;
Cass. Civ., Sez. Unite, 9/6/2006, n. 13429;
Corte d’Appello di Catania, Sez. II, 28/2/2020, n. 518;
Tribunale di Caltagirone, 23/4/2016, n. 148.
Dottrina:
C.M. Bianca, “Invariabilità della quote di legittima: il nuovo corso della Cassazione e suoi riflessi in tema di donazioni e legati di legittima”, in Rivista Diritto Civile, n. 2/2008;
G. Capozzi, “Successioni e donazioni”, Tomo I, IV ed., Giuffré Editore, 2015;
L. Genghini, C. Carbone, “Le successioni a causa di morte”, Tomo I, I ed., in “Manuali notarili” a cura di L. Genghini, Vol. IV, Cedam, 2012;
L. Genghini, C. Carbone, “Le successioni a causa di morte”, Tomo II, I ed., in “Manuali notarili” a cura di L. Genghini, Vol. IV, Cedam, 2012.
Normativa:
Art. 463 c.c.;
Art. 466 c.c.;
Art. 467 c.c.;
Art. 480 c.c.;
Art. 481 c.c.;
Art. 519, comma 1 c.c.;
Art. 521 c.c.;
Art. 522 c.c.;
Art. 525 c.c.;
Art. 536 c.c.;
Art. 537 c.c.;
Art. 538 c.c.;
Art. 549 c.c.;
Art. 540, comma 1 c.c.;
Art. 542 c.c.;
Art. 544 c.c.;
Art. 552 c.c.;
Art. 555, comma 2 c.c.;
Art. 557, comma 2 c.c.;
Art. 571, ultimo comma c.c.;
Art. 587 c.c.;
Art. 2946 c.c..