• . - Liv.
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Lun, 18 Mag 2020

Si all´affittacamere in condominio se ad essere vietate sono solo locande o pensioni

Modifica pagina

Immacolata Borriello



La sentenza del Tribunale di Milano n. 1947 del 22 febbraio 2018 dispone che, nel limitare l’utilizzo delle unità condominiali così come previsto dalle clausole contrattuali contenute nel regolamento condominiale, sia necessario tener conto della natura dell’attività di affittacamere la quale presuppone, oltre alla concessione in uso di un locale ammobiliato provvisto delle necessarie forniture, anche la prestazione di ulteriori servizi quali la pulizia dei locali e la fornitura della biancheria. Tali elementi differenziano l’affittacamere dall’attività di pensione o locanda – che presuppone anche la fornitura di un vitto - e dal contratto di locazione.


Sommario: 1. Il caso giudiziario; 2. Le questioni giuridiche sottese al caso in esame; 3. Le motivazioni del Tribunale; 4. Considerazioni finali.

1. Il caso giudiziario

La vicenda trae origine dalla citazione in giudizio, da parte del condominio, di una condomina, che aveva ceduto in locazione ad uso abitativo il proprio appartamento ad una società con l’espressa facoltà di sublocare l’immobile.

La società, a sua volta, realizzava un’attività di affittacamere (a studenti), ponendo in essere quindi - a parere di parte attorea - un’attività imprenditoriale vietata dal regolamento condominiale.

Di conseguenza, il condominio chiedeva l’immediata cessazione dell’attività, ritenuta pregiudizievole.

Si costituiva in giudizio la società convenuta contestando, in via preliminare, la propria legittimazione passiva, per non essere parte di tali contratti, ed eccependo il difetto di contraddittorio, non essendo stati chiamati in causa i subconduttori. Essa, inoltre, negava di svolgere attività di affittacamere ed assumeva di avere stipulato dei contratti di sublocazione parziale aventi ad oggetto singole stanze dell'appartamento condotto in locazione.

2.  Le questioni giuridiche sottese al caso in esame

La ricostruzione delle motivazioni in diritto, così come formulata dal giudice di prime cure, necessita di una fondamentale premessa che chiarisca la differenza tra le figure in esame: quella tra contatto di locazione e quella di affittacamere.

Partendo dalla definizione di cui all’art. 1571 c.c., la locazione è un contratto in cui una parte (il locatore) si obbliga a far godere all'altra (conduttore) un immobile, in cambio di un determinato corrispettivo e per un certo periodo di tempo; al termine dello stesso, il bene deve essere restituito nel medesimo stato iniziale.

Il contratto, di tipo consensuale e ad effetti obbligatori, si qualifica come a prestazioni corrispettive  - godimento del bene in cambio del corrispettivo in denaro - e ad esecuzione continuata, in quanto gli effetti perdurano nel tempo. Con esso viene attribuito un diritto di credito – in quanto si conferisce la detenzione del bene e non il possesso – pur con alcune peculiarità rispetto agli altri diritti dello stesso tipo. La funzione è quella di consentire ad un soggetto, il conduttore, l’utilizzazione di una cosa altrui. Dal suo canto, il locatore, ne ricava una utilità economica (il canone).

L’oggetto del contratto può essere qualunque bene, mobile o immobile. Tuttavia, la regolamentazione varia in relazione al tipo di bene: esistono diversi sottotipi di locazione, la cui disciplina muta profondamente nelle singole leggi speciali.

In particolare, il contratto di locazione di un bene immobile urbano ha diversa disciplina a seconda dell’uso: abitativo o commerciale.

Nel primo caso, la disciplina prevista dal Capo VI del Codice Civile (Titolo III dei singoli contratti, Libro Quarto delle obbligazioni) è da integrare con le specifiche disposizioni previste dalla L. 431/1998 ss. mm. ii. e dalla L. n. 392/1978 (legge sull’equo canone). Le locazioni abitative hanno ad oggetto immobili destinati a ordinarie e continuative esigenze di abitazione; sono invece parzialmente escluse dalla disciplina le esigenze abitative transitorie, alloggi di edilizia pubblica e case di particolare prestigio.

Le locazioni ad uso commerciale si differenziano da quelle ad uso abitativo in quanto postulano la concessione del godimento di beni destinati ad attività economiche, sia relative al lavoro autonomo che a quello imprenditoriale. Trovano la propria disciplina negli artt. 7-11 (richiamati dall’art. 41) e negli 27-42 della legge 392/1978. Più in particolare, l’immobile locato deve essere adibito a: attività industriali, commerciali e artigianali, purché non si tratti di attività agricole; attività di interesse turistico (comprese quelle di cui all'art. 2, legge 326/1968); ad esercizio abituale e professionale di qualsiasi attività di lavoro autonomo.

Tale distinzione è importante al fine di comprendere le motivazioni fornite dal giudice di prime cure.

Inoltre, risulta necessario definire cosa si intenda per “affittacamere”: è essenziale combinare le disposizioni di cui alla L. 1111/1939, con il Testo Unico di Pubblica sicurezza, oltre che con l’art. 11 della L.79/2011 (che abroga la previgente legislazione). Più in particolare, “gli esercizi di affittacamere sono strutture ricettive composte da camere ubicate in più appartamenti ammobiliati nello stesso stabile, nei quali sono forniti alloggio ed eventualmente servizi complementari.”

Tale attività è svolta da imprenditori che si avvalgono di personale e collaboratori, possono essere offerte fino a sei camere e dodici posti letto, in massimo due appartamenti ammobiliati nello stesso stabile. Inoltre, viene offerto servizio di alloggio, oltre ad una serie di servizi aggiuntivi.

In ogni caso, l’attività di affittacamere (così come quella di B&B) non comporta un mutamento della destinazione d’uso dell’immobile quale “civile abitazione” e può aversi anche qualora gli immobili siano situati in un condominio (Cass. civ., sent. 20 novembre 2014, n. 24707).

Tale attività può anche comportare la somministrazione di alimenti e bevande, purché il servizio venga offerto dallo stesso titolare in una sola struttura immobiliare e al servizio esclusivo di coloro che sono ospitati. In ogni caso, l’attività di “affittacamere” non deve essere confusa con quella di “bed and breakfast”, in cui l'alloggio deve avere massimo da tre a sei camere debitamente arredate per un massimo di sei/venti posti letto.

In sintesi, l’affittacamere è l’esercizio continuo e professionale di un’attività ricettiva extra-alberghiera, costituendo attività economica organizzata al fine dello scambio di beni e servizi.

Da tale tipo di attività si distinguono le locande - strutture ricettive alberghiere che forniscono alloggio ai clienti in non più di sei e non meno di tre unità abitative costituite da camere, anche dotate di eventuali locali accessori con annesso esercizio di ristorazione svolto da uno stesso titolare - e le pensioni - alberghi contrassegnati da 3, 2 ed 1 stella, che, forniscono alloggio e servizio di ristorante alle sole persone alloggiate. In entrambi i casi, le attività forniscono un vitto ai propri clienti, elemento distintivo dall’attività di affittacamere, che comporta esclusivamente la fornitura di servizi accessori.

3. Le motivazioni del Tribunale

Il Giudice di prime cure dapprima esamina le eccezioni preliminari sollevate dalla società convenuta, ritenendole infondate.

Viene ritenuta sussistente, infatti, la legittimazione passiva della convenuta relativamente alla domanda diretta all'accertamento della violazione del regolamento condominiale e di condanna alla cessazione di tale uso, in quanto sia il proprietario che il conduttore di un immobile ubicato all'interno di un condominio sono obbligati al rispetto del regolamento condominiale e sono responsabili di fronte alla collettività condominiale delle violazioni del regolamento.

Nel merito, al fine di dirimere il caso, il giudice di prime cure riprende un principio ormai consolidato in giurisprudenza, secondo il quale “L'attività di affittacamere, pur differenziandosi da quella alberghiera per le sue modeste dimensioni, richiede non solo la cessione del godimento di locale ammobiliato e provvisto delle necessarie somministrazioni (luce, acqua, ecc.), ma anche la prestazione di servizi personali, quali il riassetto del locale stesso e la fornitura della biancheria da letto e da bagno. In difetto della prestazione di detti servizi, pertanto, quella cessione non può essere ricondotta nell'ambito dell'attività di affittacamere, né quindi sottratta alla disciplina della locazione ad uso abitativo.”

Nel caso di specie, il regolamento condominiale, all’art. 6. Prevedeva che "Gli alloggi sono destinati all'uso del condomino, dei suoi famigliari, del personale di servizio da esso dipendente e degli inquilini nei limiti in cui è ammessa la locazione. Èfatto divieto al condomino di tenere locande o pensioni. Non è altresì consentito nei singoli alloggi, solai e boxes ad essi pertinenti l'esercizio di industrie e di altre attività imprenditoriali, di laboratorio, di officine, né il deposito di merci o materiali vari da esitarsi all'ingrosso o al minuto...".

I vari contratti, così come redatti, possono essere ritenuti contratti di locazione ad uso abitativo o devono essere qualificati come contratti di affittacamere rientranti, in quanto tali, nella disciplina delle attività imprenditoriali?

La società convenuta aveva stipulato dei contratti di sublocazione; nel corso del giudizio i vari subconduttori testimoniavano che il canone di locazione comprendeva l’uso della propria stanza e delle parti comuni dell'appartamento oltre alle spese relative alle utenze e al servizio WIFI; veniva invece escluso che fossero forniti servizi ulteriori (quali la pulizia della stanza o la fornitura ed il cambio della biancheria).

Inoltre, i contratti in esame qualificavano espressamente i rapporti come "sublocazione parziale ad uso abitativo (art. 2 comma 1 L. n. 431 del 1998)” e la durata degli stessi (di mesi, o anche qualche anno) risultavano incompatibili con il concetto di affittacamere.

È essenziale evidenziare, anche in questa sede, che l’attività di affittacamere non comporta alcuna mutazione della destinazione d’uso, rientrando in ogni caso nella “locazione ad uso abitativo”.

Il giudice di prime cure chiarisce, inoltre, come “il criterio distintivo tra la locazione di alloggi e l'esercizio dell'industria di affittacamere è costituito dal fatto che, mentre il secondo rapporto è accompagnato dalla prestazione di servizi personali (che del rapporto stesso sono accessorio e complemento imprescindibile), nella locazione, invece, la persona del locatore rimane del tutto estranea alla vita dell'ospitato ed ogni relazione tra i contraenti si esaurisce nella conclusione del negozio giuridico, senza che vi sia posto per rapporti di fatto, riconducibili alla nozione di ospitalità.”

E da tenere in conto, inoltre che il citato art. 6 del Regolamento condominiale vietava esclusivamente locande e pensioni.

Il criterio distintivo tra le fattispecie è quello della fornitura di vitto, necessario per qualificare la fattispecie vietata distinguendola da quella di non espressamente esclusa.

Né, tantomeno, può applicarsi una interpretazione estensiva delle disposizioni: infatti, i divieti contenuti nel regolamento condominiale, trattandosi di limitazioni alle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva di un immobile devono essere espressamente indicati.

La sentenza chiarisce infatti che, vertendo in materia di limiti a facoltà normalmente inerenti al diritto di proprietà, tali limiti devono essere chiari e non possono dar luogo ad alcuna incertezza.

In particolare, il Tribunale esclude che l'immobile di sia stato utilizzato per un'attività imprenditoriale, non essendo rilevante la natura giuridica della società, che svolge la propria attività presso la propria sede, ma l’uso delle unità immobiliari che, così come dimostrato, rientrano pienamente nel contratto di sublocazione ad uso abitativo.

Per tali motivi, il Tribunale ha respinto le domande formulate da parte attorea, con condanna al pagamento delle spese di giudizio.

4. Considerazioni finali

La sentenza oggetto della presente trattazione ha avuto modo di chiarire i dubbi tra le differenziazioni del contratto di locazione ad uso abitativo rispetto ai contratti di affittacamere, locanda e pensione.

Ampia trattazione è stata riservata al contratto di locazione ad uso abitativo e all’affittacamere che, a differenza del primo comporta non solo particolari servizi complementari (quale servizio di cambio biancheria o pulizia, ad esempio) ma anche un diverso approccio del locatore, del tutto estraneo alla vita conduttore. Ogni relazione tra i contraenti si esaurisce, nei fatti, nella conclusione del negozio giuridico.

Diversamente, abbiamo già definito le locande come strutture ricettive alberghiere con annesso esercizio di ristorazione svolto da uno stesso titolare o gestore e le pensioni, gli alberghi contrassegnati da 3, 2 ed 1 stella, che, forniscono alloggio e servizio di ristorante alle sole persone alloggiate.

In entrambi i casi, come evidenziato dal Tribunale, le attività forniscono un vitto ai propri clienti, elemento distintivo dall’attività di affittacamere, che comporta esclusivamente la fornitura di servizi accessori.

In conclusione, non si può che aderire al ragionamento logico giuridico seguito nelle motivazioni della sentenza.

La tipologia contrattuale (sublocazione) e la durata dei contratti (in genere 4 anni più 4) risultano incompatibili con ogni genere di attività ricettiva. Inoltre, alcuno dei servizi accessori necessario a qualificare tali attività è stato fornito dalla società convenuta, così come ampiamente dimostrato in sede istruttoria.

Come se ciò non bastasse, l’attività contestata da parte attorea non era neanche esclusa dal regolamento condominiale che, d’altro canto, prevedeva espressamente due generi di attività e non ogni attività ricettiva.

È importante sottolineare, nuovamente, che e disposizioni condominiali, avendo natura contrattuale, possono prevedere delle limitazioni al diritto di proprietà; tuttavia, avendo ad oggetto un diritto assoluto le relative facoltà possono essere oggetto di compressione solo qualora i limiti siano ben chiari per tutti, formulati in modo espresso o comunque non equivoco, in modo da non lasciare alcun margine d'incertezza. 


Note e riferimenti bibliografici
  1. Paradiso, Massimo. Corso Di Istituzioni Di Diritto Privato, Giappichelli, 2018;
  2. Roppo, Vincenzo. Diritto privato, G. Giappichelli, 2016;
  3. Bocchini, Fernando, and Enrico Quadri. Diritto privato, G. Giappichelli, 2016;
  4. Gazzoni, Francesco. Manuale di Diritto Privato, Edizioni Scientifiche Italiane, 2019;
  5. Cass. civ., sent. 20 novembre 2014, n. 24707;
  6. Cass. 22665/2010.