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Pubbl. Gio, 7 Mag 2020

L´ipotesi di sconfinamento nella procedura espropriativa: analisi della materia alla luce della recente giurisprudenza

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Valerio Ceraolo Spurio
Praticante Avvocato



Il presente contributo analizza l’ipotesi di c.d. sconfinamento nella procedura espropriativa, con particolare riguardo alle azioni esperibili e relativa tutela giurisdizionale. Nello specifico, le recenti sentenze Cassazione Civile, Ord. Sez. UU. Num. 18272, 8 luglio 2019 e Consiglio di Stato, Sezione II, n. 3195, 17 maggio 2019.


ENG This paper focuses the case of the so-called encroachment into the expropriation procedure, with particular attention to the legal actions that can be carried out and relative judicial protection. Especially, the recent judgments of the Civil Cassation, Ord. Sec. U Num. 18272, 8 July 2019 and Council of State, Section II, n. 3195, 17 May 2019.

Sommario: 1. Premessa; 2. Giurisdizione in materia di occupazione espropriativa: art. 133 c.p.a. e il mero comportamento della P.A.; 3. L’ipotesi di c.d. sconfinamento: quando la P.A. agisce come un privato; 3.1. Tutela e azioni esperibili; 4. Conclusioni.

1. Premessa

Il tema della procedura espropriativa della P.A. riveste da sempre, ma ancor più negli ultimi anni, particolare interesse in ambito di studio e applicazione giuridica. In particolare, le ipotesi di occupazione illegittima dell’Amministrazione sono state oggetto di importanti interventi normativi, a cui hanno dato seguito prese di posizioni alle volte persino contrastanti tra la Corte di Cassazione e il Consiglio di Stato per ciò che attiene la giurisdizione della materia.

Il presente contributo si pone l’obiettivo di analizzare la particolare ipotesi di c.d. sconfinamento nella procedura espropriativa alla luce dei più recenti interventi giurisprudenziali, tracciandone i tratti salienti e individuando la relativa tutela giurisdizionale, partendo da un breve ma necessario inquadramento sistematico dell’istituto.

2. Giurisdizione in materia di occupazione espropriativa: art. 133 c.p.a. e il mero comportamento della P.A.

In materia di espropriazione è emersa, sempre più insistentemente, la necessità di individuare il giudice munito di giurisdizione nei casi c.d. occupazione espropriativa, nella sua doppia accezione appropriativa e usurpativa.    

L’occupazione appropriativa consiste nell’occupazione di un immobile oggetto di una procedura espropriativa regolarmente avviata a mezzo di una dichiarazione di pubblica utilità, ma nella quale l’occupazione risulta illegittima perché manca il decreto finale di esproprio.

L’occupazione usurpativa, al contrario, consiste nell’apprensione del bene da parte della P.A. per la realizzazione di un’opera pubblica in carenza di una valida ed efficace d.p.u. dell’opera. Tanto si verifica in caso di mancanza ab origine di una dichiarazione di pubblica utilità, di annullamento o di sopravvenuta inefficacia della stessa per l’inutile decorso dei termini. In sostanza, ciò che distingue l’occupazione usurpativa da quella appropriativa è l’assenza della dichiarazione di pubblica utilità, che comprova la destinazione pubblica dell’opera eseguita e l’esistenza di un interesse pubblico.[1

Le due figure di occupazione illegittima del fondo sono state accomunate dal Legislatore nell’art. 42 bis T.U.Espr., pur tuttavia non risolvendo i dubbi legati alla relativa giurisdizione.
A tal riguardo, ai sensi dell’art. 133, c. 1, lett. g) c.p.a., sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti, riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere, delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario per quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa”.

Il termine “comportamenti” ha da sempre suscitato un vivace dibattito in ordine alle ricadute sulla competenza a giudicare le condotte della P.A. nei casi di occupazione appropriativa e usurpativa. Il problema che si pone ai fini del riparto, anche alla luce degli insegnamenti della Consulta[2], è quello di verificare se e quando l’attività della Pubblica Amministrazione, che pone in essere una occupazione espropriativa, integra comportamenti che siano esercizio mediato di potere amministrativo, come tali rientranti nell’ambito di giurisdizione esclusiva del G.A., oppure sia qualificabile quale mero comportamento, la cui tutela è devoluta alla giurisdizione ordinaria.

Sulla scorta del consolidato orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione, ribadito anche di recente[3], sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per quelle controversie avente ad oggetto la restituzione di un suolo, ovvero il risarcimento del danno per la perdita della proprietà del medesimo, occupato d'urgenza, in forza di una dichiarazione di pubblica utilità e/o di indifferibilità e urgenza, ancorché illegittima perché priva dei termini iniziale e finale dei lavori, e in mancanza del completamento delle procedure di esproprio, stante il collegamento della realizzazione dell'opera fonte di danno con la dichiarazione suddetta, senza che rilevi la qualità del vizio da cui sia affetta quest'ultima, in quanto “il comportamento della P.A., cui si ascrive la lesione oggetto della domanda, è la conseguenza di un assetto di interessi conformato da un originario provvedimento ablativo, espressione di un potere amministrativo in concreto esistente, riguardante l'individuazione e la configurazione dell'opera pubblica sul territorio, cui la condotta successiva, anche se illegittima, si ricollega in senso causale”[4].

In altri termini, la giurisprudenza più recente tende ad estendere l’ambito dell’esercizio mediato di potere da parte della P.A., ampliando le ipotesi di giurisdizione esclusiva, comprendendo così sia le ipotesi di c.d. occupazione appropriativa da esproprio illegittimo e tardivo, per dichiarazione esistente ma scaduta per decorrenza del termine, sia i casi di d.p.u. senza termini, in quanto anch’essa espressione di cattivo uso del potere.
Resterebbero devolute al G.O. le ipotesi di c.d. occupazione usurpativa pura, in quanto l’occupazione costituirebbe espressione di una mera condotta illecita non connessa all’agire pubblico.[5]

3. Le ipotesi di c.d. sconfinamento: quando la P.A. agisce come un privato

In un contesto giurisprudenziale in costante divenire, una particolare ipotesi di occupazione espropriativa della P.A. ha attirato maggiormente l’interesse degli interpreti: il c.d. sconfinamento. La Suprema Corte ha avuto modo di definire il concetto di sconfinamento, prevedendo che, in tema di espropriazione per pubblica utilità, tale figura “ricorre qualora la realizzazione dell’opera pubblica abbia interessato un terreno diverso o più esteso rispetto a quello considerato dai presupposti provvedimenti amministrativi di approvazione del progetto”.[6]

Pertanto, in una tale ipotesi, la Giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che la dichiarazione di pubblica utilità, pur emessa, è riferibile ad aree diverse da quelle di fatto trasformate, sicchè l'occupazione e/o trasformazione del terreno da parte della P.A. si configura come un comportamento di mero fatto, perpetrato in carenza assoluta di potere, che integra un illecito a carattere permanente, lesivo del diritto soggettivo (cd. occupazione usurpativa), onde l'azione risarcitoria del danno che ne è conseguito rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, a nulla rilevando l'art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001, introdotto dal d.l. n. 98 del 2011, conv., con modif., dalla l. n. 111 del 2011, sulla cd. acquisizione sanante: tale norma, infatti, disciplina i presupposti per l'adozione del relativo provvedimento e la misura dell'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale conseguente alla perdita definitiva dell'immobile, risultando, quindi, ininfluente in ordine ai criteri attributivi della giurisdizione sulle domande di risarcimento da occupazione "sine titulo"[7].

La occupazione e/o trasformazione del terreno, pertanto, non può che ritenersi di mero fatto o effettuata in carenza assoluta di poteri autoritativi della P.A., configurando un comportamento illecito comune a carattere permanente, lesivo del diritto soggettivo e non diverso da quello di un privato che leda diritti dei terzi.[8]            

La condotta illecita dell’amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l’acquisizione del fondo e configura dunque un illecito permanente ex art. 2043 c.c., con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dalla proposizione della domanda basata sulla occupazione contra ius, ovvero dalle singole annualità per quella basata sul mancato godimento del bene. L’illecito permanente viene a cessare solo in conseguenza: I) della restituzione del fondo; II) di un accordo transattivo; III) della rinunzia abdicativa (e non traslativa) da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo; IV) di una compiuta usucapione; V) di un provvedimento emanato ex art. 42 bis t.u.

Conseguentemente, il proprietario interessato può agire davanti al Giudice ordinario, sia invocando la tutela restitutoria sia attraverso un'abdicazione implicita al diritto dominicale, optando per il risarcimento del danno ex art. 2043 e 2058 cod. civ.

I giudici della Corte di Cassazione hanno così elaborato la seguente regula iuris: “in tema di conflitto di giurisdizione avente ad oggetto una controversia relativa ad un'ipotesi di cd. sconfinamento, ossia del caso in cui la realizzazione dell'opera pubblica abbia interessato un terreno diverso o più esteso rispetto a quello considerato dai provvedimenti amministrativi di occupazione e di espropriazione, oltre che dalla dichiarazione di pubblica utilità, l'occupazione e la trasformazione del terreno da parte della P.A. costituisce un comportamento di mero fatto, perpetrato in carenza assoluta di potere, che integra un illecito a carattere permanente, lesivo del diritto soggettivo (cd. occupazione usurpativa), onde l'azione risarcitoria del danno, che ne è conseguito, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.”[9]

3.1. Tutela e azioni esperibili[10]

Nelle ipotesi di c.d. sconfinamento, al pari dunque dell’occupazione usurpativa, in considerazione dell’attività del tutto illegittima della P.A. non si produce alcun effetto traslativo, e pertanto il proprietario può optare per i normali rimedi petitori e possessori a difesa della proprietà oppure chiedere il risarcimento.

In tema di diritto al risarcimento, deve essere in primis richiamata la posizione giurisprudenziale ormai consolidata della Corte di Cassazione, sulla base della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, per cui è stato del tutto superato nell'ordinamento l'istituto dell'accessione invertita in tutte le sue sfumature e variabili giurisprudenziali, essendo venuta meno, in quanto non compatibile con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, la possibilità di affermare in via interpretativa che da una attività illecita della P.A. possa derivare la perdita del diritto di proprietà da parte del privato.

 Caduto tale presupposto, diviene applicabile lo schema generale degli artt. 2043 e 2058 c.c., il quale non solo non consente l'acquisizione autoritativa del bene alla mano pubblica, ma attribuisce al proprietario, rimasto tale, la tutela reale e cautelare apprestata nei confronti di qualsiasi soggetto dell'ordinamento (restituzione, riduzione in pristino stato dell'immobile, provvedimenti di urgenza per impedirne la trasformazione, ecc.) oltre al consueto risarcimento del danno, ancorato ai parametri dell'art. 2043 c.c. Trattandosi sempre di un'ipotesi d'illecito permanente, lo stesso viene a cessare, come già detto, per effetto della restituzione, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell'occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente[11].

In senso analogo, si è espresso anche il Consiglio di Stato, per cui dopo le pronunce della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo e la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 43 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, da parte della Corte Costituzionale (sentenza 8 ottobre 2010, n. 293), il modello dell'accessione invertita non può essere più applicato, mentre l'irreversibile trasformazione del bene illegittimamente occupato è stata ricostruita in termini di illecito di natura permanente, il quale perdura fino a quando non venga rimosso il manufatto, con la conseguenza che il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria decorre dal momento di cessazione dell'illecito. Una volta esclusa l'accessione invertita, l'intervenuta realizzazione dell'opera pubblica, non elide affatto il diritto di proprietà del privato sul bene illegittimamente occupato, per cui egli può sempre domandare sia il risarcimento che la restituzione del fondo[12].

L'Amministrazione ha comunque l'obbligo giuridico di far venir meno, in ogni caso, l'occupazione sine titulo. Pertanto, essa deve adeguare la situazione di fatto a quella di diritto attraverso l'emanazione di legittimi provvedimenti ablatori, o di contratti di acquisto delle relative aree, ovvero di provvedimenti di acquisizione ex art. 42-bis del t.u. n. 327 del 2001.

In definitiva, la P.A. ha due sole alternative: restituire i terreni ai titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la completa riduzione in pristino allo status quo ante; oppure attivarsi per acquisire un legittimo titolo di acquisto dell'area da parte del suo legittimo proprietario[13].

In un’accezione pragmatica, risulta opportuno prestare la massima attenzione nella proposizione della domanda per non rischiare di vedersi respingere le proprie legittime pretese. Difatti, la domanda per il periodo di illegittima occupazione ha presupposti diversi e autonomi rispetto a quella per la perdita del bene: quest'ultima riguarda la perdita del terreno, incompatibile con la domanda di restituzione; la prima, invece, attiene ai danni derivanti dal mancato godimento del terreno, configurabili dal momento della materiale occupazione ovvero della scadenza del termine per l'occupazione legittima fino al momento della restituzione e proponibile anche congiuntamente alla domanda di restituzione del bene. Inoltre, con riferimento a tali domande decorre, altresì, un diverso termine di prescrizione: in particolare, per il danno da occupazione legittima, relativo ai danni subiti per la perdita delle utilità ricavabili dal terreno, la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni decorre dalle singole annualità.[14]

4. Conclusioni

La disciplina in esame assume ancor più importanza alla luce delle sempre più numerose richieste di condanna, da parte dei privati ai danni della P.A., per fatti di occupazione illegittima ultraventennali. I numerosi interventi giurisprudenziali sul punto testimoniano da un lato l’interesse per queste tematiche, dall’altro dubbi interpretativi soprattutto in ottica di tutela giurisdizionale.

In tali ipotesi, il dovere dell’interprete (e, soprattutto, dell’operatore del diritto) è sempre quello di non distaccarsi dai principi del nostro ordinamento, ma di scandagliare scrupolosamente la fattispecie per dedurne l’esistenza o meno di un potere della P.A. alla base del comportamento posto in essere. In caso contrario, ricondurre aprioristicamente la materia alla giurisdizione esclusiva del G.A. per il semplice fatto che l’Amministrazione è parte in causa, senza apportare un tale lavoro di analisi, vorrebbe dire snaturare la stessa figura del G.A.

Il G.A. non può essere il giudice dell’Amministrazione, bensì organo di tutela della giustizia amministrativa.


Note e riferimenti bibliografici

[1] F. Caringella, Compendio di diritto amministrativo, 2019, pg. 280

[2] Corte Costituzionale, sent. n. 191, 11 maggio 2006

[3] Cfr. Cass. civ., Sez. un., sent. n. 8675, 28 marzo 2019; id., Cass. sent. n. 2145, 29 gennaio 2018; id., Cass. sent. n. 9334, 16 aprile 2018; id., Cass. sent. n. 15284, 25 luglio 2016

[4] Consiglio di Stato, Sezione II, Sent. n. 3195, 17 maggio 2019

[5] Sul punto v. anche F. Caringella, Compendio di diritto amministrativo, 2019, pg. 346

[6] Cass. S.U. sent. n. 25044/2016 e Cass. sent. 3723/2007

[7] Cass. civ. Sez. Unite Ord., n. 25044, 07 dicembre 2016 (rv. 641778-01)

[8] V. anche Cassazione, SEZ. UNITE CIVILI, ordinanza n. 26258, 18 ottobre 2018

[9] Civile Ord. Sez. U Num. 18272 Anno 2019

[10] Sul punto da ultimo Consiglio di Stato, Sezione II, Sentenza 17 maggio 2019, n. 3195

[11] Cass. civ., Sez. un., 19 gennaio 2015, n. 735; Cass. civ., Sez. I, 24 maggio 2018, n. 12961.

[12] cfr. C.d.S., Sez. IV, 2 settembre 2011, n. 4970; id., 29 agosto 2012, n. 4650

[13] C.d.S., Sez. IV, 25 gennaio 2018, n. 500

[14] Cass. civ., Sez. un., 19 gennaio 2015, n. 735; C.d.S., Sez. IV, 7 novembre 2016, n. 4636; di recente Cons. giust. amm. reg. sic., 25 marzo 2019, n. 255