Criteri per la determinazione dell´imposta evasa nell´ambito dei delitti tributari
Modifica paginaautori Livio Gucciardo , Giuseppe Dell´anna
Con la sentenza numero 10389 del 2020, la Suprema Corte ha affermato che per la determinazione dell´imposta evasa nell´ambito dei reati tributari ex d.lgs. 74/2000, è necessario operare una valutazione sostanziale del rilievo della condotta, potendosi prescindere dal rispetto delle formalità e dei termini previsti dalla normativa fiscale. In particolare, la Corte ha stabilito che per la quantificazione del debito ai fini delle imposte dirette, è possibile tenere conto dei costi non documentati purché effettivi, mentre per l´IVA dovuta è possibile prendere in esame i soli costi documentati. La pronuncia offre dunque lo spunto per una riflessione di più ampio respiro circa i criteri di determinazione dell´imposta evasa in ambito penale.
Sommario: 1. Introduzione; 2. Il caso; 3. L'autonomia del giudice penale nella determinazione dell'imposta evasa; 4. La nozione di imposta evasa in ambito penale; 5. Criteri per la determinazione dell'imposta evasa e vincoli del giudice penale; 6. Conclusioni.
1. Introduzione
Il tema della quantificazione dell'imposta evasa in ambito penale è di grande attualità e presenta profili di incertezza che sono costantemente oggetto di dibattito, soprattutto alla luce degli spazi interpretativi che la disciplina offre. È infatti essenziale rilevare l'esistenza di una nozione di imposta evasa valevole per il solo ambito penale tributario, contenuta all'art. 1, lett. f), del d.lgs. 74/2000, segno che il legislatore ha ritenuto necessario dare autonomia al giudice penale rispetto alle determinazioni degli uffici dell'Amministrazione finanziaria e del giudice tributario. In virtù di siffatta peculiarità, la cui ragione risiede nelle diverse finalità perseguite dal procedimento penale rispetto a quello tributario, la giurisprudenza di legittimità ha dovuto nel tempo elaborare taluni principi che oggi costituiscono un'indispensabile strumento per la corretta quantificazione dell'imposta dovuta nel contesto dei delitti tributari, tenuto conto degli evidenti contrasti tra le norme che regolano l'accertamento amministrativo e penale.
Per comprendere la rilevanza della pronuncia in rassegna occorre preliminarmente muovere dalla disamina del caso da cui è originata la controversia, per poi cercare di tratteggiare i lineamenti essenziali della disciplina e, dunque, i principi di matrice giurisprudenziale consolidatisi sul tema che ci occupa.
2. Il caso
La sentenza in esame, resa dal III Sezione penale della Corte di Cassazione, offre lo spunto per alcune riflessioni in ordine alla determinazione in sede penale dell'ammontare dell'imposta evasa per le ipotesi delittuose previste e punite dal d.lgs. 74/2000.
Il caso in oggetto riguarda un'ordinanza del Tribunale di Lucca, quale Giudice del riesame delle misure cautelari reali, con cui veniva rigettata la richiesta proposta dal titolare di una ditta individuale, indagato per il reato di cui all'art. 5 del d.lgs. 74/2000, per avere omesso di presentare le prescritte dichiarazioni fiscali per gli anni d'imposta 2016 e 2017, nei confronti del decreto di sequestro preventivo del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, emesso per un complessivo ammontare di euro 399.278,03.
Avverso la predetta decisione veniva proposto ricorso per cassazione articolato su quattro motivi di impugnazione.
I primi tre motivi concernevano le dichiarazioni ai fini IVA.
Il ricorrente deduceva, in primo luogo, la maturazione di un credito d'imposta pari ad euro 129.721,00 relativo al 2015 – anno in cui aveva regolarmente presentato la dichiarazione fiscale e per il quale non erano state mosse contestazioni – da compensare col debito del 20161.
Col secondo motivo di ricorso veniva rilevato che per la definizione della debenza d'imposta il giudice non aveva tenuto conto della disciplina dell'inversione contabile (cd. reverse charge)2, che avrebbe condotto all'esclusione del debito IVA per l'anno 2016 e ad un debito inferiore alla soglia di punibilità per l'anno 2017.
Il ricorrente evidenziava, quindi, col terzo motivo d'impugnazione, che non sussisteva il fumus commissi delicti di omessa dichiarazione ai fini IVA per l'applicazione del sequestro preventivo.
Era invece relativo all'omessa dichiarazione ai fini IRPEF il quarto motivo d'impugnazione.
Il contribuente evidenziava che per la determinazione dell'imposta evasa non erano stati presi in considerazione i costi relativi a personale, affitti e locazioni, utenze e servizi, ammortamenti, che, seppur non contabilizzati tra le scritture fiscali obbligatorie, potevano essere indirettamente desunti da altra documentazione.
La Corte di Cassazione annullava l'ordinanza con rinvio al Tribunale di Lucca per un nuovo esame.
In ordine ai motivi del ricorso concernenti l'IVA i giudici affermavano che per la determinazione dell'imposta effettivamente dovuta occorresse prendere in esame, se sussistenti, i crediti relativi agli anni precedenti e, in ragione di quelli, accertare l'esatto ammontare dell'eventuale debenza, ma che il diritto alla detrazione ovvero l'istanza di rimborso sarebbero dovuti essere esercitati nei modi e nei termini di cui all'art. 30 del D.P.R. 633/19723; in ogni caso, per la definizione del quantum dovuto – asserivano i giudici – è necessario operare una valutazione sostanziale del rilievo della condotta, potendosi prescindere dal rispetto delle formalità e dei termini previsti dalla normativa fiscale, come quella effettuata dal Giudice per le indagini preliminari e dal Tribunale del riesame. La Corte di Cassazione precisava, in particolare, che, in virtù dell'applicazione del cosiddetto reverse charge, tutte le operazioni contabili devono essere effettuate dall'acquirente, il quale addebita l'Iva sulla cessione al consumatore finale, in quanto soggetto passivo effettivo dell'imposta e in tal modo, «neutralizzata l'operazione per l'acquirente (il quale ha evidenziato l'Iva sia in dare che in avere), non vi è spazio per una, ormai insussistente, detrazione».
Per quanto concerne il quarto motivo di ricorso, con cui il contribuente si doleva dell'inesatta determinazione dell'IRPEF evasa, i giudici accoglievano la censura, ritenendo illegittima l'esclusione del calcolo della base imponibile dei costi sostenuti, ancorché non contabilizzati nei registri IVA. Veniva sicché chiarito che per la determinazione della debenza ai fini delle imposte dirette è possibile tenere conto di questi, sebbene non documentati, purché effettivi; a differenza, invece, che per l'IVA in cui la determinazione della base imponibile e della relativa imposta evasa deve avvenire solo sulla base dei costi effettivamente documentati, non rilevando l'eventuale sussistenza di costi non documentati, poiché l'IVA è collocata in un sistema chiuso di rilevanza sovranazionale, che prevede la tracciabilità di tutte le fatture, attive e passive, emesse nei traffici commerciali, risultando dunque vincolata al rispetto di stringenti oneri documentali4.
Per cogliere il senso delle motivazioni sottese alla decisione in esame, si ritiene utile esporre alcune considerazioni sulla controversa questione dell'ammontare dell'imposta effettivamente evasa in sede penale, analizzando preliminarmente la riconosciuta autonomia del giudice rispetto alla determinazione di questa.
3. L'autonomia del giudice penale nella determinazione dell'imposta evasa
Superato il precedente regime normativo incentrato sulla pregiudiziale tributaria5, i rapporti tra procedimento penale e tributario sono stati improntati sulla regola del “doppio binario”: da una parte, quindi, il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario, a norma dell'art. 20 del d.lgs. 74/2000, non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento dipende la relativa definizione; dall'altra, il processo penale non può essere sospeso in ragione della pendenza di quello tributario in forza del combinato disposto degli artt. 3 e 479 c.p.p., a tenore dei quali il giudice penale, tra gli altri casi, può sospendere il processo penale solo in pendenza di una controversia civile o amministrativa di particolare complessità e se la legge non pone limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa6.
La previgente disciplina, fondata sulla pregiudiziale tributaria contenuta all'art. 21, comma 3, della l. 4/1929, prevedeva invece che, per i reati individuati dalla legge sui tributi diretti l’azione penale poteva avere corso dopo che l’accertamento dell’imposta e della relativa sovraimposta fosse divenuto definitivo a norma delle leggi regolanti tale materia. In questo sistema, veniva salvaguardata l’uniformità dei giudicati mediante la subordinazione dell’azione penale alla preliminare definizione del processo tributario. In sostanza, l’esercizio dell’azione penale poteva avere luogo solo dopo la pregiudiziale definizione del processo tributario, con una sospensione del termine di prescrizione del reato tributario, in pendenza dell’accertamento e del processo tributario7.
Il giudice tributario, dunque, era chiamato ad effettuare le valutazioni tecniche necessarie per stabilire se vi era stata evasione e, in caso affermativo, quale fosse l'entità dell'imposta evasa. Il giudice penale interveniva solo eventualmente ed in seconda battuta, limitandosi a stabilire se i fatti ricostruiti dal giudice tributario integrassero o meno gli estremi di un reato8.
Stabilita quindi con l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale nel 1989 e con la nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto nel 20009 l'indipendenza reciproca tra il procedimento penale e il processo tributario, escludendosi qualsiasi forma di pregiudizialità fra il rito tributario10 e quello penale11, è stata affermata l'autonomia del giudice penale e, ai sensi dell'art. 2, comma 1, c.p.p., la sua piena cognizione ad ogni questione rilevante, indipendentemente dalla materia cui questa inerisce12.
Stabilisce inoltre l'art. 2, comma 2, c.p.p. che «la decisione del giudice penale che risolve incidentalmente una questione civile, amministrativa o penale non ha efficacia vincolante in nessun altro processo». Il che significa che il giudice penale deve risolvere, sebbene incidentalmente, anche la questione tributaria pregiudiziale, potendo così emergere un conflitto tra giudicati, non escludendosi perciò che la questione riceva soluzioni diverse da parte di giudici diversi13. In altri termini, il giudicato non fa venire meno la ragion d’essere delle altre giurisdizioni ed ha un’efficacia circoscritta al processo penale nel quale viene espletato e che, conseguentemente, il giudice civile, amministrativo e tributario conserva pienamente la sua capacità decisionale della questione di sua competenza14.
Il giudice penale ha dunque piena autonomia15 e da ciò postula il principio, riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità16, che spetta esclusivamente a questi il compito di procedere all'accertamento e alla determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa in sede penale17. Quest'ultima – in linea di principio – va qualificata sulla base di criteri sostanzialistici18 che valorizzino l'effettività dell'evasione19: il risultato, si ribadisce, può divergere, anche considerevolmente, da quanto determinato in sede di accertamento da parte dell'amministrazione finanziaria ovvero da quanto emergente dal giudicato tributario20.
Per procedere alla disamina del tema che ci occupa, a questo punto è necessario qualificare la nozione di imposta evasa valevole per la disciplina penale, delineando criticamente le differenze che questa assume rispetto alla sua parallela nozione dell'ambito tributario.
4. La nozione di imposta evasa in ambito penale
La nozione di imposta evasa assume una valenza essenziale nell'economia del d.lgs. 74/2000 ed è connessa, in specie, alla funzione della soglia di punibilità nel contesto delle fattispecie in materia di dichiarazione21.
In ragione dell'autonomia del giudizio penale rispetto a quello tributario22 e, vieppiù, riguardo alle determinazioni degli uffici dell'amministrazione finanziaria, occorre rilevare, in sostanza, l'esistenza di due nozioni di imposta evasa: una ai fini penali; l’altra ai fini amministrativi. L'esistenza di un'autonoma nozione di imposta evasa valevole per il solo ambito penale, distinta da quella che può ricavarsi dall'ordinamento tributario, trova fondamento tanto dalla lettura sistematica delle norme – testé richiamate – che disciplinano il processo penale, quanto dalla sussistenza di un'espressa sua definizione contenuta all'art. 1, lett. f), del d.lgs. 74/200023.
L’imposta evasa viene individuata nella differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero nell’intera imposta dovuta in caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine. In sostanza, l’imposta evasa perimetra il reale risparmio, prevedendo, in particolare, che non si considera imposta evasa quella teorica. La Corte di cassazione24 ha in proposito chiarito che debba darsi prevalenza al dato fattuale reale rispetto ai criteri formali che caratterizzano la determinazione dell’imposta ai fini tributari25.
Ebbene, tale apparente dicotomia è volta alla ricerca di un'effettività dell'imposta evasa che sembrerebbe invece meno concretamente perseguita in ambito tributario26, ove sono legittimamente e largamente utilizzati sistemi presuntivi27 per fondare gli accertamenti28 e le garanzie difensive trovano minore cittadinanza29, non essendo espressamente statuita l'inutilizzabilità degli elementi probatori assunti in violazione della legge30. Inoltre, occorre rammentare che per la configurazione del delitto di dichiarazione infedele, previsto dall'art. 4 del d.lgs. 74/2000, in forza dei commi 1-bis31 e 1-ter, sono escluse dal rischio penale le mere valutazioni (c.d. estimative)32.
Attenta dottrina ha evidenziato come l'autonomia del giudice penale di determinare l’imposta evasa secondo le regole proprie del processo penale significa tuttavia disancorare il risultato fiscale di ciascun periodo d’imposta dalla realtà economica del contribuente. Il debito tributario oltre ad essere un concetto unitario, non può che essere determinato con le regole proprie del D.P.R. 917/1986 (TUIR), per quanto concerne le imposte sui redditi, e del D.P.R. 633/1972, per quanto concerne l’IVA. Riconoscere l’esistenza di diverse nozioni di imposta evasa, a seconda del comparto d’interesse, significa ignorare il tecnicismo proprio delle procedure di accertamento e i principi del diritto tributario33. L’accertamento mira infatti a verificare che vi sia corrispondenza tra la capacità contributiva34 dichiarata dal soggetto passivo d’imposta e quella effettivamente posseduta35 e dal suo esito dovrebbe emergere, quantomeno in linea teorica, un risultato univoco e non condizionato dall'applicazione di regole estranee all'ordinamento tributario. È però di tutta evidenza che la scelta della metodologia di accertamento, vincolata alle discipline dettate in ambito tributario dal D.P.R. 600/1973 e dal D.P.R. 633/1972, può condurre a risultati differenti. Ciononostante, la scelta di questa non è affatto ritenuta discrezionale, ma segue stringenti criteri dettati dai citati decreti36.
È tuttavia dirimente osservare che se è certo che il giudice penale non è vincolato ai risultati degli accertamenti fiscali, è altrettanto vero che che questi non possa prescindere dalle specifiche regole stabilite dalla legislazione fiscale per determinare l’imposta evasa37. La Cassazione ha chiaramente affermato che «cambia la regola di giudizio, non la regola da applicare […]. Sicché anche ai fini della ricostruzione dell'imposta evasa ai sensi dell'art. 1, lett. f), d.lgs. n. 74 del 2000 è necessario attingere alle regole stabilite dalla normativa fiscale ma con le limitazioni che derivano dalla diversa finalità dell'accertamento penale»38.
A questo punto – poste le premesse in ordine alla nozione di imposta evasa applicabile al precipuo ambito penale – occorre tracciare i criteri applicabili per la concreta determinazione del quantum debeatur che, alla luce della giurisprudenza di legittimità, il giudice penale deve tenere fermi per il suo accertamento.
5. Criteri per la determinazione dell'imposta evasa e vincoli del giudice penale
Il giudice penale, per addivenire ad un risultato conforme alla speciale disciplina penale tributaria, deve necessariamente prendere preliminarmente in esame l'imposta evasa determinata nel rispetto delle norme proprie del sistema tributario. Solo successivamente, alla luce dei principi ricavabili della disciplina penale, potrà depurare il risultato, espungendo tutti gli elementi di reddito che ne distorcano gli esiti.
Per procedere alla disamina dei criteri di determinazione dell'imposta evasa è anzitutto indispensabile muovere da quanto espressamente stabilito dal d.lgs. 74/2000.
È pacifico – come visto – che per la commissione del delitto di dichiarazione infedele (art. 4 del d.lgs. 74/2000) siano escluse – per ciò che concerne il reddito d'impresa – le errate valutazioni estimative39 i cui criteri sono stati indicati nel bilancio o in altra idonea documentazione, se le differenze di valutazione sono superiori al 10 per cento rispetto a quelle corrette. Se invece le differenze di valutazione, complessivamente considerate, sono inferiori al 10 per cento rispetto a quelle corrette non rileva neppure che i criteri concretamente applicati siano stati indicati o meno nel bilancio o in altra documentazione rilevante ai fini fiscali40.
Sempre in ordine al delitto di dichiarazione infedele, è espressamente stabilito che non si debba tenere conto della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza41 o della non inerenza42 ovvero, ancora, della non deducibilità di elementi passivi reali43.
Posto il principio che vuole che l'imposta evasa venga qualificata sulla base di criteri sostanzialistici che valorizzino l'effettività, occorre adesso fornire qualche cenno di origine giurisprudenziale sull'utilizzo delle presunzioni tributarie in ambito penale.
Ancorché l'unica presunzione presente in ambito penale sia quella di non colpevolezza (art. 27, comma 2, Cost.), è ammissibile che il giudice valuti anche le presunzioni legali e gli elementi richiamati nell’accertamento tributario quali fonti di convincimento44. Del resto, non sempre è preclusa l'utilizzazione degli esiti della fase amministrativa tributaria in quella penale: è pacifico che in materia di reati tributari, il giudice penale, mentre non è vincolato dalle valutazioni compiute in sede di accertamento, può tuttavia con adeguata motivazione apprezzare gli elementi induttivi in detta sede valorizzati per trarne elementi probatori, che ritenga idonei a sorreggere il suo convincimento obiettivo45. La giurisprudenza è perciò concorde nel ritenere che le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur non potendo costituire di per sé fonte di prova della commissione dei reati previsti dal d.lgs. 74/2000, possono avere valore indiziario sufficiente46.
La sentenza tributaria o l’accertamento amministrativo47 non costituiscono, di per sé, prova del fatto in essi affermato, circostanza inammissibile in ragione dalla mancanza di pregiudizialità, ma rappresentano pur sempre i veicoli per portare a conoscenza del giudice penale le prove, le presunzioni e gli elementi induttivi considerati nella sede extra-penale per affermare la pretesa erariale48.
In particolare, la giurisprudenza ammette che in tema di reati tributari il giudice penale possa legittimamente avvalersi dell’accertamento induttivo49 compiuto dagli Uffici finanziari per la determinazione dell’imponibile50 e che possa quindi pure valutare, sebbene con le dovute cautele, le risultanze dell'accertamento sintetico del reddito delle persone fisiche51, ex art. 38, comma 4, del D.P.R. 600/197352.
Le presunzioni tributarie, in definitiva, possono essere considerate quali meri indizi ex art. 192 c.p.p. e possono essere poste a base di una decisione di condanna solo ove si accerti, nel procedimento penale, che siano gravi, precise e concordanti; inoltre ben può essere fondata su di esse l'applicazione di una misura cautelare reale53.
Orbene, nel corso della trattazione è stato chiarito che per la determinazione dell'imposta evasa in sede penale occorre dare precedenza al dato fattuale reale rispetto ai criteri formali che caratterizzano l'ordinamento tributario per la determinazione dell’imposta.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, per accertare l’ammontare dell’imposta evasa il giudice penale non è tenuto al rispetto delle regole stabilite dalla legislazione fiscale per quantificare l’imponibile, in quanto il principio del libero convincimento impone di riconoscere al giudice medesimo il potere di apprezzare la sussistenza di costi non contabilizzati, pur se gli stessi devono essere considerati solo in presenza di allegazioni fattuali da cui si desuma la certezza o comunque il ragionevole dubbio della loro esistenza54. Ma, si badi, tanto solo ai fini delle imposte dirette55. Per quanto concerne l'IVA è stato infatti più volte ribadito che questa soggiace ad un regime assai più rigido e il diritto alla sua detrazione può essere provato esclusivamente transitando per il dato documentale, non essendo ammesso un metodo alternativo fondato su allegazioni fattuali dalle quali potere desumerne l'esistenza56. Ciò in quanto l'IVA è collocata in un sistema chiuso di rilevanza sovranazionale57, che prevede la tracciabilità di tutte le fatture, attive e passive, emesse nei traffici commerciali, a nulla rilevando l'eventuale sussistenza di costi effettivi non registrati, i quali, invece, come visto, possono essere considerati con riferimento alle imposte dirette, non vincolate al rispetto di stringenti oneri documentali58.
È opportuno infine fornire qualche cenno sul tema dei regimi tributari di favore e degli effetti derivanti dall'estinzione del debito tributario ai sensi degli artt. 13 e 13-bis del d.lsg. 74/2000.
Il problema dei regimi tributari di favore origina dalla circostanza che il riconoscimento dei benefici tributari riconnessi ai regimi agevolativi si fonda sulla sussistenza di determinati presupposti, che però possono sussistere al momento dell'inizio del periodo d'imposta e poi venire meno nel tempo, ma pur sempre nel medesimo periodo d'imposta. La questione è interessante e strettamente connessa al tema in trattazione. È evidente, infatti, che l’avvicendarsi nel medesimo periodo d'imposta di due diversi regimi tributari arreca un profilo di complessità nella vicenda di cui il giudice di merito non può non tenere conto59. La giurisprudenza di legittimità ritiene, dunque, che la definizione dell'imposta dovrà essere il frutto di un calcolo composito: dovrà dapprima individuarsi l'importo dovuto per il periodo d'imposta in cui era applicabile il regime agevolato ed a tale risultato si dovrà sommare l'importo dell'imposta evasa dovuta in relazione al residuo periodo in cui il regime tributario è quello ordinario. Di tale circostanza, naturalmente, il giudice penale deve tenere conto nella valutazione dell'elemento soggettivo del contribuente60.
Per quanto concerne il tema dell'estinzione del debito tributario61, la questione, sebbene articolata62, appare chiara63.
La dottrina ritiene pacifico che la determinazione dell'imposta evasa conseguente ad un accertamento con adesione, avente natura negoziale, il cui contenuto è determinato sulla base di un mero accordo transattivo fra le parti, non ha alcuna efficacia nel processo penale64.
In particolare, tale condotta non vale ad escludere la punibilità ai sensi dell'art. 13, comma 2, d.lgs. 74/2000, che, per il reato di omessa dichiarazione, così come per il delitto di dichiarazione infedele, prevede quell'effetto soltanto «se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali». A differenza di quanto previsto dall'art. 13, comma 1, del d.lgs. 74/2000 in ordine ai reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter, 10-quater65, per i reati previsti dagli artt. 4 e 5 del d.lgs. 74/2000 l'integrale pagamento del dovuto deve avvenire ancor prima che l'autore del reato abbia formale conoscenza dell'inizio di procedimenti amministrativi o penali66.
Deve in ogni caso rilevarsi che, al di là della diversa disciplina connessa al tipo di illecito, gli effetti della nuova causa di non punibilità si producono soltanto al momento dell'integrale pagamento del debito e degli accessori67.
La giurisprudenza68, in particolare, ha pure evidenziato che l’eventuale esito positivo dell’accertamento per adesione non fa venir meno la possibilità di adottare provvedimenti cautelari reali intesi ad assicurare allo Stato i proventi dei reati ipotizzati e non incide affatto ai fini della prova del superamento delle soglie di punibilità, in quanto l’importo corrisposto all’esito della procedura di accertamento per adesione non necessariamente esaurisce la pretesa tributaria azionabile in relazione ai reati come contestati e quindi non può escludersi che non residui un margine di profitto in capo al responsabile69.
Differente è invece l'istituto premiale di cui all'art. 13-bis del d.lgs. 74/2000, che si applica fuori dei casi di non punibilità di cui all'art. 13 del medesimo decreto. Tale norma prevede la diminuzione sino alla metà delle pene (senza applicazione delle pene accessorie), nel caso in cui il debito tributario sia estinto mediante pagamento integrale prima dell'apertura del dibattimento di primo grado, anche a seguito di speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento (in questo caso non rileva il ravvedimento)70. La fattispecie ha quindi efficacia allorquando l'indagato per uno dei delitti previsti dal d.lgs. 74/2000 – ad eccezione, quindi, dei delitti di cui agli artt. 10-bis, 10-ter, 10-quater, per i quali, in caso di integrale pagamento del debito tributario prima dell'apertura del dibattimento, opera la causa di non punibilità prevista dall'art. 13, comma 1, del d.lgs. 74/2000 – provvede al pagamento dell'imposta dovuta prima dell’apertura del dibattimento, ma dopo che è venuto a conoscenza di accessi, verifiche, ispezioni e di accertamenti amministrativi o procedimenti penali a suo carico, quando non può più operare la causa di non punibilità di cui al secondo comma dell’articolo 13.
Nessun dubbio, dunque, che l'intera disciplina premiale connessa al pagamento del debito tributario (e degli accessori) di cui agli artt. 13 e 13-bis si fondi sull'integrale pagamento dello stesso e non possa invece conseguire al mero accordo con l'Amministrazione finanziaria cui consegua l'impegno al pagamento dilazionato del dovuto, posto, peraltro, che l'interessato, una volta ammesso alla rateazione, ben potrebbe restare inadempiente71. Nessun dubbio, in definitiva, che solo in tale circostanza (integrale pagamento del dovuto nei modi e nei termini previsti) si possa asserire che sussista un vincolo per il giudice penale.
6. Conclusioni
La Suprema Corte, con diverse sentenze emesse nel corso degli ultimi anni72, ha oramai espresso un consolidato orientamento nel considerare la differente valenza dei costi non contabilizzati tra il comparto delle imposte dirette e quello dell’IVA.
Per le II.DD. i giudici, ai fini della configurabilità dei reati tributari, ritengono possibile determinare la base imponibile tenendo conto anche dei costi sostenuti, anche se non contabilizzati tra le scritture contabili obbligatorie, purché se ne dimostri l’effettività. Per l’IVA, invece, gli stessi ritengono che la determinazione della base imponibile e della connessa imposta evasa, debba avvenire solo sulla base dei costi effettivamente sostenuti e documentati.
La differente interpretazione della valenza dei costi non documentati tra le due imposte, secondo i giudici supremi, è da ricondursi alla collocazione della disciplina dell’IVA in un sistema chiuso di rilevanza sovranazionale, che prevede la tracciabilità di tutte le fatture, attive e passive, emesse nei traffici commerciali73 e che, pertanto, non può ricevere diverso trattamento.
Con la sentenza in esame, gli ermellini, nel rimarcare la differente valenza dei costi sostenuti ma non documentati tra i due comparti impositivi, hanno espresso un principio secondo il quale il giudice penale, nel determinare il quantum dell’imposta evasa, debba, da un lato, dare precedenza al dato fattuale reale, rispetto ai criteri formali che regolano l’ordinamento tributario, e, dall’altro lato, prendere comunque in esame le norme proprie del sistema fiscale.
Solo successivamente a questa fase, sarà possibile per il giudice correggere la base imponibile con quei componenti di reddito che la disciplina penale ritenga non integrabili ai fini della determinazione del debito d’imposta.
Con questo principio, non si vuol intendere che il giudice penale sia vincolato ai risultati degli accertamenti fiscali, laddove già esistenti, ma che questi non possa prescindere dalla normativa tributaria nella determinazione della base imponibile sia per le imposte dirette che per l’IVA.
1Sulla relativa disciplina cfr. R. Mistrangelo, “L'imposta sul valore aggiunto: rivalsa, detrazione e rimborso (2006-2016)”, in Dir. e Prat. Trib., 2017, 2, p. 837 ss..
2Per una compiuta disamina della disciplina cfr. S. Camelli – P. Maspes, “«Reverse charge» e diritto alla detrazione: «quousque tandem»?”, in Corr. Trib., 2013, 46, p. 3620 ss.; P. Celle, ““Reverse charge” e diritto alla detrazione in caso di violazioni formali”, in Riv. Gir. Trib., 2015, 2, p. 97 ss.; P. Centore, “«Reverse charge» nel subappalto edile”, in Corr. Trib., 2006, 42, p. 3333 ss.; S. Cinieri, “«Reverse charge» nel settore dell'oreficeria”, in L'Iva, 2006, 1, p. 43 ss.; M. Damiani, ““Reverse charge”: riconosciuto il carattere formare delle violazioni ma resta il nodo sanzioni”, in Riv. Gir. Trib., 2015, 7, p. 593 ss.; G. Giacchetti – A. Zanatto, “Reverse charge «a tutto campo» contro le frodi iva”, in Azienda & Fisco, 2013, 12, p. 35 ss.; E. Gori – E. Zanetti, “Il “reverse charge” sui subappalti edili: diritto e modalità di rimborso per i subappaltatori edili”, in Prat. Fisc. e Prof., 2007, 44, p. 39 ss.; L. Lacone, “Reverse-charge nelle imprese esercenti attività idraulica”, in Azienda & Fisco, 2007, 17, p. 53; G. Liberatore, ““Reverse charge” esteso anche ai servizi di “edilizia specializzata” e di pulizia”, in Prat. Fisc. e Prof., 2015, 4, p. 81 ss.; G. Liberatore, ““Reverse charge” nel settore edile, energetico e dei pallet: primi chiarimenti ufficiali”, in Prat. Fisc. e Prof., 2015, 18, p. 17 ss.; G. Liberatore, ““Reverse charge” nel settore edile: ulteriori chiarimenti”, in Prat. Fisc. e Prof., 2016, 9, p. 24 ss.; G. Liberatore, “Reverse charge esteso al settore informatico: console da gioco, tablet e laptop”, in Prat. Fisc. e Prof., 2016, 12, p. 18 ss.; F. Ricca, “«Reverse charge» per le cessioni di oro usato per esercizi «compro oro» a imprese di fusione industriale”, in Corr. Trib., 2014, 6, p. 473 ss.; E. Zanetti, “Il “reverse charge” sui subappalti edili”, in Prat. Fisc. e Prof., 2007, 18, p. 30 ss.; E. Zanetti, ““Reverse charge” iva sui subappalti edili: il presupposto del “ribaltamento di posizione contrattuale a monte”, in Prat. Fisc. e Prof., 2007, 47, p. 31 ss.;
3A norma del quale «Se dalla dichiarazione annuale risulta che l'ammontare detraibile di cui al n. 3) dell'articolo 28, aumentato delle somme versate mensilmente, è superiore a quello dell'imposta relativa alle operazioni imponibili di cui al n. 1) dello stesso articolo, il contribuente ha diritto di computare l'importo dell'eccedenza in detrazione nell'anno successivo, ovvero di chiedere il rimborso nelle ipotesi di cui ai commi successivi e comunque in caso di cessazione di attività»
4Cfr. Cass., Sez. III, 3/12/2018, n. 53980 che precisa come «è più che legittima la statuizione del giudice di merito che valorizzi eventuali costi non documentati con riferimento alle imposte dirette – non vincolate al rispetto di stringenti oneri documentali, la cui mancanza ne impedirebbe il funzionamento intrinseco – e, contemporaneamente, escluda la rilevanza di tali costi, non certificati dalle fatture emesse, per i reati in materia IVA».
5E. De Mita, “Subordinare l'azione penale all'accertamento definitivo non è un'eresia”, in Le società, 1982, p. 558.
6E. Manoni, “Il principio di specialità non scongiura le duplicazioni sanzionatorie”, in Fisco, 2018, 7, p. 660.
7Per una compiuta disamina sul passaggio dalla “pregiudiziale tributaria” al “doppio binario” cfr. A. Comelli, “La circolazione del materiale probatorio dal procedimento e dal processo penale al processo tributario e l'autonomia decisionale del giudice”, in Dir. e Prat. Trib., 2019, 5, p. 2032 ss..
8D. Guidi, “I rapporti tra processo penale e processo tributario ad oltre dieci anni di distanza dal d.lgs. n. 74 del 2000”, in Dir. Pen. e Processo, 2012, 11, p. 1387.
9G. Falsitta, “Corso istituzionale di diritto tributario”, Milano, 2016, p. 301 ss..
10In tal senso P. Corso, “Inammissibile la richiesta di pregiudiziale penale nel processo tributario”, in Corr. Trib., 2011, 5, p. 397 ss.. Rimane tuttavia fermo l'orientamento dottrinale che ritiene il giudicato penale elemento indiziario da valutare in sede tributaria. In tal senso cfr. E. Manoni, “Le sentenze penali di patteggiamento costituiscono elementi probatori da valutare nel giudizio tributario”, in Fisco, 2018, 37, p. 3545 ss.; F. Pace, “La rilevanza della sentenza penale di patteggiamento”, in Fisco, 2001, 24, p. 1778 ss..
11C. Beccalli, “Il reato tributario prescinde dagli accadimenti amministrativi e il giudice penale valuta con autonomia”, in Fisco, 2016, 26, p. 2579 ss.; L. D. Cerqua – C. M. Pricolo, “La riforma della disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto”, in Dir. Pen. e Processo, 2000, 6, p. 714.
12A. Toppan – L. Tosi, “Lineamenti di diritto penale dell'impresa”, Milano, 2017, p. 259.
13P. Corso, “I rapporti tra procedimento penale e tributario”, in Corr. Trib., 2001, 47, p. 3556; D. Stevanato, “L'accertamento divenuto definitivo vincola il giudice penale (?)”, in Corr. Trib., 2000, 42, p. 3050 ss..
14Cfr. Cass., Sez. III, 25/11/2019, n. 47832, che afferma la massima secondo cui fra giudizio penale e giudizio tributario non sussiste alcun vincolo di pregiudizialità che limiti il potere cognitivo del giudice penale. Risulta, pertanto, destituita di fondamento la tesi secondo la quale non sarebbe consentito contestare il reato di indebita compensazione di crediti sino all’avvenuto definitivo accertamento nella sede tributaria della falsità del credito portato in compensazione.
15L'autonomia è tuttavia temperata dalla rilevanza che possono assumere le decisioni della Commissione tributaria chiamata a pronunciarsi sulle medesime circostanze. A tal proposito cfr. Cass., Sez. III, 7/1/2019, n. 355, che ammette la revoca del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei beni dell'indagato, eseguito ai sensi dell'art. 12-bis del d.lgs. 74/2000, quando abbia luogo l'annullamento della cartella esattoriale da parte della Commissione tributaria con sentenza anche non definitiva e il relativo provvedimento di “sgravio” da parte dell'Amministrazione finanziaria. Ne condivide i rilievi, pur ritenendo che la decisione della Commissione tributaria debba essere qualificata come indizio dell'inesistenza del fumus, M. Cedro, “Reati tributari – sequestro preventivo e rilevanza del giudizio tributario”, in Rass. Trib., 2019, 2, p. 422 ss..
16Cfr. Cass., Sez. III, 25/11/2019, n. 47838, secondo cui spetta esclusivamente al giudice penale il compito di accertare e determinare l’ammontare dell’imposta evasa, da intendersi come l’intera imposta dovuta, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi e anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria.
17C. Beccalli, “Il superamento delle soglie di punibilità non necessita del dolo ed è oggetto di autonoma valutazione del giudice penale”, in Fisco, 2014, 36, p. 3581 ss.; P. Corso, “Regole probatorie in tema di superamento della soglia di punibilità”, in Fisco, 2008, 31, p. 2524 ss.; F. Tesauro, “Istituzioni di diritto tributario. Parte generale”, Milano, 2017, p. 351.
18A. Toppan – L. Tosi, “Lineamenti di diritto penale dell'impresa”, cit., p. 182.
19Cfr. Cass., Sez. III, 22/9/2016, n. 39379; Cass., Sez. III, 18/4/2016, n. 15899.
20R. Esposito, ““Verifica fiscale” e giusto procedimento tributario”, in Dir. e Prat. Trib., 2018, 3, p. 987.
21A. Mancini – M. Pisani, “Diritto penale tributario”, Roma, 2012, p. 27.
22S. Dorigo, “Il “doppio binario” nella prospettiva penale: crisi del sistema e spunti per una riforma”, in Rass. Trib., 2017, 2, p. 436 ss..
23A norma del quale l'imposta evasa è «la differenza tra l'imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l'intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine; non si considera imposta evasa quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell'esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili».
24Cfr. Cass., Sez. III, 22/9/2016, n. 39379.
25G. Antico – M. Conigliaro, “La guardia di finanza nel contrasto alle frodi iva: i percorsi operativo alla luce delle novità normative”, in Fisco, 2018, 12, p. 1148.
26A. Iorio, “I reati tributari”, Milano, 2017, p. 7.
27M. Bambino, “La ripartizione (non sempre equa) dell'onere della prova nel processo tributario tra amministrazione finanziaria e contribuente”, in Dir. e Prat. Trib., 2018, 5, p. 1911 ss.; C. Beccalli, “Il reato tributario prescinde dagli accadimenti amministrativi e il giudice penale valuta con autonomia”, in Fisco, 2016, 26, p. 2579 ss..
28Le cui risultanze, sebbene non automaticamente trasferibili in sede penale, possono costituire indizi valutabili dal giudice alla stregua dei criteri dettati dall'art. 192, comma 2, c.p.p.: così A. Traversi, “La difesa del contribuente nel processo penale tributario”, Milano, 2014, p. 158 ss e O. Mazza, “I controversi rapporti tra processo penale e tributario”, in Rass. Trib., 2020, 1, p. 235.
29S. Capolupo, “Poteri istruttori della guardia di finanza e garanzie difensive del contribuente”, in Fisco, 2018, 9, p. 813 ss.; L. Allevi, “Ammissibilità della prova su cui si fonda l'accertamento e diritto alla riservatezza bancaria”, in Fisco, 2017, 8, p. 756 ss.; L. Gucciardo, “Le garanzie difensive del contribuente che nel corso della verifica tributaria assuma la qualità di indagato”, in L'Accertamento, 2020, 1, p. 29 ss.
30G. Antico – M. Genovesi, “Valido l'atto di accertamento basato su elementi raccolti senza le garanzie difensive in ambito penale”, in Fisco, 2018; B. Lipari, “Inutilizzabilità di elementi probatori irritualmente acquisiti”, in Fisco, 2007, p. 2592 ss.; S. Stufano, “Sulla utilizzabilità delle prove illecite o illegittime”, in Corr. Trib., 2002; P. Turis, “Rilevanza in ambito fiscale delle violazioni del codice di procedura penale”, in Fisco, 2013, p. 1025..
31I. Caraccioli, “Prime applicazioni della “dichiarazione infedele”: irrilevanza degli errori valutatiti”, in Fisco, 2017, 45, p. 4390 ss..
32D. Liburdi – M. Sironi, “Metodi di accertamento e principio di derivazione rafforzata: le linee guida della Guardia di Finanza”, 2018, 12, p. 1107 ss..
33S. Capolupo, “Crisi del doppio binario e ritorno della pregiudiziale tributaria”, in Corr. Trib., 2017, 37, p. 3551.
34La capacità contributiva presuppone come necessario requisito la capacità economica, quindi l'idoneità alla contribuzione. Cfr. G. Falsitta, “Corso istituzionale di diritto tributario”, cit., p. 74.
Le principali manifestazioni di ricchezza oggetto dell'attenzione impositiva del nostro ordinamento sono il reddito, il patrimonio e il consumo. Cfr. R. Dominici – A. Marcheselli, “Giustizia tributaria e diritti fondamentali”, Torino, 2016, p. 50; R. Lupi, “Diritto tributario. Parte speciale”, Milano, 2007, p. 5.
35S. Capolupo, “L'asserita sindacabilità del metodo di accertamento”, in Fisco, 2018, 20, p. 1922.
36Sul tema della potestà accertativa cfr. A. Guidara, “Discrezionalità e vincolatezza nell'azione dell'amministrazione finanziaria”, in Dir. e Prat. Trib., 2020, 1, p. 15, il quale chiarisce che l'attività di accertamento ricade nella previsione della riserva di legge prevista dall'art. 23 Cost. e per essa è esclusa ogni discrezionalità amministrativa, dato che tale norma disciplina la doverosità ed entità della prestazione tributaria, ossia sull'an e sul quantum debeatur.
37G. Antico – M. Conigliaro, “La Guardia di Finanza nel contrasto alle frodi iva”, cit., p. 1149.
38Cfr. Cass., Sez. III, 15/9/2015, n. 37094.
39L. Miele – A. Sura – F. Bontempo – T. Fabi, “Bilancio e reddito d'impresa”, Milano, 2020, p. 103 ss..
40A. Toppan – L. Tosi, “Lineamenti di diritto penale dell'impresa”, cit., p. 206 s..
41Il principio di competenza, fissato dall'art. 109, comma 2, TUIR, «deve essere inteso come il criterio mediante il quale i componenti negativi e positivi di reddito sono attribuiti al periodo in cui si verificano i presupposti di fatto e di diritto cui si ricollegano, essendo irrilevante ai fini reddituale l'istante del loro pagamento o percezione», così L. Miele – A. Sura – F. Bontempo – T. Fabi, “Bilancio e reddito d'impresa”, cit., p. 514.
42Il concetto di inerenza, nel più ampio concetto di reddito determinato come differenza tra ricavi e costi, ammette la deduzione di questi ultimi relativi all'attività d'impresa, così R. Lupi, “Diritto tributario. Parte speciale”, cit., p. 72. Sul concetto di inerenza cfr. E. De Mita, “Principi di diritto tributario”, Milano, 2002, p. 189; L. Rosa, “Il principio di inerenza”, in G. Tabet (a cura di), “Il reddito d'impresa”, Padova, 1997, p. 137 ss.; A. Vicini Ronchetti, “La clausola generale dell'inerenza nel reddito d'impresa”, Assago, 2016, p. 175; A. Vignoli, “La determinazione differenziale della ricchezza ai fini tributari”, Roma, 2012, p. 35. Non rilevano quindi ai fini penali i costi effettivamente sostenuti ma non inerenti all'attività cui la dichiarazione fiscale si riferisce, contabilizzati unicamente per abbattere il carico fiscale, così C. Santoriello, “Nessun rilievo penale per l'esposizione di costi effettivamente sostenuti ma non inerenti all'attività”, in Fisco, 2018, 9, p. 872 s..
43Il riferimento è ai casi in cui, a fronte di un costo realmente sostenuto, viene radicalmente esclusa la possibilità di portarlo in deduzione dal reddito ed a quelli in cui tale possibilità è riconosciuta nell'an ma limitata quantitativamente ad una sua quota risultante dall'applicazione di percentuali prestabilite ovvero di volta in volta desumibili dal rapporto con o tra gli altri indici contabili. Cfr. L. Tosi, “Le predeterminazioni normative nell'imposizione reddituale”, Milano, 1999, p. 38.
44O. Mazza, “I controversi rapporti tra processo penale e tributario”, cit., p. 234.
45Cfr. Cass., Sez. III, 9/6/2017, n. 28710.
46Cfr. Cass., Sez. III, 8/6/2018, n. 26274.
47Posta la funzione ricognitiva e conoscitiva pacificamente attribuita al processo verbale di constatazione nel procedimento tributario, valevole sia per il contribuente (il quale può così assumere le necessarie iniziative difensive) che per gli uffici dell'Amministrazione finanziaria (chiamati ad accertare e liquidare i tributi dovuti e ad irrogare le sanzioni), è pacificamente ammesso che questo abbia natura di documento extraprocessuale ricognitivo di natura amministrativa, che può essere acquisito nel procedimento penale ai sensi dell'art. 234 c.p.p. e inserito nel fascicolo del dibattimento a norma dell'art. 495 c.p.p.. In dottrina cfr. E. Manoni, “Superamento soglie di punibilità: i risultati dell'accertamento induttivo costituiscono indizi per il giudice penale”, in Fisco, 2018, 36, p. 3486 ss.. In giurisprudenza cfr. Cass., Sez. III, 7/6/2019, n. 25335; Cass., Sez. III, 21/6/2018, n. 39228; Cass., Sez. III, 30/12/2016, n. 55294; Cass., Sez. III, 15/4/2015, n. 15236; Cass., Sez. III, 30/1/2015, n. 7930; Cass., Sez. III, 18/11/2014, n. 4919; Cass., Sez. III, 18/11/2008, n. 6881; Cass. Sez. III, 1/4/1998, n. 7820; Cass., Sez. III, 17/4/1997, n. 6218; Cass. Sez. III, 10/4/1997, n. 4432; Cass., Sez. III, 21/1/1997, n. 1969; Cass., Sez. III, 15/5/1996, n. 6251.
48O. Mazza, “I controversi rapporti tra processo penale e tributario”, cit., p. 235.
49Disciplinato dall'art. 39, comma 2, del D.P.R. 600/1973, a norma del quale «[...] l'ufficio delle imposte determina il reddito d'impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui alla lettera d) del precedente comma: a) quando il reddito d'impresa non è stato indicato nella dichiarazione; c) quando dal verbale di ispezione redatto ai sensi dell'art. 33 risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all'ispezione una o più delle scritture contabili prescritte dall'art. 14 ovvero quando le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore; d) quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del precedente comma ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono cosi' gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica. Le scritture ausiliarie di magazzino non si considerano irregolari se gli errori e le omissioni sono contenuti entro i normali limiti di tolleranza delle quantità annotate nel carico o nello scarico e dei costi specifici imputati nelle schede di lavorazione ai sensi della lettera d) del primo comma dell'art. 14 del presente decreto. d-bis) quando il contribuente non ha dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell'articolo 32, primo comma, numeri 3) e 4), del presente decreto o dell'articolo 51, secondo comma, numeri 3) e 4), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633; d-ter) in caso di omessa presentazione dei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore o di indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non sussistenti, nonché di infedele compilazione dei predetti modelli che comporti una differenza superiore al 15 per cento, o comunque ad euro 50.000, tra i ricavi o compensi stimati applicando gli studi di settore sulla base dei dati corretti e quelli stimati sulla base dei dati indicati in dichiarazione».
50Cfr. Cass., Sez. III, 21/6/2018, n. 39228.
51A. Traversi, “Qual è la valenza ai fini penali dell'accertamento sintetico?”, in Corr. Trib., 2013, 5, p. 367, che ritiene sia «da escludere che la penale responsabilità di un contribuente imputato di reato tributario possa essere affermata sulla base della sola determinazione sintetica di reddito effettuata ai sensi dell'art. 38, quarto comma, del D.P.R. n. 600/1973, qualora tale elemento, avente valenza meramente indiziaria, non sia sorretto da altri e più consistenti elementi di riscontro».
52A norma del quale «L'ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall'articolo 39, può sempre determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d'imposta, salva la prova che il relativo finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d'imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile».
53A. Iorio – S. Mecca, “Le presunzioni legali tributarie legittima la confisca per equivalente nel procedimento penale”, in Corr. Trib., 2013, 14, passim.
54Cfr. Cass., Sez. III, 3/12/2018, n. 53980, cit.; Cass., Sez. III, 20/12/2016, n. 53907; Cass., Sez. III, 29/5/2015, n. 37094.
55C. Santoriello, “Per la determinazione dell'imposta evasa rilevano i costi sostenuti dal contribuente solo se effettivamente documentati”, in Fisco, 2020, 6, p. 582 ss..
56Cfr. Cass., Sez. III, 16/7/2018, n. 53980.
57C. Santoriello, “Per la determinazione dell'iva anche in sede penale contano solo i costi correttamente documentati”, in Fisco, 2019, 29, p. 2869, il quale chiarisce che «in relazione all’iva la cassazione pretende che i costi siano adeguatamente documentati o meglio ancora siano documentati secondo le modalità prescritte dalla legge». Sempre C. Santoriello, “Per la determinazione dell'iva anche in sede penale contano solo i costi correttamente documentati”, in Fisco, 2019, 3, p. 280, pone la questione su come possa coniugarsi con il principio del libero convincimento che da sempre governa il processo penale italiano – e che impedisce al legislatore di configurare prove legali alle cui risultanze il giudice deve inevitabilmente vincolare il proprio giudizio – l’impossibilità del giudice penale di superare il regime probatorio che in temi di costi rilevanti per l’iva è previsto in sede UE (che impone che la prova del sostenimento di un costo sia fornita esclusivamente secondo determinate modalità).
58Cfr. Cass., Sez. III, 13/6/2019, n. 26196.
59C. Santoriello, “Regimi tributari di favore e calcolo dell'imposta evasa”, in Fisco, 2019, 9, p. 875 ss..
60Cfr. Cass., Sez. III, 18/1/2019, n. 2342.
61Ai sensi dell'art. 1 del d.lgs. 218/1997 «L'accertamento delle imposte sui redditi e dell'imposta sul valore aggiunto può essere definito con adesione del contribuente» e, a norma dell'art. 2, comma 5, «le sanzioni per le violazioni concernenti i tributi oggetto dell'adesione commesse nel periodo d'imposta, nonché per le violazioni concernenti il contenuto delle dichiarazioni relative allo stesso periodo, si applicano nella misura di un terzo del minimo previsto dalla legge, ad eccezione di quelle applicate in sede di liquidazione delle dichiarazioni ai sensi dell'articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dell'articolo 60, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, nonché di quelle concernenti la mancata, incompleta o non veritiera risposta alle richieste formulate dall'ufficio».
62E. Manoni, “L'imposta definita in adesione vincola il giudice penale”, in Fisco, 2018, 41, p. 3963 ss.
63A. Magagnoni, “Irrilevante la definizione con adesione nel processo penale tributario”, in Fisco, 2019, 3, p. 272 ss..
64C. Santoriello, “Accertamento per adesione irrilevante per il calcolo dell'imposta evasa in sede penale”, in Fisco, 2018, 12, p. 1185.
65Che, presupponendo una fedele dichiarazione cui consegua soltanto l'omesso versamento dell'imposta dovuta, non sono punibili se l'integrale pagamento del debito tributario, comprensivo anche di sanzioni ed interessi, pur se intervenuto a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.
66Cfr. Cass., Sez. III, 9/11/2018, n. 51038.
67Ibidem.
68Cfr. Cass., Sez. III, 10/1/2013, n. 1256.
69C. Santoriello, “Accertamento per adesione irrilevante per il calcolo dell'imposta evasa in sede penale”, cit., 2018, 12, p. 1185.
70F. Tesauro, “Istituzioni di diritto tributario. Parte generale”, cit., p. 342.
71Cfr. Cass., Sez. III, 9/11/2018, n. 51038, cit..
72 Cfr., ex multis, Cass., Sez. III, 13/6/2019, n. 26196, cit.
73 Cfr. Cass., Sez. III, 3/12/2018, n. 53980, cit.