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Pubbl. Ven, 8 Mag 2020

La fusione di società e la configurabilità della bancarotta fraudolenta

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Spetrillo Luigi



In tema di reati fallimentari, anche l’operazione di unione per fusione di società in cui il fallimento riguarda solo una delle società trasformate, può costituire condotta distrattiva, in quanto i rapporti giuridici facenti capo a ciascuna società non si estinguono, ma si trasferiscono alla società derivante dalla fusione, quando sia dimostrata, alla stregua di una valutazione ex ante ed in concreto, la pericolosità della stessa operazione di fusione per la società poi fallit. Nota a sentenza Corte di Cassazione, sez. V Penale, 10 marzo 2020 n. 9398.


The Court of Cassation states that even the merger by union is possible the configuration of the crimes of bankrupcty against the directors of the bankrpct company.

Sommario: 1) Gli istituti tipici del diritto civile e la bancarotta fraudolenta; 2) Cenni sull’istituto della fusione; 3) La decisione della Suprema Corte.

1. Gli istituti tipici del diritto civile e la bancarotta fraudolenta.

La sentenza in commento offre un’occasione interessante per una riflessione sul possibile utilizzo di schemi ed istituti del diritto civile per la realizzazione della condotta materiale di bancarotta fraudolenta patrimoniale ex art. 216 co 1 n. 1) l.fall.

La bancarotta costituisce il più classico dei reati fallimentari[1], e nelle sue molteplici articolazioni costituisce certamente il reato fallimentare per antonomasia[2].

La normativa fallimentare, la giurisprudenza e la dottrina propongono numerose distinzioni all’interno della fattispecie di bancarotta, adottando diversi criteri di classificazione: bancarotta fraudolenta o bancarotta semplice[3]; bancarotta propria o impropria[4]; bancarotta patrimoniale documentale e preferenziale[5]; bancarotta pre-fallimentare o post-fallimentare[6].

Di particolare importanza, anche in relazione alla Sentenza in commento, è la bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui agli artt.. 216 co 1 n. 1 l.fall. e 223 l. fall.

Tutte le condotte suindicate  hanno lo scopo di causare una diminuzione del patrimonio del fallito in danno dei suoi creditori; una diminuzione che  può essere sia fittizia che effettiva[7].

La diminuzione fittizia è ottenuta mediante le seguenti condotte: distrazione, occultamento e dissimulazione dei beni[8].

In questo caso, i beni fuoriescono dal patrimonio del fallito ma non sono distrutti; pertanto, essi potranno essere recuperati dalla Curatela mediante l’esercizio di azioni giudiziarie, come per esempio l’azione revocatoria ordinaria o fallimentare.

A tali condotte, si uniscono anche le ipotesi di esposizione o riconoscimento di attività passive, dal momento che la diminuzione del patrimonio può essere simulata non solo facendo scomparire beni ed attività, ma anche facendo figurare passività che non esistono[9].

Viceversa, le ipotesi di distruzione o di dissipazione dei beni configurano una diminuzione effettiva del patrimonio, dal momento che dalla loro esecuzione consegue una diminuzione effettiva e non apparente della garanzia patrimoniale dei creditori[10].

In particolare, la bancarotta distrattiva consiste nella condotta di chi distolga il bene del fallito dalla sua doverosa destinazione, rendendolo così inidoneo alla funzione di garanzia a cui è giuridicamente vincolato[11].

Nella distrazione, più precisamente, devono essere ricompresi tutti quegli atti con cui il soggetto attivo determini l’estromissione irreversibile e definitiva dei beni dal patrimonio del fallito o anche la loro destinazione ad uno scopo diverso da quello dell’impresa[12].

Tale condotta può essere realizzata anche facendo ricorso a schemi tipici del diritto privato e del diritto commerciale che, seppur astrattamente idonei a realizzare scopi leciti, vengono in concreto piegati al perseguimento di finalità illecite, come per es. nel caso del contratto di affitto di azienda[13], la cessione del ramo di azienda[14], costituzione di un fondo patrimoniale[15]. la risoluzione contrattuale[16], l’istituzione di un trust[17] nonché la scissione societaria[18].

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione si è interrogata anche sulla problematica dell’utilizzabilità o meno dell’istituto della fusione societaria per la realizzazione della condotta di bancarotta fraudolenta.

2. Cenni sull’istituto della fusione.

La fusione è l’unificazione di due o più società in una sola e tale risultato può essere conseguita mediante due modalità: la fusione in senso stretto e la fusione per incorporazione[19].

La fusione in senso stretto consiste nella costituzione di una nuova società, che prende il posto di tutte le società che si fondono.

Viceversa, nel caso della fusione per incorporazione si ha l’assorbimento di una società (società incorporata) in una o più altre società (società incorporante).

La dottrina, a sua volta, distingue tra “fusione per incorporazione diretta, cioè quando la società controllante incorpora la società controllata, e “fusione per incorporazione inversa”, quando è la controllata ad incorporare la controllante[20].

La fusione è disciplinata dagli artt. 2501 e ss cc, norme modificate già nel 1991 con il d.lgs n. 22 del 16.01.1991, in attuazione della terza e della seste direttiva CEE in materia societaria[21], ed ulteriormente riviste con la riforma del diritto societario del 2003[22].

L’operazione di fusione può aver luogo sia tra società dello stesso tipo (fusione omogenea), sia fra società di tipo diverso (fusione eterogenea)[23], ma anche tra  società ed enti di tipo diverso, tenendo sempre ferme le disposizioni di cui agli artt. art. 2500 septies cc (trasformazione di una società di capitali in un’associazione non riconosciuta o di una fondazione) e 2500 octies cc (trasformazione di una associazione riconosciuta o di una fondazione in una società di capitali).

La partecipazione alla fusione non è consentita alle società che si trovano in stato di liquidazione e che abbiano già iniziato la distribuzione dell’attivo, ai sensi dell’art. 2501 co 2 cc, salvo che alla fusione partecipino solo società con capitale rappresentato da azioni, ai sensi dell’art. 2505 quater cc.

Il procedimento di fusione si articola in tre fasi essenziali: il progetto di fusione, la delibera di fusione e l’atto di fusione.

Alle tre fasi essenziali può poi aggiungersi una eventuale che è quella dell’opposizione dei creditori sociali che si colloca nella fase intermedia tra la delibera di fusione e la stipulazione dell’atto di fusione.

Il progetto di fusione è un documento redatto dagli amministratori, ai sensi dell’art. 2501 – ter cc, nel quale devono essere descritte, sulla base delle trattative intercorse, le condizioni e le modalità dell’operazione da sottoporre all’approvazione dell’assemblea.

A tale documento si accompagnano anche la situazione patrimoniale (art. 2501 – quater cc), la relazione degli amministratori (art. 2501 – quinquies cc) e la relazione degli esperti (art. 2501 – sexies cc).

Questi documenti, assieme ai bilanci degli ultimi tre esercizi delle società coinvolte nella fusione, devono essere depositati in copia nelle sedi di ciascuna società partecipanti durante i trenta giorni che precedono l’assemblea dei soci e la delibera finale, come prescritto dall’art. 2501 – septies cc.

La fusione è poi approvata dall’assemblea di ciascuna società partecipante mediante votazione favorevole al progetto di fusione, salvo la possibilità di apportare delle modifiche che però non incidano sui diritti dei soci o dei terzi (art. 2502 co 2 cc).

Le delibere assembleari di fusione, assieme ai documenti previsti dall’art. 2501-septies cc, devono essere iscritte nel registro delle imprese, previo controllo di legalità da parte del notaio verbalizzante, qualora la società risultante dalla fusione sia una società di capitali.

La fusione potrà essere attuata solo dopo che siano trascorsi sessanta giorni - trenta se alla fusione non partecipano società azionarie - dall’iscrizione nel registro delle imprese dell’ultima delibera delle società che vi partecipano, ai sensi del’art. 2503 cc[24].

La proposizione dell’opposizione sospende l’attuazione della fusione fino all’esito del giudizio innanzi al Tribunale ordinario, Sezione Specializzata in Materie di Imprese.

Qualora non vi sia proposizione dell’opposizione, oppure la relativa opposizione sia rigettata o dichiarata inammissibile, il procedimento di fusione si conclude con la stipulazione dell’atto di fusione ex art. 2504 cc, da parte dei legali rappresentanti delle società interessate, che così danno attuazione alle relative delibere assembleari.

Autorevole dottrina identifica la fusione come uno strumento di concentrazione delle società, che consente alle stesse di ampliarne la dimensione e la competitività del mercato ed in questa prospettiva è agevolata sotto diversi profili dalla legislazione tributaria[25].

La fusione inoltre è uno strumento che dà luogo ad una concentrazione giuridica e non solo economica, come avviene per esempio nel caso dei gruppi di società[26]

Quanto ai suoi effetti giuridici, la fusione determina la riduzione ad unità dei patrimoni delle singole società e la confluenza dei soci in un’unica compagine sociale nonché in una nuova struttura organizzativa ed aziendale, con conseguente estinzione di quelle preesistenti.

Ciò non comporta però anche la definizione dei rapporti fra i soci.

Ed invero, il Legislatore, all’art. 2504 –bis co 1 cc, ha espressamente sancito che le società incorporante o risultante dalla fusione "assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione."

Pertanto, i creditori sociali anteriori alla fusione non rimarranno senza tutela, in quanto potranno far valere i loro diritti sull’unitario patrimonio derivante dalla fusione.

A loro volta, i soci delle società estinta diventeranno soci dell’incorporante o della nuova società e ricevono in cambio della loro originaria partecipazione delle nuove quote o azioni, sulla base di un predeterminato rapporto di cambio.

Pertanto la fusione, nei confronti dei soci, non determina l’estinzione del contratto sociale ma la sua continuazione, anche se l’attuazione dello stesso prosegue per tutti in un’unica società ed attraverso una rinnovata ed unitaria struttura organizzativa.

Sulla scorta di queste disposizioni normative, la dottrina commerciale più autorevole esclude che la fusione configuri una vicenda estintiva delle società incorporate, in quanto la stessa non si risolve in un fenomeno successorio, assimilabile a quanto avviene per le persone fisiche in caso di loro morte[27].

La fusione, più correttamente, si inquadra tra le vicende modificative dell’atto costitutivo delle società partecipanti[28], la cui funzione risiederebbe non già nell’estinzione degli enti partecipanti, ma nella modifica e nel rafforzamento dell’assetto organizzativo attraverso la sintesi di due o più soggetti[29].

La fusione pertanto, come sostenuto anche dalle Cassazione, si risolve in una vicenda meramente evolutiva-modificativa del medesimo soggetto giuridico[30] comporta il venir meno di alcune o di tutte le società partecipanti alla stessa come soggetti giuridici autonomi (effetto estintivo);  la sostituzione avviene però senza che si determini alcuna soluzione di continuità fra i rapporti pregressi e quelli successivi.

Ed è proprio questa conciliazione normativa fra continuità ed estinzione in cui risiede l’essenza dell’istituto della fusione: assume così una dimensione mediana tra semplice modificazione dell’assetto organizzativo delle società partecipanti e trasferimento universale del patrimonio in favore della società risultante dalla fusione medesima.

3. La decisione della Corte di Cassazione.

La vicenda al vaglio della Suprema Corte prende le mosse da un ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Roma, che aveva rigettato l’impugnazione proposta avverso un’ordinanza applicativa della misura degli arresti domiciliari emessa in relazione a plurimi episodi di bancarotta fraudolenta.

La società amministrata dall’indagato, poco prima della sua dichiarazione di fallimento, era stata interessata da un’operazione di fusione per unione con un’altra società, con costituzione di un soggetto ex novo.

L’operazione di fusione societaria era stata ritenuta dagli inquirenti come un’operazione distrattiva realizzata in danno dei creditori, in quanto la trasformazione societaria mediante fusione, così come sostenuto dal PM, determinerebbe sempre una sottrazione di beni alla garanzia patrimoniale.

Avverso la decisione l’indagato proponeva plurimi motivi di ricorso.

Per quanto riguarda il profilo della vicenda attinente la fusione societaria, la difesa contestava l’assunto secondo cui l’operazione di fusione determinerebbe sempre una diminuzione della garanzia patrimoniale dei debitori.

Il Riesame, infatti, prosegue l’indagato, non aveva tenuto conto di come l’operazione di fusione fosse intervenuta fra società facenti parte del medesimo gruppo e che per altro, la società fallita deteneva al 100% le quote della società con cui si era unita.

Il ricorrente rilevava altresì che l’art. 2504 – bis cc,  nel prevedere la conservazione dell'identità delle società coinvolte nell'operazione, oltre ad escludere ogni effetto depressivo, è altresì ostativo alla dichiarazione di fallimento, avverso cui era stata proposta anche richiesta di revoca.

Inoltre, la difesa evidenziava i benefici compensativi derivanti dalla fusione, in quanto i creditori, a seguito dell’operazione societaria, potevano disporre di patrimonio unitario (derivante dall'attivo dei patrimoni delle due società interessata alla fusione), come effettivamente avvenuto attraverso l'assunzione del debito erariale da parte della società sorta dall’unione.

Il gravame proposto è stato accolto in toto dalla Suprema Corte.

La Cassazione, infatti, ha accolto le censure formulate dalla difesa in ordine alla natura presuntivamente distrattiva della fusione societaria, così come erroneamente sostenuto dall’ordinanza del Riesame.

La Suprema Corte, in primo luogo, ha ricordato che le operazioni societarie di fusione per incorporazione, per giurisprudenza costante, possono astrattamente integrare un’ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale a carico degli amministratori e dei concorrenti esterni della società incorporata anche in relazione a condotte illecite riguardanti quest’ultima e commesse prima della fusione, in quanto i rapporti giuridici facenti capo all’incorporata non si estinguono, ma si trasferiscono alla società incorporante.

La fusione, in quanto frutto delle scelte degli organi societari, impone ai medesimi di valutare il complesso dell'operazione anche sotto l'aspetto del rischio derivante dalle condizioni finanziarie negative della società incorporata e la possibilità della società incorporante di farvi fronte per evitare la verificazione dello stato di dissesto sottolineandosi la necessità di verifica del pericolo concreto di propagazione dell'effetto depressivo sulla società derivante dalla fusione.

Tale valutazione degli organi societari si fonda sul disposto dell’art. 2504 – bis cc che – come anche esposto al paragrafo 2 – prevede che la società risultante dalla fusione, sia per incorporazione che per unione, assume i diritti e gli obblighi delle società originarie.

Da ciò consegue un’operazione di fusione non comporta ma una sterilizzazione delle vicende debitoria facenti capo alle società originarie, bensì una loro continuazione, dal momento che i creditori delle società partecipanti alla fusione potranno rivalersi sul soggetto derivante dalla fusione.

Sul punto, inoltre, i giudici penali richiamano anche l’insegnamento della Cassazione Civile, secondo cui la fusione si risolve in una vicenda non estintiva ma evolutiva modificativa che comporta un mutamento formale di un’organizzazione sociale già esistente, ma non la creazione di un nuovo ente distinto dal vecchio.

La ricostruzione della fusione sul piano civilistico si sposa inoltre con le considerazioni sviluppate dalle Sezioni Passarelli del 2016, secondo cui, una volta intervenuta la sentenza dichiarativa di fallimento, i fatti pregiudizievoli dei creditori assumono rilevanza penale, indipendentemente da quando siano stati commessi, purché abbiano esposto a pericolo le ragioni dei creditori[31].

Da ciò ne consegue che i componenti degli organi di amministrazione o di controllo delle società partecipanti alla fusione potranno essere perseguiti penalmente, ai sensi dell’art. 223 l.fall., qualora intervenga la sentenza dichiarativa di fallimento di una delle società coinvolte nella fusione.

Il quadro normativo così delineato assume una duplice valenza: da un lato si vuole assicurare la punibilità dei componenti degli organi societari, e quindi la tutela penale delle ragioni creditorie, e dall’altro lato si devono evitare facili elusioni della normativa fallimentare mediante il ricorso a schemi giuridici del diritto commerciale.

Sul punto la Cassazione ha già precisato che qualunque negozio traslativo e qualunque operazione societaria può assumere valenza distrattiva o dissipativa.

Inoltre, in relazione a tali condotte criminose non è  neppure necessario accertare il nesso di causalità tra le condotte contestate, poste in essere durante l'esercizio di una delle imprese trasformate, e il dissesto o il fallimento della stessa, dal momento che, salvo i casi di bancarotta fraudolenta impropria ex art. 223 co 2 n.2, non è richiesto un nesso causale tra le condotte di bancarotta e la dissoluzione della società.

Il delitto di bancarotta distrattiva, infatti, è una fattispecie di pericolo concreto a dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria né la volontà di cagionare il fallimento, né la consapevolezza dello stato di dissesto, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di conferire al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.

I suddetti principi valgano sia nel caso in cui la società non abbia subito modifica nel corso della sua storia, sia quando la stessa sia stata oggetto di fenomeni evolutivi-modificativi,come per esempio un fusione.

Ne consegue che l’eventuale dichiarazione di fallimento di una delle società incorporate con le altre determinerà, qualora ne concorrano le circostanze, anche la punibilità delle condotte poste in essere dagli altri amministratori.

In tal caso, la fusione di una società gravata da note passività o da obbligazioni insolute costituisce pertanto – nel concorso delle altre condizioni di legge – condotta distrattiva, una volta che sia stato accertato previa verifica, ex ante ed in concreto, l'effetto che tale operazione è idonea a produrre in termini di riduzione della garanzia patrimoniale di una delle società coinvolte.

Occorre, dunque, accertare la potenziale rilevanza depressiva degli effetti della fusione societaria, tanto nella forma per incorporazione che per unione, con l’implicazione, nell’ultimo caso essa andrà commisurata.

In conseguenza di ciò la Corte di Cassazione ha elaborato il seguente principio di diritto:

In tema di reati fallimentari, anche l’operazione di unione per fusione di società in cui il fallimento riguarda solo una delle società trasformate, può costituire condotta distruttiva, in quanto i rapporti giuridici facenti capo a ciascuna società non si estinguono, ma si trasferiscono alla società derivante dalla fusione, quando sia dimostrata, alla stregua di una valutazione ex ante ed in concreto, la pericolosità della stessa operazione di fusione per la società poi fallita.

A tali principi non si è certo attenuto il Tribunale del Riesame, il quale, pur riconoscendo la configurabilità in astratto di una condotta di bancarotta mediante una fusione, ha omesso di verificare la concreta pericolosità della fusione per i creditori della società incorporata.

Il giudice di merito, infatti, non aveva tenuto conto del disposto dell’art. 2504 –bis cc che prevede la continuità, in capo alla società derivante dall’operazione di fusione, dei precedenti rapporti giuridici di cui la società incorporata era titolare.

La sentenza ha quindi il merito di ribadire un principio fondamentale e cioè che nel processo penale non può darsi luogo ad automatismi o ad accertamenti di carattere presuntivo, in quando il Giudice dovrà effettuare una valutazione in concreto della singola fattispecie.

[1] ANTOLISEI, Manuale di diritto penale – Leggi Complementari, Vol. II  Reati fallimentari. Reati ed illeciti amministrativi in materia tributaria, di lavoro, ambientale ed urbanistica. Responsabilità degli Enti. XIV Ed. a cura di C.F. Grosso, Milano 2018, 22.

[2] Così PEDRAZZI, Reati fallimentari, in PEDRAZZI, ALESSANDRI, FOFFANI, SEMINARA, SPAGNOLO, Manuale di diritto penale dell’impresa. Parte generale e reati fallimentari, Bologna 2003, 101.

[3] La distinzione opera in ragione della maggiore (bancarotta fraudolenta) o minore (bancarotta semplice) intensità oggettiva e soggettiva della condotta criminosa.

[4] La differenza attiene alla qualifica del soggetto attivo del reato. Nella bancarotta propria il soggetto attivo principale è l’imprenditore commerciale dichiarato fallito, così come individuato dal combinato disposto degli artt. 2082 e 2195 cc ed 1 l.Fall. Viceversa, ai sensi degli artt. 223 e 224 l.fall, gli autori del reato di bancarotta impropria sono i soggetti diversi dall’imprenditore fallito, e cioè gli amministratori, i sindaci ed i liquidatori mentre l’art. 227 l.fall. si occupa dei fatti di bancarotta commessi dall’institore.

[5] Si distingue in base all’oggetto su cui ricade la condotta criminosa nonché delle modalità di realizzazione della stessa.

La bancarotta patrimoniale prevista dagli artt. 216 punisce la condotta  chi abbia distratto, occultato, dissimulato, distrutto, dissipato in tutto o in parte, i propri beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, abbia esposto o riconosciuto passività inesistenti.

La bancarotta documentale si sostanzia nella condotta di chi abbia sottratto – distrutto – falsificato in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o recare pregiudizio ai creditori, i libri, le altre scritture contabili o li abbia tenuti in modo da non rendere possibile la distruzione o del movimento degli affari.

La bancarotta preferenziale consiste nella realizzazione di condotte delittuose che ledono interesse dei creditori alla distribuzione del patrimonio secondo le regole del par condicio. Il fatto punito non è genericamente diretto a frodare i creditori bensì solo diretto a favorire taluno.

[6] In questo caso la differenza cade sul momento commissivo delle condotte di bancarotta, qualora le stesse siano avvenute prima (pre-fallimentare) o dopo (post – fallimentare) la dichiarazione di fallimento.

[7] ANTOLISEI, Manuale di diritto penale – Leggi Complementari, Vol. II  Reati fallimentari. Reati ed illeciti amministrativi in materia tributaria, di lavoro, ambientale ed urbanistica. Responsabilità degli Enti. XIV Ed. a cura di C.F. Grosso, Milano 2018, 22

[8] Ibidem.

[9] Ibidem.

[10] Ibidem.

[11] PEDRAZZI, Reati fallimentari, in PEDRAZZI, ALESSANDRI, FOFFANI, SEMINARA, SPAGNOLO, Manuale di diritto penale dell’impresa. Parte generale e reati fallimentari, Bologna 2003, 101. 

[12] D’AVIRRO – DE MARTINO, La bancarotta fraudolenta, Milano, 2018, 56.

[13] Cass. Pen. Sez. V, 13.09.2017 n. 44901.

[14] Cass. Pen. Sez V, 14.05.2018, n. 34464.

[15] Cass. Pen. Sez. V, 9.04.2008, n. 27890.

[16] Cass. Pen. SS.UU, 28.02.2019, n. 28910, nello specifico, la Cassazione ha ritenuto che integra bancarotta la  risoluzione, nell'imminenza della dichiarazione di fallimento, di un contratto di compravendita con patto di riservato dominio, cui segua la consegna al venditore dei beni acquistati, rientrando anch'essi nel complesso dei rapporti giuridici economicamente valutabili facenti capo all'imprenditore.

[17] Cass. Pen. Sez. V, 04.12.2018, n. 5855.

[18] Cass. Pen. Sez V, 10.04.2015, n. 20370.

[19] G.F.Campobasso, Diritto Commerciale, 2. Diritto delle società, Vol. II, A cura di M. Campobasso, Utet Giuridica, Torino, 2011.

[20] A. Giannelli, in Riv. Soc. 2008, 1155 ss.

[21] In esecuzione della terza direttiva 78/855/CEE, il decreto in parola ha ampliato la disciplina della fusione, che prima era limitata a solo due fasi: delibera di fusione e atto di fusione. Con la riforma del 1991 è stato introdotto lo schema disciplinare attualmente presente, articolato in: fase c.d. “preparatoria” o di redazione del progetto di fusione; delibera di fusione; atto di fusione.

[22] La riforma del diritto societario del 2003 ha consentito la partecipazione alla fusione alle società sottoposte a procedure concorsuali (art. 2501, co 2 cc); ha previsto una limitata facoltà di modifica del progetto di fusione in sede di approvazione (art. 2502, co 2, cc.); ha previsto ipotesi di delibera della fusione da parte dell’organo amministrativo (artt. 2505, co 2 e 2505 bis, co2, cc); ha semplificato il procedimento nel caso in cui non vi partecipino società per azioni (art. 2505 quater, cc); ha indicato i criteri di redazione del primo bilancio successivo (art. 2504 bis, co 4, cc) ed infine ha introdotto nel nostro ordinamento la fattispecie della fusione a seguito di acquisizione con indebitamento – c.d. leveraged buy out (art. 2501 bis, co 1 cc), e cioè la fusione a seguito di acquisizione, con indebitamento contratto per acquistare il controllo della società con cui poi ci si fonde.

[23] In questo caso la fusione fra società eterogenee( ad esempio l’incorporazione  di una snc o di una srl in una spa) comporta anche la trasformazione di una o più società che si fondono.

[24] L’art. 2503 cc prevede che il rispetto dei termini della fusione non è però necessario qualora vi sia il consenso di tutti i rispettivi creditori anteriori alla pubblicazione del progetto di fusione, oppure vi sia il pagamento dei creditori che non hanno dato il loro consenso o il deposito delle somme corrispondenti presso un istituto di credito.  Il termine di opposizione potrà altresì essere omesso quando la relazione degli esperti sia stata redatta per tutte le società da un’unica società di revisione la quale asseveri, sotto la propria responsabilità, che la situazione patrimoniale e finanziaria della società partecipanti alla fusione non rende necessarie le garanzie per i creditori.

[25] G.F.Campobasso, Diritto Commerciale, 2. Diritto delle società, Vol. II, A cura di M. Campobasso, Utet Giuridica, Torino, 2011.

[26] C.Santagata, La fusione tra società, 93 e ss

[27] Favorevoli alla tesi dell’assimilabilità della fusione alla successione mortis causa: D’Alessandro, GC 07, I, 2501; Oppo, RDC 91, II, 505.

[28] Gli esponenti più autorevoli di questo orientamento sono C. SANTAGATA, Le fusioni, in Trattato Colombo-Portale, VII, 2, 1, Torino, 2004, pp. 41 ss.; E. SIMONETTO, Della trasformazione e della fusione, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1965, pp. 99 ss.; G. TANTINI, op. cit., pp. 275 ss.; G. MARASÀ, Modifiche del contratto sociale e modifiche dell’atto costitutivo, in Trattato, Torino, 1993, pp. 24 ss.; F. FERRARA, F. CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 2001, p. 819; A. SERRA, La trasformazione e la fusione delle società, in Trattato Rescigno, Torino, 1995, p. 346.

[29] F.M. Sbarbaro, Brevi riflessioni sulla natura giuridica della fusione di società.

[30] Cass. Civ. SSUU  8.02.2006, n. 2637 "Ai sensi del nuovo art. 2506 – bis cc, conseguente alla riforma del diritto societario (d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), la fusione tra società non determina, nelle ipotesi di fusione per incorporazione, l'estinzione della società incorporata, nè crea un nuovo soggetto di diritto nell'ipotesi di fusione paritaria, ma attua l'unificazione mediante l'integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione, risolvendosi in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo. Deve pertanto escludersi che la fusione per incorporazione determini l'interruzione del processo ai sensi dell’art. 300 cpc."

Sul punto si segnala anche la nota di Fabrizio Faustini “Effetti processuali della fusione di società. la natura evolutivo-modificativa dell’operazione non determina l’interruzione del processo”  in Nuova Giur. Civ., 2007, 2, 10199.
Cass. Civ. Sez. III, 23.06.2006, n. 14526: "A seguito della nuova formulazione dell'art. 2504 bis cod. civ., introdotta per effetto del d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2004), in base al cui primo comma la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali anteriori alla fusione, la fusione configura una vicenda meramente evolutivo-modificativa del medesimo soggetto giuridico (allo stesso modo di quanto avviene con la trasformazione), senza la produzione di alcun effetto successorio ed estintivo, con la conseguenza che essa, implicando ora anche la continuità nei rapporti processuali, non comporta più, a norma degli artt. 110, 299 e 300 cpc, interruzione del processo in cui sia parte una società partecipante, per l'appunto, ad una fusione."

Sul punto si segnalano anche le note alla sentenza suindicate di Claudio Consolo “Bram Stoker e la non interruzione per fusione ed “estinzione” societaria (a proposito di gradazioni sull’“immortalità)” e di Edoardo F. Ricci “Gli effetti della fusione di società sul processo pendente” entrambe pubblicate su Riv. Dir. Proc., 2007, 1, 177

L’indirizzo assunto dalla Cassazione nel 2003 è stato altresì confermato anche Cass. Civ. Sez. I, 3.05.2010, n. 10653

[31] Cass. Pen. SS.UU 31.03.2016, n. 22474.


Note e riferimenti bibliografici