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Pubbl. Gio, 30 Apr 2020

Il regolamento condominiale può imporre limiti e divieti ai proprietari delle singole unità immobiliari

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Valeria Lucia



La Sesta Sezione della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27257, pubblicata il 24 ottobre 2019, ha confermato che il regolamento condominiale di origine contrattuale - in applicazione dei criteri ermeneutici generali di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c. - può imporre divieti e limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva solo in presenza di espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro ed esplicito, non suscettibili di dare luogo a incertezze.


Sommario: 1. La fonte delle limitazioni alla proprietà individuale: distinzione tra regolamento assembleare e regolamento contrattuale. 2. La natura giuridica delle limitazioni alla proprietà individuale. 3. I fatti di causa e le ragioni della decisione in esame. 4. Il principio di diritto ricavabile dall’ordinanza n. 27257/2019.

1. La fonte delle limitazioni alla proprietà individuale: distinzione tra regolamento assembleare e regolamento contrattuale

Prima di procedere all’esame dei fatti di causa e delle ragioni della decisione adottata dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27257/2019, è necessario individuare le fattispecie giuridicamente rilevanti, anche con il contributo della giurisprudenza di riferimento.

Il termine ‘condominio’ identifica la presenza di una particolare forma di comunione su un determinato bene immobile. La particolarità, per cui si parla di condominio e non di comunione in generale, è dovuta alla contemporanea presenza di parti del bene immobile di proprietà esclusiva e, allo stesso tempo, in comproprietà tra un determinato numero di soggetti, cosiddetti ‘condomini’.

A livello pratico, l’esempio più diffuso di condominio è quello delle parti comuni di un fabbricato in capo ai proprietari delle singole unità immobiliari presenti nello stesso fabbricato.

A livello teorico, il codice civile dedica le seguenti disposizioni alla fattispecie del condominio: quelle presenti nel Libro III, relative alla proprietà, e, in particolare, sempre nel Libro III, quelle presenti nel Titolo VII – Capo II, dedicate alla comunione, con riferimento al "condominio negli edifici".

Chiarita la definizione di condominio, ai fini che qui rilevano, meritano un approfondimento gli strumenti con cui i condomini possono regolare tra loro i rapporti, ovvero i regolamenti condominiali.

Il nostro ordinamento distingue i regolamenti condominiali in base alla fonte che, infatti, può essere assembleare o contrattuale.

Preliminarmente all’esame delle due tipologie regolamentari, è bene chiarire che, ai sensi dell’art. 1138, primo comma c.c., l’adozione del regolamento di condominio è obbligatoria “quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci” [1] per disciplinare i seguenti rapporti tra i condomini: l’uso delle cose comuni, ex art. 1117 c.c.; la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino; nonché, le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione.

Quanto alla prima tipologia, il regolamento assembleare, ai sensi dell’art. 1138, secondo comma c.c., per essere valido, deve essere approvato dall’assemblea condominiale con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio e deve essere trascritto nel registro indicato all’ultimo comma dell’art. 1129 c.c.. Il regolamento, infine, è impugnabile da parte dei condomini dissenzienti, ai sensi dell’art. 1107 c.c., entro 30 giorni dall’adozione della deliberazione che lo ha approvato.

Decorsi 30 giorni, in mancanza di impugnazioni, il regolamento ha effetto anche per gli eredi e gli aventi causa dei singoli partecipanti.

L’art. 1138, quarto comma c.c., infatti, ha espressamente previsto che le singole clausole del regolamento di condominio non possono in alcun modo menomare “i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli articoli 1118, secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 2 1137”.

Si tratta delle disposizioni normative relative a: l’impossibilità per il condomino di rinunciare al suo diritto sulle parti comuni (art. 1118, secondo comma c.c.); l’indivisibilità delle parti comuni (art. 1119 c.c.); le innovazioni (art. 1120 c.c.); la nomina e la revoca e gli obblighi dell’amministratore (art. 1129 c.c.); la rappresentanza del condominio in capo all’amministratore (art. 1131 c.c.); il dissenso dei condomini rispetto alle liti (art. 1132 c.c.); la costituzione dell’assemblea e validità delle delibere (art. 1136 c.c.); le impugnazione delle delibere (art. 1137 c.c.).

In altre parole, qualora il regolamento assembleare dovesse violare i limiti imposti dall’art. 1138, quarto comma c.c., stante la sua espressa natura inderogabile, prevarrebbe comunque la disposizione normativa rispetto a quella regolamentare.

Il codice civile, invece, in caso di regolamento contrattuale, ammette che le disposizioni regolamentari ivi presenti possano derogare alle disposizioni normative.

Al regolamento contrattuale, evidentemente, si applicano le norme del codice civile dedicate alla disciplina dei contratti in generale.

Per essere valido, il regolamento contrattuale deve essere adottato all’unanimità e, quindi, sottoscritto da tutti i partecipanti al condominio.

Nella pratica, il regolamento contrattuale è quello sottoscritto inizialmente dal costruttore, proprietario originario del fabbricato, allegato al contratto di compravendita con i singoli acquirenti delle unità immobiliari presenti nel fabbricato stesso.

L’art. 1326 c.c., relativo alla “conclusione del contratto”, infatti, impone un distinguo tra due procedimenti di adozione: quello interno, in caso di approvazione con assemblea totalitaria, e quello esterno, predisposto dall’originario proprietario unico (il costruttore) successivamente accettato dai singoli proprietari all’atto di compravendita delle singole unità immobiliari.

Il contenuto del regolamento contrattuale è rimesso alla volontà delle parti, in linea con l’art. 1322 c.c. che, come anticipato, solo attraverso il regolamento contrattuale possono derogare ad alcune disposizioni normative in materia di condominio, e quindi, in via esemplificativa, quelle relative alla possibilità di: determinare il contenuto del diritto di proprietà di ciascun condomino; stabilire criteri di ripartizione delle spese diversi da quelli legali (art. 1123, primo comma c.c.); derogare alla disciplina dispositiva in materia di perimento dell’edificio (art. 1128, primo comma c.c.); sopraelevazione (art. 1127 c.c.); parti comuni (artt. 1127 e 1118 c.c.).

Il regolamento contrattuale essendo, a tutti gli effetti, un vero e proprio contratto, capace di incidere sull’oggetto o sul contenuto del diritto di proprietà di ciascun partecipante, per essere valido, oltre alla sopra indicata necessità che venga adottato all’unanimità, come pure è evidente, deve essere stipulato in forma scritta (art. 1350 c.c.). Inoltre, ai fini della opponibilità ai successivi aventi causa, deve essere reso pubblico mediante trascrizione (art. 2643 c.c.) o approvato dall’acquirente al momento della compravendita dell’unità immobiliare facente parte del condominio[2].

Con particolare riferimento alle limitazioni dei diritti di proprietà dei singoli partecipanti, queste sono legittime nella misura in cui la volontà delle parti risulti conforme a quanto previsto dall’art. 1322 c.c., dovendo rispettare “i limiti imposti dalla legge” e dovendo realizzare “interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”.

In applicazione delle regole generali dei contratti, l’interpretazione delle singole clausole del regolamento dovrà essere condotta secondo gli artt. 1362 e 1363 c.c., per cui, rispettivamente: è essenziale “indagare la reale intenzione delle parti”, anche in considerazione del loro comportamento postumo, senza perciò fermarsi al senso letterale delle singole espressioni e, in secondo luogo, le clausole devono essere interpretate sistematicamente, ovvero, leggendo “le une per mezzo delle altre”.

Chiarita la diversa fonte, assembleare o contrattuale, del regolamento di condominio, ai fini che qui rilevano, è dirimente nella pratica fare riferimento al solo regolamento condominiale di origine contrattuale, dal momento che, rispetto al tema delle limitazioni alla proprietà esclusiva, è l’unico strumento con cui è legittimo prevedere una disciplina speciale rispetto alle regole ordinarie in materia di condominio.

2. La natura giuridica delle limitazioni alla proprietà individuale

Dalla disamina appena svolta della fonte, assembleare o contrattuale, del regolamento condominiale, è quindi chiaro che nel regolamento condominiale, oltre alla mera gestione dei beni condominiali ex art. 1117 c.c., possono essere presenti anche delle clausole, di origine obbligatoriamente convenzionale, che incidono, comprimendoli, sui diritti di proprietà esclusiva dei partecipanti.

Tali clausole si contraddistinguono per i seguenti aspetti:

- quanto alle modalità, devono essere adottate con il regolamento predisposto dal costruttore, quale proprietario originario del fabbricato, oppure successivamente, con apposita delibera dell’assemblea condominiale, all’unanimità dei partecipanti al condominio;

- quanto alla validità, devono essere individuate nel regolamento contrattuale in modo chiaro ed espresso, posto che l’estensione e le modalità del suo esercizio, non potendo che essere desunte dal regolamento, impongono che lo stesso sia completo di tutti gli elementi necessari a individuare il contenuto oggettivo del peso, rendendo inevitabilmente e correttamente inefficaci tutte le ‘clausole cosiddette di stile’.

Quanto alla natura giuridica di tali pesi e limitazioni convenzionalmente previsti dai partecipanti, ben può individuarsi con quella di una ‘servitù convenzionale reciproca atipica’. Convenzionale, perchè trae origine dall'accordo tra le parti. Reciproca, nella misura in cui è posta nello stesso tempo a carico e a favore di ogni unità immobiliare facente parte del condominio, o anche solo di una singola unità. Atipica, in quanto incide sia sull’estensione che sulle modalità di esercizio del diritto di proprietà privata di ciascun condomino.

Ciò in quanto il diritto del condomino di usare, godere e disporre dei beni condominiali, come delle unità immobiliari di proprietà esclusiva, può essere convenzionalmente limitato solo con la costituzione di servitù reciproche[3].

In mancanza di indicazioni chiare ed espresse, nei termini appena indicati, trattandosi di servitù di fonte convenzionale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1063, 1064 e 1065 c.c., trovano applicazione i criteri di legge generali, per cui il diritto di servitù così costituito comprende quanto necessario per farne uso e deve essere esercitato in modo da consentire di soddisfare il bisogno del fondo dominante, senza peraltro impedire al proprietario del fondo servente la realizzazione di opere che non incidano sulla utilitas essenziale determinata dal titolo.

A livello pratico, è un esempio di clausola convenzionale limitativa dei diritti di proprietà dei partecipanti la disposizione regolamentare che limita il diritto di proprietà esclusiva del condominio sulla singola unità immobiliare, impedendogli di apportare modifiche al bene o alla destinazione del bene medesimo, a vantaggio di tutte le altre unità immobiliari facenti parte del condominio.

3. I fatti di causa e le ragioni della decisione in esame

3.1. La decisione di primo grado

Il Tribunale, in accoglimento della domanda proposta dai proprietari-attori, annullava la delibera di assemblea condominiale e, per l’effetto, dichiarava il loro diritto di realizzare una passerella che dal terrazzo di fronte alla porta di caposcala di un appartamento consentiva l’accesso ad altro appartamento.

3.2. La decisione di secondo grado

La Corte d’Appello, adita dal condominio soccombente in primo grado, evidenziava che il diritto reclamato dai proprietari-attori in primo grado non poteva trovare fondamento nella clausola invocata del regolamento condominiale, nella misura in cui quest’ultima, in base ai criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c., non avrebbe potuto essere interpretata nel senso da loro prospettato, senza considerare che, in ogni caso, l’invocata possibilità di realizzare la controversa passerella si poneva in contrasto con le norme civilistiche in materia di condominio.

3.3. La decisione della Corte di Cassazione

Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo di ricorso proposto dai proprietari originari attori, soccombenti in appello, infondato.

Secondo la Corte, l’infondatezza è rinvenibile nel fatto che “il regolamento condominiale di origine contrattuale può imporre divieti e limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in esclusiva proprietà sia mediante elencazione dei attività vietate, sia con riferimento ai pregiudizi che si intende evitare”.

Ammesso ciò in termini generali, la Corte ha evidenziato che, se da un lato con tali clausole è possibile incidere sul diritto di proprietà del singolo condomino, è pur necessario che, in un’ottica di bilanciamento di interessi, “per evitare ogni equivoco in una materia atta a incidere sulla proprietà dei singoli condomini, i divieti ed i limiti devono risultare da espressioni chiare, avuto riguardo, più che alla clausola in sé, alle attività e ai correlati pregiudizi che la previsione regolamentare intende impedire, così consentendo di apprezzare se la compromissione delle facoltà inerenti allo statuto proprietario corrisponda ad un interesse meritevole di tutela (v., per tutte, Cass. n. 956471997 e Cass. n. 19229/2014).”

Ciò è in linea, evidentemente, con il controllo di meritevolezza imposto dall’art. 1322 c.c. sugli interessi perseguiti dalle parti con la conclusione del contratto.

Senza pretese di esaustività su un tema a dir poco complesso, come è quello del giudizio di meritevolezza, è appena il caso di ricordare, quantomeno per una lettura critica dell’ordinanza in esame, che secondo la giurisprudenza di legittimità più recente,. la meritevolezza di cui al secondo comma dell’art.1322 c.c. non si esaurisce nella liceità del contratto, del suo oggetto o della sua causa, essendo, piuttosto, un giudizio che deve investire il risultato con esso perseguito. Risultato che dovrà dirsi immeritevole quando contrario alla coscienza civile, all’economia, al buon costume o all’ordine pubblico. Più in generale, l’immeritevolezza non si identifica con il giudizio di contrarietà a norme imperative, ma discende dalla contrarietà del risultato che il contratto atipico intende perseguire con i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati[4].

4. Il principio di diritto ricavabile dall’ordinanza n. 27257/2019

In applicazione dei criteri ermeneutici generali di cui agli artt. 136 2 e 1363 c.c.,“..i divieti ed i limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro ed esplicito, non suscettibile di dar luogo ad incertezze; pertanto, l'individuazione della regola dettata dal regolamento condominiale di origine contrattuale nella parte in cui impone detti limiti e divieti, va svolta rifuggendo da interpretazioni di carattere estensivo, sia per quanto concerne l'ambito delle limitazioni imposte alla proprietà individuale, sia per quanto attiene ai beni alle stesse soggetti.”

 


Note e riferimenti bibliografici

[1] Ai fini dell’individuazione del numero dei condomini, la dottrina ha chiarito che va calcolato facendo valere per uno i comproprietari della stessa unità immobiliare (A. CELESTE A. SCARPA, Il condominio negli edifici, Milano, 2017, p. 667).

[2] ex multis, Corte di Cassazione, Sez. II Civile, sentenza 19 settembre 2014, n. 19798, per cui “Il regolamento di condominio edilizio predisposto dall’originario unico proprietario dell’edificio è vincolante, purché richiamato ed approvato nei singoli atti di acquisto, sì da far parte per relationem del loro contenuto, per coloro che successivamente acquistano le singole unità immobiliari”) e Corte di Cassazione, Sez. II Civile, sentenza 14 dicembre 1992, n. 13179, per cui “Il regolamento in sé non va trascritto se non nei casi in cui vi siano clausole che – valide sotto il profilo contrattuale – producano gli effetti menzionati dall’art. 2643 c.c., ad esempio limitazioni in ordine al godimento della proprietà esclusiva del singolo condomino; limitazione a taluna soltanto delle facoltà di godimento della proprietà comune”.

[3] In questi termini, Corte di Cassazione, Sez. II Civile, sentenza 9 gennaio 2019 n. 322

[4] ex multis, Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 28 aprile 2017, n. 10506