Pubbl. Mar, 23 Giu 2015
La legge naturale nel pensiero di San Tommaso d’Aquino
Modifica paginaRiflessioni sugli aspetti attuali della filosofia tomistica del diritto.
Quando emergono questioni legate alla bioetica e si registrano interventi della Chiesa cattolica, nelle discussioni che ne seguono si parla molto di diritti naturali, ma si fa poco caso alla diversa origine concettuale tra la concezione laica e quella cattolica. La prima risale, come tutti sanno, alle filosofie giusnaturalistiche dell'età moderna, da Grozio in poi; della seconda non si fa cenno, facendo quasi intendere una origine comune.
Invece non è così: la dottrina della Chiesa fa riferimento alla filosofia del diritto di San Tommaso d'Aquino, che è una parte della Summa Theologiae, lo scritto più importante del santo, che trattò anche di politica nel De regimine principum.
Orbene San Tommaso si rifà al pensiero di autori antichi, sia cristiani che pagani, come Aristotele e Cicerone. In linea di massima questi pensatori partono non solo da un presupposto razionale, come fa Aristotele, ma anche, in particolare Cicerone, che riprende gli Stoici, da un presupposto teologico, cioè appoggiano il diritto ad una legge divina presente nella natura.
Per San Tommaso c'è una legge eterna che scaturisce da Dio, reggitore del tutto. Su di essa si basa la legge naturale che è appunto: "La partecipazione della creatura razionale alla legge eterna".
La legge naturale ha come principo base che è bene ciò che tutti desiderano e quindi "appartiene alla legge naturale tutto ciò che assicura la conservazione della vita dell'uomo e ne impedisce la distruzione". Inoltre è legge naturale ciò che la natura ha insegnato a tutti gli animali.
Le leggi umane devono conformarsi alla legge naturale; si pone allora il problema delle leggi ingiuste, alle quali è lecito disobbedire, a meno che non ne derivi scandalo o pericolo.
Interessante è anche la considerazione che una legge può essere buona nel fine, e chi la emana legittimato ad emanarla, ma se prevede oneri diseguali è da considerare ingiusta.
In ogni caso anche i figli e i servi, essendo gli uomini per natura uguali, non devono obbedire a disposizioni contrarie alla legge divina.
Si comprende quindi perché la Chiesa, per esempio, si oppone all'aborto e invita i medici all'obiezione di coscienza.
Come si vede in San Tommaso d'Aquino c'è una sorprendente modernità nei fondamenti ed anche in talune applicazioni circa la disobbedienza.
Il pensiero moderno giusnaturalistico, pur poggiando esclusivamente sulla ragione umana, senza riferimenti teologici, non va molto oltre su quest'aspetto. Dove, invece, si evidenzia una differenza di fondo è nel discorso sulla libertà religiosa, che nel pensiero medioevale è praticamente assente.
San Tommaso concede agli infedeli una certa liceità nel praticare il loro culto, però è particolarmente duro con gli eretici, cioè coloro che hanno abbandonato la religione cristiana per seguirne un'altra o creare un loro culto alternativo. In questo caso, infatti, poiché si tratta di un errore che riguarda l'anima, che è superiore al corpo, il peccato è molto più grave.
La Chiesa, certamente, prima di condannare deve vagliare attentamente ed ammonire più volte, ma alla fine si prevede per gli eretici la pena di morte.
Siamo nel XIII secolo ed è in atto la dura repressione contro i Catari o Albigesi, che vede in prima linea i Domenicani. Nessuna meraviglia quindi se il domenicano San Tommaso d'Aquino non faccia sconti.
Un'attenuazione di questi concetti si ha, sempre nell'ambito del pensiero medioevale, con Marsilio da Padova (prima metà del XIV sec.). Nel suo Defensor pacis, infatti, Marsilio, che sostiene la sovranità popolare nel fare le leggi ed attribuisce al monarca o a un gruppo di governo solo l'esecuzione, ritiene che debba essere lo Stato a decidere circa gli eretici. Alla Chiesa spetta solo la definizione di eretico e la condanna spirituale; in pratica se espellere o condannare a morte un eretico è decisione dello Stato, cioè del popolo nel suo complesso.
Toccherà ad un altro San Tommaso (San Tommaso Moro) agli inizi del XVI secolo cominciare a prospettare, nel suo libro Utopia, l'idea di tolleranza religiosa, peraltro senza estenderla agli atei. Non siamo ancora al giusnaturalismo moderno, ma ci stiamo arrivando.
Infatti se la base del diritto deve essere solo la ragione che deve individuare diritti e leggi naturali, allora anche per la religione si deve procedere in modo analogo, individuando una religione naturale secondo ragione in cui scompaiono molti riti e dogmi e tutto si risolve in una generica credenza in Dio e nella solidarietà umana.
Ma non è sul piano filosofico che si imporrà la tolleranza religiosa; infatti, solo dopo cruentissime guerre di religione e tante stragi (famosa quella degli Ugonotti denominata Notte di San Bartolomeo) si perverrà all'editto di Nantes di Enrico IV di Borbone, che concederà agli Ugonotti, e solo a loro, la libertà di culto. Quindi l'editto è fortemente limitativo, ma si considera convenzionalmente come un fondamentale primo passo nel cammino verso i diritti umani.
*Immagine di copertina: "San Tommaso d'Aquino e angelo", Cappella Tiranni, Cagli.