Pubbl. Lun, 17 Feb 2020
Le tipologie del federalismo
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Camilla Della Giustina
Un´analisi circa il diverso modo di essere del federalismo a seconda del contesto storico-spaziale preso in analisi o dei diversi ambiti in cui il federalismo può produrre i propri effetti
Sommario: 1. Introduzione. 2. La nascita del federalismo negli Stati Uniti e la forma di Governo Federale. 2.1. Caratteristiche dello Stato Federale e differenza con quello regionale. 3. Il protofederalismo dell’Unione Europea. 4. Il federalismo in Italia. 4.1. Il federalismo fiscale. 4.2. Il federalismo amministrativo. 4.3. Il federalismo demaniale. 4.4. Il federalismo scolastico. 4.5. Il federalismo municipale. 5. Conclusione.
Abstract ita: il presente contributo persegue l’obiettivo di offrire una panoramica circa le diverse forme del federalismo. Si è deciso di prendere le mosse dall’archetipo del modello federale ossia quello nato negli Stati Uniti d’America. Successivamente si è analizzato quello esistente nel contesto dell’Unione Europea per approdare ad un’analisi del federalismo attuato con le diverse riforme in Italia.
Abstract eng: The aim of this contribution is to provide an overview of the various forms of federalism. It has been decided to start from the archetype of the federal model that was born in the United States of America. Subsequently we analyzed the existing one in the context of the European Union to arrive at an analysis of federalism implemented with the various reforms in Italy.
1. Introduzione
Non si può avere la pace senza una federazione di popoli, nella quale ogni Stato, anche il più piccolo, possa sperare la propria sicurezza e la tutela dei propri diritti non dalla propria forza o dalle proprie valutazioni giuridiche, ma solo da questa grande federazione di popoli, da una forza collettiva e dalla deliberazione secondo leggi della volontà comune[1].
Federalismo deriva da foedus ossia alleanza, convenzione, patto tra eguali attraverso il quale i Romani indicavano l’insieme delle relazioni esistenti tra l’Impero e i territori sotto l’influenza del primo.
Lo scopo del contributo è quello studiare e riportare i diversi modi di essere del federalismo partendo dalla sua nascita avvenuta negli Stati Uniti d’America per poi giungere a possibili ed eventuali importazioni del modello nord-americano nell’ambito europeo. Ci si è chiesti se in relazione all’Unione Europea e all’esperienza italiana sia possibile ed in che termini discorrere di federalismo[2]. Il monito che si è sempre tenuto in mente nell’elaborazione di questo scritto è quello secondo cui nel corso della storia gli uomini hanno cercato di raggiungere diversi scopi per mezzo del federalismo; la varietà degli scopi prefissi ha conseguentemente prodotto una grande varietà di sistemi federali. Ciascun sistema federale realmente esistente differisce dagli altri […] in virtù del particolare insieme di scopi che esso cerca di realizzare[3].
2. La nascita del federalismo negli Stati Uniti e la forma di Governo Federale
La prima esperienza di federalismo si rinviene negli Stati Uniti d’America alla fine del XVIII secolo a seguito del fallimento del modello confederativo il quale nel corso del tempo aveva fatto emergere i propri limiti e carenze. Alla luce delle difficoltà emerse dall’esperienza del tradizionale modello confederativo si è cercato di sviluppare un modello ritenuto maggiormente perfetto dal punto di vista politico ed idoneo per far fronte alle esigenze dello Stato.
Il modello confederativo prevede che l’organizzazione del potere politico avvenga attraverso l’unione di più stati indipendenti i quali adottano un Trattato Internazionale per garantire sicurezza al proprio interno. Questo elemento fa divenire la confederazione un’unità giuridica internazionale nella quale gli Stati mantengono la propria sovranità dinnanzi alle altre nazioni e alla confederazione stessa dalla quale si possono separare. Caratteristica tipica della Confederazione concerne l’esistenza di un organo assembleare rappresentativo di tutti gli stati membri e avente ampi poteri per l’aspetto della politica estera. Infine le decisioni assunte all’unanimità in seno alla Confederazione devono essere inserite negli ordinamenti degli Stati affinchè le stesse possano divenire vincolanti per gli stessi. Quest’ultima caratteristica è stata quella che ha rappresentato il maggior ostacolo per gli Stati Uniti. Il potere centrale, infatti, risultava sempre essere dipendenti dagli stati membri che a difesa della propria sovranità non recepivano le decisioni assunte dal potere centrale[4].
Alla luce di questi limiti venne proposto di adottare un modello nel quale le decisioni del potere centrale fossero indipendenti dagli Stati che formavano la Confederazione. La soluzione fu quella di stabilire delle materie nelle quali il potere centrale poteva deliberare e le decisioni assunte a livello centrale producessero immediatamente i loro effetti per gli Stati membri. Allo stesso tempo vennero individuate delle materie appartenenti in modo esclusivo alla legislazione degli stati membri. In questo modo la formula adottata riconosceva l’esistenza di due sfere del potere politico in uno stesso territorio anche se esercitate da ciascuno in relazione a materie e tematiche diverse[5]. Il punto di forza di questa formula fu quello di rinvenire la propria fonte nella considerazione che il potere emana dal popolo il quale esercita direttamente detto potere attraverso i propri rappresentanti. Essi sono delegati dal popolo per esercitare il potere all’interno di condizioni e limiti certi. I limiti entro cui i delegati devono esercitare il potere e la ripartizione di competenze tra Stato centrale e Stati membri sono regolati da un medesimo testo ossia la Costituzione[6].
Da tutto ciò è stato ritenuto che lo Stato federale nato con la costituzione degli Stati Uniti del 1787 sia il frutto di alcune decisioni contenute nella disposizione fondamentale e che sono stati i pilastri della nuova struttura poiché l’elemento fondamentale di detta nuova struttura è rappresentato nella nuova organizzazione territoriale. Precisamente essa attribuisce agli organi dell’Unione il potere di governare sugli individui in modo diretto e prevede altresì la creazione di un potere giudiziario avente giurisdizione su tutti i casi derivanti dalla Costituzione e delle leggi degli Stati Uniti.
La versione classica del federalismo sostiene che lo Stato federale sorge in seguito alla decisione fondamentali delle unità costituenti di cedere parte della loro sovranità ad un’entità comune e ad un governo centrale al fine di perseguire la sicurezza e la prosperità[7]. Il vocabolo federalismo può essere quindi utilizzato quale sinonimo di Stato federale ossia una particolare forma di organizzazione del potere politico nata nel contesto della forma organizzata denominata Stato e fondata sulla separazione dei poteri su base territoriale e garantita a livello costituzionale. La Federazione, quindi, è una particolare forma di Stato preordinata a includere le parti che costituiscono un’unione all’interno del sistema decisionale del governo centrale attraverso un fondamento costituzionale[8].
La relazione esistente tra federalismo e federazione risulta essere estremamente complessa in quanto, in primis, si tratta di un’idea politica che ha avuto costruzioni differenti a seconda delle circostanze. In secundis la federazione ha assunto connotati diversi nel corso del tempo. Federalismo, invece, venne adottato con la conclusione dei lavori della Convenzione di Filadelfia allo scopo di indicare una nuova forma di governo creata attraverso una fictio costituzionale. Solo a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione degli Stati Uniti emerse il termine “federazione” utilizzata per indicare una nuova entità politica caratterizzata dal mantenimento dell’indipendenza degli Stati membri[9]. Se il termine federalismo originariamente indicava la forma di Governo propria della Costituzione americana del 1787 successivamente venne adottato per definire qualsiasi assetto organizzativo caratterizzato dalla divisione del potere su base territoriale.
2.1. Caratteristiche dello Stato Federale e differenza con quello regionale
L’archetipo dello Stato federale è rappresentato dagli USA questi sono definiti come una Repubblica presidenziale[10]. L’ordinamento federale si struttura in tre diversi livelli di governo: federale, statale ed infine locale o contea o autorità municipali. Il potere legislativo viene esercitato dalle due Camere del Congresso: il Senato composto da cento membri e la Camera dei rappresentanti formata da quattrocento-trentacinque membri. Il Congresso svolge le seguenti funzioni: deliberazione delle leggi federali, imposizione delle tasse federali, ratifica dei trattati internazionali e indicazione dei casi in cui dichiarare guerra. L’art. VI della Costituzione prevede la supremazia della legge federale su quella statale a condizione che la prima rispetti la Costituzione. La legge federale, infatti, può disciplinare solamente le materie indicate nell’art I ¶8 il quale indica appunto le competenze del Congresso consistenti in: politica estera, tasse, fallimenti, moneta, commercio interstatale, servizi postali, tribunali, guerra e pace, esercito e marina. In queste materie la federazione opera attraverso il meccanismo della delega: il potere legislativo spettante originariamente agli Stati viene delegato alla federazione. Per le materie non contenute nell’articolo appena citato il potere legislativo rimane di competenza statale.
Gli stati membri esercitano il potere legislativo, esecutivo e giudiziario a livello statale per le comunicazioni interne, proprietà, industria, affari, servizi pubblici e per quasi tutto il sistema penale. Le corti statali assumono decisioni in tutti i casi tranne che si richieda come necessaria l’attuazione di una disposizione federale o nell’ipotesi in cui le decisioni coinvolgano cittadini appartenenti ad altri Stati. In questo sistema la Corte Suprema federale è sede d’appello per le Corti Supreme statali. Ogni Stato possiede una Costituzione alla quale è imposto quale unico limite il rispetto della forma di governo repubblicana. Il potere, declinato in legislativo, esecutivo e giudiziario, degli Stati membri non deve contrastare con la Costituzione, con le leggi federali e i trattati internazionali firmati dagli USA[11].
Questo appena descritto è il modello originario il quale, nel corso degli anni, ha portato ad un incremento circa i poteri della federazione soprattutto durante il New Deal. Il modello federale si rinviene anche in altri Stati[12] anche se possiede caratteristiche differenti rispetto a quello originario degli Stati Uniti. Proprio per l’esistenza di diversi modelli federali è necessario individuare dei criteri idonei a identificare un determinato stato come federale oppure no.
A tal proposito sembra utile richiamare la distinzione adottata da Wheare secondo cui una Nazione può avere una Costituzione federale, ma in pratica attuare tale Costituzione in maniera che il Governo non rispetti il principio federale. Se il Governo centrale ha un potere di intervenire negli Stati membri, potere che include la rimozione e la sostituzione degli organi ed il fatto che questo potere sia stato esercitato frequentemente mostra una chiara subordinazione delle entità federali al governo centrale. A contrario, un paese dalla Costituzione non federale può agire in maniera da offrire un esempio di governo federale[13]. Un criterio qualificante per definire uno Stato come federale può rivenirsi nell’autonomia costituzionale riconosciuta alle entità federate. Lo Stato membro potrà esercitare poteri e competenze proprie garantire dalla Costituzione federale che trovano la propria organizzazione e disciplina nella Costituzioni statali. Altro elemento dirimente al fine di qualificare uno Stato come federale concerne la partecipazione delle entità federate al processo di revisione costituzionale[14].
Da quando esposto fino a questo momento emerge chiaramente come lo Stato federale non possa essere confuso con altre forme di organizzazione del potere, come per esempio, con lo Stato regionale.
Lo Stato regionale non viene ritenuto un modello diverso rispetto a quello dello Stato unitario ma viene visto come una realizzazione dello stesso classificata come decentramento. Da un originario accentramento delle tre funzioni fondamentali nello Stato soggetto, nel momento in cui le stesse vengono trasferite allo Stato regionale si viene a creare il processo di decentramento. Attraverso il decentramento vengono potenziate e garantire le autonomie locali ma vengono creati altri enti, le Regioni appunto, alle quali vengono conferite entro determinati limiti potestà legislative e amministrative. A tal proposito si deve segnalare come autorevole dottrina ha sostenuto che nonostante lo Stato regionale potesse essere ritenuto una sottospecie dello Stato unitario non poteva essere negata alle Regioni una potestà legislativa concretizzantesi in attività non vincolate nel fine, in un sistema nel quale, tanto a quelle, tanto agli Enti locali minori poteva essere riconosciuto un certo grado di autonomia politica[15].
Alle Regioni non è riconosciuta autonomia costituzionale ma solo statutaria, possiedono competenze legislative ed amministrative elencate nella Costituzione mentre allo Stato appartiene una competenza legislativa ed amministrativa generale. Oltre a questo le Regioni non dispongono competenze giurisdizionali, non partecipano alla revisione costituzionale e sono sprovviste di politica estera.
Sebbene federalismo e regionalismo siano assetti istituzionali diversi a livello qualitativo entrambi perseguono lo scopo di fornire una soluzione all’esigenza di far coesistere al tempo stesso unità e autonomia nell’ambito della forma organizzativa dello Stato moderno. Oltre a questo entrambi sono riconducibili a una comune forma politico-istituzionale in cui lo stato unitario ricomprende enti dotati di autonomia politica, autonomia che nelle forme storiche realizzate è quantitativamente minore nelle unità che compongono lo stato abitualmente definito regionale[16].
3. Il protofederalismo dell’Unione Europea
La dottrina si è spesso interrogata circa la possibile definizione dell’Unione Europea quale modello federale in quanto da sempre essa è stata considerata depositaria di idee ed influenze federali sia per quanto concerne la sua origine e formazione sia per il contesto istituzionale comunitario. Se questo è vero si deve altresì evidenziare come l’Unione Europea rappresenti un sistema integrato di negoziato permanente tra gli Stati che la compongono, lo spazio politico, istituzionale ed economico nel quale le nazioni europee si trovano a convivere in una condizione di pace definitiva[17].
L’integrazione comunitaria deve essere considerata sotto un duplice profilo. In primis essa è stata un processo di costruzione a livello sovranazionali. In secundis l’Unione Europea nel proprio processo riorganizzativo a seguito dei conflitti mondiali ha fatto propria la ricostruzione istituzionale degli Stati nazionali preesistenti al conflitto non seguendo la via del federalismo[18]. Infine a differenza degli Stati federali l’Unione Europea è nata al fine di risolvere problemi aventi natura economica e politica, non quale parte di un progetto federale[19].
Procedendo al confronto tra l’archetipo del modello federale, ossia gli USA, e il modello europeo emerge chiaramente come il secondo non possieda le caratteristiche proprie dello Stato federale. Le differenze sono molteplici: nell’Unione Europea non si rinviene uno Stato centrale in posizione sovraordinata agli Stati membri, oltre a questo non possiede poteri propri di uno Stato[20] e nemmeno di risorse tipiche di quelle di una federazione. Allo stesso tempo però non si può definire l’Unione Europea come una confederazione poiché gli Stati hanno ceduto una parte della sovranità.
Alla luce di dette considerazioni si è definito il modello europeo come proto-federalismo poiché lo stesso possiede un assetto misto infatti possiede contemporaneamente elementi federali e confederali. L’elemento che connota l’Unione Europea come modello federale è dato dal principio di sussidiarietà infatti quest’ultimo prevede che, nei campi di policy nei quali esiste una competenza concorrente fra Ue e stati membri, questi ultimi siano gli attori destinati ad implementare le norme comunitarie prodotte. Secondo questo principio, l'Unione europea, con l'eccezione delle materie nelle quali ha la competenza esclusiva, può intervenire solo nella misura in cui gli stati membri non si dimostrino in grado di raggiungere in maniera sufficientemente efficace ed efficiente gli obiettivi comuni precedentemente fissati[21]. Il tratto caratteristico del federalismo esistente all’interno dell’Unione Europea deriva dal fatto che in detto contesto si fa riferimento al concetto di federalismo non come realtà istituzionale e sociale tipica di alcune realtà politiche quali Stati Uniti, Germania, Svizzera ma quale ideale di politica in Europa. In questa prospettiva quindi il federalismo indicherebbe la prospettiva di un’integrazione politica più stretta, che supera le singole sovranità nazionali[22]. In tal senso è stato sostenuto che il proto-federalismo dell’Unione Europea rappresenterebbe l’ispirazione per conciliare ciò che appare a molti come inconciliabile: l'emergere di un’Europa unita e la fedeltà alla nostra nazione, alla nostra patria; la necessità di un potere europeo, a misura dei problemi del nostro tempo e l’imperativo vitale di conservare le nostre nazioni e regioni, quali luogo di appartenenza; l'organizzazione decentrata delle responsabilità al fine di non affidare mai a un’unità più grande quello che può essere meglio realizzato da una più piccola[23].
Partendo dal principio di sussidiarietà vi è chi in dottrina ha sostenuto che il federalismo duale[24] appartenga al passato e che attualmente sia più corretto trattare di federalismo cooperativo e collaborativo. Per queste ragioni il modello comunitario apparterebbe al secondo[25]. Si tratta di una posizione non esente da critiche poiché sono state evidenziate le differenze sussistenti tra il federalismo cooperativo e il modello organizzativo adottato dall’Unione Europea.
Il federalismo cooperativo attuato nella Repubblica federale di Germania costituisce l’esempio classico di modello federale improntato alla collaborazione tra Stato federale e Stati membri[26]. Il modello de quo è stato elaborato sin dall’inizio appunto come kooperativer Föderalismus[27]. Il Governo federale, infatti, è responsabile dell’attività legislativa, sia in via esclusiva sia in cooperazione con Länder, a questi ultimi spetta la responsabilità per l’attuazione delle leggi o per quanto concerne la competenza amministrativa[28].
L’aspetto cooperativo si rinviene altresì per quanto concerne la composizione di diversi organi costituzionali federali, quali il Presidente federale e il Tribunale costituzionale federale. Per quanto concerne il primo viene eletto dalla Bundesversammlung (Assemblea federale) composta dai membri del Bundestag e da un numero uguale di membri eletti dai rappresentanti dei Länder. Il secondo è composto da membri eletti per metà dal Bundestag e dal Bundesrat a maggioranza dei due terzi (art. 94 I LF)[29].
Infine un altro settore nel quale si riflette il carattere cooperativo concerne l’elezione dei membri del Bundesrat i quali non sono eletti in maniera diretta ma sono stati definiti come degli ambasciatori dei Länder nella capitale del Governo federale. Per questo motivo il Bundesrat è concepito come un’istituzione parlamentare organizzata a seconda delle esigenze e degli interessi concreti delle varie circoscrizioni territoriali. In detta sede le decisioni assunte derivano dalla mediazione, dal consenso e dallo scambio poiché la funzione del Bundesrat sembra essere quella di un luogo nel quale compensare e mediare le esigenze dei diversi gruppi regionali[30].
Un altro esempio di federalismo cooperativo si rinviene nell’esperienza canadese[31] a partire dagli anni ’30 del XX secolo a causa della crisi che colpì i mercati occidentali. Per fronteggiare detta situazione la Federazione creò una rete di collaborazione con le Province al fine di razionalizzare la spesa pubblica. Il tratto peculiare del federalismo cooperativo canadese concerne il fatto che lo stesso si è sviluppato in via convenzionale siglando intese tra i diversi livelli di governo. Nel 1996 è stato creato, ad esempio, il Ministeral Council on social political reform ossia un organo di discussione ed orientamento per quanto concerne le politiche del welfare avente il compito di assicurare livelli minimi di protezione nei settori della sanità, dell’educazione, dell’assistenza e dei servizi sociali[32].
In conclusione si può sostenere che il federalismo cooperativo si differenzi dal federalismo duale per due fattori essenzialmente: aumento delle relazioni tra i due livelli di governo e estensione delle competenze concorrenti.
Concluso questo breve excursus circa le caratteristiche del federalismo cooperativo è chiaro perché a proposito dell’Unione Europea è stato sostenuto che mancano sempre alcuni elementi chiave per poter parlare compiutamente di un’Europa federale[33]. È evidente infatti che l’Unione Europea non può essere definita come uno Stato federale poiché risulta assente uno Stato centrale sovraordinato agli Stati membri. In secondo luogo l’Unione Europea non possiede una divisione costituzionale della sovranità tra Unione e Stati membri: questi ultimi esercitano un’importante influenza nel processo decisionale comunitario che si esplica con le nomine della Commissione e con l’esistenza di un Parlamento europeo. Infine due dei tre pilastri nati con il Trattato di Maastricht adottano per il proprio funzionamento il metodo intergovernativo, tipico modello decisionale dei sistemi confederali[34].
Vi è chi ha definito l’assetto istituzionale dell’Unione Europea come un esempio di federalismo post-democratico in relazione alla supremazia del diritto di questa su quello dei singoli stati membri. Oltre a questo viene sottolineata l’empasse del sistema dell’UE rappresentata dall’asimmetria tra federalismo giudiziario ed amministrativo[35] ma non politico-costituzionale. Nel sistema appena descritto, infatti, al principio di prevalenza del diritto comunitario su quello degli Stati membri non si accompagna la possibilità di modificare i trattati istitutivi all’unanimità assegnando detto potere agli organi dell’Unione Europea. Qualora fosse contemplata detta ipotesi gli Stati membri sarebbero definiti come “Signori dei Trattati” e questo potrebbe consentire di superare la crisi costituzionale europea[36].
4. Il federalismo in Italia
L’eredità storico-politica che si è avuta in Italia è stata quella dei vari stati in cui era diviso il paese, ed avrebbe dovuto condurre all’unità federale[37]. Questa frase di Emilio Lussu introduceva il dibattito nell’Assemblea costituente relativo alle autonomie locali. Questa affermazione non venne seguita infatti il Costituente elaborò un modello definito come compromisssorio avente due caratteristiche fondamentali. La prima riguardava la conservazione della prospettiva centralistica ritenuta come essenziale per l’unità nazionale. La seconda concerneva l’elevazione delle regioni ad un alto livello di autonomia riconoscendo alle stesse un notevole potere normativo, espressione della loro natura politica[38]. Detto modello venne attuato solo dopo ventidue anni a causa essenzialmente di ragioni politiche relative alla competizione per il conseguimento del potere politico, da una parte, e alla stessa concezione della funzione del potere politico stesso, dall’altra.
L’anno 1993 è stato ritenuto come cruciale per quanto concerne la riflessione e il dibattito sul federalismo in Italia[39]. In detto momento storico infatti si è avuto il passaggio dalla democrazia rappresentativa a quella maggioritaria con il referendum del 18.4.1993, l’introduzione dell’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle province (25.3.1993), l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht[40], l’inchiesta “Mani Pulite” ad opera della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano[41]. In questo clima politico assai confuso iniziarono a trovare spazio soggetti estranei a quella che era la logica politica dei partiti e portatori di interessi territoriali non esattamente definiti, ossia le leghe[42]. Il voto della lega non concerne solamente la protesta contro il centralismo burocratico dei partiti[43] ma vi confluiscono anche interessi economici che fino a quel momento erano passati in secondo piano di fronte a più urgenti interessi politici. Il sistema politico italiano si era retto su una serie di delicati equilibri, che per lungo tempo avevano trovato i loro contrappesi nella situazione internazionale. Il crollo dell’est e l’arrivo del processo di unificazione europea a una svolta decisiva sconvolsero questi equilibri. Venute meno le ragioni che avevano tenuto insieme il blocco di potere, le forze sociali ed economiche che lo avevano costituito ripresero la loro libertà di movimento. Non c’era più a fondamento della loro alleanza, l’interesse comune di fronteggiare il pericolo rappresentato da un partito comunista che fino al 1989 aveva ottenuto i voti di oltre un quarto dell’elettorato. Una parte della borghesia del Nord cominciava a non scorgere più rilevanti vantaggi politici nell’alleanza con i politici del Sud e a vederne soprattutto gli svantaggi economici. L’assistenzialismo, che era stato una necessaria valvola di sfogo per evitare l’esplosione delle tensioni sociali e anche un mezzo per procurare voti al blocco dominante, appariva ora solo come un impedimento a un maggiore sviluppo economico[44].
L’elemento determinante nell’emersione delle Leghe, in un momento precedente, e della Lega successivamente riguardò l’enuclearsi di una nuova questione nel dibattito politico rappresentata dalla “questione settentrionale”[45]. Per la prima volta viene messo in discussione la politica tradizionale, della redistribuzione incontrollata delle risorse a favore del Sud e in detto contesto il termine federalismo appare e compare nel dibattito relativo alle riforme costituzionali. La Commissione parlamentare per le riforme istituzionali, la Commissione De Mita-Iotti (XI legislatura) aveva il compito di risolvere quale prima questione quella della contrapposizione del modello regionale a quello federale. In quel contesto venne evidenziato che la distinzione tra i due modelli assuma carattere puramente nominalistico. La riforma dei rapporti tra Stato e Regioni, secondo detta impostazione, può avvenire tramite una riforma che pur mantenendo la forma regionale dello Stato adotti alcune caratteristiche tipiche della forma federale, quali, ad esempio: enumerazione tassativa delle competenze statali con clausola di residualità a vantaggio delle regioni, espansione della potestà legislativa regionale fino a ricomprendervi la competenza esclusiva, espansione della potestà amministrativa, ampliamento dell’autonomia finanziaria delle regioni. L’operato della Commissione De Mita-Iotti non produsse alcun risultato rilevante dal punto di vista politico però fu la prima occasione nella quale il “federalismo” entrò nel dibattito circa le riforme costituzionali.
A partire da detto momento il termine federalismo divenne ricorrente. Con la riforma della pubblica amministrazione ad opera delle leggi Bassanini[46] attuata attraverso quattro leggi ordinarie aventi lo scopo di ottenere il massimo decentramento amministrativo senza apportare modifiche alla Carta costituzionale si iniziò a parlare di federalismo amministrativo[47]. Quest’ultimo venne definito come “federalismo a Costituzione invariata” quindi di federalismo compatibile con la forma regionale dello Stato.
All’interno del contesto storico e politico-istituzionale appena menzionato il termine federalismo indicava due distinti concetti. Il primo, tradizionale, indicava come federalismo venisse utilizzato per descrivere una determinata forma di Stato. Il secondo invece faceva riferimento ad una tendenza politica avente lo scopo di incrementare l’autonomia e del decentramento anche in contesti statuali non aventi propriamente forma federale. Oltre a questo emerse la distinzione tra Stato federale e modelli federali di governo[48] che non viene colta nel dibattito italiano in maniera così rapida. La dottrina, infatti, elaborò le proprie teorie intorno alla categoria concettuale della forma di Stato assumendo due distinte posizioni teoriche.
Una prima posizione ritenne che non fosse possibile passare dalla forma regionale a quella federale facendo leva sulle caratteristiche proprie della forma federale tipica dell’esperienza nordamericana[49]. Si trattava di un aspetto non totalmente condivisibile poiché detta impostazione teorica in quanto essa non prendeva in considerazione le motivazioni che vi sono alla base ossia la richiesta di modelli federali di governo, vale a dire di modelli che coniughino – in maniere estremamente diverse – un certo qual livello di unitarietà con un significativo grado di autonomia dei livelli substatali di governo[50]. In detta ottica il modello federale doveva essere interpretato come categoria politico-costituzionale che concede ampia autonomia agli enti territoriali.
Una ricostruzione diametralmente opposta ritenne come non necessario concentrarsi sulla qualificazione del modello, sia esso federale o regionale, ma l’aspetto veramente cruciale concerneva l’esito politico al quale uno o l’altro modello possono produrre[51]. Il pregio di detta impostazione riguardava la valenza dell’aspetto descrittivo: si possono rinvenire, infatti, Stati formalmente federali e Stati che, anche se non formalmente federali, possiedono ed adottano modelli di governo federale. Il punto debole invece riguarda la negazione del valore della categoria giuridica costituzionale della forma di Stato federale[52].
Solamente a partire dalla L. cost. 3/2001 vennero introdotti importanti elementi di politica costituzionali federalista[53]. Precisamente venne invertito il riparto di competenze tra Stato e regioni, venne costituzionalizzato il principio di sussidiarietà, si riformò la finanza locale e regionale accentuandone la territorialità.
Partendo da questo excursus storico-politico-costituzionale circa la nascita del dibattito in Italia sul tema del federalismo si procede ora ad analizzare le varie declinazioni del federalismo e le riforme che lo hanno attuato. Si è ritenuto necessario riportare la nascita del dibattito sul tema del federalismo in quanto idoneo per comprendere gli sviluppi successivi dello stesso e le problematiche che lo accompagnano.
4.1. Il federalismo fiscale
La disciplina del federalismo fiscale si rinviene principalmente nell’art. 119 Cost. il quale stabilisce che l’autonomia finanziaria degli enti territoriali è esercitata in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. L’autonomia regionale e locale, definita in questo modo dal Testo costituzionale, si fonda essenzialmente su sei principi: il riconoscimento di un’autonomia di entrata e di spesa; l’attribuzione del potere di stabilire ed applicare tributi propri; l’istituzione da parte dello Stato di un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante; l’autosufficienza delle risorse percepite che devono servire a finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite; l’assegnazione di risorse aggiuntive e l’effettuazione di interventi speciali, da parte dello Stato, in favore di determinati enti territoriali e per determinati scopi; la possibilità di ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento[54].
L’art. 119 Cost. deve essere letto in combinato disposto con l’art. 117 co. 3 Cost. che prevede tra le materie di legislazione concorrente il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Questa lettura congiunta comporta, in primis, la potestà per ogni regione di stabilire e applicare tributi, rispettando oltre alla Costituzione, anche i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. In secundis l’autonomia di entrate e di stabilire ed applicare tributi propri è riconosciuta altresì a comuni, province e città metropolitane. Quest’ultima previsione necessita di essere interpretata alla luce dell’art. 23 Cost. il quale contiene una riserva di legge relativa nonché il principio no taxtation without rapresentation, di conseguenza viene precluso a detti enti territoriali l’esercizio di una potestà impositiva analoga a quella attribuita alle Regioni.
Rifacendosi ad una autorevole sintesi l’art. 119 Cost. può essere così spiegato in base al testo dell’articolo 119, le Regioni – come gli enti locali – sono dotate di «autonomia finanziaria di entrata e di spesa» (primo comma) e godono di «risorse autonome» rappresentate da tributi ed entrate propri, nonché dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al proprio
territorio (secondo comma). E per i territori con minore capacità fiscale per abitante, la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo «senza vincoli di destinazione» (terzo comma). Nel loro complesso tali risorse devono consentire alle Regioni ed agli altri enti locali «di finanziare integralmente le funzioni
pubbliche loro attribuite» (quarto comma). Non di meno, al fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, di rimuovere gli squilibri economici e sociali, di favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona o di provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni,
lo Stato può destinare «risorse aggiuntive» ed effettuare «interventi speciali» in favore «di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni» (quinto comma)[55].
Si deve sottolineare come l’art. 119 Cost. sia stato necessario per completare il concetto di federalismo e di autonomia legislativa ed amministrativa: accanto alle previsioni degli art. 118 e 119 Cost. è stata prevista un’accresciuta autonomia finanziaria di entrata e spesa per Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
Allo stesso tempo con la riforma costituzionale del 2001 al fine di conciliare il federalismo con i principi di unità e indivisibilità della Repubblica, di uguaglianza sostanziale e capacità contributiva (art. 3, 5, 53 Cost.) è stato adottato un federalismo di tipo solidale prevedendo un fondo perequativo senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante ex art. 119 co. 4 Cost. La soluzione adottata è stata ritenuta dalla maggior parte della dottrina come “moderata” orientata alla composizione il più possibile equilibrata del molteplice all’interno di una medesima organizzazione statale, non mirante ad una disarticolazione dell’unità[56]. Si è parlato a tal proposito di un federalismo fiscale ispirato al “solidarismo cooperativo[57]” al punto da rinvenire delle analogie con il modello tedesco. Si tratta ovviamente di analogie e non di piena sovrapposizione con il secondo. Quest’ultimo, infatti, ha ottenuto un grado di maggiore compiutezza sotto due aspetti: quello della perequazione e della compartecipazione. Grazie a detto sviluppo il modello di federalismo adottato in Germania riesce a compensare le diversità geografiche tra la dotazione di risorse e i bisogni dei cittadini dei vari Länder, i quali non possono stabilire tributi propri[58]. Il legislatore costituzionale del 2001 ha quindi respinto il modello del federalismo fiscale “competitivo spinto” di tipo americano. Detto modello prevede che ciascun livello di governo, dallo Stato federale al comune, possieda il potere di istituire liberamente qualsiasi tributo su qualsiasi bene imponibile, senza rispettare i limiti posti da leggi di grado superiore e il coordinamento tra i diversi livelli avverrebbe ex post su basi giudiziarie[59].
Il nuovo art. 119 Cost. ha riconfigurato gli strumenti e le leve economiche finalizzate allo sviluppo locale riconoscendo alle Regioni e agli enti locali autonomia finanziaria sia per quanto concerne le entrate sia per quanto concerne le spese[60]. In questo modo le Regioni e gli enti locali hanno il compito di produrre in modo integrale le proprie risorse il tutto definendo ed applicando tributi ed entrate propri alla luce dei principi di coordinamento della finanza pubblica e disponendo di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibili al proprio territorio.
I principi affermati da detta disposizione costituzionale, ossia autonomia, responsabilità, coordinamento, coesione e solidarietà sono declinati in disposizioni cogenti e non genericamente affermati per essere successivamente declinati in modo discrezionale dal legislatore.
Se questo è il contenuto dell’art. 119 Cost. è possibile individuare delle questioni di costituzionalità in merito allo stesso.
Si deve evidenziare, in primo luogo, come l’art. 119 Cost. applicando l’art. 114 Cost. abbia provveduto ad equiparare Regioni ed enti locali per quanto concerne l’autonomia finanziaria[61]. Con particolare attenzione alla materia tributaria si deve ricordare come essa appartenga tanto alla potestà legislativa esclusiva dello Stato tanto alla potestà concorrente di Stato e regione[62] e sia allo stesso tempo materia appartenente alla competenza regionale residuale in materia di tributi regionali e locali[63]. La riforma de qua nonostante abbia accentuato il processo di federalizzazione ha fornito alla forma di Stato italiana un connotato di specificità in quanto conserva i poteri ordinamentali in capo allo Stato. La totale equiparazione delle Regioni agli enti locali non è totalmente corretta: il posizionamento sul medesimo piano delle Regioni e degli enti locali non si traduce in un uguale potere impositivo per questi enti territoriali. Solamente alle Regioni infatti appartiene il potere normativo per quanto concerne la materia tributaria, mentre la medesima potestà non appartiene ai Comuni e alle Province in forza della riserva di legge ex art. 23 Cost.
In base alle considerazioni appena svolta ci si chiede quale sia la ratio della equiordinazione di Regioni ed enti locali anche sotto il profilo dell’autonomia finanziaria. L’unica risposta che si ritiene ammissibile sembra quella secondo cui detta pariordinazione rinvierebbe ad un modello tributario in cui il finanziamento delle autonomie è affidato, principalmente, ai tributi istituiti con legge statale[64]. In quest’ottica il ruolo principale circa il finanziamento degli enti locali apparterrebbe ai tributi istituiti con legge statale e non ai tributi propri delle Regioni[65].
Ulteriore profilo di costituzionalità concerne il rapporto fra la competenza legislativa residuale in materia di tributi e l’autonomia fiscale dell’ente locale. L’estensione della potestà legislativa delle Regioni in materia di tributi locali non ha quale risultato automatico una irrilevante autonomia tributaria in capo a questi ultimi. Detta estensione comporta che l’autonomia garantita agli enti locali stessi ex art. 119 Cost. possieda una qualità diversa perché rispettosa dell’art. 23 Cost. e di conseguenza esercitabile solamente con lo strumento secondario del regolamento. La differenza quindi è che per le Regioni l’autonomia tributaria si accompagna alla potestà legislativa attribuita alle stesse mentre gli enti locali l’autonomia tributaria deve collocarsi all’interno della potestà legislativa regionale e rispettare i principi fondamentali.
La riserva di legge regionale che si ricava dalla lettura combinata e congiunta degli art. 23 e 117 co. 4 Cost. in quanto relativa non è di stretto dettaglio quindi non si estende fino alla determinazione analitica dei singoli elementi strutturali dei tributi locali ossia presupposti, soggetti passivi e aliquota tra un minimo ed un massimo. È evidente quindi che l’attribuzione espressa agli enti locali di un’autonomia finanziaria di entrata e di spesa nonché del potere di stabilire ed applicare tributi propri in armonia con la Costituzione dovrebbe consentire agli stessi un margine di autonomia e discrezionalità circa la determinazione degli elementi poc’anzi citati. Infine se l’autonomia tributaria comporta generalmente un’autodeterminazione normativa delle entrate tributarie in correlazione allo svolgimento del libero indirizzo politico e amministrativo dell’ente locale è evidente che nonostante la riserva contenuta nell’art. 23 Cost. i primi due commi dell’art. 119 Cost. producono un duplice effetto. Il primo è quello di restringere l’ambito della riserva relativa di legge, un secondo persegue l’obiettivo di esaltare l’autonomia tributaria.
Se questa appena descritta è stata la riforma del federalismo fiscale si deve altresì segnalare la circostanza per la quale solamente nel 2009 il Senato ha approvato in maniera definitiva il disegno di legge contenente la Delega al Governo relativa al federalismo fiscale in attuazione dell’art. 119 Cost. (L. 42/2009). L’approvazione di detta legge è stata di decisiva importanza per il sistema istituzionale italiano[66] il quale a partire dagli anni ’90 ha visto un importante processo di valorizzazione circa l’autonomia regionale e locale senza una riforma del finanziamento che è rimasto sempre assimilabile a quello della finanza derivata. La dottrina maggioritaria ha sostenuto che si è trattato di un’anomalia strutturale dato che la riforma era stata avviata solamente per le funzioni legislative ed amministrative e lasciando sospeso il finanziamento. Il mantenimento della finanza derivata a seguito della riforma costituzionale del 2001 ha creato gravi confusioni. Così facendo si è dissociata la responsabilità impositiva da quella di spesa e la situazione istituzionale che si è venuta a creare ha solamente favorito la duplicazione delle strutture, l’inefficienza e la deresponsabilizzazione[67].
Attuare l’art. 119 Cost. implica una radicale trasformazione dello Stato perché ha quale immediata conseguenza la responsabilizzazione delle amministrazioni territoriali ad una rigorosa gestione delle risorse, all’incremento dell’efficienza e della produttività delle loro strutture e del loro servizio nonché l’adozione di meccanismi sanzionatori e premiali idonei a incentivare la competenza e il merito. A tal proposito è doveroso richiamare quanto sostenuto da Mario Bertolissi in occasione di un’audizione parlamentare, ossia : “A memoria, questa è la prima volta che un testo normativo, di attuazione in via diretta di una legge fondamentale pone al centro del suo articolato in modo così netto il principio di responsabilità[68]”. In questo spirito si colloca la legge delega.
L’art. 2 della L. 42/2009 disciplina non solo gli obiettivi e le modalità della trasformazione ma contiene altresì le procedure da adottare per produrre una riforma complessiva del sistema amministrativo italiano attraverso il coinvolgimento di tutte le strutture della Repubblica ai sensi dell’art. 114 Cost. In secondo luogo detta legge fa assurgere quale finalità generale del nuovo sistema di federalismo fiscale la garanzia dei principi di solidarietà e di coesione sociale. Essi trovano esplicita menzione nell’art. 119 co. 5 Cost. e vengono collegati alle attività statali di destinazione di risorse aggiuntive o interventi speciali e solo per specifici enti. È evidente quindi che il federalismo nascente dalla L.42/2009 sia ampiamente condivisibile ma che goda altresì di un importante supporto costituzionale poiché solidarismo, coesione sociale sono principi che pervadono tutto il nostro sistema costituzionale[69].
Il federalismo italiano può essere definito come un federalismo “solidale” nel quale la competizione virtuosa fra i diversi territori rappresenta (o dovrebbe rappresentare) un sistema di cooperazione-emulazione-sussidiarietà preordinato a creare le condizioni migliori per la tutela effettiva dell’universalità dei diritti dei cittadini e la crescita sostenibile di tutta la comunità nazionale attraverso la mobilitazione delle energie e delle risorse di ciascuna comunità regionale e locale, l’adattamento delle scelte e dei meccanismi gestionali alle peculiarità di ciascun territorio e di ciascuna collettività, la riattivazione del circuito della responsabilità politica tra prelievo e impiego delle risorse, l’incentivazione della produttività e dell’efficienza delle strutture pubbliche, la sinergia fra iniziativa privata e intervento pubblico, nella logica della sussidiarietà orizzontale[70].
Con la legge de qua il federalismo che si è voluto attuare risulta essere estremamente corrispondente alla tradizione italiana ma anche caratterizzante tutto l’ordinamento italiano stesso. A tal proposito basta richiamare l’art. 1 enuncia il maniera chiara l’obiettivo che si vuole perseguire ossia lo sviluppo delle aree sottoutilizzate nella prospettiva del superamento del dualismo economico del Paese. Questo enunciato permea tutta la legge delega non potendo limitarlo solamente all’utilizzazione delle risorse aggiuntive o agli interventi speciali.
Volgendo lo sguardo ai criteri generali della delega si deve osservare, in primis, come l’assetto dei rapporti economici fra Stato e autonomie territoriali sia essenzialmente incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata al fine di attribuire maggiore autonomia di spesa a comuni, province, città metropolitane e Regioni a condizione che siano rispettati i principi di solidarietà e coesione sociale. In detto contesto si inserisce il passaggio dal sistema dei trasferimenti fondato sulla spesa storica a quello relativo all’attribuzione delle risorse alla luce dell’individuazione dei fabbisogni standard, il finanziamento integrale delle prestazioni riguardanti i diritti civili e sociali nonché delle funzioni fondamentali degli enti locali.
Per quanto concerne il sistema di finanziamento delle autonomie territoriali la L. 42/2009 opera una distinzione tra spese relative ai livelli essenziali delle prestazioni, quelle relative alle funzioni fondamentali degli enti locali ed infine altre funzioni per le quali è disposta la perequazione delle capacità fiscali.
Per quanto concerne la prima tipologia di spese[71], ossia livelli essenziali delle prestazioni spetta allo Stato indicare i livelli essenziali delle prestazioni da garantirsi su tutto il territorio nazionale osservando quali cardini quello dell’efficienza e dell’appropriatezza. A ciò si aggiunge la definizione dei costi standard idonei a definire i relativi fabbisogni. Il modello che emerge prevede un doppio canale perequativo valido per tutti i livelli di governo. In base ad esso verrà assicurata una perequazione integrale per quanto riguarda i fabbisogni, valutati a costi standard, per le prestazioni attinenti ai diritti civili e sociali e le funzioni fondamentali degli enti locali. Le alte tipologie di spesa decentrata saranno finanziate adottando il modello della perequazione. Quest’ultimo dovrebbe realizzarsi in un tendenziale ed integrale livellamento delle diverse capacità fiscali dei diversi territori il cui ordine dovrebbe rimanere inalterato.
Altro aspetto importante concerne l’individuazione ad opera di detta legge dei criteri direttivi utilizzabili per individuare l’insieme dei tributi propri e le compartecipazioni da assegnare ai diversi livelli di governo nel rispetto dei principi di territorialità, sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza ex art. 118 Cost. Alle Regioni viene riconosciuto il potere di istituire con proprie leggi tributi propri per quanto concerne i presupposti non assoggettati ad imposizione da parte dello Stato. Per quanto concerne i tributi propri derivati, che siano istituiti e regolati da leggi statali, e il cui gettito è attribuito alle Regioni queste possono, mediante una legge regionale, determinare variazioni delle aliquote, disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni all’interno dei limiti fissati dalle legge statale.
Gli altri principi generali che informano la legge si devono ricordare, in primo luogo, il principio di tendenziale correlazione tra il prelievo fiscale e il beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio e preordinato a favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e amministrativa. In secondo luogo si deve menzionare la previsione circa il coinvolgimento di tutti i livelli istituzionali nel contrastare l’evasione e l’elusione fiscale predisponendo meccanismi di carattere premiale.
Viene stabilito, a livello generale, il principio secondo cui l’imposizione fiscale dello Stato deve essere ridotta in maniera corrispondente alla più ampia autonomia di entrata delle Regioni ed enti locali, calcolata secondo un’aliquota standard.
Oltre a questo l’attuazione della delega dovrà essere compatibile con gli impegni finanziari assunti con il pattò di stabilità e crescita europeo, dovrà anche garantire la corrispondenza tra riordino e riallocazione delle funzioni e la dotazione di risorse umane e finanziarie ed infine non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva.
Infine la legge 42/2009 indica la procedura di adozione e l’esame parlamentare dei decreti legislativi attuativi fissando il termine per almeno uno di essi entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge de qua.
In conclusione si ricorda come in attuazione della legge sono stati emanati nove decreti delegati[72].
4.2. Il federalismo amministrativo
Prima di analizzare l’evoluzione e le problematiche del federalismo amministrativo si deve operare una riflessione preliminare. In linea generale è stato osservato come da molti anni nel linguaggio della politica dell’aggettivo federale e dei suoi derivati si fa un uso smodato[73]. In seconda battuta si deve altresì indicare che la formula “federalismo amministrativo” sia sicuramente troppo usata ma anche troppo ambigua.
Precisamente l’espressione “federalismo amministrativo” può essere intesa in almeno due accezioni. Partendo da un’accezione più ristretta si utilizza la formula de qua quando si vuole fare riferimento al principio organizzativo mediante il quale gli enti pubblici territoriali minori dispongono, in relazione alla titolarità della funzione amministrativa o esecutiva, di una competenza residuale cioè relativa a tutti i profili non riservati expressis verbis a enti dotati di ambito territoriale più ampio[74]. In un’altra accezione ritenuta più generica federalismo amministrativo allude alla valorizzazione del ruolo delle autonomie territoriali mediante l’accrescimento dell’ambito delle loro funzioni e compiti amministrativi[75]. Oltre a questo si ricordi come il federalismo sub-specie amministrativo potrebbe accompagnarsi oppure no ad altre species del genus federalismo. Ad esempio a favore del Comune potrebbe sussistere un federalismo amministrativo ma non anche uno legislativo in quanto detto ente è privo di potestà di legiferare[76].
Volendo percorrere un breve e rapido excursus storico-costituzionale si deve evidenziare che il federalismo amministrativo, inteso nella seconda accezione poc’anzi prospettata, ha spiegato i propri effetti ben prima del momento in cui detta espressione venne utilizzata. Il federalismo, infatti, possiede origini risalenti nel tempo: si ricordi al sesto colloquio costituzionalistico italo-britannico denominato “Italian Federalists from Carlo Catteno to the new Title V Of the Constitution”. Oltre a questo un amministrativista quale Ranelletti dopo aver dichiarato la propria opinione negativa in relazione all’istituzione delle Regioni sostenne la necessità di un largo decentramento amministrativo, con attribuzioni agli enti locali di tutti i servizi di carattere locale, mantenendo nella competenza dell’amministrazione governativa solo i servizi di carattere unitario, che per la loro stessa natura non possono essere decentrati[77]. Si ricordi anche l’art. 5 Cost[78]. che ha incluso fra i principi fondamentali della Costituzione il principio autonomistico e l’art. 118 Cost. che nella sua formulazione originaria aveva configurato la Regione come un ente con funzioni legislative e gli enti locali come enti aventi funzioni amministrative[79].
Ulteriore evoluzione del federalismo amministrativo si è avuto con il “federalismo amministrativo a Costituzione invariata” avvenuta con la L. 59/1997 (Legge Bassanini – uno) attraverso la quale è stato operato un ampio conferimento di funzioni e compiti amministrativi insieme a risorse umane, materiali, finanziarie dallo Stato alle Regioni ed enti locali. Questo processo di trasferimento è avvenuto mediante le diverse forme del trasferimento, della delega o dell’attribuzione ma non ad opera della L. 59/1997 stessa ma tramite decreti legislativi delegati, leggi regionali per quanto concerne il conferimento agli enti locali delle funzioni e dei compiti devoluti dallo Stato ex art. 117 co.1 Cost, mediante decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri ed infine con regolamenti governativi.
I principi che presiedevano l’impianto ex L. 59/1997 potevano essere ricondotti a tre valori fondamentalmente[80]: sussidiarietà sia in senso verticale che orizzontale, la funzionalità che a sua volta si articola nei principi di efficacia, economicità, adeguatezza e differenziazione ed infine responsabilità che include unicità e identificabilità.
In questa prima fase il federalismo è stato attuato con la semplificazione amministrativa tanto che a tal proposito è stato sostenuto che la politica di semplificazione, che era stata per decenni spiccatamente statale, ha ora la tendenza a diventare policentrica e riproduce al suo interno l’impronta marcatamente cooperativa propria, sul piano generale, dei rapporti tra Stato e sistema delle autonomie[81].
Con la L. cost. 3/2001 e quindi con la riforma del Titolo V il sistema del parallelismo tra funzioni legislative viene abbandonato per consentire l’adozione di un criterio fondato sulla distinzione di ripartizione della potestà legislativa e i criteri di ripartizione delle funzioni amministrative. Esse sono attribuite ai Comuni in forza di una clausola generale che viene corretta resa flessibile dall’individuazione delle condizioni di deroga: infatti si aggiunge salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi
di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza[82]. Il vero nocciolo duro della riforma del 2001 concerne la qualificazione della pubblica amministrazione come amministrazione locale, rectius comunale[83]. In altre parole si può tracciare una equivalenza di tendenza circa l’attività amministrativa e quella dei Comuni. Da questo discende che una delle conseguenze derivanti dalla riforma del Titolo V è stata quella relativa alla valorizzazione, da una parte, delle Regioni come soggetti legislativi, e, dall’altra, degli locali come soggetti operativi[84].
In relazione alla valutazione generale operata dalla dottrina con riferimento alla riforma de qua si riscontrano due posizioni contraddittorie tra di loro. Una prima posizione ritiene che la riforma del Titolo V possieda un carattere estremamente innovativo poiché con essa è stato introdotto un nuovo sistema costituzionale differente da quello che era in vigore in precedenza[85]. Posizione contrapposta, invece, sostiene che, per quanto concerne le funzioni amministrative, che la riforma possieda carattere aperto o addirittura indeterminato nei contenuti. L’art. 118 Cost., infatti, contiene una disciplina strumentale dato che non indica i soggetti ai quali spettano le funzioni ma indica solamente come queste debbano essere allocate. Oltre a questo il principio al quale si richiama è quello della sussidiarietà[86] il quale pone problemi sul profilo della giustiziabilità[87]. È stato altresì sottolineato che il nuovo assetto costituzionale post. L. cost. 3/2001 contiene una riserva costituzionale di amministrazione ex art. 118 co.1 Cost. nei confronti degli enti territoriali circa la titolarità delle funzioni amministrative[88].
La giurisprudenza costituzionale ha adottato una posizione ancora diversa. Il Giudice delle leggi ha precisato che l’art. 118 Cost. nella parte in cui si riferisce alle funzioni amministrative in maniera esplicita introduce per queste un meccanismo dinamico che finisce per rendere meno rigida la stessa distribuzione delle competenze legislative[89]. Sulla scia di questa pronuncia autorevole dottrina ha evidenziato che si prospetta quindi una vera e propria inversione del parallelismo previsto precedentemente. Secondo l’interpretazione dottrinaria appena indicata non bisogna guardare alla titolarità della potestà legislativa per sapere quale soggetto è titolare della potestà amministrativa o, in alternativa, del potere di distribuire le funzioni amministrative occorre invece guardare alle funzioni
amministrative e alla loro collocazione costituzionalmente regolata per sapere quale
soggetto sarà titolare della potestà legislativa[90].
Un dibattito importante che si è accesso in dottrina ha avuto quale argomento il confronto tra il federalismo fiscale a Costituzione invariata e quello avvenuto nel 2001 quindi a Costituzione cambiata. A tal proposito vi sono stati essenzialmente due filoni dottrinali. Un primo ha sostenuto la riforma avvenuta nel 2001 abbia avuto solo ed unicamente lo scopo di fornire copertura costituzionale alla riforma del 1997[91]. A tal proposito, infatti, la giurisprudenza amministrativa ha sottolineato che il disegno di riforma ordinamentale avviato con la legge delega 59/1997 è stato poi completato con la legge costituzionale 3/2001[92].
Un secondo orientamento ha ritenuto che vi sia una differenza ontologica tra il processo iniziato con la L. 59/1997 e quello avvenuto con la L.cost. 3/2001. La novella costituzionale, infatti, ha inciso in maniera sostanziale sulla legislazione dando vita ad un regionalismo legislativo[93]. In secundis si deve sottolineare che l’art. 118 Cost. nel redistribuire le funzioni parte dal pluralismo per arrivare in ultima battuta all’unità. Il sistema ante 2001, a contrario, partiva dall’unità dell’amministrazione statale per approdare al pluralismo autonomistico della pubblica amministrazione[94]. A tal proposito la stessa Consulta ha autorevolmente evidenziato la diversità del principio di sussidiarietà di cui alla L. 59/1997 e quello contenuto nella L. cost. 3/2001: enunciato nella legge 15 marzo 1997, n.59, come criterio ispiratore della distribuzione legale delle funzioni amministrative fra lo Stato e gli altri enti territoriali e quindi già operante nella sua dimensione meramente statica, come fondamento di un ordine prestabilito di competenze, quel principio, con la sua incorporazione nel testo della Costituzione, ha visto mutare il proprio significato, nel senso che accanto alla primitiva dimensione statica, che si fa evidente nella tendenziale attribuzione della generalità delle funzioni amministrative ai Comuni, è resa, infatti, attiva una vocazione dinamica della sussidiarietà, che consente ad essa di operare non più come ratio ispiratrice e fondamento di un ordine di attribuzioni stabilite e predeterminate, ma come fattore di flessibilità di quell’ordine in vista del soddisfacimento di esigenze unitarie. Ecco dunque dove si fonda una concezione procedimentale e consensuale della sussidiarietà e dell’adeguatezza[95].
A questo punto sembra opportuno trattare del rapporto intercorrente ed esistente tra federalismo fiscale ed amministrativo. Precisamente si deve capire quale dei due elementi abbia priorità logica e, quindi, quale dei due debba avere precedenza. Si deve ,a tal proposito, riprendere l’insegnamento di uno dei maggiori esponenti della dottrina amministrativistica riassunta nella seguente espressione in principio sono le funzioni[96]. A livello logico, difatti, la distribuzione coerente e ordinata delle funzioni tra i diversi livelli di governo (Stato, Regioni ed enti locali) dovrebbe precedere l’individuazione delle risorse strumentali quali beni, uffici, personale, ecc nonché l’allocazione delle risorse finanziarie ritenute necessarie. A tal proposito autorevole dottrina ha sostenuto che in relazione alle funzioni che un’amministrazione deve svolgere, ne saranno articolati gli uffici, scelto il personale, disposti gli stanziamenti finanziari, ordinati i procedimenti[97]. È evidente che l’allocazione delle risorse ha rappresentato l’ultima delle condizioni circa l’organizzazione della pubblica amministrazione nonostante siano proprio le risorse a consentire l’effettiva realizzazione delle missioni di interesse pubblico affidate all’amministrazione.
La prassi dell’esperienza legislativa ed amministrativa risulta essere orientata nel fenomeno delle cd. “riforme a costo zero”. Si tratta del fenomeno secondo cui si assiste ad una attribuzioni di funzioni ad apparati senza che a ciò corrisponda un incremento di risorse. Questo fenomeno ha come conseguenza propria l’impossibilità di esercitare concretamente dette funzioni oppure la necessità di reimpiegare risorse esistenti dedicate ad altre funzioni. Il risultato di quest’ultima operazione è quello di un generale depotenziamento delle funzioni dell’ente interessato.
Posta questa doverosa e necessaria premessa si ricorda che la questione del federalismo fiscale non può essere trattata separatamente da quella del federalismo amministrativo. In detta circostanza per federalismo amministrativo non si deve intendere solamente la riorganizzazione complessiva dei poteri pubblici sulla scorta del decentramento[98] ma anche l’individuazione concreta ed autonoma per ciascuna delle funzioni devolute, del livello che ogni ente locale si impegna a garantire rispettando i livelli minimi che devono essere omogeni in tutto il territorio nazionale. Le Regioni e gli enti locali possono svolgere le proprie funzioni e, allo stesso tempo, erogare servizi ai cittadini, a condizione che gli enti territoriali possano disporre di risorse stanziate in maniera responsabile e diretta nei confronti dell’elettorato cui ci si riferisce. Oltre a questo il livello di dette entrate deve essere deliberato da ciascun ente territoriale secondo una valutazione che tenga conto delle funzioni e dei corrispondenti servizi che si ritiene di poter erogare. Si tratta di una scelta che deve essere affidata “alla periferia e non al centro”. Non si può ritenere esistente l’autonomia qualora lo Stato centrale stabilisca e condizioni, sia in modo diretto che indiretto, i livelli di spesa, i livelli di entrata delle Regioni e degli enti locali. Alla luce di detto ragionamento si ritiene che una volta imboccata la strada del federalismo amministrativo per coerenza logica si dovrebbe altresì intraprendere la via del federalismo fiscale. A contrario l’attuazione del federalismo fiscale ex L. 42/2009 richieda una definizione precisa delle funzioni definite come fondamentali destinate ai diversi livelli di governo regionale e locale.
In conclusione si ritiene che il federalismo fiscale sia solamente una delle implicazioni del federalismo amministrativo poiché la determinazione del livello di governo ritenuto maggiormente idoneo a gestire certe tipologie di tributi, anche per quanto concerne l’aspetto amministrativo, potrà realizzarsi mediante l’attuazione del principio di sussidiarietà verticale[99]. Il federalismo fiscale, quindi, è stato definito come una portata che va servita nell’ambito di un pasto completo corredata da un adeguato contorno amministrativo[100].
Per concludere dette paragrafo si indica come il processo che era iniziato con prima con la L. 59/1997 e poi con la L. cost. 3/2001 abbia subito un improvviso arresto dal 2001 al 2008. Le analisi prodotte dalla grandi organizzazioni internazionali hanno evidenziato in primis come i servizi resi dalla pubbliche amministrazioni abbiano un livello medio-basso e, in secundis, l’alto livello dei costi da regolazione e burocratici[101]. Si tratta di alcune soltanto delle conseguenze relative sia alla mancata attuazione di un federalismo efficace sia di un insieme di pratiche di spoil system[102].
In relazione a quest’ultimo la dottrina e la giurisprudenza costituzionale italiana avevano evidenziato un aspetto che rende contraddittorio lo spoil system nella ricostruzione del sistema giuridico-costituzionale italiano. Precisamente è stato ritenuto contraddetto il principio costituzionale che distingue tra politica e amministrazione. In base a detta separazione spetta alla politica la definizione delle politiche pubbliche che devono essere a loro volta attuate dall’amministrazione. Oltre a ciò la valutazione dell’operato dell’amministrazione deve possedere quali parametri delle qualità e della quantità dei servizi resi ai cittadini e non la disponibilità di essa a piegarsi alla richieste ed interessi della politica.
Nella materia in questione si possono rinvenire tre principi costituzionali e il combinato disposto di essi rappresenta il parametro del giudizio di legittimità costituzionale nella disciplina della dirigenza.
Il primo principio costituzionale è quello che collega teleologicamente la missione delle istituzioni e delle amministrazioni pubbliche quali strumenti essenziali per garantire l’attuazione dei diritti fondamentali ai cittadini. Se l’amministrazione moderna può essere definita come efficiente, ossia capace di offrire servizi e prestazioni di elevato livello qualitativo e quantitativo, il tutto rapportato alle risorse disponibili, allora risulta essere un soggetto capace di attuare il programma costituzionale. Emerge quindi che le amministrazioni e le istituzioni devono essere al servizio dei cittadini poiché rappresentano gli strumenti necessari per realizzare, garantire e soddisfare i diritti di questi.
Il secondo principio che viene in gioco è quello democratico[103]. In forza di detto principio il popolo sceglie chi lo rappresenta e così facendo approva un programma politico determinato. Chi viene eletto ha il dovere di realizzare e attuare detto programma avvalendosi dell’amministrazione alla quale deve indicare obiettivi e politiche da realizzare e stanziare le risorse a questo destinate.
Il terzo principio è quello di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost[104]. La pubblica amministrazione deve attuare le politiche designate dal potere politico non partecipando alla competizione politica né introducendo discriminazioni tra i cittadini. Oltre a questo i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono al servizio della Nazione ex art. 98 co.1 Cost. e non di chi ha vinto le elezioni in un determinato momento storico e che di conseguenza rappresenta la maggioranza.
Le riforme degli anni ’90 avevano cercato di risolvere il problema attraverso regole preordinate a realizzare una distinzione dei ruoli tra la politica e l’amministrazione[105]. Precisamente l’autorità politica mantenne una responsabilità circa la preposizione agli incarichi ma doveva scegliere tra in vincitori di un concorso pubblico. Sempre al potere politico venne lasciato il compito di determinare i risultati che l’amministrazione avrebbe dovuto conseguire mentre i dirigenti erano responsabili di attuare il programma politico in piena autonomia gestionale. Venne altresì stabilito che alla scadenza del contratto si dovesse procedere alla verifica dei risultati e qualora gli stessi fossero stati valutati come positivi si sarebbe confermato al dirigente l’incarico oppure la preposizione dello stesso ad un incarico equivalente o maggiormente impegnativo. In caso contrario si sarebbe conferito al dirigente un incarico avente un rilievo minore o nei casi più gravi si sarebbe arrivati al licenziamento dello stesso[106].
Questo sistema venne sostanzialmente distrutto durante gli anni 2001-2008 attraverso il sistema dello “spacchettamento delle competenze”. In particolar modo, attraverso la L. 145/2002, esso ha eliminato la previsione normativa che garantiva ai dirigenti di rimanere per un periodo minimo nell’incarico dirigenziale. L’altro aspetto maggiormente significativo concerne la cessazione dei contratti in essere al fine di permettere al nuovo governo di sostituire ad nuntum i dirigenti in carica. Sul punto si è pronunciata, anche se in ritardo, la Corte costituzionale[107] dichiarando l’illegittimità costituzionale delle disposizioni contenute nella L. 145/2002 sottolineando due aspetti. In primo luogo evidenziò come la riforma degli anni 1998-1999 fosse estremamente coerente con il dettato costituzionale. In secondo luogo ritenne indispensabile e necessaria la separazione tra la politica e la pubblica amministrazione.
Un altro aspetto problematico circa l’arresto della riforma de qua concerne la problematica della discontinuità politica. Partendo dal presupposto che una riforma come quella che è stata realizzata dal 1996 al 2001 non si esaurisce nell’arco della durata di una legislatura in quanto è richiesto del tempo per l’implementazione della stessa. Si tratta di una fase estremamente delicata e cruciale perché le leggi da sole non cambiano la vita degli uomini e delle donne, e neppure il funzionamento delle amministrazioni pubbliche. Ma anche per un’altra ragione: perché nessuna riforma nasce perfetta, e solo nella fase della sua implementazione si scopre che cosa non ha funzionato, che cosa deve essere corretto, rivisto, integrato; si può fare in altri termini, quel lavoro di manutenzione, ordinaria e straordinaria, che consente di correggere quei tasselli del disegno riformatore, magari anche solo dei dettagli, che impediscono il corretto e convincente funzionamento dell’intera riforma. E’ per questo che le riforme amministrative devono essere progettate e varate con metodo bipartisan: per evitare che successivi cambi di maggioranza blocchino la riforma nella sua fase decisiva, quella della sua implementazione[108].
La riforma amministrativa nata negli anni ’90 aveva seguito quale metodo per la propria approvazione quello bipartisan[109]: tre delle cinque leggi Bassanini furono votate anche dall’opposizione di allora (centro-destra) oltre a questo tutti i decreti vennero approvati all’unanimità dalla Conferenza unificata. L’interrogativo da porsi concerne quindi la mancata attuazione di detta riforma dal cambio della maggioranza politica realizzatosi nel 2001.
A tal proposito sono state enucleate un paio di ragioni. La prima concerne le caratteristiche proprie del bipolarismo italiano. Nel contesto italico è evidente che il concetto di democrazia maggioritaria ha quale conseguenza che la maggioranza che vince le elezioni si appropria di tutto al punto da eliminare quanto effettuato dai predecessori.
La seconda concerne proprio l’architettura della riforma del Titolo V. Se da una parte è stata una riforma ben progettata in relazione, ad esempio, alla formulazione dell’art. 118 Cost. e quindi alla riscrittura dei principi costituzionali del sistema amministrativo, oppure alla definizione del federalismo fiscale ex art. 119 Cost. lo stesso non si può sostenere circa l’art. 117 Cost. Il punctum dolens di detta disposizione concerne la mancanza della previsione della clausola di supremazia[110] tipica di tutti i sistemi federali. L’assenza di detta clausola ha portato ad un’espansione incontrollata della legislazione concorrente e ha reso maggiormente difficoltoso sottrarre al legislatore statale materie richiedenti di una disciplina uniforme ed unitaria. Altro aspetto da prendere in analisi concerne il conflitto politico tra maggioranza e minoranza circa la formulazione dell’art. 117 Cost contrasto che non dovrebbe realizzarsi nel momento in cui ci si appresta a realizzare una riforma costituzionale. Questa contrapposizione ha avuto quale effetto un discontinuità nell’attuazione della riforma avvenuta nel 2001 nonché una non chiara distinzione per l’opinione pubblica tra la riforma del 1997 e quella del 2001.
4.3. Il federalismo demaniale
Il federalismo demaniale rappresenta un argomento estremamente complesso per due ordini di motivi: in primo luogo si riferisce al settore dei beni demaniali che risulta a tutt’oggi legato a istituti giuridici tradizionali. In secondo luogo il federalismo demaniale è stato bersaglio di continui provvedimenti adottati dal Governo in materia di finanza pubblica non coordinati tra di loro. Alla luce di dette considerazioni lo studio del federalismo demaniale all’interno dell’analisi della disciplina del federalismo fiscale risulta essere di problematica definizione e sistemazione[111].
Si è deciso di affrontare lo studio del federalismo demaniale partendo dall’analisi delle fonti legislative, successivamente si farà riferimento ai beni oggetto di questa species di federalismo, per poi approdare all’analisi circa la mancata attuazione dello stesso.
Partendo dalle fonti legislative si deve richiamare la già citata L. 42/2009 all’art. 19 prevedeva che decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo all'attuazione dell'articolo 119, sesto comma, della Costituzione, stabiliscono i principi generali per l'attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi. La ratio che il legislatore intendeva perseguire con detta disposizione era quella di responsabilizzare sia a livello amministrativo che finanziario-contabile i diversi livelli di governo. Per perseguire detto obiettivo si è proceduto a effettuare un censimento ragionato dei beni[112] in modo da obbligare gli Enti locali a rendere noti i motivi per cui trattengono un determinato bene e di riallocare i beni qualora gli stessi possano essere meglio valorizzati da un diverso livello di governo territoriale[113].
Il trasferimento dei beni dallo Stato centrale agli Enti territoriali è accompagnato dall’onere di valorizzazione imposto a questi ultimi ed implica un impegno a promuovere e valorizzare detti beni nell’interesse pubblico. Detta valorizzazione viene regolata tenendo in considerazione il fatto che l’amministrazione centrale otterrà dall’eventuale vendita di detto bene una percentuale del 25% che dovrà essere destinata al ripiano del debito pubblico[114]. Se questa è la regola è altresì previsto che gli enti in dissesto finanziario possono ottenere il trasferimento dei beni pubblici ma senza poter procedere alla vendita dei medesimi al fine di evitare che detto trasferimento si trasformi in una mera operazione finanziaria messa in atto per risanare i debiti dovuti ad una cattiva gestione[115].
Il federalismo demaniale menzionato in detto articolo veniva quindi attuato con l’approvazione del D.lgs. 85/2010. Quest’ultimo perseguiva l’obiettivo di devolvere alcuni beni pubblici, nel rispetto di specifici criteri, agli Enti pubblici.
Il primo articolo del D.lgs. indica l’oggetto consistente nell’individuazione di beni statali che possono essere attribuiti a titolo non oneroso a Comuni, Città Metropolitane, Province, Regioni[116]. Al secondo comma precisa che gli Enti menzionati hanno l’obbligo di garantire la massima valorizzazione funzionale introducendo quindi il principio funzionale che vincola l’ente destinatario del bene alla gestione del bene trasferito. L’obiettivo che il legislatore delegato ha voluto perseguire mediante la formulazione di detto articolo è stato quello di voler garantire la massima valorizzazione funzionale del bene per l’interesse della collettività non solamente come vincolo imposto all’Ente circa l’utilizzazione del bene ma anche come aspetto che deve essere preso in considerazione dallo Stato al momento dell’attribuzione[117]. Emerge quindi che qualora un Ente non dovesse essere ritenuto idoneo ad assicurare la giusta valorizzazione ad un determinato bene esso non potrà essere nemmeno destinatario circa detto conferimento[118].
La disposizione appena menzionata descrive quello che è stato definito il principio funzionale del bene rispetto alle funzioni e competenze istituzionali svolte dagli Enti che procedono a richiedere l’assegnazione dei beni. Oltre a ciò detto principio rappresenta anche la ragion d’essere circa il trasferimento dei fondi comuni di investimento quando essi siano strettamente collegati alla necessità di assicurare una capacità finanziaria strumentale per rispondere alle esigenze di tutela, gestione e valorizzazione del bene.
Un secondo aspetto estremamente importante contenuto nell’art.1 concerne la previsione secondo cui detti beni possono essere trasferiti solo su richiesta degli Enti territoriali. Si tratta di una condizione estremamente rilevante ed importante infatti evita che il federalismo demaniale possa realizzarsi attraverso l’assegnazione di beni ad enti che non siano in grado di valorizzarli, gestirli e tutelarli. Questa previsione rappresenta una delle modifiche estremamente importanti apportate alla prima versione del decreto. Inizialmente era previsto che solamente i beni immobili e le aree erano assoggettate a un procedimento di accettazione mentre le altre species di beni erano assegnate per volontà dello Stato[119].
L’art. 2 indica i principi generali per l’attribuzione dei beni[120]. Il primo enuncia che l’individuazione circa i beni da trasferire dallo Stato agli Enti locali debba avvenire “previa intesa” conclusa in sede di Conferenza Unificata[121]. Si tratta di una garanzia per le Regioni e per gli altri Enti locali poiché indica come il federalismo fiscale debba essere condiviso fra tutti gli enti dello Stato. L’aver adottato lo strumento maggiormente flessibile dell’intesa risiede nella circostanza che l’ente conserva l’autonoma volontà circa l’accettare o meno il bene[122]. Sempre il primo comma richiede che l’attribuzione del bene debba garantire ed assicurare la giusta distribuzione dei beni tra i diversi livelli di governo territoriale. Detta disposizione è volta a rende effettiva l’applicazione dei criteri equi circa l’attribuzione dei beni in rapporto alla proposta di attribuzione dei beni fra i livelli di governo e nell’ambito di ciascun livello di governo.
Per quanto concerne i criteri che devono essere rispettati per l’attribuzione dei beni si deve fare riferimento all’art. 2 del D.lgs 85/2010 e sono: sussidiarietà, adeguatezza e territorialità, semplificazione, capacità finanziaria, correlazione con competenze e funzioni ed infine valorizzazione territoriale.
Partendo dal primo, in sintesi, si può sostenere come l’applicazione di detto principio abbia lo scopo di assegnare un ruolo di preferenza ai Comuni alla luce del loro radicamento territoriale. Qualora più richieste dovessero pervenire da diversi livelli di governo i beni verranno assegnati al livello più vicino al territorio.
La semplificazione degli strumenti urbanistici implica la possibilità di addivenire alla modifica del piano urbanistico mediante la convocazione di una speciale Conferenza di Servizi[123]. Detta disposizione ha recepito quando sostenuto nella sentenza n. 340/2009 della Corte costituzionale che ammette le variazioni dello strumento urbanistico finalizzato alla valorizzazione del bene. Precisamente il Giudice delle leggi ha ritenuto l’illegittimità l’art. 58 co.2 L. 42/2009 in quanto si trattava di una disposizione che si occupava del governo del territorio quindi materia di competenza concorrente ex art. 117 Cost. La pronuncia della Consulta ha sottolineato che la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni costituisce variante allo strumento urbanistico generale. Tale variante, in quanto relativa a singoli immobili, non necessita di verifiche di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle Province e delle Regioni.
Un altro principio concerne la capacità finanziata interpretata come idoneità finanziaria necessaria a soddisfare le esigenze di tutela, gestione e valorizzazione dei beni. Questo è intimamente collegato con il vincolo di bilancio e il patto di stabilità al punto che gli Enti che dovessero essere in dissesto finanziario non possono alienare i beni già assegnati. Si tratta di una previsione volta ad evitare che la richiesta di assegnazione si trasformi in una mera operazione finanziaria destinata al ripiano del debito dell’Ente e ciò contrasterebbe con il principio della valorizzazione funzionale[124]. Nonostante questo è opportuno evidenziare che il riferimento al criterio della capacità finanziaria sia troppo generico e richiederebbe una indicazione ad hoc circa gli elementi ed i parametri su cui fondare la valutazione dell’idoneità dell’ente territoriale a gestire, tutelare e valorizzare i beni oggetto di richiesta.
L’ultimo principio è quello della valorizzazione funzionale ed ambientale ossia si richiede che vi sia correlazione con competenze e funzioni, intesa come connessione tra le competenze e le funzioni effettivamente svolte o esercitate dall'ente cui é attribuito il bene e le esigenze di tutela, gestione e valorizzazione del bene stesso. Si rinvengono quindi due concetti: la valorizzazione ambientale e quella funzionale.
Partendo dalla prima si ritiene che valorizzazione ambientale debba essere intesa come una valorizzazione del bene che tenga conto delle caratteristiche fisiche, morfologiche, ambientali, paesaggistiche, culturali e sociali al fine di assicurare lo sviluppo del territorio e il rispetto dei valori ambientali[125].
Per quanto concerne la valorizzazione funzionale del patrimonio culturale si rinviene all’art. 117 let. S Cost[126]. In relazione all’ambito operativo del federalismo demaniale la valorizzazione funzionale ha assunto il significato di “monetarizzazione dei beni patrimoniali dello Stato” a causa dei diversi provvedimenti adottati in materia di bilanciamento dei conti pubblici[127]. Dai diversi provvedimenti adottati emerge come valorizzazione funzionale in un primo momento significhi valorizzazione dei beni attraverso fondi comuni di investimento immobiliare[128], successivamente debba essere inteso come attività funzionale alla riduzione del debito pubblico[129]. Infine l’art. 2 del D.lgs. 85/2010 prevede che “l'ente territoriale, a seguito del trasferimento, dispone del bene nell'interesse della collettività rappresentata ed é tenuto a favorire la massima valorizzazione funzionale del bene attribuito, a vantaggio diretto o indiretto della medesima collettività territoriale rappresentata.
Conclusa la disamina circa le fonti legislative del federalismo demaniale si può passare ora all’analisi dei beni oggetto del federalismo demaniale. Si deve partire da una precisazione ossia i beni che la pubblica amministrazione utilizza per perseguire i propri obiettivi e fini compongono, nel loro complesso, il patrimonio dello Stato e sono definiti beni pubblici. Per beni demaniali si intendono quelli posseduti a titolo pubblico e si rinvengono nell’elenco dell’art. 822 c.c. al quale deve essere affiancata la lettura dell’art. 28 Codice della Navigazione il quale indica i beni appartenenti al demanio marittimo. Da questo deriva che i beni pubblici sono un insieme al quale appartengono diversi sottoinsiemi rappresentati dai beni del demanio necessario e accidentale, beni del patrimonio disponibile d indisponibile[130].
La dottrina ritenendo che detta elencazione non fosse più idonea per comprendere l’intera categoria di beni pubblici ha elaborato delle dottrine per procedere alla classificazione dei beni pubblici. La prima teoria è stata definita come oggettiva[131] e analizza l’aspetto funzionale ossia riconduce la qualifica di bene alla realizzazione di uno scopo pubblico. Un bene quindi può essere definito come pubblico anche se appartiene ad un privato il quale lo destinata al perseguimento di un pubblico fine. La teoria soggettiva[132] qualifica il bene in base all’appartenenza ossia è pubblico il bene che appartiene all’amministrazione. Si tratta di una teoria esposta a critiche poiché contrasta con le disposizioni che nel disciplinare il regime della demanialità prescindono dall’appartenenza di determinati beni alla Pubblica Amministrazione; oltre a questo la P.A. è titolare di un patrimonio indisponibile che a sua volta è assoggettato alla disciplina dei beni privati. Infine l’ultima teoria accolta dalla dottrina prevalente[133] ha adottato una teoria intermedia tra quelle appena esposte sostenendo come la destinazione al soddisfacimento di un interesse pubblico insieme all’appartenenza del bene in capo ad un ente pubblico qualifichino un bene come pubblico[134].
A parte questo excursus i provvedimenti del federalismo demaniale hanno come oggetto beni statali ex art. 1 D.lgs. 85/2010. Con detta locuzione il legislatore ha ripreso la categoria di beni pubblici sia secondo le classificazioni appena citate sia secondo la tradizionale distinzione tra beni demaniali e patrimoniali disponibili ed indisponibili.
L’art. 5 del D.lgs. 85/2001[135] indica i beni che potrebbero essere oggetto del trasferimento non oneroso ai Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. In sede di confronto con gli Enti locali sono stati apportati due correttivi. Il primo concerne la possibilità di trasferire demanio avente interesse inter-regionale ed è preordinato a superare l’ambito dell’interesse regionale. Attraverso detta correzione è stata fornita la possibilità di attribuire congiuntamente un bene appartenente al demanio idrico, per esempio, a più Regioni che dimostrassero di avere un interesse inter-regionale. Si rinviene quale fonte di detta previsione l’art. 117 co. 6 quando prevede la ratifica ad opera della legge regionale per quanto riguarda le intese della Regione con altre Regioni per il miglior esercizio delle proprie funzioni. Sempre questa prima correzione permette altresì di rafforzare il concetto di appartenenza ad un’unica comunità ossia a quella nazionale e a quella sovra-nazionale rappresentata dall’Unione Europea[136].
Il secondo correttivo concerne il trasferimento del demanio qualora vi sia un interesse comunale. In questa ipotesi viene riconosciuta la possibilità per i comuni di avanzare richieste in relazione ai beni appartenenti al demanio idrico per i quali sussista un interesse comunale. Oltre a questo viene sancita la possibilità per i comuni di chiedere ed ottenere il trasferimento di aeroporti rispetto ai quali vi sia un interesse locale e che appartengano al demanio civile statale e relative pertinenze. Allo stesso regime soggiacciono le miniere ubicate sulla terraferma.
Nell’analizzare i criteri utilizzati dal legislatore per individuare le diverse tipologie di beni ci si accorge che non esiste un criterio unitario ma sono stati utilizzati tre criteri diversi in relazione a diverse tipologie di beni. In primo luogo con riferimento ai beni del demanio marittimo il legislatore ha utilizzato il criterio dell’esclusione, infatti, è stabilito che sono trasferiti i beni del demanio marittimo ad esclusione di quelli direttamente utilizzati dalle amministrazioni statali. Per quanto riguarda i beni del demanio idrico il criterio guida è quello dell’interesse interregionale, regionale, provinciale o comunale. Infine per quanto concerne le miniere viene utilizzato il criterio della ubicazione nella terraferma. Non si capisce quale sia la ratio che indotto il legislatore ad adottare questi tre diversi criteri, probabilmente l’unica spiegazione concerne la singolarità e tipicità dei diversi beni e che quindi non è stato possibile rinvenire un unico criterio applicabile.
Se il federalismo dovesse trovare applicazione all’art. 5 co.2 [137] si rinviene un’elencazione dei beni che rimarrebbero di proprietà esclusiva dello Stato. Il comma successivo del medesimo articolo indica i beni che non possono essere oggetto del trasferimento dettando una procedura ad hoc cioè e amministrazioni statali e gli altri enti di cui al comma 2 trasmettono, in modo adeguatamente motivato, ai sensi del medesimo comma 2, alla Agenzia del demanio entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo gli elenchi dei beni immobili di cui richiedono l'esclusione.
4.4. Il federalismo scolastico
L’analisi circa l’aspetto del federalismo scolastico verrà condotta seguendo due step. In primo luogo si analizzeranno le fonti rappresentate dalle disposizioni costituzionali e da quelle contenute nella legge ordinaria. Successivamente si analizzeranno gli aspetti positivi e negativi circa un’effettiva attuazione del federalismo de quo.
Partendo dal primo aspetto si deve ricordare come la disposizione cardine sia l’art. 117 Cost. il quale indica come materia appartenente alla legislazione esclusiva dello Stato la fissazione delle norme generali sull’istruzione. Sempre alla competenza statale spetta la determinazione circa i livelli essenziali per quanto concerne le prestazioni relative ai diritti civili e sociali trai quali rientra appunto l’istruzione. Alle Regioni, invece, è riconosciuta una potestà legislativa concorrente in materia di istruzione da esercitarsi rispettando anche l’autonomia garantita a livello costituzionale alle istituzioni scolastiche.
Per quanto concerne la legislazione ordinaria[138] alle Regioni è stata anche la programmazione della rete scolastica sul proprio territorio oltre che allo svolgimento delle funzioni e dei compiti amministrativi riguardanti la formazione professionale. Con la riforma attuata dalla L. cost. 3/2001 si è ulteriormente modificato il quadro delle competenze dei diversi enti in quanto con la L. 131/2003 (l. Loggia) sono stati identificati criteri diversi cica l’individuazione e il trasferimento delle risorse dallo Stato alle Regioni ed enti locali.
L’altra legge ordinaria che si occupa della materia de qua è la L. 42/2009 la quale, in primo luogo, indica come in materia di istruzione sia compito dello Stato definire i livelli essenziali delle prestazioni. Il procedimento da seguire riguarderà la definizione, in prima battuta, dei livelli essenziali delle prestazioni per l’istruzione, di conseguenza verranno definiti i costi standard e, infine, alla luce del fabbisogno di ciascuna Regione lo Stato dovrà garantire il finanziamento attraverso il meccanismo della perequazione. Oltre a questo la legge detta anche un periodo di tempo ritenuto come necessario per passare dalla spesa storica a quella standard; in detto periodo le Regioni potranno quindi ricevere finanziamenti anche superiori rispetto a quelli standard.
Se questa è la legislazione in materia di federalismo scolastico si devono ora evidenziare sia gli aspetti positivi che negativi che deriverebbero da una concreta attuazione di detto federalismo.
Iniziando dagli aspetti positivi, o dai vantaggi, il primo concerne l’allineamento degli incentivi. Precisamente se avvenisse il passaggio del personale scolastico alle Regioni si eliminerebbe la frammentazione dei compiti tra i diversi livelli di governo[139]. Questa parcellizzazione eccessiva ha prodotto quali conseguenze il free-riding tra i diversi livelli di governo. Le Regioni non hanno incentivi per migliorare e razionalizzare la rete scolastica, i Comuni non provvedono a eliminare delle costruzioni inefficienti e dinnanzi alle pressioni provenienti dallo Stato centrale assumono un atteggiamento di resistenza. In questo ambito si ha una pronuncia della Corte costituzionale con la quale viene precisato che tutti gli interventi necessari per incentivare la razionalizzazione della rete non possono prescindere da un coinvolgimento delle Regioni[140].
Un secondo vantaggio della devoluzione della spesa per l’istruzione potrebbe far approdare ad una definizione territoriale degli stipendi più in linea con l’effettivo costo della vita e
con maggior gradi di flessibilità per il finanziamento dei docenti. Si deve evidenziare come gli stipendi già bassi dei maestri e professori, già ritenuti estremamente bassi sul piano internazionale, nonostante siano uniformi sul territorio italiano alla fine risultano essere eterogenei in relazione al territorio che viene preso in considerazione. Partendo da detta riflessione si potrebbe ipotizzare di avvicinare il valore dello stipendio al costo della vita al fine di rendere realmente uniformi gli stipendi dei docenti e maestri.
Un terzo vantaggio concerne la possibilità di attuare delle sperimentazioni che tengano conto delle differenze esistenti tra i diversi territori italiani. In alcuni contesti potrebbe essere valutato come positiva la concessione di maggiore potere in capo alla dirigenza scolastica mentre in altre realtà potrebbe essere ritenuta un’esperienza negativa.
In relazione all’insieme degli aspetti negativi, il primo è rappresentato dal rischio circa una non corretta gestione delle risorse attribuite alle Regioni. In particolare il pericolo è che le Regioni potrebbero utilizzare le risorse e la loro autonomia non per incentivare la formazione dei corsi di italiano, matematica, ecc.
L’altro aspetto maggiormente problematico implica una riflessione malinconica circa la diversità tra due realtà del paese, ossia l’efficienza di un sistema scolastico presente al Nord e uno diametralmente opposto presente al Sud. Le differenze già esistenti quindi potrebbero divenire ancora più marcate qualora si dovesse adottare un sistema centralizzato. A tal proposito si deve comunque evidenziare che il sistema scolastico centralizzato e l’uniformità delle risorse non hanno impedito o diminuito la differenza poc’anzi citata. Oltre a ciò la legge delega tratta di estendere il nuovo modello di finanziamento alle funzioni che nel campo delle istruzione dovessero essere date alle Regioni sulla base delle forme con cui le singole Regioni daranno seguito all’intesa Stato - Regioni sull’istruzione. Emerge quindi come sia possibile attuare un periodo di transizione durante il quale si avrà un decentramento solamente al Nord[141].
4.5. Il federalismo municipale
Il federalismo municipale si basa su alcuni principi fondamentali: autonomia finanziaria di entrata e di spesa, risorse autonome, e tributi ed entrate proprie. Un federalismo municipale che si basi sui principi fondamentali di riconoscere maggiore autonomia e di chiedere maggiore responsabilità agli enti locali (e quindi agli amministratori) diventa un’arma per combattere gli sprechi e l’evasione fiscale[142].
Il quadro normativo di riferimento è rappresentato, ancora una volta, dall’art. 119 Cost. e dall’art. 12 della L. 42/2009 contenente una delega all’esecutivo[143] affinchè questo provveda ad introdurre uno o più tributi propri comunali che, valorizzando l’autonomia tributaria, attribuisca all’ente la facoltà di stabilirli e applicarli in riferimento a particolari scopi quali la realizzazione di opere pubbliche e di investimenti pluriennali nei servizi sociali ovvero il finanziamento degli oneri derivanti da eventi particolari quali flussi turistici e mobilità urbana. Detta delega verrà recepita per i Comuni attraverso l’art. 6 D.lgs. 23/2011 che menziona l’imposta di scopo disciplinata a sua volta dalla L. 296/2006[144].
Precisamente l’art. 6 del D.lgs. 23/2011 contiene la previsione secondo cui ai Comuni è riconosciuta la possibilità, utilizzando lo strumento del regolamento comunale[145], di ampliare l’area di manovra per quanto riguarda le imposte di scopo della L. 296/2006. In base a detta previsione è riconosciuto ai Comuni la possibilità di deliberare un’imposta di scopo da destinare in modo esclusivo a parziale copertura delle spese per quanto concerne la realizzazione di opere pubbliche individuate dal Comune nel medesimo regolamento. L’imposta di scopo può essere istituita solamente per il finanziamento di opere tassativamente determinate dalla stessa disposizione legislativa[146].
L’ambito oggettivo dell’imposta è identico a quello previsto per l’IMU ossia ex art. 6 co.2 L. 23/2011 a decorrere dall’applicazione dell’imposta municipale propria l’imposta di scopo si applica, o continua ad applicarsi se già istituita, con riferimento alla base imponibile e alla disciplina vigente per tale tributo.
Sempre in attuazione della L. 42/2009[147] le novità introdotte nell’ordinamento fiscale concernono due forme di imposizione: l’imposizione municipale propria e la previsione di un’imposta municipale secondaria.
La seconda, art. 11 D.lgs. 23/2011 avrebbe dovuto sostituire le forme di prelievo rappresentate dalla tasse per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, il canone di occupazione di spazi e di aree pubbliche, l’imposta comunale sulla pubblicità e i diritti sulle pubbliche affissioni nonché il canone per l’autorizzazione all’istallazione dei mezzi pubblicitari. La disposizione de qua è stata definitivamente abrogato dall’art. 1, co. 25 della L. 208/2015.
Per quanto concerne l’imposta municipale propria il Dl. 201/2011 successivamente convertito con L. 214/2011 ha introdotto a livello sperimentale l’IMU (imposta municipale propria) dall’anno 2012 al 2014. L’IMU sostituisce per la componente immobiliare l’imposta sul reddito delle persone fisiche e le relative addizionali tra cui l’addizionale comunale IRPEF da corrispondere in relazione ai redditi fondiari relativi a beni non locati e l’imposta comunale sugli immobili[148].
Se il federalismo fiscale è un aspetto del federalismo comunale si deve riconoscere come vi sia un altro aspetto del federalismo comunale denominato federalismo comunale solidale. Questa è l’etichetta data all’ideologia che sostiene come necessario ripartire da un governo top down per rispondere alla crisi che ha investito il territorio nazionale. Non si tratta solamente della crisi finanziaria ma anche quella concernente la perdita di legittimazione delle classiche forme della rappresentanza politica a seguito dell’incapacità di quest’ultima di fornire delle risposte consone ai cittadini dinnanzi i complessi problemi che la società attuale pone[149].
I sostenitori del federalismo comunale solidale si richiamano al concetto di federalismo antropologico ossia quella tipologia di federalismo che è fondato prima di tutto, essenzialmente, originalmente, sulle azioni e sui comportamenti sociali prima che sulle forme di legge (che anzi essi sono chiamati a conformare, ridefinire). Sulla capacità quindi di iniziativa autonoma, di progetto dei cittadini in uno spazio pubblico; una autonomia che si rapporta, attraverso la partecipazione, alle istituzioni, le più prossime innanzitutto (per la natura locale di questi processi, da cui il ruolo essenziale quindi dei Municipi), ma che può anche produrre politiche pubbliche non istituzionali o pre-istituzionali[150].
Il federalismo de quo è un processo che nasce come resistenza ai segni federali fondamentali lasciati nel patto costituente, oltre a questo nasce dalla pratica sociale e dell’autogoverno delle istituzioni di base che induce proprio dal basso delle regole di relazione reciproca delle autonomie.
Si deve sottolineare come il federalismo municipale sia definito anche come un progetto in quanto non concerne solamente le buone regole del governo locale o forme dell’istituzione e modalità virtuose ma anche l’autonomia progettante e sperimentante nel quale il progredire del progetto fonda le regole da rispettare[151].
5. Conclusioni
Della panoramica offerta fin’ora rimane solamente un ideale, l’ideale federalista. Come sottolineato già nel 2011 da dottrina autorevole[152] si può dire che il federalismo fiscale sia evaporato. L’eliminazione del percorso iniziato nel 2001 sembra essersi arrestato in maniera (quasi) irreversibile a fronte delle osservazioni fornite dalla Corte dei Conti secondo cui le valutazioni avanzate nella prima parte del rapporto evidenziano le difficoltà del percorso di equilibrio dei conti pubblici nella prospettiva di medio-lungo periodo. E ciò in relazione sia ai severi impegni che discendono dalle nuove regole di governance europea che alla necessità di procedere lungo un sentiero obbligato, quello della riduzione e della riqualificazione della spesa pubblica, che offre margini d’azione sempre più stretti in un contesto di bassa crescita economica[153].
A fronte di questo rimane solamente il duplice ideale federalista dato, da una parte, dal perseguimento della pace per il quale è necessario che le entità più piccole a livello politico risultino essere coese per assicurare la loro rilevanza. Dall’altra parte è necessario che l’obiettivo dell’autogoverno e della libertà politica sia attuato dalle istituzioni più vicine ai cittadini al fine di ottenere la più ampia partecipazione. Questi due aspetti possiedono un elemento in comune ossia l’esistenza di una cooperazione tra autorità ed istituzione ed infine tra i diversi livello di governo.
Il problema esistente attualmente è rappresentato per lo più dalla partecipazione dello Stato nazionale a organismi sovranazionali la quale genera un eccessivo allargamento dei confini della comunità politica e del concetto di popolo. In altri termini una delle problematiche essenziali è data dall’assenza di una costituzione internazionale. Senza questa il federalismo non potrà mai avere le qualità necessarie per passare da ideale a modello politico vero e proprio[154].
Note e riferimenti bibliografici
[1] I. KANT, Il federalismo e la pace, in Idea di una storia universale da un punto di vista cosmopolitico, 1784.
[2] A tal proposito si sono evitate le tematiche in relazione alle quali da sempre la dottrina discute in quanto lo scopo appunto del contributo è quello di fornire una panoramica comparatistica tra i diversi modi di atteggiarsi del federalismo.
[3] M. DIAMOND, The Ends of Federalism, in The Federal Polity, edited, Philadelphia, Center for the Study of Federalism, 1974, pag. 129, cit.
[4] B. CONFORTI, Diritto Internazionale, X ediz., Napoli, pag. 17.
[5] G. ANDERSON, La relevância política Del federalismo en El siglo XXI, in España y modelos de federalismo, Madrid: Centro de Estudios Políticos y Constitucionales, Cuadernos y Debates, n. 204/2010, pag. 39.
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[7] W.H. RIER, Federalism: Origin, Operation, Significance, Boston, 1964, in M. FERRERA -M. GIULIANI, Governance e politiche nell'Unione Europea, Bologna, 2008, pag. 51.
[8] M. BURGESS, Comparative Federalism:Theory and practice, Londra, pag. 21.
[9] T. GROPPI, Il Federalismo, Roma-Bari, 2004.
[10] Il processo elettorale avviene nel seguente modo: il corpo elettorale elegge i grandi elettori e questi nominano il Presidente, Capo dello Stato e titolare del potere esecutivo.
[11] R. BATTAGLIA, Usa e Ue ordinamenti a confronto, in Personaedanno, 3.3.2014
[12] L’Australia è una monarchia costituzionale federale, il federalismo in detto contesto viene definito come “federalismo dei grandi spazi” in quanto nato in un paese di grandi dimensioni. L’Australia possiede un federalismo duale caratterizzato da un elevato grado di autonomia per gli Stati membri. Il Canada è una monarchia costituzionale ad ordinamento federale e rappresenta un esempio di federalismo sorto per aggregazione in un contesto di tipo coloniale tra le province fondatrici del Quebec francofono affianco a quelle anglofone. Altri esempi sono l’Austria, l’India, la Germania, la Svizzera e le costituzioni latino-americane.
[13] K.C. WHEARE, Del governo federale, 1946, trad. ita, Bologna, pag. 65, cit.
[14] G. DE VERGOTTINI, Diritto costituzionale comparato, Padova, pag. 382.
[15] L. PALADIN, La potestà legislativa regionale, Padova, 1958, pag. 258-260, cit. L. PALADIN, Diritto regionale, Padova, 1973.
[16] A. BARBERA, L. CALIFANO (a cura di), Saggi e materiali di diritto regionale, Rimini, 1997, pag. 353, cit.
[17] P.S. GRAGLIA, L’Unione Europea, Bologna, pag. 10, cit.
[18] P.S. GRAGLIA, L’Unione Europea, op.,cit., pag. 14.
[19] M. BURGESS, Comparative Federalism: Theory and practice, Londra, pag. 223.
[20] Ossia organi di polizia, un esercito.
[21] M. FERRERA – M. GIULIANI, Governance e politiche nell'Unione Europea, Bologna, 2008, cit, 115-117.
[22] M. BERGO, Il diritto sociale frammentato. Principio di sussidiarietà e assistenza sociale, Padova, 2013, pag. 225, nota 55,cit.
[23] J. DELORS, Le moment et la méthode, Le Débat, Parigi, 1995, pag. 315, cit.
[24] La costituzione degli Stati Uniti prevede un forma di Stato caratterizzata da più livelli istituzionali partecipanti alla sovranità. Da questo deriva la definizione dell’ordinamento americano come una “sovranità duale” in quanto condivisa fra Stati e Federazione e i poteri appartenenti a ciascun livello delimiterebbero il loro specifico ambito sovranità. Di conseguenza Stati e Federazione costituirebbero dei livelli sovrani. A. PIN, La sovranità in America, Padova, 2012, pag. 12.
[25] R. PEPE, Tipologia, struttura e caratteri del governo locale nel Regno Unito, Padova, 2017, pag. 157.
[26] K. HESSE, Der unitarische Bundesstaat, Berlino, 1962.
[27] G. KISKER, Kooperationim Bundestaat. Eine Untersuchung zum Kooperativen Foederalismus
in der Bundesrepublik Deutschland, Tuebingen, 1971.
[28] I casi di amministrazione “mista” ossia esercitata congiuntamente dalla Federazione e dai Länder possono definirsi residuali in quanto si verificano solo in situazioni specifiche. Queste ipotesi di amministrazione “mista” sono ammesse solo ed esclusivamente se la Legge Fondamentale le prevede. Quest’ultima richiama forme di amministrazione mista in materia di amministrazione finanziaria (art. 108) e per le garanzie di sicurezza minime per la ricerca del lavoro (art. 91). M. RONELLENFITSCH, Die MischverwaltungimBundesstaat, Berlino, 1975.
[29] A. DE PETRIS, Il principio cooperativo come elemento ispiratore del federalismo tedesco: un Sonderweg irripetibile o un modello da cui trarre insegnamenti? In Le istituzioni del Federalismo, vol. 39, fasc. 2/2018, pag. 431-449.
[30] M BOLDRIN, Federalismo competitivo e federalismo cooperativo: esempi stranieri e lezioni per l’Italia. Volti del federalismo, Milano, 1995.
[31] Si ricordi che il Canada nonostante sia uno Stato federale viene spesso indicato come “Canadian Confederation”.
[32] A. RINELLA, La ripartizione delle competenze legislative nel sistema federale canadese, Trieste, pag. 87-89, 1993.
[33] M. FERRERA – M. GIULIANI, Governance e politiche nell'Unione Europea, op, cit.
[34] R. BATTAGLIA, U.S.A. E U.E.: ordinamenti a confronto, in Persona e danno, 3/3/2014, pag. 2-25.
[35] Per esempio in Germania il diritto federale prevale su quello statale e il primo viene eseguito in via principale dalle amministrazione dei Länder, però agli organi della Federazione è riconosciuta la possibilità di emendare la Costituzione.
[36] A. VESPAZIANI, L’Unione Europea: Federazione o Confederazione? In Aperta Contrada, n.25/2014, pag. 14-16.
[37] La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea Costituente, vol. VII, Commissione per la Costituzione, II sottocommissione, seduta del 27 luglio 1946, Roma, 1971, pag. 829,cit.
[38] E. GIZZI, Manuale di diritto regionale, Milano, 1971, pag. 13.
[39] A. MANZELLA, Il parlamento, Bologna, 2003, pag. 7-20.
[40] Con esso è stato segnato il passaggio definitivo dalla integrazione economica alla integrazione politica dell’Europa.
[41] Con detta inchiesta è stata innescata una reazione a catena che ha svelato in modo aperto il diffuso contesto corruttivo attraverso il quale si sono mossi i partiti politici negli ultimi decenni del tempo.
[42] L. RICOLFI, La Lega, in G. PASQUINO, (a cura di), La politica italiana. Dizionario critico 1945-
1995, Roma-Bari, 1995, pag. 261-291.
L’ascesa delle stesse è da collocarsi alla fine degli anni Ottanta con scadenti risultati elettorali.
[43] P. SCOPPOLA, La repubblica dei partiti, Bologna, pag. 478.
[44] A. LEPRE, Storia della prima Repubblica. L’Italia dal 1943 al 2003, Bologna, 2004, pag. 339, cit.
[45] G. GARDINI, Dalla “questione meridionale” alla “questione settentrionale”: l’amministrazione regionale in cerca di identità, in Istituzioni del federalismo, n. 2/2010, pag. 11-21.
[46] L. 59/1997, L. 127/1997, L. 128/1998, L. 340/2000.
[47] G. PASTORI, Trasformazione del centro e ordinamento regionale, in Diritto pubblico, 1999, 675-690.
[48] G. DE VERGOTTINI, Stato federale, in Enciclopedia del diritto, XLIII, Milano, 1990, pag. 832.
[49] A. BARBERA, Una riforma per la Repubblica, Roma, 1991, pag. 254.
[50] M. CAVINO, Stato regionale e politiche federali, in Bollettino Iuris, n. 1/2012, pag. 7, cit.
[51] E. GRIGLIO, Principio unitario e neo-policentrismo. Le esperienze italiana e spagnola a confronto, Padova, 2008, pag. 1-20.
[52] M. CAVINO, Stato regionale e politiche federali, op, cit, pag. 7.
[53] L. VANDELLI, Du régionalisme au fédéralisme?, in Pouvoirs, n.103/2002, pag. 81-100.
[54] R. PEREZ, Finanza pubblica, in S. CASSESE (a cura di) Trattato di diritto amministrativo, Milano, vol. II, 2003, pag. 2505.
[55] Corte cost. n. 423/2004.
[56] M.C. FREGNI, Riforma del Titolo V della Costituzione e federalismo fiscale, in Rass. trib., n.3/2005, pag .683, cit.
[57] L. TOSI, voce Finanza locale, in Dig. Comm. Aggiornamento, Torino, 2000, pag. 285- 295.
[58] N. BOZZA, Il federalismo fiscale in Germania, in Riv. dir. trib., 1/1996.
[59] V. CERIANI, Federalismo, perequazione e tributi, in Rass. trib., n. 5/2002, pag. 1664-1684.
[60] A. GIOVANARDI, L’autonomia tributaria degli enti territoriali, Milano, 2005, pag. 25.
[61] F. BASSANINI, Principi e vincoli costituzionali in materia di finanza regionale e locale nel
nuovo articolo 119 della Costituzione, in www.astrid-online.it, 2006.
[62] L’art. 117 co.2 sancisce quale potestà esclusiva statale sistema tributario e contabile dello Stato, al co.3 indica quale materia appartenete alla legislazione concorrente coordinamento della finanza pubblica del sistema tributario.
[63] M. BERTOLISSI, Federalismo fiscale: una nozione giuridica, in Federalismo fiscale, 1/2007, pag. 28-29. G.M. SALERNO, Alcune riflessioni sulla nuova costituzione finanziaria della Repubblica, in Federalismo fiscale, n. 1/2007, pag. 119-139.
[64] Così R. BIFULCO, Osservazioni sulla legge n. 42 del 2009 in materia di federalismo fiscale, in
www.astrid-online.it, maggio 2009.
[65] A. ZANARDI, Federalismo fiscale tra autonomia e solidarietà, in A.ZANARDI (a cura di), Per lo sviluppo. Un federalismo fiscale responsabile e solidale, Bologna, 2006, p. 26.
[66] L. ANTONINI, in Le coordinate del nuovo federalismo fiscale, in Diritto e pratica tributaria 2009, fasc. 2, pag. 827-830.
[67] L. ANTONINI, in Le coordinate del nuovo federalismo fiscale, op, cit.
[68] L. ANTONINI, Federalismo all’italiana. Dietro le quinte della grande incompiuta. Quello che ogni cittadino dovrebbe sapere, Venezia-Mestre, 2013, pag.36-37.
[69] F . PIZZETTI, Un federalismo per unificare il paese e rafforzare la democrazia (Commento all’art. 1), in V. NICOTRA, F. PIZZETTI, S. SCOZZESE (a cura di), Il federalismo fiscale, Local/1, Collana del Cis Anci, Roma, 2009, pag. 18.
[70] Cfr. F. BASSANINI, G. MACCIOTTA, Oggetto e finalità della legge (Commento all’articolo 2), in op, cit, pag. 50, cit.
[71] Fanno parte di detta categoria la sanità, l’assistenza, l’istruzione, ossia i diritti sociali e civili.
[72] R. BIFULCO, Osservazioni sulla legge n. 42 del 2009 in materia di federalismo fiscale, in www.astridonline.it, 24 maggio 2009, p. 1-13.
Per maggiori approfondimenti circa detti decreti vedasi: L. ANTONINI, Il primo decreto legislativo in attuazione della legge n. 42/2009: il federalismo demaniale, in www.federalismi.it, n. 25/2009, pag. 3. S. PELLEGRINO, S. PIPERNO, L’autonomia tributaria delle Regioni e degli Enti Locali alla luce dei più recenti provvedimenti: “L’albero è più dritto?”, Centro Studi sul Federalismo, 2012, pag. 28-42. E. JORIO, Federalismo fiscale: il decreto delegato che prevede le sanzioni e le premialità, in www.astridonline.it, 6 settembre 2011, pag. 2-3.
[73] R. BIN, Che ha di federale il “federalismo fiscale”?, In Istituzioni del Federalismo, n.5/ 2008, pag. 525, cit.
[74] G. SCIULLO, Federalismo amministrativo, in www.federalismi.it, 2 dicembre 2004, pag. 1.
[75] G. SCIULLO, Federalismo amministrativo, op, cit, pag. 2-30.
[76] P.M.V PERPETUA, Osservazioni sul cosidetto federalismo amministrativo nella sua evoluzione e nei suoi sviluppi, in Istituzioni del federalismo: rivista di studi giuridici e politici, n.2/2011, pag. 395-423
[77] O. RANELLETTI, Note sul progetto di Costituzione presentato dalla commissione dei 75
all’assemblea costituente, in Il Foro italiano, vol. LXX, 1947,npag. 87. cit
[78] La Repubblica una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della propria legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.
[79] Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, che possono essere attribuite dalle leggi della Repubblica alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali.
Lo Stato può con legge delegare alla Regione l’esercizio di altre funzioni amministrative
La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici.
[80] G. SCIULLO, Federalismo amministrativo, op., ult., cit., pag. 5.
[81] G. VESPERINI, Note a margine di una recente ricerca sulla semplificazione amministrativa, in Giorn. dir. amm., 2010, pag. 205, cit.
[82] L. TORCHIA, In principio sono le funzioni (amministrative): la legislazione seguirà (a proposito della sentenza 303/2003 della Corte Costituzionale), in www.astrid-online.it, pag. 2., cit.
[83] M. CAMMELLI, I raccordi tra i livelli istituzionali, in Istituzioni del Federalismo, n. 6/2001, pag. 1083.
[84] S. CASSESE, L’amministrazione nel nuovo titolo quinto della Costituzione, in Giorn. dir. amm., n. 12/ 2001, pag. 1193.
[85] P. DE LISE, Potestà regolamentare dello Stato, delle Regioni e delle Autonomie locali dopo il Titolo V: riflessi sulla giurisdizione amministrativa e sulla funzione consultiva del Consiglio di Stato in n www.giustizia-amministrativa.it., 2001,
[86] I primi tre commi dell’art. 118 Cost., come modificato dalla L. cost. 3/2001, distribuiscono le competenze fra i diversi livelli territoriali di governo applicando il principio di sussidiarietà in senso verticale. Il co.4, invece, enuncia che Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà creando un obbligo a carico dello Stato e dei vari soggetti di autonomia a livello territoriale di favorire i corpi sociali per lo svolgimento di attività aventi interesse generale. Per dottrina autorevole questo comma sancirebbe un vero e proprio obbligo giuridico a carico dello Stato e dei vari enti territoriali per quanto concerne la promozione dell’ambito privato. A. D’ATENA, Sussidiarietà orizzontale e affidamento “in house”, in Giurisprudenza Costituzionale, 2008, pag. 2. Altra dottrina ritiene che la previsione contenuta nell’art. 118 co.4 Cost. debba essere ricondotta alla centralità della persona e delle formazioni sociali ritenendo quindi legittime tanto politiche legislative che diano priorità alla sussidiarietà verticale, … quanto politiche che orientino lo stesso processo di conferimento delle funzioni verso tale sistema, potenziando simultaneamente la sussidiarietà orizzontale. S. STAIANO, La sussidiarietà orizzontale: profili teorici, in federalismi.it, n. 5/2006, pag. 16, cit.
Parte della dottrina ritiene altresì che l’introduzione del principio di sussidiarietà nella Costituzione costituisca una vera e propria rivoluzione un nuovo paradigma …, pluralista, paritario e relazionale, tale da condurre a modifiche notevoli nella teoria e nella pratica del diritto amministrativo.
G. ARENA, Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’art. 118 u. c. della Costituzione, in Relazione al Convegno Cittadini attivi per una nuova amministrazione, Roma, 7-8 febbraio 2003, cit.
Per sussidiarietà verticale, come è noto, si intende l’attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le diverse dimensioni territoriali, associative, organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche alle autorità territorialmente e funzionalmente più vicine ai cittadini interessati. La sussidiarietà orizzontale rinviene il proprio fondamento normativo nella disposizione che prevede e disciplina l’attribuzione delle responsabilità pubbliche e può essere attuata anche al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità.
[87] G. BERTI- G.C. DE MARTIN (a cura di), Le autonomie territoriali: dalla riforma amministrativa alla riforma costituzionale (atti del convegno, Roma, 9 gennaio 2001), Milano, 2001.
[88] V. CERULLI IRELLI, Federalismo e giustizia amministrativa, in relazione al convegno La gestione del nuovo processo amministrativo: adeguamenti organizzativi e riforme strutturali, Varenna dal 23 -25 settembre 2010, pag. 8.
[89] Corte cost. n. 303/2003.
Sempre nella medesima pronuncia la Corte precisa che il principio di sussidiarietà avrebbe un’“attitudine ascensionale” grazie alla quale quando l’istanza di esercizio unitario trascende anche l’ambito regionale, la funzione amministrativa può essere esercitata dallo Stato. Ciò non può restare senza conseguenze sull’esercizio della funzione legislativa, giacché il principio di legalità, il quale impone che anche le funzioni assunte per sussidiarietà siano organizzate e regolate dalla legge, conduce logicamente ad escludere che le singole Regioni, con discipline differenziate, possano organizzare e regolare funzioni amministrative attratte a livello nazionale e ad affermare che solo la legge statale possa attendere a un compito siffatto.
[90] L. TORCHIA, In principio sono le funzioni (amministrative): la legislazione seguirà, in astridonline, 2008, pag. 2, cit.
[91] R. BIN, La funzione amministrativa nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2002, pag. 372
[92] Tar Campania, 22.8.2007, n. 924. Cons. Stato, sez. V, 31.10.2008, n. 5454.
[93] F. PIZZETTI, Le nuove esigenze di governance in un sistema policentrico “esploso”, in Le Regioni, 2001, pag. 1185.
[94] G. PASTORI, Principio di sussidiarietà e riparto delle funzioni amministrative, intervento tenuto al convegno su Le prospettive della legislazione regionale per gli Incontri di studio Gianfranco Mor sul diritto regionale, Milano il 26 gennaio2006, in www.issirfa.cnr.it.
[95] Corte cost. n.303/2003.
[96] M.S. Giannini, In principio sono le funzioni, in Amm. civ., 1959, pag. 24, cit.
[97] S. Cassese, Le basi del diritto amministrativo, Milano, pag. 18, cit.
[98] Detto principio era presente già nella Costituzione del 1948 e successivamente è stato accentuato con la riforma apportata dalla L. cost. 3/2001.
[99] M. CLARICH, Federalismo fiscale e federalismo amministrativo, Relazione tenuta al 578 Convegno di Studi amministrativi su Il federalismo fiscale alla prova dei decreti delegati, Varenna, 22-24 settembre 2011, in Giornale di diritto amministrativo, n. 1/2012, pag. 105-111.
[100] B.G. Mattarella, Federalismo fiscale e federalismo del personale, in Quaderni Italianieuropei, 2009, pag. 243, cit.
[101] F.BASSANINI, L’ammodernamento del sistema amministrativo italiano: note per un programma di governo, in Astrid Rassegna, n. 13/2005.
[102] Cfr. F. BASSANINI, Potere politico e dirigenze amministrative, in Governo rappresentativo e dirigenze amministrative, Bologna-Berlin ,2007, pag. 237-244.
Si tratta di un istituto giuridico avente origini statunitense grazie al quale gli esecutivi che si succedono nel governo o nell’amministrazione della res publica detengono il potere di nominare una parte del personale burocratico appartenente ad un ristretto insieme fiduciario.
Nel nostro ordinamento le fondi di detto istituto sono l’art. 19 co.8 D.lgs. 165/2001 che si riferisce agli incarichi dirigenziali apicali delle amministrazioni statali le attività delle quali sono strettamente connesse con l’indirizzo politico-amministrativo del governo in carica. La seconda fonte italiana dello spoil system è rappresentata dall’art. 10 co.3 del D.lgs. 267/2000, ossia Testo Unico degli Enti Locali, che collega la durata del rapporto di lavoro dirigenziale al mandato elettivo del sindaco o del presidente della provincia in carica. Infine detto meccanismo si rinviene altresì nell’art. 99 del D.lgs. 267/2000 disciplinante il sistema degli incarichi conferiti a segretari comunali e provinciali.
Circa la legittimità costituzionale o meno di detto sistema si è pronunciata la Corte costituzionale la quale con sentenza n. 233/2006 ha sostenuto che il sistema rappresentato dallo spoils system quando riferito alle posizioni apicali che si acquisiscono mediante la nomina diretta da parte dell’autorità politica risulta essere indispensabile per realizzare la coesione fra politica e pubblica amministrazione cui fa riferimento il principio costituzionale di buon andamento. R. RIZZI, Ancora sui limiti di applicabilità dello spoils system negli enti locali, in Altalex, 12.7.2018.
Precisamente autorevole dottrina ha sottolineato che questo orientamento, ove applicato coerentemente anche alla disciplina statale della dirigenza, avrebbe due effetti: a) giustificare non solo lo spoils system attualmente previsto (per capi dipartimento e segretari generali) ma anche una sua eventuale ulteriore espansione (per titolari di uffici dirigenziali generali); b) decretare la morte del principio di distinzione fra politica e amministrazione. S. BATTINI, In morte del principio di distinzione fra politica e amministrazione: la Corte preferisce lo spoils system, in Gior. dir. amm., n. 8/2006, pag. 911, cit.
[103] Art 1 Cost. : la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti stabiliti dalla Costituzione. Il popolo può esercitare la sovranità sia in maniera diretta (referendum, iniziativa popolare delle leggi, petizioni) ma anche in forma indiretta ossia sfruttando gli strumenti della democrazia rappresentativa.
[104]Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.
I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.
Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.
Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.
[105] Distinzione tra politica e amministrazione, responsabilità dei dirigenti in base ai risultati conseguiti, introduzione della temporaneità degli incarichi, della contrattualizzazione della dirigenza.
[106] G. D’ALESSIO, Les «liasons dangéreuses» entre la politique et l’administration: le cas italien et les modèles européens, in Astrid Rassegna, n. 12/2009.
[107] Corte cost. n. 103 e 104 del 2007.
[108] F. BASSANINI, Vent’anni di riforme del sistema amministrativo italiano (1999-2010), trad. ita art. pubblicato in The Journal of European economic History, n.1/2010, pag. 7, cit.
[109] Corrisponde ad uno spazio di condivisione in cui il potere risulta essere in mano alla maggioranza. L’accordo tra maggioranza ed opposizione si traduce in modalità di codecisione o corresponsabilizzazione della minoranza circa le determinazioni da assumere. Non è escluso che possa aversi anche un accordo relativo al “non entrare in determinati ambiti” definiti in via convenzionale come neutri. Il contrario di detto metodo è quello apartisan così definito in quanto la maggioranza-opposizione deve fermarsi dinnanzi ad ambiti che esulano dalla discussione politica e che sono quindi sottratti alle parti se non per precisare o estendere i principi affermati nella disputa politica. M. CAMMELLI, Il bipolarismo e le regole della democrazia maggioritaria, in Astrid, 15.3.2002, pag. 9-10.
[110] Essa risulta essere presente in tutti gli ordinamenti multilivello, siano essi federali che regionali, e rappresenta un meccanismo costituzionalizzato orientato ad assicurare allo Stato la tutela di esigenze unitarie o la tutela del principio solidaristico tra individui e territori. A tal proposito si possono richiamare l’art. VI della Costituzione degli USA che definisce le leggi degli Stati Uniti come leggi supreme del paese, oppure l’art. 109 della Costituzione australiana che sancisce l’invalidità delle disposizioni statali contrarie ad una legge del Commonwealth, infine l’art. 31 della Legge Fondamentale tedesca secondo cui il diritto federale prevale sul diritto dei Länd. G. ROLLA, La supposta clausola di supremazia (art. 30), in Astridonline, pag. 24-30.
[111] G. Colombini, Le ragioni attuali di una ricerca sui beni pubblici, ovvero: della liquidità dei beni pubblici, in La nozione flessibile di proprietà pubblica. Spunti di riflessione di diritto interno ed internazionale (a cura di) M. COLOMBINI, Milano, 2008, pag. 9.
[112]L. Antonini, Il primo decreto legislativo di attuazione della legge n. 42/2009: il federalismo demaniale,
in www.federalismi.it, cit.
[113] M. Antoniol, Il federalismo demaniale. Il principio patrimoniale del federalismo fiscale, Padova, 2010.
[114] S. Foà, Il patrimonio immobiliare dello Stato e degli Enti territoriali come strumento correttivo della
finanza pubblica, in Giorn. dir. amm., n.4/2004, pag. 366.380.
[115] V. A. Police, Il federalismo demaniale: valorizzazione nei territori o dismissioni locali?, in Giorn. Dir, amm., n.12/2010, pag. 1233.
[116] Nel rispetto della Costituzione, con le disposizioni del presente decreto legislativo e con uno o più decreti attuativi del Presidente del Consiglio dei Ministri sono individuati i beni statali che possono essere attribuiti a titolo non oneroso a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. Gli Enti territoriali cui sono attribuiti i beni sono tenuti a garantirne la massima valorizzazione funzionale.
[117] L. Antonini, Il primo decreto di attuazione della legge n. 42/09, op., cit.
[118] F. Scuto, Il “federalismo patrimoniale” come primo “atto” del legislatore delegato nell’attuazione della legge n. 42/2009 sul federalismo fiscale in Astrid Rassegna, n.3/2010.
[119] L. Antonini, Il primo decreto legislativo di attuazione della legge n. 42/2009, op.,ult., cit.
[120] Lo Stato, previa intesa conclusa in sede di Conferenza Unificata, individua i beni da attribuire a titolo non oneroso a: Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, secondo criteri di territorialità, sussidiarietà, adeguatezza, semplificazione, capacità finanziaria, correlazione con competenze e funzioni, nonché valorizzazione ambientale.
[121] Risulta dalla sommatoria data dalla Conferenza Stato-Regioni e dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali, viene presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, su sua delega dal Ministro per gli affari regionali o dell’Interno. Essa possiede funzioni deliberative, consultive e di raccordo-concertazione. R. CARIDA’, Leale collaborazione e sistema delle conferenze, Padova, 2018, pag. 116-118.
[122] M. ANTONIOL, Il federalismo demaniale. Il principio patrimoniale del federalismo fiscale, Padova, 2010.
[123] A livello descrittivo la Conferenza di Servizi rappresenta una o più riunioni dei rappresentanti degli uffici o delle amministrazioni di volta in volta interessati che sono chiamate a confrontarsi ed esprimere il proprio punto di vista sino ad arrivare alla deliberazione nel caso di Conferenza di Servizi decisoria. Si possono rinvenire tre tipologie di Conferenza di Servizi: istruttoria, decisoria e preliminare. La prima è sempre facoltativa e ha lo scopo di promuovere un esame contestuale dei diversi interessi pubblici coinvolti in un singolo procedimento o in più procedimenti amministrativi connessi riguardanti le medesime attività o risultati. La seconda è un modulo procedimentale apprestato per sostituire i singoli atti volitivi delle amministrazioni competenti ad emanare intese, concerti, nullaosta o assensi comunque denominati che devono essere acquisiti per legge dalla pubblica amministrazione procedente. Il terzo tipo può essere convocata su richiesta motivata di soggetti privati interessati a realizzare progetti di particolare complessità o di insediamenti produttivi. Il privato sottopone alla valutazione delle amministrazioni competenti a rilasciare atti autorizzativi, pareri e le intese ancora prima di presentare formalmente le istanze necessarie. M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2015, pag. 258-260.
[124] R. GALLIA, Il federalismo demaniale, in Rivista giuridica Mezz., n.3/2010, pag. 970-998.
[125] G. COLOMBINI (a cura di) Federalismo demaniale, più ombre che luci, in Il coordinamento dinamico della finanza pubblica, Napoli 2012, pag. 97-131.
[126] Tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: omissis valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturale.
[127] A. POLICE, Il federalismo demaniale: valorizzazione nei territori o dismissioni locali?, in Giornale dir. Amm., n. 12/2010, pag. 1233-1239.
[128] Art. 6 D.lgs. 98/2011, ora abrogato.
[129] D.lgs. 85/2010.
[130] U. MATTEI – U. REVIGLIO - S. RODOTÀ (a cura di), I beni pubblici. Dal governo democratico dell’economia alla riforma del codice civile, Roma, 2010.
[131] S. CASSESE, I beni pubblici. Circolazione e tutela, Milano, 1969.
[132] E. GUICCIARDINI, Il demanio, Padova, 1934
[133] S. CASSESE, I beni pubblici, op., cit.
[134] M. RENNA, Le prospettive di riforma delle norme del codice civile sui beni pubblici, in Il dir.
dell’economia, n.1/2009, pag. 11-25.
[135] a) i beni appartenenti al demanio marittimo e relative pertinenze, come definiti dall'articolo 822 del codice civile e dall'articolo 28 del codice della navigazione, con esclusione di quelli direttamente utilizzati dalle amministrazioni statali;
b) i beni appartenenti al demanio idrico e relative pertinenze, nonché le opere idrauliche e di bonifica di competenza statale, come definiti dagli articoli 822, 942, 945, 946 e 947 del codice civile e dalle leggi speciali di settore, ad esclusione:
1) dei fiumi di ambito sovraregionale;
2) dei laghi di ambito sovraregionale per i quali non intervenga un'intesa tra le Regioni interessate, ferma restando comunque la eventuale disciplina di livello internazionale;
c) gli aeroporti di interesse regionale o locale appartenenti al demanio aeronautico civile statale e le relative pertinenze, diversi da quelli di interesse nazionale così come definiti dall'articolo 698 del codice della navigazione;
d)le miniere e le relative pertinenze ubicate su terraferma;
e) gli altri beni immobili dello Stato, ad eccezione di quelli esclusi dal trasferimento.
[136] A. POLICE, Il federalismo demaniale: valorizzazione nei territori o dismissioni locali?, op., ult., cit.
[137] 1. gli immobili in uso per comprovate ed effettive finalità istituzionali;
2. i porti e gli aeroporti di rilevanza economica internazionale e nazionale (con le eccezioni di cui al successivo comma 6);
3. i beni appartenenti al patrimonio culturale, salvo quanto previsto dalla normativa vigente e le eccezioni del comma 7);
4. i beni già oggetto di accordi o intese con gli Enti territoriali per la razionalizzazione e la valorizzazione dei rispettivi patrimoni immobiliari, sottoscritti alla data di entrata in vigore del decreto;
5. le reti di interesse statale, ivi comprese quelle energetiche;
6. le strade ferrate in uso e di proprietà dello Stato;
7. dotazione della Presidenza della Repubblica, beni in uso alle Camere e agli enti di rilievo costituzionale.
[138] L. 59/1997, D.lgs. 112/1998.
[139] Lo Stato si occupa del personale, le Regioni della gestione dell’intera rete scolastica e gli altri enti locali si occupano della manutenzione degli edifici, ecc.
[140] Corte cost. 200/2009.
[141] M. BORDIGNON – A. FONTANA, Federalismo e istruzione. La scuola italiana nell’ambito del processo di decentramento istituzionale, in Programma Education FGA Working Paper, n.34/2010, pag. 1-18.
[142] G. CREMA, L’articolo quinto, in Dossier – Dalla secessione alla confusione. Mondoperaio, n. 8/9,
2011, pag. 39, cit.
[143] A. GIOVANARDi, La fiscalità regionale e locale nel d.d.l. Calderoli tra tributi propri derivati e
principio di continenza: ci sarà un qualche spazio per i tributi in senso stretto di Regioni ed enti locali? In Dir. prat. trib., n.2/2009, pag. 315
[144] R. ALFANO, Tributi ambientali. Profili interni ed europei, Torino, 2012, pag. 282.
[145] L’art. 7 del D.Lgs. 267/2000 (T.U. Enti Locali) prevede che il Comune possa adottare regolamenti nelle materie di propria competenza e, precisamente, per quanto concerne l’organizzazione ed il funzionamento delle istituzioni e degli organismi di partecipazione per il funzionamento degli organi e degli uffici e per l’esercizio delle funzioni. Il regolamento comunale dovrà rispettare i principi dettati nella legge generale e nello statuto del Comune, nonché quelli contenuti nel T.U.E.L e nella legge regionale.
[146] Si tratta di opere connesse al trasporto pubblico urbano, con l’esclusione della manutenzione straordinaria e ordinaria delle opere esistenti, di arredo urbano e di maggior decoro dei luoghi, di risistemazione di aree dedicate a parchi e giardini, di realizzazione di parcheggi pubblici, di restauro, di conservazione dei beni artistici e architettonici, relative a nuovi spazi per eventi e attività culturali, allestimenti museali, di realizzazione e manutenzione straordinaria dell’edilizia scolastica.
[147] M. CASTELLANI – P. CRISO – G. FARNETI – D. GHIANDONI, Tributi e fiscalità, 2019, pag. 2-5; 38-40.
[148] Posto che non vengono richiamate le disposizioni del D.Lgs. 504/1992 in modo espresso si ritiene che le disposizioni normative che si riferivano all’ICI non si debbano più ritenere applicabili, nemmeno per analogia.
[149] G. COCCO, Federalismo municipale partecipato, in costituzionalismo.it.
[150] G. MAGLIONE, Welfare Stato biopolitico e Legal System: macro trasformazioni giuridiche, in ADIR, l’altro diritto, n. 2/2018, cit.
[151] G. FERRARESI, Il cuore di un programma per l’Italia: una rifondazione partecipativa delle democrazia per un federalismo municipale solidale, pag. 1-8.
[152] M. BERTOLISSI, Stato sociale e federalismo fiscale, in atti del convegno I Venerdì di Diritto e Pratica Tributaria, Taormina 27-28 aprile 2012, pag. 29-62.
[153] Rapporto 2011 sul coordinamento della finanza pubblica, approvato dall’adunanza
delle Sezioni riunite in sede di controllo del 18 maggio 2011, 4 della “sintesi e conclusioni.
[154] F. VIOLA, Il federalismo come ideale politico regolativo in Italia ed Europa, in F. TOTARO (a cura di) Nazione, Stato e società civile. La filosofia e l'Unità d'Italia, Lecce 2013, pag. 183-189.