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Pubbl. Sab, 8 Feb 2020
Sottoposto a PEER REVIEW

Blockchain, criptovalute e ico: analisi tecnica e giuridica della più recente innovazione fintech

Gerardo Scotti


Dall´Internet delle informazioni all´Internet del valore. La tecnologia blockchain ha avuto un effetto disruptive nel mondo digitale e, in particolare, nel Finance. L´analisi proposta ha l´obiettivo di fornire gli strumenti giuridici necessari per qualificare e interpretare, anche in chiave comparatistica token, criptovalute e ICO.


Sommario: 1. Premessa – 2. Blockchain e Distributed Ledger Technology (DLT) – 3. Profili tecnici: capire la blockchain – 3.1. Tipologie di blockchain – 3.2. La formazione del consenso e il superamento della fiducia – 3.3. La certezza della transazione – 4. Blockchain come “Internet di Valore” – 5. La tokenizzazione dell’asset e le tipologie di token – 5.1. Analisi giuridica dei token – 6. Blockchain e finanza digitale: le criptovalute – 6.1 la prima regolamentazione internazionale – 6.2. Criptovalute in Italia: i riferimenti normativi – 6.3. Le indicazioni della Consob – 6.4. Le prime pronunce della giurisprudenza e della Autorità fiscali – 6.5. Considerazioni conclusive sull’analisi giuridica delle criptovalute – 7. Le Initial Coin Offering: analisi del fenomeno e le prime “regole di ingaggio” dagli USA – 7.1. La qualificazione giuridica delle ICO nel panorama europeo – 7.2. Una sintesi per una ricostruzione organica della disciplina giuridica delle Initial Coin Offering e la possibile disciplina italiana applicabile – 7.3. Particolari declinazioni delle ICO: STO e IEO – 8. Conclusioni

Sommario: 1. Premessa – 2. Blockchain e Distributed Ledger Technology (DLT) – 3. Profili tecnici: capire la blockchain – 3.1. Tipologie di blockchain – 3.2. La formazione del consenso e il superamento della fiducia – 3.3. La certezza della transazione – 4. Blockchain come “Internet di Valore” – 5. La tokenizzazione dell’asset e le tipologie di token – 5.1. Analisi giuridica dei token – 6. Blockchain e finanza digitale: le criptovalute – 6.1 la prima regolamentazione internazionale – 6.2. Criptovalute in Italia: i riferimenti normativi – 6.3. Le indicazioni della Consob – 6.4. Le prime pronunce della giurisprudenza e della Autorità fiscali – 6.5. Considerazioni conclusive sull’analisi giuridica delle criptovalute – 7. Le Initial Coin Offering: analisi del fenomeno e le prime “regole di ingaggio” dagli USA – 7.1. La qualificazione giuridica delle ICO nel panorama europeo – 7.2. Una sintesi per una ricostruzione organica della disciplina giuridica delle Initial Coin Offering e la possibile disciplina italiana applicabile – 7.3. Particolari declinazioni delle ICO: STO e IEO – 8. Conclusioni

Abstract (eng): This study tries to reconstruct the legal and regulatory discipline concerning the Fintech sector and the application of blockchain within financial markets.

In particular, starting from the definition of blockchain and its functioning, the author analyzes the legal value of cryptocurrencies (and tokens) in the international and Italian legal framework. Subsequently, the analysis focuses on the financial phenomenon of the ICO (Initial Coin Offering) and offers the starting point for reconstructing this phenomenon from a legal point of view, specifying the most appropriate regulation also by reason of the most recent judicial decisions and the most recent laws.

1. Premessa

“Don’t trust, verify!”.

È questa la citazione più spesso utilizzata a proposito di blockchain e criptovalute, su tutte i bitcoin. E, in effetti, il concetto di fiducia è proprio quello che risulta notevolmente più rivoluzionato per effetto dello sviluppo della tecnologia blockchain, tanto da potersi probabilmente affermare che la blockchain sovverte il naturale concetto di fiducia, alla base di quasi tutte le transazioni, arrivando a considerarsi quella infrastruttura tecnologica che meglio si adatta in quei contesti in cui ciò che vacilla è, appunto, la fiducia.

Per definire bene cosa sia la blockchain (letteralmente “catena di dati”) e di conseguenza poter analizzare i risvolti giuridici ad essa connessi, il giurista, mosso dalla sua perenne inquietudine deve necessariamente acquisire le conoscenze di base della tecnologia, capirne il funzionamento, le potenzialità e gli ambiti di applicazione. Tale passaggio è indispensabile per poter offrire soluzioni giuridiche  -  occorre premettere che essa nasce proprio con l’intento di superare la necessaria presenza di istituzioni ed enti di intermediazione dei rapporti sociali ed economici.

Infatti, la nozione di blockchain viene ricondotta al noto paper del 2008 (un paper può considerarsi un po’ il documento normativo che regola una certa tipologia di blockchain) del misterioso Satoshi Nakamoto: “Bitcoin: A Peer-toPeer Electronic Cash System”.

Tale documento, che ha fatto proprie tecnologie e metodi matematico-informatici già esistenti da anni (crittografia a chiavi asimmetriche, network peer-to-peer, funzioni Hash), ha dato origine a Bitcoin, ossia alla tecnologia e al protocollo di rete (la Blockchain) che sfrutta la criptovaluta bitcoin.

Una fondamentale precisazione va, pertanto, posta sulla confusione prodotta dall’utilizzo dei termini: “Blockchain”, con la B maiuscola, è l’infrastruttura tecnologica che consente lo scambio di bitcoin; “blockchain”, con la b minuscola, è l’architettura tecnologica necessaria allo scambio di una qualsiasi criptovaluta, non necessariamente bitcoin. Analogamente “Bitcoin”, con la B maiuscola, indica generalmente la tecnologia e il protocollo di rete blockchain che opera con la criptovaluta bitcoin.

Ciò chiarito, il senso della tecnologia blockchain può essere già ravvisato nel messaggio lanciato da Nakamoto nel suo whitepaper secondo cui “We define digital coin as a chain of digital signatures”. Tale lavoro ha permesso di superare l’assunto secondo cui nei rapporti tra due o più parti che non si conoscono è necessario richiedere la presenza di un intermediario terzo, riconosciuto come affidabile. La transazione, infatti, può essere regolata alla pari, grazie ad un consenso, ad una validazione di tutti i partecipanti alla rete, o meglio della maggioranza di essi.

In sostanza, la Blockchain ha dimostrato che non è necessario avere un ente centrale per gestire le transazioni[1].

Dunque, cos’è una blockchain? La blockchain può essere definita sommariamente come una tecnologia in cui esiste un database di transazioni condiviso tra più nodi di una rete (ossia i partecipanti della blockchain e i loro server fisici), validato dalla rete stessa e strutturato a blocchi. O, ancora, una catena di blocchi che contiene più transazioni la cui validazione è affidata a un meccanismo di consenso distribuito sui nodi della rete[2].

Le caratteristiche di tale tecnologia sono sostanzialmente le seguenti:

  • tracciabilità delle transazioni da tutti i partecipanti al network;
  • immutabilità e sicurezza delle transazioni per effetto della crittografia;
  • trasparenza;
  • pseudonomizzazione dei partecipanti;
  • consenso diffuso;
  • decentralizzazione.

Tecnicamente,  la blockchain è un protocollo di comunicazione che si aggiunge a quelli esistenti (come il TCP/IP, il protocollo SMTP o quello FTP), che consente di conservare le informazioni ed effettuare operazioni computazionali[3].

Trattandosi di un database, di un registro decentralizzato, la blockchain è visibile contemporaneamente da tutti i partecipanti ovunque essi si trovino e, dunque, consente la visualizzazione di tutte le transazioni effettuate da parte di tutti i partecipanti. Di ogni transazione sarà visibile non il nominativo del soggetto che l’ha compiuta, bensì la sua chiave pubblica.  Ciò è possibile in quanto blockchain, attraverso la sottoscrizione digitale dell’operazione, realizza un sistema di pseudonomizzazione dell’autore della transazione grazie ad una tecnica di cifratura mediante crittografia a chiavi asimmetriche[4] di coloro che accedono e operano sul network. Di tutte le altre caratteristiche, invece, si dirà meglio in seguito.

2. Blockchain e distributed ledger technology (dlt)

Prima di addivenire alla disamina sul funzionamento e sull’analisi giuridica della blockchain è opportuno effettuare un’ulteriore precisazione concettuale.

La blockchain, infatti, appartiene alla categoria delle Distributed Ledger Techcnology, archivi informatici distribuiti.

Le Distributed Ledger Technology o DLT possono essere definite come un insieme di sistemi caratterizzati dal fatto di fare riferimento a un registro distribuito, governato in modo da consentire l’accesso e la possibilità di effettuare modifiche da parte di più nodi di una rete.

Qualunque transazione, ovvero i dati che la rappresentano, è sottoposta ad un meccanismo di firma a doppia chiave asimmetrica che, pur non dotata di certificati rilasciati da certificatori accreditati (la blockchain prevede appunto il superamento di organismi certificatori centralizzati), funziona con un meccanismo simile a quello della firma digitale. Le DLT prevedono l’utilizzo di algoritmi crittografici che abilitano l’utente all’utilizzo del sistema mettendogli a disposizione una chiave pubblica ed una privata che viene usata per sottoscrivere le transazioni o per attivare gli smart contract o altri servizi collegati alla blockchain[5]. Tutte le DLT, tra cui la blockchain, si basano poi su un sistema distribuito del consenso di cui si dirà a breve, necessario per confermare la validità delle transazioni.

Dal punto di vista normativo, invece, si consideri che a livello europeo non esiste ancora una regolamentazione della blockchain (sebbene sia stato istituito un EU Blockchain Observatory and Forum). Tuttavia, esiste certamente un approfondimento relativo alle DLT: in particolare, con la “Risoluzione del Parlamento europeo del 3 ottobre 2018 sulle tecnologie di registro distribuito e blockchain: creare fiducia attraverso la disintermediazione (2017/2772 (RSP)) - P8_TA-PROV(2018)0373”[6], l’UE ha segnalato le principali possibili applicazioni delle DLT, elencando i differenti ambiti nei quali potrà essere applicata: dall’energia ai trasporti, dalla sanità alla supply chain, dall’IP alla finanza.

Il  Legislatore italiano, dal canto suo, con l’approvazione in legge n.12 del febbraio 2018 del  DL Semplificazioni n. 135 del 2018, oltre a confermare la piena validità della validazione temporale elettronica e a dare una spinta alla validità giuridica dei c.d. smart contracts, ha disciplinato per prima in Europa le “Tecnologie basate su registri distribuiti e smart conctract” in coerenza con l’ordinamento comunitario. Pur delegando l’AGID ad emettere le normative tecniche per dare concreta attuazione a tali innovazioni tecnologiche, il Legislatore ha sancito all’art. 8 ter del DL, rubricato “Tecnologie basate su registri distribuiti e smart contract” che “si definiscono "tecnologie basate su registri distribuiti" le tecnologie e i protocolli informatici che usano un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l'aggiornamento e l'archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili. 2. Si definisce "smart contract" un programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse. Gli smart contract soddisfano il requisito della forma scritta previa identificazione informatica delle parti interessate, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall'Agenzia per l'Italia digitale con linee guida da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. 3. La memorizzazione di un documento informatico attraverso l'uso di tecnologie basate su registri distribuiti produce gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica di cui all'articolo 41 del regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014”.

3. Profili tecnici: capire la blockchain

Per capire a pieno il funzionamento della Blockchain, si può dire che essa sta alle transazioni come Internet sta alle informazioni: così come Internet ha consentito alle persone di scambiarsi informazioni, di acquisire conoscenza, senza l’intermediazione necessaria di mass media o terze parti (ma, anzi, ha addirittura portato gli organi di conoscenza ad adeguarsi operando in rete), analogamente la Blockchain nasce con l’obiettivo di garantire la fattibilità di transazioni tra le parti senza la necessaria presenza di terzi certificatori/intermediari.

Pertanto, la Blockchain deve essere considerata come un grande registro pubblico condiviso tra tutti i nodi di una rete di tipo peer-to-peer atto a contenere blocchi di transazioni automaticamente aggiornate e visibili da tutti i partecipanti alla rete (i nodi, appunto). Questi blocchi contengono una serie di transazioni fatte tra i partecipanti, validate e correlate da un marcatore temporale (TimeStamp). Ogni blocco è contraddistinto da un codice Hash (ossia una funziona matematica tale per cui una certa stringa di lunghezza arbitraria viene convertita in una stringa alfanumerica di lunghezza predefinita, la quale non può essere decifrata e riessere letta nella sua versione originaria). L’hash identifica univocamente il blocco di transazioni e si aggancia al blocco precedente e al blocco successivo, creando appunto una catena di blocchi.

Le transazioni, ossia lo scambio del valore, sono costituite dalle informazioni relative all’indirizzo pubblico del soggetto destinatario (una sorta di IBAN), dalle informazioni relative all’oggetto della transazione (trasferimento di 1000 euro a Caio, ad esempio) e dalla firma crittografica del mittente che garantisce la sicurezza e l’autenticità della transazione.

Praticamente, se Tizio vuol vendere un immobile a Caio, immetterà nella blockchain una transazione contenente l’indirizzo pubblico di Caio, le informazioni relative alla transazione (informazioni sul bene, il prezzo, ecc.) e la digital signature di Tizio. La transazione, che è immediatamente propagata a tutti gli altri nodi del network per consentire l’avvio di un “processo di verifica indipendente” (tale processo, distinto da quello che sarà definito mining del blocco, è realizzato da ciascun utente per analizzare tutta la cronologia della transazione, magari contemporaneamente, ma senza necessità del raggiungimento del consenso distribuito necessario a considerare valida la transazione), finirà all’interno di un blocco che verrà validato e “risolto” da tutti gli altri partecipanti alla Blockchain. Una volta approvato, il blocco è formalmente aggiunto alla blockchain, accessibile a tutti, immutabile e immodificabile.

Quando si parla di validazione di un blocco si fa riferimento all’attività del c.d. mining. I miners, sono quei nodi, utenti della blockchain, che svolgono l’attività di controllo di ciascun nuovo blocco creato e che, a tal fine debbono risolvere un complesso problema matematico richiedente un ingente impegno anche in termini di potenza energetica e capacità elaborativa. La validazione di un blocco è una sorta di risoluzione di un “puzzle crittografico”. Tale attività è potenzialmente avviabile da qualsiasi nodo validatore che, mentre riceve le transazioni verificate che si stanno propagando lungo il network, decide di candidarsi per gareggiare con altri nodi validatori nella c.d. Proof of Work[7].

La Proof of Work è un’attività di risoluzione con la quale ogni nodo deve trovare quel determinato valore che, concatenato alle altre transazioni, consenta di ottenere il risultato richiesto, formando perciò l’Hash finale da aggiungere al blocco validato, hash al quale sarà poi collegato il blocco successivo. Considerato che tale attività è molto onerosa in termini di energia elettrica consumata e potenza di calcolo computazionale impiegata, il miner che supera la prova, ottiene una ricompensa (una fee).

Validato il blocco, lo stesso è inviato a tutti gli altri nodi della blockchain affinché tutti possano verificarne la correttezza e l’esattezza. Ciò può avvenire in quanto tutti gli utenti della blockchain sono in possesso, come detto, dello stesso identico database contenente la storia di tutte le transazioni verificate. Ciò contribuisce a garantire la sicurezza della blockchain: se qualcuno, malintenzionatamente, intendesse alterare una transazione (es.: Tizio cede a Caio 1000 bitcoin; inserisce la transazione; Mister x, altera la transazione e riattribuisce i 100 bitcoin a Tizio),dovrebbe competere con gli altri miner che agiscono onestamente, provando a imporre un ordine diverso alle transazioni, in più dovendo ricalcolare tutte le Proof ok Work prodotte fino a quel momento (facendo tutto ciò, inoltre, mentre altre transazioni validate vanno via via inserendosi all’interno di altri nuovi blocchi in creazione). In realtà, la soluzione alterata non potrà mai essere validata in quanto la maggioranza degli altri utenti non confermerebbero la soluzione inesatta (quella con la transazione alterata), non coerente con il cronologico di tutte le transazioni effettuate visibili da ciascun utente. L’unica possibilità di alterare la blockchain sarebbe, in realtà, quella di corrompere il 50%+1 dei nodi, operazione che tuttavia risulta oggi impossibile a causa degli elevatissimi costi di energia e potenza computazionale da impiegare.

Tale meccanismo consente, dunque, di superare quel concetto di fiducia in un ente terzo, facendo prevalere la nozione ed il concetto di “consenso distribuito”. Non è necessario che un terzo (ad esempio una banca) confermi la validità e veridicità di una transazione in quanto già almeno il 50%+1 degli utenti della blockchain ha verificato la veridicità della transazione avvenuta rileggendo la propria “copia” di database.

È opportuno rammentare, comunque, che l’attività del mining è un’attività che viene ricompensata attraverso la corresponsione di una fee (anche a fronte del costo sostenuto per svolgere la sua attività che, ad esempio nella Blockchain Bitcoin, richiede il consumo di ingenti quantità di energia).

3.1. Tipologie di Blockchain

Le blockchain possono avere una struttura differente a seconda del modello di governance adottato. In particolare si distinguono:

  • Blockchain pubbliche o permissionless, ossia blockchain liberamente accessibili a tutti. Non prevedono limiti e/o barriere all’accesso, alla lettura e all’inserimento delle transazioni, alla partecipazione e formazione del consenso distribuito. È una blockchain permissionless la Blockchain Bitcoin, nata con l’obiettivo di rimuovere la figura del terzo intermediario garante della transazione;
  • Blockchain private o permissioned, ossia blockchain in cui vi è un’autorità centrale che stabilisce le autorizzazioni di scrittura e lettura delle transazioni. Tali infrastrutture sono perciò chiuse;
  • Blockchain miste, blockchain parzialmente decentrate in cui vi sono dei nodi o utenti che hanno maggiori poteri rispetto ad altri e possono stabilire (ad esempio mediante votazioni), quali transazioni possono essere validate.

È evidente che le blockchain private risultano maggiormente funzionali laddove le stesse siano utilizzate all’interno di contesti chiusi (ad esempio un’azienda) ovvero in alcuni settori della Pubblica Amministrazione in cui l’Autorità amministrativa deve confermare comunque il suo ruolo governativo e garantire la legittimità delle transazioni. Sempre all’interno della P.A., in realtà, potrebbe ritenersi adeguata anche un’infrastruttura di tipo ibrido, che consentirebbe la pubblica consultazione delle informazioni registrate, ma una gestione limitata per quanto concerne le operazioni di inserimento dati.

Si segnala, inoltre, che nelle blockchain chiuse (permissioned), il mining è svolto dall’autorità centrale stessa, mentre nelle blockchain permissionless il miner può essere qualsiasi partecipante.

3.2. La formazione del consenso e il superamento della fiducia

Si è più volto ribadito che la peculiarità innovativa dell’infrastruttura tecnologica blockchain è costituita dal particolare meccanismo di formazione del consenso distribuito sulle transazioni, capace di rendere inutile la presenza di un soggetto terzo fidato che validi le operazioni. Si dice, insomma, che con la blockchain si supera il concetto di “trust”, di fiducia. 
Ma tale meccanismo, anche in ragione del particolare ecosistema in cui la blockchain opera, della sua governance e delle sue regole interne, può essere diversificato.

Gli algoritmi oggi esistenti per riprodurre il procedimento di formazione del consenso sono vari. Il più noto è quello della Proof of Work, utilizzato dalla Blockchain Bitcoin, con il quale al fine di validare una transazione è necessario l’impiego di risorse energetiche e computazioni per la risoluzione di un certo calcolo matematico.  
Ma ve ne sono anche altri:

  • La Proof of Stake, ossia la possibilità di validazione delle transazioni basata sul quantitativo di asset posseduto da un nodo, anche in relazione al tempo del possesso (il principio di base riguarda l’assunto presuntivo secondo cui se un soggetto possiede tanti asset di una blockchain ha poco interesse ad attaccarla in quanto danneggerebbe sé stesso);
  • La Proof of Importance, che integra la precedente valutando anche le movimentazioni e l’importanza degli asset per determinare determinati livelli di fiducia;
  • La Proof of Elapsed Time, che basa la validazione sul trascorrere del tempo;
  • Il Consenso Bizantino, ossia l’algoritmo che consente la propagazione delle sole transazioni validate dalla maggioranza dei voti fidati;
  • La Proof of Activity, che unisce la PoW e laPoS;
  • La Proof of Capacity (che si basa sull’utilizzo di memoria) o la Proof of Storage (si basa sulla condivisione di spazio in un cloud distribuito);
  • La Proof of Authority (PoA), in cui un nodo è autorizzato a validare le transazioni sulla base dell’identità del nodo stesso. Tale algoritmo è ritenuto abbastanza idoneo per le applicazioni di blockchain nella P.A.[8]

È evidente che il metodo del consenso costituisce un elemento fondamentale per la sicurezza ed integrità della blockchain, dovendosi quindi individuare anche alla luce della tipologia di infrastruttura sviluppata e di modello di governance adottato.

3.3. La certezza della transazione

Una delle peculiarità che contribuisce a garantire il carattere della sicurezza della blockchain è dato dall’utilizzo, in aggiunta al sistema del consenso distribuito e all’utilizzo della crittografia insita nella firma digitale, del timestamping.            
Il timestamping altro non è che l’apposizione della c.d. marca temporale (o timestamp), ossia una sequenza specifica di caratteri che identificano in modo univoco, indelebile e immutabile una data e/o un orario per fissare e accertare l’effettivo avvenimento di un certo evento. La rappresentazione della data è sviluppata in un formato che ne permette la comparazione con altre date e permette di stabilire e definire un ordine temporale[9]. Come chiarito anche dalla Corte di Cassazione Civile, Sez. 1, ordinanza n.4251 del 13.2.2019, la marca temporale consente di attribuire al documento informatico una validazione temporale opponibile a terzi.

4. Blockchain come “internet di valore”

Se internet ha rappresentato la rete delle informazioni, la blockchain potrebbe porsi come la rete del valore, divenendo un vero e proprio “internet di valore”.  La Internet of Value è, dunque, una rete costituita da nodi che si trasferiscono valore, anche in assenza d di un soggetto terzo intermediario (e, dunque, di fiducia) mediante algoritmi e regole di crittografia che consentono, attraverso il consenso diffuso, la registrazione e la modifica di un registro condiviso che memorizza il tracking del trasferimento di valore tramite asset digitali univoci.

È noto che uno dei principali problemi che un sistema di pagamento digitale deve affrontare consiste nell’evitare che un soggetto possa utilizzare più volte la medesima moneta o mezzo di scambio. L’attuale sistema economico, pertanto, si fonda sul necessario controllo centralizzato delle transazioni, realizzato da istituti di intermediazione (su tutti, le banche) i quali memorizzano nei propri sistemi tutte le transazioni effettuate.

La principale innovazione apportata dalle blockchain è rappresentata, al riguardo, proprio dal c.d. “double spending", particolarmente evidente nel mondo del digitale, ove tutto è duplicabile. L’immaterialità del digitale consente, ad esempio, che un determinato file creato da un soggetto, possa essere duplicato e ritrasferito ad altri soggetti rendendolo teoricamente duplicabile all’infinito. La grande innovazione introdotta dalla blockchain è proprio la risoluzione al fenomeno del double spending, soprattutto in materia di moneta digitale, ove è necessario impedire che un soggetto paghi più volte un bene con la stessa moneta.

Con la blockchain si ha la garanzia che un asset “monetario” digitale non possa essere utilizzato più volte per più acquisti. La soluzione è data dall’identificazione della moneta digitale, resa possibile dalla crittografia. La moneta digitale, dunque, acquista un suo specifico codice ID e una sua specifica storia. In tal modo la moneta diventa unica e tutti gli utilizzatori potranno conoscere il cronologico delle transazioni avvenute con quella specifica moneta e, a sua volta, quella moneta conserverà lo storico di tutti i soggetti che l’hanno utilizzato in una transazione. Tale meccanismo può avvenire solo grazie all’utilizzo della crittografia e del citato timestamping, che permettono di provare il passaggio della proprietà della valuta digitale grazie alla firma digitale della transazione e alla marcatura temporale che comprime il blocco che entrerà nella catena in rete.

Tale innovativa tecnologia, insomma, ha introdotto il concetto di “scarsità digitale”.

5. La tokenizzazione dell’asset e le tipologie di token

Definita l’internet del valore, la tecnologia blockchain ha portato con sé anche il concetto di token. L'economia reale, infatti, può essere strettamente interconnessa alla realtà digitale introdotta dalla blockchain che, in tali casi, altro non è che il riflesso in digitale delle operazioni connesse all’asset reale collegato.

Come ben evidenziato da R. Garavaglia, infatti, “può avere molto senso sfruttare una tecnologia che riesce a riprodurre il concetto di scarsità digitale nel mondo digitale, per offrire prove incontrovertibili dell’avvenuta transazione di un bene fisico (pensiamo a una proprietà), ma anche di un bene immateriale (come la quota di un fondo, un diritto d’autore o un brevetto) se attribuissimo al criptoasset il valore di un gettone”.

Al riguardo, è opportuno utilizzare la metafora del gettone telefonico, il cui valore monetario e il la prestazione connessa allo stesso (la telefonata) è strettamente collegata a una logica programmata (secondo la variabile tempo) nel sistema telefonico associata allo “scatto alla risposta”. Analogamente, sempre citando R. Garavaglia, il braccialetto “a palline” spesso utilizzato nei villaggi turistici consente contemporaneamente sia di legittimare il possessore ad essere considerato membro della comunità del villaggio, sia di costituire un’unità di conto, il cui valore-cambio è deciso dall’economia del villaggio (potendo con una pallina acquistare una bibita, con due un panino, ecc.).

Tali esempi sono utilissimi per comprendere cosa sia, nella dimensione digitale della blockchain, un token e cosa sia la tokenizzazione degli asset reali. Nell’ambito di una blockchain, può legarsi un criptoasset ad un bene fisico o immateriale appunto attribuendogli un certo valore nominale. Tali criptoasset rappresentativi di valori reali possono essere scambiati, in virtù di quelle caratteristiche su esaminate, sulla infrastruttura blockchain senza la necessaria presenza di un terzo intermediario che imprima fiducia agli scambi.

Il token, dunque, è un’informazione digitale attestante la titolarità di un soggetto sull’informazione stessa, la quale è registrata su blockchain e può essere trasferita a terzi, nonché, infine, può incorporare o meno altri diritti addizionali governabili da un sistema di smart contract[10].

Vari sono i tentativi di definire una tassonomia dei token, ampiamente variabile a seconda dell’uso che gli stessi consentono e dal tipo di diritto che incorporano. Tuttavia, possono distinguersi tre grandi categorie di token:

  1. Fiat Peggen Token;
  2. Utility Token;
  3. Asset Backed Token (anche detti Security Token, Equity Token, Royalty Token)[11]
  • I Fiat Peggen Token altro non sono che una rappresentazione digitale di valute fiat[12], con delle caratteristiche particolari quali la programmabilità (ossia un insieme di regole predefinite all’interno del token che stabiliscono quando e come può essere utilizzata quella moneta fiat rappresentata dal token), la frazionabilità delle fonti di liquidità (il token utilizzato per il pagamento nella transazione in questione può consentire di attingere la liquidità e inviare il pagamento a diversi beneficiari, garantendo l’atomicità della prestazione stessa) e l’auditabilità (tutte le transazioni avvenute mediate tale tipologia di token consentono il controllo da parte di terzi circa tutti gli scambi avvenuti).

Tra i Fiat Peggen Token non possono essere incluse le c.d. criptovalute (ad es. i Bitcoin) in quanto le stesse non hanno, ad oggi, corso legale al di fuori della propria rete blockchain.

 

  • Gli Utility Token sono, invece, quei token che possono essere utilizzati per sfruttare particolari servizi (cloud, online, offline).  In generale, le due principali tipologie di token di tal specie sono quelli che forniscono accesso a funzionalità di rete o di servizio (usage token) e quelli che consentono ai titolari di partecipare attivamente al lavoro della blockchain (work token)[13]. Secondo taluni autori, mentre i Fiat Peggen Token potrebbero costituire un mezzo di scambio al di fuori della rete di riferimento (sia come criptoasset, sia come valute complementari a quelle aventi corso forzoso), gli Utility Token, sembrano essere scarsamente utilizzabili come mezzo di scambio in un’economia esterna alla blockchain di riferimento.
  • Gli Asset Backed Token, infine, sono quei token strettamente collegati ad un asset reale sottostante e, quindi, rappresentano una digitalizzazione non già di una valuta fiat bensì dell’asset sottostante, al quale conferisce liquidità e trasferibilità sulla blockchain. Essi attribuiscono al proprietario diritti esercitabili nei confronti dell’ente o del soggetto emittente o nei confronti di terzi (ad esempio, quote societarie o certificati di credito)[14].

5.1. Analisi giuridica dei token

L’analisi giuridica dei token non può prescindere dall’analisi dei diritti che essi incorporano e che gli stessi conferiscono ai relativi titolari. In particolare, la classificazione sovente riscontrata tende a individuare[15]:

  • Token di classe 1, che prevedono l’assenza di una controparte: in tali casi il token è del tutto equiparabile ad una valuta digitale che non prevede alcuna controparte e può essere trasferita, mediante transazioni, sulla blockchain. Il token non conferisce alcun diritto al titolare ma serve solo a registrare un diritto di proprietà dello stesso. Sono token di classe 1, ad esempio, le criptovalute come Bitcoin, Bitcoin Cash, ecc.).

Dal punto di vista normativo, tali token possono essere ricondotti nella definizione di “valuta virtuale” prevista al D.lgs. 21.12.2007, n.231 lett. qq) comma 2 dell’art. 1, ossia “la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”. Deve comunque evidenziarsi che tale norma è stata introdotta nell’ordinamento soprattutto al fine di applicare la normativa in oggetto ai “prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale (c.d. exchange) e ai prestatori di servizi di portafoglio digitale (c.d.custodial wallet)”. Dunque, nel momento in cui un soggetto (tipicamente un exchange) opera in Italia, deve iscriversi nell’elenco dei cambia valute e deve applicare quanto previsto dalla disciplina cd. antiriciclaggio sia relativamente agli obblighi di adeguata verifica della clientela sia alla segnalazione delle operazioni sospette.

  • Token di classe 2, che incorporano diritti nei confronti di controparti (emittente o terzi). Essi possono essere ulteriormente distinti in:
    • Token che incorporano il diritto a ricevere un pagamento specifico o un pagamento futuro (equiparabili alle promesse di pagamento ex art. 1988 c.c.) o token rappresentativi di assets.           
      A seconda della specificità del token lo stesso può qualificarsi come valore mobiliare, strumento finanziario o assimilato o strumento partecipativo del capitale di rischio, con la conseguente applicazione di una serie di norme proprie del diritto societario, o del Testo Unico della Finanza. In particolare, in caso di offerta al pubblico (ICO[16]), dovranno ritenersi applicabili anche le norme inerenti all’appello al pubblico risparmio, e, miratamente gli obblighi di redazione e comunicazione del prospetto informativo, l’applicazione della Direttiva Mifid 2, la disciplina degli emittenti (contenuta sia nel TUF che nel Regolamento Consob n. 11971/1999). In aggiunta, qualora l’offerta al pubblico avesse ad oggetto token assimilabili a strumenti partecipativi del capitale di rischio, potrebbe ritenersi anche applicabile la disciplina sul c.d. “equity crowdfunding” ex D.L. n. 179/2012 (convertito nella legge 17.12.2012, n. 221) e il Regolamento Consob n. 19520/2013 che prevede la possibilità di ricorrere a tale forma di raccolta attraverso portali online gestiti da soggetti iscritti in apposito albo tenuto dalla Consob. Al contrario, come ben osservato in dottrina da M. Nicotra, qualora il token non sia assimilabile ad uno strumento finanziario è sempre necessario verificare che non si ricada nella disciplina relativa alla raccolta del pubblico risparmio (ossia all’acquisizione di fondi tra il pubblico con obbligo di rimborso), attività questa riservata alle banche (salvo alcune poche eccezioni (come, ad esempio, l’attività di social lending nei limiti previsti dal provvedimento Banca d’Italia del 8 novembre 2016));
    • Token che incorporano il diritto a ricevere una prestazione o un bene da chi ha emesso il token o da un terzo che ha stipulato accordi commerciali con l’emittente; o, ancora, token rappresentativi di asset che non siano strumenti finanziari o partecipativi. Per tali caratteristiche, i token di classe 2 possono essere ricondotti ai titoli di credito, ovvero ai “documenti” che, ex art. 1992 c.c., conferiscono al possessore un “diritto alla prestazione in esso indicata verso presentazione del titolo”. Tali tipologie di token possono essere riportate al crowdfunding, nella forma del reward crowdfunding (in cui il finanziatore riceve una ricompensa sulla base dell’importo investito nella campagna e che, in genere, coincide con un prodotto o un servizio), riconducibili o alla disciplina della donazione modale (ove, ex art. 793 c.c., il donatario è tenuto all’adempimento dell’onere previsto) oppure alla vendita di cose future (ex art. 1472 c.c.). L’atipicità delle prestazioni configurabili rende il contratto concluso per l’acquisto del token un contratto misto, regolato dall’autonomia negoziale, con la possibilità dell’applicazione anche del Codice del Consumo.
      Come detto, tali token possono essere inquadrati come titoli rappresentativi di diritti di credito ex art. 1992 c.c. (a loro volta qualificabili come titoli rappresentativi di merci se il diritto consiste nel ricevere un bene; documenti di legittimazione, nel caso in cui il token legittimi il possessore ad una certa prestazione);

 

  • Token di classe 3, ossia che incorporano diritto di comproprietà. Tali token conferiscono al titolare un diritto di proprietà su una piattaforma di smart contracts, oltre ad una serie di diritti ulteriori, gestiti automaticamente dalla piattaforma.

Questa ricostruzione giuridica è stata affermata anche dalle Autorità di regolamentazione. La FINMA, l’Autorità Svizzera di regolamentazione del mercato finanziario, il 16 febbraio 2018 ha pubblicato delle linee guida in merito alle ICO precisando che il criterio principale da seguire per individuare la disciplina applicabile deve tenere conto della tripartizione dei token in:

  • Token di pagamento, ossia quelli accettati come strumenti di pagamento senza conferire diritti al titolare;
  • Utility token, ossia quelli che consentono di accedere a una piattaforma o utilizzare un servizio;
  • Token di investimento, rappresentanti diritti di credito nei confronti dell’ente emittente ovvero un diritto sociale ai sensi del diritto societario.

6. Blockchain e finanza digitale: le criptovalute

L’infrastruttura tecnologica blockchain, sfruttando le sue principali peculiarità (disintermediazione mediante fiducia nella rete, consenso distribuito, valore come incentivo, privacy, sicurezza e inclusione), si sta rendendo valida innovazione atta a supportare e migliorare vari settori dell’agire umano. Come descritto anche all’interno del documento europeo PE 581.948 (“How blockchain technology could change our lives”), pubblicato dal Servizio di ricerca del Parlamento Europeo, vari sono gli ambiti di applicazione di questa tecnologia: dal settore della proprietà intellettuale (con riferimento alla gestione dei diritti d’autore) a quello dei brevetti; dall’e-voting (seppur con delle perplessità) alla supply-chain. Anche il settore della Pubblica Amministrazione, inoltre, sta elaborando progetti finalizzati a realizzare nel rispetto dell’art. 117 della Costituzione quella che da taluni è stata definita la “Government Service Blockchain”[17].

Ad ogni modo, il settore finanziario è quello ha visto la maggiore effervescenza applicativa degli strumenti e delle innovazioni connesse alla blockchain.  Non si può dimenticare, infatti, che la stessa Blockchain Bitcoin è nata con l’obiettivo di sviluppare un network di pagamenti e transazioni che, mediante l’utilizzo della crittografia, potesse permettere alle parti di negoziare direttamente senza la necessaria presenza di una terza parte fidata. Perseguendo tale obiettivo, dunque, il paper di Satoshi Nakamoto ha previsto la prima e più nota criptovaluta operante su blockchain, il bitcoin.

L’inquadramento giuridico delle criptovalute, è peraltro assai rilevante al fine di poter valutare gli effetti e la disciplina applicabili al loro utilizzo. In particolare, l’assimilazione alla moneta corrente ne determinerebbe la configurabilità di strumento di pagamento, con la conseguente applicazione di una serie di norme rilevanti al fine di regolare, ad esempio, l’estinzione delle obbligazioni pecuniarie (ex art. 1227 c.c.), l’operatività dei soggetti che forniscono servizi di pagamento[18], la normativa antiriciclaggio[19].

La disamina normativa che segue, tuttavia, non può prescindere dalla necessità di rappresentare una serie di differenziazioni concettuali determinanti, concernenti la differenza esistente tra criptovalute (o valute virtuali) e moneta elettronica (entrambe valute digitali):

  • La moneta elettronica è “il valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia emesso dietro ricevimento di fondi per effettuare operazioni di pagamento … e che sia accettato da persone fisiche o giuridiche diverse dall’emittente di moneta elettronica” (art. 2, n. 2, Direttiva 2009/110/CE; 2^ direttiva IMEL). Per intenderci, la moneta elettronica, che è sicuramente una valuta digitale (ossia rappresenta, in formato digitale, il denaro tradizionale), è ad esempio la carta di pagamento “prepagata”. Essa ha spendibilità generalizzata (cioè è comunemente accettata) e ha piena efficacia solutoria;
  • la criptovaluta, melius “valuta virtuale”, è comunque una valuta digitale e, precisamente, ad anticipo rispetto al prosieguo della trattazione, è “la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente” (D.lgs. 25 maggio 2017, n. 90 (decreto di recepimento della Direttiva UE 2015/849, c.d. “IV direttiva antiriciclaggio”)[20].

6.1. La prima regolamentazione internazionale

Come già anticipato, quando si parla di criptovaluta si fa riferimento alla tipologia di token di classe 1, ossia strumenti che non conferiscono diritti nei confronti di una controparte e non rappresentano alcun asset reale.          
La ricostruzione giuridica di questa sorta di “moneta matematica” si è sviluppata attraverso vari tentativi di inquadramento economico-giuridico: dall’assimilazione alla moneta complementare, al primo sofferto riconoscimento come valuta.


In una primissima sentenza, quella relativa a United States District Court, Eastern District of Texas, SEC vs Trendon T. Shavers and Bitcoin Savings and Trust, Case 4:13-cv-00416-RC-ALM, la criptovaluta era stata ricondotta alla nozione di security, ossia uno strumento finanziario. Altri hanno addirittura qualificato il bitcoin come una new property o come un documento informatico[21].

Una delle primissime leggi trattanti la valuta digitale è stata la Bill c-31 adottata dal Canada nel giugno 2014: la norma, che disciplinava la materia relativa all’antiriciclaggio e al finanziamento al terrorismo, ha considerato le criptovalute come potenziali “money service business”.

A partire dal 2012, invece, la Banca Centrale Europea ha avviato uno studio più approfondito, prevedendo innanzitutto una suddivisione delle criptovalute in a) valute virtuali utilizzabili in sistemi digitali chiusi (giochi online); b) valute virtuali unilateralmente collegate all’economia reale (con tassi di cambio solo per l’acquisto di valuta) ; c) valute virtuali collegate bilateralmente all’economia reale (con tassi di conversione sia per l’acquisto che per la vendita di tali valute utilizzabili per acquisti reali e digitali).

Successivamente, nel febbraio 2015, la BCE ha pubblicato uno schema aggiornato in cui ha definito la valuta digitale una “rappresentazione digitale di valore” non emessa da una banca centrale, istituto di credito o istituto di moneta elettronica, utilizzabile talvolta anche in alternativa al denaro.

Una qualificazione analoga è pervenuta, inoltre, anche dall’Autorità Bancaria Europea[22] e dall’ESMA (European Securities and Markets Authority), la quale ha precisato agli investitori che le criptovalute sono rappresentazioni digitali di valore che non hanno lo status legale di moneta corrente[23].

Il Fondo Monetario Internazionale, invece, le ha qualificate come una particolare tipologia di valuta virtuale emessa da privati e avente proprie unità di conto[24].

Più specifica è stata, poi, la qualificazione della Banca Mondiale che, in un report del 2017[25], ha distinto la valuta virtuale dalla moneta elettronica, evidenziando la peculiarità della crittografia e del consenso diffuso.

La peculiarità della crittografia, inoltre, emerge anche dagli approfondimenti della Financial Action Task Force (FATF) del 2014, nei quali la definizione di criptovaluta è quella di “valute virtuali decentralizzate convertibili, basate su un principio matematico e protette dalla crittografia”[26].

Tutte queste prime iniziali definizione sono confluite nello studio della Direzione generale Politiche interne del Parlamento Europeo, conclusosi nel giugno 2018, il quale ha definito le criptovalute come “una rappresentazione digitale di valore che è destinata a costituire un’alternativa peer-to-peer (P2P) all’offerta emessa dal Governo, viene utilizzata generalmente come mezzo di scambio (ed è indipendente da qualsiasi banca centrale), è protetta da un meccanismo noto come crittografia e può essere convertita in moneta corrente e viceversa[27].

Fuoriuscendo dai confini europei, negli USA le criptovalute non sono considerate moneta corrente in quanto il potere di coniare moneta è riservato al solo Congresso degli Stati Uniti e quello di conferire lo status di moneta avente corso legale è riservato al Governo Federale.

Dal 2013 il FinCEN (Financial Crimes Enforcement Network) ha dichiarato applicabile la definizione di Money Service Businesses (MSB), estendendo a tali soggetti gli obblighi di cui alla disciplina antiriciclaggio[28]a: a) soggetti che forniscono servizi di scambio tra valuta virtuale e valuta corrente, b) coloro che imprenditorialmente rilasciano valuta virtuale o che hanno il potere di riscattarla e c) soggetti che accettano e trasmettono valuta virtuale convertibile o acquistano e vendono valuta virtuale convertibile.

In generale il Congresso si è trovato ad esaminare differenti esigenze: quella di razionalizzare il settore, con particolare riferimento alla necessità di sviluppare un network leggero, coerente e semplice, quella di evitare l’obbligo di registrazione come cambiavalute o moneytransfers per i miners e  quella di salvaguardare i soggetti che hanno ricevuto criptovalute derivanti da un hard fork[29].

In ogni caso, poiché il Governo non ha provveduto ad una definizione univoca della disciplina in materia di blockchain (mentre, invece, più rilevanti sono stati i provvedimenti disciplinanti le Initial Coin Offering), ogni Stato federato ha potuto determinare una ulteriore frammentazione del framework normativo nel quale, comunque, è stato riconosciuto alle criptovalute la funzione di mezzo di scambio avente un valore convenzionale e digitale.

Più nette sono state, invece, le posizioni prese in Asia: se, da un lato la Cina ha chiarito che le criptovalute non possono essere riconosciute come strumento per il pagamento di beni e servizi[30], il Giappone ha modificato la propria legge sui servizi di pagamento dal 1 gennaio 2017 definendo le criptovalute quali 1) valori proprietari trasferibili elettronicamente, utilizzabili come mezzo di pagamento per l’acquisto o il noleggio di beni o fornitura di servizi a persone e che possono essere acquistati e venduti o 2) valori proprietari che possono essere reciprocamente scambiati tra soggetti in forma elettronica.

Sulla qualificazione giuridica delle criptovalute, tuttavia, si è cominciata ad esprimere anche la giurisprudenza internazionale. In particolare, ritornando al vecchio continente, con la sentenza del 22.10.2015 nella causa C-264/14[31] relativa all’impugnazione di un parere della Commissione tributaria svedese in merito all’esenzione da IVA del servizio cambio da bitcoin a moneta corrente, la Corte Europea di Giustizia ha rilevato che la ”valuta virtuale a flusso bidirezionale ’bitcoin’, che sarà cambiata contro valute tradizionali nel contesto di operazioni di cambio, non può essere qualificata come ’bene materiale’ ai sensi dell’art. 14 della direttiva IVA, dato che, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 17 delle sue conclusioni, questa valuta virtuale non ha altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento”.  
È evidente, quindi, come una simile definizione avvalora la tesi secondo cui le criptovalute sarebbero mezzi di pagamento e le operazioni di cambio ad esse relative sarebbero prestazioni di servizi (e non cessioni di beni). In ragione di ciò la Corte ha concluso per l’applicabilità dell’esenzione di cui all’art. 135 Paragrafo 1, lett. e) della Direttiva IVA n. 2006/112/CE) anche alle operazioni di cambio valuta tradizionale contro unità di valuta bitcoin e viceversa.

Sulla stessa linea, seppur con una leggera ma non irrilevante sfumatura, si sono mosse le Istituzioni UE con la pubblicazione della c.d. V Direttiva Antiriciclaggio[32] (Direttiva UE 2018/843 del Parlamento Europeo e del Consiglio), secondo la quale la valuta virtuale è “una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”[33].  

Orbene, se è vero che la Direttiva certamente rimarca la strumentalità del mezzo di pagamento della valuta digitale, espande la definizione emessa dalla Corte di Giustizia ritenendo comunque possibili criptovalute che assolvano anche a funzioni ulteriori rispetto a quella di pagamento.
La norma europea, inoltre, disciplina espressamente i prestatori di servizi di portafoglio digitale, ossia coloro che forniscono servizi per la tutela e salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti al fine di detenere, memorizzare e trasferire valute virtuali. In particolare, la direttiva estende le norme antiriciclaggio a tali soggetti (exchanges, cambiavalute e gestori di portafogli digitali, i c.d. wallet providers), prevedendo l’obbligo della loro registrazione in appositi albi, l’identificazione obbligatoria dei soggetti nei cui confronti prestano il servizio e, infine, l’obbligo di segnalare eventuali operazioni sospette.

Particolarmente interessante è l’attenzione posta dal considerando n.10 della V Direttiva laddove mette sottolinea che “le valute virtuali non dovrebbero essere confuso con”:

  • la moneta elettronica definita all’art.2 punto 2 della direttiva 2009/110/CE del Parlamento europeo e del Consiglio[34];
  • I “fondi” di cui all’art. 4, punto 25, della direttiva (UE) 2015/2366 del Parlamento Europeo e del Consiglio;
  • con il valore monetario utilizzato per eseguire operazioni di pagamento di cui all’art. 3, lettere k) e l) della direttiva (UE) 2015/2366;
  • con le valute di gioco che possono essere utilizzate esclusivamente all’interno di un determinato ambiente di gioco.

Al contempo, la norma europea, che si prefigge lo scopo di “coprire tutti i possibili usi delle valute virtuali” e che esclude la ricomprensione all’interno della nozione di valuta virtuale delle “monete complementari”, prevede che “sebbene le valute virtuali possano essere spesso utilizzate come mezzo di pagamento, potrebbero essere usate anche per altri scopi e avere impiego più ampio, ad esempio come mezzo di scambio, di investimento, come prodotto di riserva di valore  o essere utilizzante in casinò online”.

Come, ben analizzato già da F. Sarzana di S. Ippolito e M. Nicotra (Diritto della Blockchain, intelligenza artificiale e IoT), attraverso la scomposizione della Direttiva UE 2018/843, dunque, la valuta virtuale è:

  • una rappresentazione digitale di valore, da intendersi in una duplice modalità: valore intrinseco del token emesso sulla blockchain nella misura in cui rappresenta un valore monetario o è funzionale all’esercizio di diritti; un valore ulteriore, ricollegato al cambio con la moneta corrente;
  • non emessa o garantita da una banca centrale o da un’Autorità pubblica;
  • non collegata ad una valuta legalmente istituita, ossia il cambio in una moneta corrente non è fissato da un’Autorità ma è determinato su una base di mercato;
  • non possiede lo status giuridico di valuta o moneta: ciò determina l’assenza di un riconoscimento giuridico statale in quanto moneta, circostanza riscontrabile con la moneta elettronica;
  • è accettata da persone fisiche o giuridiche come mezzo di scambio: la scambiabilità della valuta è particolarmente decisiva ai fini dell’applicazione della normativa comunitaria in tema di strumenti finanziari. Come i già citati autori hanno avuto modo di affermare, tale aspetto è dirimente perché mentre le norme europee sembrano svolgere un giudizio ex ante della scambiabilità, inteso quale potenzialità di scambio dello strumento, quella in parola parrebbe condurre ad un giudizio ex post richiedendo che la valuta sia già oggetto di scambio tra le persone. Ciò diviene rilevante soprattutto per le Initial Coin Offering, laddove è possibile che venga impedita, con lo smart contract, la circolazione dei token per un periodo determinato. In tal caso bisognerebbe comprendere se il trasferimento della criptovaluta per il solo primo “acquisto”, ossia al momento dell’emissione e successiva assegnazione a dei soggetti determinati, integri già la definizione della normativa, oppure se sia necessario attendere lo svincolo dei token affinché sia completamente verificata la fattispecie in esame[35];
  • può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente.

6.2. Criptovalute in Italia: i riferimenti normativi

La regolamentazione delle criptovalute in Italia fa la propria comparsa ancor prima dell’emissione della V Direttiva UE: il D.lgs. n. 90 del 25.5.2017, aggiornato dal D.lgs. 4 ottobre 2019, n. 125 (che modificano il D.lgs., 231/2007 inerente la normativa sul contrasto al riciclaggio del denaro e al finanziamento del terrorismo) ha definito:

  • la valuta virtuale, ossia “la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente” (art. 1, comma 2, lett. qq), definizione pressoché analoga a quella della V Direttiva UE;
  • I prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale, per tali intendendosi “ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conservazione da ovvero in valute aventi corso legale o in rappresentazioni digitali di valore, ivi comprese quelle convertibili in altre valute virtuali nonché' i servizi di emissione, offerta, trasferimento e compensazione e ogni altro servizio funzionale all'acquisizione, alla negoziazione o all'intermediazione nello scambio delle medesime valute” (art. 1, comma 2, lett. ff);
  • I prestatori di servizi di portafoglio digitale, ossia “ogni persona fisica o giuridica che fornisce, a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti, al fine di detenere, memorizzare e trasferire valute virtuali” (art. 1, comma 2., lett. ff bis).

Il D.lgs. 90/2017 e il successivo D.lgs. 125/2019, sono particolarmente importanti perché, modificando la normativa sul registro dei cambiavalute (D.lgs. 141/2010) hanno disposto che le previsioni e i requisiti per l’esercizio dell’attività di cambiavalute si applicano anche ai prestatori di  servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale (c.d. exchanger) e ai prestatori di servizi di portafoglio digitale (c.d.custodial wallet), come definiti all’art. 1, comma2, lettere ff e ffbis  del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, i quali sono altresì tenuti all’iscrizione in una sezione speciale del registro tenuto dall’Organismo degli Agenti e dei Mediatori che raccoglie tutti i soggetti autorizzati ad esercitare l’attività di cambiavalute.

Pertanto, la normativa ha effettivamente esteso a entrambe le categorie di prestatori di servizi gli obblighi della normativa antiriciclaggio. Il D.lgs. 125 li ha poi inclusi tra i soggetti obbligati, muovendo dal presupposto che, non essendo ad oggi chiamati a individuare e segnalare le attività sospette, potrebbero consentire il potenziale uso improprio per scopi criminali dei servizi da loro erogati, con la conseguenza che i gruppi terroristici potrebbero operare all’interno delle reti virtuali.

Inoltre, se già con il recepimento della IV Direttiva UE, avvenuto con il D.lgs. 72/2017, erano stati inseriti gli obblighi di adeguata verifica della clientela a carico dei prestatori di servizi relativi all'utilizzo di valuta virtuale ma limitatamente allo svolgimento dell'attività di conversione di valute virtuali da ovvero in valute aventi corso forzoso, con il d.lgs. 125 tale obbligo viene esteso a entrambe le categorie e se ne prevede l'iscrizione in una sezione speciale del registro dei cambia valute presso l'Organismo degli agenti e mediatori (Oam).

6.3. Le indicazioni della Consob

Non solo il legislatore: anche la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob), ha affrontato e sta affrontando il tema connesso alle criptovalute, con particolare attenzione alle c.d. ICO (Initial Coin Offering) e allo scambio di criptovalute.         
Già con due delibere del 2017 (la n. 19968/2017 e la n. 2027/2017), l’Autorità si era espressa al riguardo: invero, con riferimento ad un’attività pubblicitaria di un servizio di vendita di “pacchetti di estrazione di criptovalute”, aveva innanzitutto ritenuto applicabile, sul presupposto della promozione di rendimenti garantiti a fronte dell’impiego di capitali, la disciplina del Testo Unico della Finanza relativa all’offerta al pubblico di prodotti finanziari (art. 1, comma 1, lett.t) e, di conseguenza, l’art. 101 TUF che vieta qualsiasi forma di annuncio pubblicitario di prodotti finanziari, diversi dagli strumenti finanziari comunitari, prima della pubblicazione del prospetto informativo. Inoltre, relativamente ad un’altra attività di promozione di “portafogli di investimento” in criptovalute (sito online oggetto, poi, di successivo sequestro da parte dell’Autorità Giudiziaria), la Consob ha qualificato l’offerta come una promozione di investimenti di natura finanziaria con conseguente applicazione dell’art. 99, comma 1, lett.d, del TUF per mancata pubblicazione del prospetto informativo.

È piuttosto recente, invece, l’ultimo report pubblicato il 2 gennaio 2020 dall’Autorità sul tema delle ICO e dello scambio di criptovalute. Tale documento, frutto di una consultazione pubblica durata circa nove mesi, si è posto l’obiettivo di definire un quadro normativo nazionale disciplinante le criptoattività. In particolare, il rapporto si incentra più sulle criptoattività che non sulle criptovalute, evidenziando che non risultasufficientemente chiara (e quindi accertabile nel caso concreto) la distinzione tra le criptoattività riconducibili alla categoria degli strumenti finanziari (secondo la normativa Mifid II) e quelle non riconducibili”. Successivamente, soffermandosi anche sul regime delle piattaforme per l’offerta di criptoasset di nuova emissione, sui sistemi di scambi e sui servizi di portafoglio digitale, la Commissione si pone l’obiettivo di individuare possibili soluzioni per disciplinare alcune criptoattività non assimilabili agli strumenti finanziari e che, per tale ragione, richiedono una nuova disciplina specifica.

Il suddetto rapporto, comunque, è stato emesso anche in ragione delle recenti accelerazioni poste sul tema anche dall’UE.

 Il 13 dicembre 2019, infatti, il ROFIEG (Gruppo di Esperti sugli Ostacoli Regolatori all’Innovazione Finanziaria – FinTech) ha pubblicato il proprio “Final Report” in cui si sottolinea come  il fattore più importante dell’approccio dell’UE alle criptoattività è dato dal criterio di uniformità, secondo cui le attività che creano gli stessi rischi devono essere disciplinate dalle stesse regole in tutta la UE, evitando così la frammentazione, l’arbitraggio normativo, la corsa al ribasso in termini di rigore e di tutele. Un fattore è nella necessità di coordinamento con i partner internazionali, tenendo conto della natura intrinsecamente senza confini delle tecnologie e della necessità di coerenza internazionale[36].

6.4. Le prime pronunce della giurisprudenza e della autorità fiscali

Il diritto non può non essere anche quello che quotidianamente si sviluppa nelle aule di tribunali, dove l’agire, anche digitale, deve essere inesorabilmente ricondotto alle categorie giuridiche.
Al riguardo, sono poche ma interessanti, le pronunce che si stanno iniziando a raccogliere sul tema delle criptovalute e/o sulle criptoattività.

Una prima pronuncia, oltre a quella già menzionata della CGUE (C-264/14), proviene dal Tribunale di Verona (sent. 195/2017) e riguarda un contenzioso avente ad oggetto l’acquisto di bitcoin da parte di privati da una società che forniva il cambio valuta da euro a bitcoin, collegata al portale di Equity-Crowdfunding da finanziare. A tali soggetti privati, effettuato il pagamento in valuta tradizionale, non veniva attivato il corrispondente wallet in bitcoin. La pronuncia in esame, ha avuto modo di evidenziare che si trattava di “servizi finanziari conclusi a distanza nei confronti di un consumatore” e, pertanto, ha ritenuto applicabile la disciplina ex artt. 67 bis ss. del Codice del Consumo.  Pertanto, alla luce dell’art. 67 septiesdecies, ha rilevato la nullità del contratto di cambio e ha condannato la società a restituire quanto ricevuto dagli investitori.

Anche il Tribunale di Brescia, Sez. Imprese, con il decreto n.7556 del 18.7.2018, si è pronunciato sulle criptovalute analizzando, però, il profilo relativo al collegamento tra il valore della valuta virtuale e quello del bene reale sottostante e della possibilità che la stessa costituisca oggetto di conferimento al capitale sociale. Miratamente, il caso di specie aveva ad oggetto il ricorso proposto, ex art. 2436 c.c., da un amministratore di una società di capitali contro il diniego proposto da un notaio di iscrivere nel Registro delle Imprese la delibera di aumento del capitale sociale realizzato attraverso il conferimento in natura dei beni costituiti anche da “criptovaluta” (e da opere d’arte). Il notaio, in particolare, aveva eccepito che la natura volatile della criptovaluta non consentiva, in specie, né di valutare concretamente il quantum destinato alla deliberazione dell’aumento di capitale sottoscritto né di determinare l’effettività del conferimento.     
L'amministratore in questione, a sostegno della propria tesi, sosteneva infatti che a) la società avrebbe potuto acquisire il conferimento in quanto erano state messe a disposizione le credenziali; b) la valutazione della criptovaluta era contenuta nella perizia di stima, anche alla luce della circostanza che essa era scambiata su una piattaforma online; c) si poteva procedere all’iscrizione in bilancio del valore, al pari di quella di altri beni immateriali[37].
Ciò premesso, il provvedimento del Tribunale, rigettando il ricorso proposto, ha evidenziato come nel caso in oggetto, la criptovaluta è stata considerata come una moneta virtuale in una fase embrionale non avente ancora i requisiti minimi per essere assimilata ad un bene suscettibile di una valutazione economica attendibile. Si noti bene che la pronuncia, in realtà, non ha escluso la possibilità di conferire a capitale una criptovaluta ma, considerato che nel caso in parola, la criptovaluta oggetto del conferimento era negoziata solo su una piattaforma dedicata alla fornitura di beni e servizi riconducibili ai medesimi soggetti ideatori della stessa, l’elemento attivo conferito avrebbe avuto un carattere ”autoreferenziale incompatibile con il livello di diffusione e pubblicità di cui deve essere dotata una moneta virtuale che aspira a detenere una presenza effettiva sul mercato”.  Altra considerazione importante apportata dal Tribunale è stata quella, in materia di potenziale aggredibilità della criptovaluta da parte di eventuali creditori, secondo cui il bene oggetto di conferimento dovrebbe poter essere aggredibile da parte dei creditori e, quindi, suscettibile di esecuzione forzata; nel caso di criptovalute, un ipotetico pignoramento non sarebbe di fatto possibile in ragione dell’”esistenza di dispositivi di sicurezza ad elevato contenuto tecnologico” che impedirebbero l’espropriazione forzata senza la collaborazione del debitore.
La decisione citata, impugnata dinanzi la Corte di Appello di Brescia, è stata confermata, seppure con una motivazione differente, con decreto 207 del 24.10.2018[38]: il Collegio, infatti, analizzando preliminarmente la qualificazione giuridica della ”criptovaluta”, ha sostenuto che la stessa è certamente utilizzata come moneta alternativa a quella tradizionale avente corso legale emessa da un’Autorità monetaria e, quindi, deve essere assimilata, sul piano funzionale, al denaro, essendo mezzo di scambio e pagamento in un dato mercato. Sulla base di tale assunto, quindi, la Corte ha ritenuto che non può essere considerata alla stregua di beni, servizi o altre utilità che sono, come tali, suscettibili di una valutazione tecnica mediante perizia di stima. L’effettivo valore economico della” criptovaluta” non potrebbe pertanto determinarsi mediante perizia di stima secondo il combinato disposto degli artt.2464 e 2465 c.c. - riservata a beni, servizi ed altre utilità, diversi dal denaro -  non essendo possibile, per quanto detto, attribuire valore di scambio ad un’entità essa stessa costituente mezzo di scambio nella negoziazione.          
Pertanto, la Corte d’Appello, evidenziando che non esiste, allo stato, un sistema di cambio per la” criptovaluta” in oggetto, cambio stabile e agevolmente verificabile come per le monete aventi corso legale (dollaro, yen, sterlina ecc.), ha ritenuto impossibile assegnare alla criptovaluta un controvalore certo in euro, con la conseguenza di non considerare possibile un aumento di capitale il cui quantum non possa essere determinato.

Fuori dai confini italiani, meritevole di nota, è pure la sentenza 326 del 20 giugno 2019 emessa dal Tribunale Supremo Spagnolo. In sintesi, nel caso di specie, era stata accertata la responsabilità penale per truffa di un intermediario che si era a impegnato a gestire i Bitcoin consegnatigli in deposito da ciascuna delle parti contraenti, dovendo reinvestire gli eventuali dividendi e consegnare alla scadenza del contratto i profitti ottenuti in cambio di una commissione che avrebbe trattenuto (c.d. contratti HFT, High Frequency Trading), operazioni tuttavia mai avvenute.       
Rispetto all’acclarato reato di truffa, si era posto il problema di come misurare la responsabilità civile conseguente, con particolare riferimento al se il truffatore avesse dovuto restituire i bitcoin ricevuti o restituire l’equivalente in denaro alla data del contratto, ossia all’anno 2014 (artt. 110 e 111 c.p. spagnolo, equivalenti all’art. 185 c.p. italiano).  L’elemento temporale non è assolutamente irrilevante in quanto, alla data di stipula del contratto (2014), il bitcoin aveva un valore ricompreso tra 200 e 400 euro, mentre alla data dell’emessa sentenza della Corte di Cassazione Spagnola il valore era pari a circa 10.500 euro. Dunque è evidente che la restituzione del bitcoin avrebbe avuto un valore intrinseco (del bitcoin) notevolmente maggiore rispetto alla restituzione dell’equivalente in denaro alla data del 2014.        
Tanto premesso, la Corte Suprema Spagnola ha stabilito che il bitcoin (e le altre valute) non costituiscano moneta o bene materiale, come tali restituibili a titolo di responsabilità civile derivante da reato, perciò condannando l’accusato a risarcire il danno pagando il valore in euro dei bitcoin alla data del loro trasferimento nel 2014. La Corte Spagnola, in sostanza, ritenendo i bitcoin beni non materiale ha ritenuto gli stessi non restituibili, con evidenti perplessità al riguardo. Come sostenuto da parte della dottrina, il fatto di essere rappresentazioni digitali di valore, pur non avendo una forma fisica, non dovrebbe essere un motivo per negare la loro esistenza, perché sarebbe come negare il digitale. La Corte Suprema stessa allude all’obbligo di restituire qualsiasi bene oggetto del reato, perché nella nozione di qualsiasi proprietà rientra sia la proprietà materiale che quella immateriale. In ogni caso il bitcoin sarebbe oggetto certamente di trasferimento mediante una nuova operazione inversa[39].

Non solo giurisprudenza, comunque.  Ritornando ai confini italiani anche l’Agenzia delle Entrate ha operato talune interpretazioni rilevanti soprattutto con riferimento agli aspetti tributari delle criptovalute[40].
In conformità alla citata sentenza della CGUE, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto le operazioni di cambio esenti dall’applicazione IVA e, attraverso le risposte ad interpello (Risoluzione n. 72/E del 2.9.2016 e Interpello 956-39/2018), non aventi comunque efficacia erga omnes, ha esteso alle criptovalute la disciplina fiscale regolante le valute estere, in antitesi rispetto alla maggior parte delle altre Autorità.

Con la Risposta n.14/2018, invece, l’Agenzia - sempre in riscontro ad un interpello avente ad oggetto il regime fiscale (IRES, IRAP, IVA) sull’offerta di token digitali, miratamente gli utility token (che non rientrerebbero secondo prevalente dottrina nell’ambito delle criptovalute), ha evidenziato che - dato che gli utility token ceduti dalla società presentano caratteristiche tali da poter essere assimilati ai voucher (conferiscono al detentore il diritto a beneficiare di determinati servizi/beni) - la sola cessione dei token non costituisce una operazione rilevante ai fini IVA (è di fatto riconducibile a una mera movimentazione finanziaria). L’IVA diverrà esigibile solo al momento in cui i beni saranno ceduti o i servizi prestati con la spendita dei token[41]. Per quanto concerne l’IRAP, posto che il principio che sorregge l’attuale sistema impositivo è quello della c.d. presa diretta da bilancio delle voci espressamente individuate e considerate rilevanti ai fini impositivi, nel presupposto dell’assenza di rilevazione tra le voci del conto economico rilevanti ai fini del tributo regionale, le somme incassate a fronte dell’assegnazione dei predetti utility token non concorrono alla formazione della base imponibile IRAP. Relativamente al trattamento fiscale dei compensi erogati sotto forma di token, invece, l’AgE ha precisato che per i compensi riservati ad amministratori di società e dipendenti, tali remunerazioni costituiscono redditi di lavoro dipendente, in ossequio al principio di omnicomprensività di cui all’art. 51 TUIR (come tali assoggettabili a ritenuta d’acconto). Se, invece, gli stessi sono percepiti da altri soggetti non legali alle società istanti ra rapporti di lavoro, l’erogazione costituisce cessione, a titolo gratuito o a titolo oneroso. Ai fini della tassazione dei redditi realizzati dalle persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di una attività di impresa, che detengono gli utility token, si ritiene che gli stessi costituiscono rapporti da cui deriva il diritto di acquistare a termine (quando sarà disponibile) il prodotto o il servizio e, pertanto, sono suscettibili di generare un reddito diverso ai sensi dell’art. 67, comma 1, lettera c-quater), TUIR. Tali redditi diversi di natura finanziaria devono essere indicati nel quadro RT del modello Redditi - Persone Fisiche e sono soggetti ad imposta sostitutiva con aliquota del 26%[42].

6.5. Considerazioni conclusive sull’analisi giuridica delle criptovalute

Le riflessioni finora svolte inducono ragionevolmente a ritenere le criptovalute uno strumento particolarmente dirompente all’interno del sistema monetario e dei pagamenti e che, proprio in ragione della sua capacità di stravolgere i tradizionali pilastri del settore (moneta, valuta, strumento finanziario ecc.) richiede una definizione unitaria ma non sempre unica. È necessario, quindi, effettuare, di volta in volta, una interpretazione che valuti il caso concreto, gli attori coinvolti e il risultato che le parti hanno inteso raggiungere. Solo all’esito di quest’analisi si potranno applicare le regole della vendita, qualora oggetto dell’acquisto sia la criptovaluta in sé, oppure le regole della permuta, quando la criptovaluta venga utilizzata quale strumento scambio, a fronte della cessione di altri beni o diritti. Analogamente, deve comprendersi se il “pagamento” in criptovalute possa valere quale modalità di estinzione dei debiti pecuniari, soluzione che però è ostacolata dall’art. 1277 c.c. che richiede, affinché si producano gli effetti liberatori del pagamento, che esso avvenga con moneta avente corso legale nello Stato. Ciò comporterà che le parti pattuiscano espressamente la possibilità di effettuare il pagamento con la specifica criptovaluta prescelta, tramite l’apposizione della clausola “effettivo” o equivalente, ex art. 1279 c.c.[43].

Allo stesso modo, la stessa qualificazione giuridica dei token non può prescindere dall’analisi specifica dei diritti e delle prestazioni incorporate nello strumento digitale.

In ogni caso, è evidente che le criptovalute sono indissolubilmente legale alla tecnologia blockchain in quanto è grazie ad essa che si è introdotto nel mondo digitale il carattere della scarsità, a sua volta collegato a quello di rivalità, ritenuto da taluni economisti come l’elemento principale per l’attribuzione di valore ad un bene. Ergo, la scarsità digitale, riprodotta dalla blockchain, ha consentito alle criptovalute di assumere un valore ex se, per ciò rientrando nella definizione della V Direttiva UE, con il sigillo del riconoscimento e dell’accettazione di esse come mezzo di scambio, consentito dall’applicazione di quella che taluni autori hanno definito lex cryptographica[44].

7. Le Initial Coin Offering: analisi del fenomeno e le prime “regole di ingaggio” dagli USA

L’effervescenza del settore criptofinance non può essere considerata senza analizzare un ulteriore fenomeno particolarmente disruptive quale quello delle ICO, ossia le Initial Coin Offering.

Le ICO, il cui termine è stato traslato dalla procedura finanziario-giuridica delle IPO (Initial Public Offering, le offerte pubbliche di strumenti finanziari – azioni, obbligazioni, ecc – da parte di un ente emittente), sono una forma di finanziamento, utilizzata da startup o da soggetti che intendono realizzare un determinato progetto, resa possibile tramite la tecnologia. In estrema sintesi, per reperire dei finanziamenti si propone al pubblico (normalmente tramite un cd. “withepaper”) un progetto che sarà realizzato tramite Blockchain con creazione di “token” da cedere, a fronte di un corrispettivo, ai soggetti finanziatori[45].

La rilevanza del fenomeno emerge con chiarezza soprattutto se si considera che ad oggi, attraverso le ICO, sono stati raccolti più di 31 miliardi di dollari[46], pur nell’assenza di una regolamentazione ben chiara e stabile. Il rischio  correlato al pullulare di tali procedure di fintech è stato reso particolarmente concreto soprattutto in occasione della nota vicenda di ”TheDAO”, dalla quale dal punto di vista tecnologico si è dato origine al fork[47] della Blockchain Ethereum, e dal punto di vista normativo si è cominciato ad analizzare il quadro giuridico, con l’emissione del primo report importante, quello n. 81207 del 25 luglio 2017 della U.S. Securities and Exchange Commission (SEC), poi sfociato in ulteriori Linee Guida SEC del 3 aprile 2019.

TheDAO era una “Decentralized autonomous organization”, ossia un’organizzazione creata sulla Blockchain Ethereum (tramite smart contract collegati) tramite la creazione di un sito internet per fornire informazioni, la redazione di un whitepaper con il dettaglio del progetto, e delle convenzioni con alcuni exchange per consentire lo scambio dei token acquisiti.        
Lo scopo di TheDAO era quello di raccogliere capitali (mediante lo scambio di DAO tokens in cambio di criptovaluta ETH) da investire su progetti preanalizzati da un comitato e poi votati (con la specifica del quantum di capitale da destinare) dai possessori di DAO Token.
L’evento critico realizzatosi riguarda quanto avvenuto il 18.6.2016, quando circa 50 dei 150 milioni di dollari raccolti, furono persi a seguito della violazione dell’indirizzo in cui erano allocati gli ETH ricevuti da TheDAO[48].

Ciò comportò la scissione, o meglio il fork della blockchain Ethereum  in Ethereum classic (quella originaria) e in Ethereum.

La ricostruzione ex post condotta dalla SEC americana, avente lo scopo principale di individuare quegli asset digitali rientranti nel concetto di “investment contract” e soggetti, di conseguenza, alle cc.dd. “federal securities laws”.

Facendo leva sui principi di una decisione della Corte Suprema USA del 1946 (Caso SEC v. W.J.Howey Co), oggi costituenti il c.d. “Howey Test”, la SEC ha cercato di individuare i contratti di investimento.
Nel merito il test prevede che al fine di definire una fattispecie come “contratto di investimento”, per ciò sottoponibile alle securities laws, occorre dare prevalenza alla sostanza e non alla forma contrattuale  in quanto va considerato investment contract qualsiasi “investimento di denaro in un’impresa con la ragionevole aspettativa di profitti derivanti da sforzi manageriali o imprenditoriali di altri”.

Pertanto, come sottolineato anche dalle Linee Guida SEC, i tre requisiti necessari per considerare una fattispecie come un “contratto di investimento” prevedono:

  • l'esistenza di un investimento di una somma di denaro
  • In una “common enterprise”
  • con la ragionevole aspettativa di profitti prevalentemente derivanti dagli sforzi altrui.

Nel report sviluppato su TheDAO, la SEC aveva avuto modo di constatare che a) l’investimento non deve essere per forza in “moneta”, potendo essere fatto con altro tipo di valore (nel caso di specie con Ether aventi un valore di mercato); b) l’investimento era stato fatto attendendosi un profitto (TheDAO aveva l’obiettivo di creare un’entità con scopo lucrativo); c) il profitto atteso dipendeva dagli sforzi manageriali di altri soggetti.

Anche nelle ultime Linee Guida SEC, FinHub, l’Hub strategico per l’innovazione e la tecnologia finanziaria della SEC, ha precisato che relativamente al primo requisito, l’investimento di denaro sussiste quando l’asset digitale viene scambiato con qualsiasi cosa dotata di valore[49].

Per ciò che concerne il secondo requisito, ossia l’esistenza di una “common enterprise”, la SEC sostiene, invece, che in genere gli investimenti in asset digitali costituiscono degli investimenti in una “common enterprise” in quanto le sorti dei capitali dei vari acquirenti/investitori vengono legate le une alle altre o al buon esito degli sforzi del promoter.

Infine, relativamente al terzo requisito, le Linee Guida specificano quali debbano essere i fattori rilevanti ai fini della sussistenza della ragionevole aspettativa di profitti prevalentemente derivanti dagli sforzi altrui. In particolare, riguardo agli “sforzi di altri”, occorre verificare se vi sia da parte dell’acquirente/investitore il ragionevole affidamento sugli sforzi di una parte terza e se tali sforzi siano indefettibili nell’ottica del fallimento o del successo dell’impresa. Lo stesso ragionamento deve essere fatto, poi, ma in senso opposto, per valutare se l’asset digitale abbia perso o meno la natura di security.  In relazione alla “ragionevole aspettativa di profitti”, si sottolinea come il concetto di “profit” ai sensi dell’Howey Test non debba essere confuso con gli apprezzamenti di capitale derivanti esclusivamente dalle forze esterne del mercato, ma vada identificato con quelli provenienti dallo sviluppo dell’investimento iniziale o dalla partecipazione nei guadagni derivanti dall’uso dei fondi dell’acquirente/investitore[50].  


Va segnalato, infine, che la SEC prevede una specifica previsione anche per gli utility token, non ricompresi nei casi precedenti ma che, secondo l’Autorità americana, possono essere in concreto dotate di alcune caratteristiche proprie degli utilities. Miratamente “anche nei casi in cui un digital asset può essere utilizzato per acquistare beni o servizi in un network, dove la funzionalità di tale network o digital asset è in fase di sviluppo o di miglioramento,  ci possono essere transazioni in titoli”, a condizione che tra gli altri fattori siano presenti i seguenti:

  • il digital asset è offerto o venduto agli acquirenti con uno sconto sul valore dei beni o servizi;
  • il digital asset è offerto o venduto agli acquirenti in quantità superiori all’uso ragionevole;
  • non vi sono limitazioni o restrizioni alla rivendita di tali asset, in particolare quando un AP continua nei suoi sforzi per aumentare il valore dei digital asset o ha facilitato un mercato secondario.

7.1. La qualificazione giuridica delle ICO nel panorama europeo

La strada percorsa nel vecchio continente per la definizione di uno standard normativo omogeneo delle ICO - posto che la regolamentazione specifica dei mercati è rimessa alle agenzie nazionali-  è stata intrapresa dall’ESMA, la European Securities and Markets Authority che con due comunicati ha sia messo in guardia gli investitori sui rischi connessi all’investimento in criptovalute, sia richiamato il rispetto della normativa concernente gli investimenti finanziari, con particolare riferimento alla Direttiva che obbliga al rilascio del prospetto informativo, la Direttiva MIFID, la Direttiva sui fondi di investimento alternativi e la Direttiva antiriciclaggio.

Hanno fatto seguito, poi, alcune pubblicazioni e comunicati delle Agenzie nazionali inglese (FCA) e tedesca.

In particolare, nel febbraio 2018 il BAFIN, l’Autorità federale di supervisione finanziaria tedesca, ha chiarito gli obblighi a cui devono sottostare i promotori di ICO. L'autorità tedesca ha definito che la negoziazione di token (per tale intendendosi qualsiasi strumento assimilabile alla quota di un fondo di investimento, ad una partecipazione sul capitale o ad un generico strumento finanziario) potrebbe costituire tanto attività bancaria, tanto attività di emissione quanto servizio finanziario, richiedendo la previa autorizzazione all’esercizio e il rispetto della disciplina. Analogamente, ha considerato gli exchange, sistemi multilaterali di negoziazione, con conseguente applicazione del regime autorizzatorio.

Secondo l’Autorità francese (AMF), invece, un’ICO può essere definita come “una transazione di raccolta fondi effettuata attraverso una tecnologia a ledger distribuito (DLT o "blockchain") che prevede l'emissione di un token". La fonte osserva che "questi token possono quindi essere utilizzati per ottenere beni o servizi, a seconda dei casi" e la legge PACTE prevede la concessione di un'approvazione facoltativa da parte dell'AMF, che ha lo scopo di promuovere lo sviluppo delle ICO. La legge sottolinea che ciò non si applica alle security token offering (STO), ma solo all'emissione di utility token.

L’obiettivo di delineare una governance unitaria e normativa delle ICO deve poi necessariamente passare attraverso un altro Paese che si è reso particolarmente attivo in tema di DLT technology: la Svizzera. Invero, con due documenti di Linee guida (uno del febbraio 2018 e l’altro, integrativo, del settembre 2019), la FINMA, ossia l’Autorità Federale di Vigilanza sui Mercati Finanziari, ha stabilito il tipo di approccio da adottarsi con riferimento alle ICO.   
In particolare, la “Consob” svizzera ha inteso innanzitutto creare trasparenza per tutti i soggetti che partecipano al mercato, indicando cosa sia necessario comunicare all’Autorità di vigilanza per ottenere il parere sull’assoggettamento del soggetto promotore della ICO alle procedure di autorizzazione e vigilanza, specificando, inoltre, che è comunque necessario valutare singolarmente tutte le differenti tipologie di ICO prospettate.

Le linee guida pongono una grande attenzione, al fine di operare le opportune distinzioni funzionali alla qualificazione giuridica della ICO (con la conseguente applicazione della normativa adeguata), al ruolo dei token, distinguendo gli stessi in:

  • Token di pagamento o come Cryptovalute, ossia semplici strumenti di pagamento che non conferiscono diritti nei confronti dell’ente emittente o di terzi;
  • Utility Token, ossia token che permettono di accedere a una piattaforma o a un servizio digitale;
  • Token di investimento, ossia rappresentanti valori patrimoniali quali un credito nei confronti dell’ente emittente (facendo riferimento al diritto delle obbligazioni) ovvero un diritto sociale (regolato dal diritto societario).

La FINMA ha altresì realizzato un’analisi regolatoria delle principali tipologie di ICO, ossia:

  • ICO di pagamento: concernono i casi in cui i token svolgono la funzione di mezzi di pagamento e sono già trasmissibili. In tal caso la FINMA considera come assodato un assoggettamento alle disposizioni in materia di riciclaggio del denaro, non considerandoli valori mobiliari. Tuttavia, se il token viene gestito da un altro soggetto intermediario già assoggettato alla normativa antiriciclaggio, non vi sarà necessità di sottoporsi alla vigilanza prudenziale né di aderire all’organismo di autodisciplina;
  • ICO di utilizzo: i token di utilizzo non sono classificabili come valori mobiliari nei casi in cui il token conferisce esclusivamente un diritto di accesso a un’utilizzazione o a un servizio digitale e il token di utilizzo è impiegabile in tal senso al momento dell’emissione. Tutti i casi in cui sussiste solo o anche la funzione economica di investimento sono trattati dalla FINMA come valori mobiliari, ovvero come token d’investimento;
  • ICO d’investimento: la FINMA considera i token d’investimento al pari di valori mobiliari con le relative conseguenze sul piano del diritto dei mercati finanziari in termini di logiche di negoziazione. Generalmente, per le ICO tale considerazione include anche gli obblighi corrispondenti previsti dal Codice dalle obbligazioni, come ad esempio l’obbligo di pubblicazione di un prospetto[51].

Come è agevole comprendere, è proprio su tale ultima tipologia di ICO e, quindi, di token – quelli di investimento – che la FINMA pone maggiore attenzione. L’Autorità d’oltralpe, ritiene necessario ottenere la previa autorizzazione e sottoporsi alla vigilanza preventiva quando i token siano assimilabili ai derivati finanziari oppure, sebbene non assimilabili, vengano rilevati da terzi ed offerti stabilmente o su commissione sul mercato primario o, infine, se il token conferisce diritti di rimborso del capitale investito.      
Al di fuori di tali ipotesi, come anticipato, la ICO non richiede alcun controllo e autorizzazione preventiva, fatta eccezione per altri obblighi richiesti da altre normative (quali, ad esempio, l’obbligo di pubblicare il prospetto informativo in materia di diritto delle obbligazioni).

La FINMA specifica pure che la conversione di criptovalute in valuta corrente o la prestazione di servizio di trasferimento con custodia comporta l’applicazione della normativa antiriciclaggio.

Con le ultime integrazioni, invece, la FINMA si è espressa soprattutto sulle stable coin[52] (con particolare riferimento alla richiesta di LIBRA di Facebook di ottenere una licenza di sistema di pagamento), evidenziando l’impegno a garantire che le sfide della politica monetaria e della stabilità siano affrontate attraverso la cooperazione internazionale tra governi, banche centrali e autorità di vigilanza, inclusi anche i provider privati. In aggiunta l’Autorità elvetica ha espresso che ”il diritto svizzero in materia di mercati finanziari si basa sostanzialmente su principi ed è improntato sul principio della neutralità tecnologica”. Anche nei confronti delle stable coin l’attenzione è rivolta alla funzione economica e allo scopo (”substance over form”), tenendo conto dei principi di valore comprovati (”same risks, same rules”) e delle peculiarità del singolo caso.

Individua, infine, le categorie di casi in materia di stable coin con riferimento agli asset che servono a garantire la loro stabilità, determinando per ciascuna la normativa applicabile. In particolare:

  • Se l’ancoramento è alle valute fiat in presenza di un diritto al rimborso fisso (es. 1 token=1 franco), è regolarmente assimilabile a un deposito bancario. Se, tuttavia, l’ancoramento è a un paniere di valute può essere necessario distinguere tra deposito bancario (se la gestione è per conto e a rischio dell’emittente) e investimento collettivo di capitale (se la gestione è per conto e a rischio del detentore del token);
  • Se l’ancoramento è a materie prime, dipende molto dai diritti acquisiti e dal tipo di materia prima: se uno stable coin adempie la mera funzione di mezzo di prova di un diritto di proprietà a favore del detentore di token, di norma è equiparato a un valore mobiliare (comportando che sussiste un diritto di proprietà sulle materie e non un mero diritto obbligazionario; il trasferimento del token comporta il trasferimento della corrispondente proprietà; gli stock di materie prime custodite non sono considerate un deposito di cose fungibili).
    Nel caso di un mero diritto di natura obbligazionaria su metalli preziosi bancari, gli stable coin vengono equiparati ai depositi bancari. Invece, nel caso di diritto di natura obbligazionaria su altre materie prime, lo stable coin viene qualificato come valore mobiliare;
  • Se l’ancoramento è a beni immobili o a un portafoglio di beni immobiliari e nel caso in cui vi sia un diritto di rimborso a favore del detentore del token, la gestione del portafoglio normalmente affidata a terzi costituisce indizio di un investimento collettivo di capitale;
  • Se l’ancoramento è a valori mobiliari mediante un diritto di consegna di natura obbligazionaria a favore del detentore del token, è considerato un valore mobiliare. Se è, invece, ancorato a un paniere di valori mobiliari, si riterrà soggetta all’obbligo di autorizzazione quale investimento collettivo di capitale[53].

Ultimo esempio di regolamentazione interessante riguarda Malta, Paese UE cha ha già approvato una specifica legge disciplinante le ICO.  
Nel merito, la legge maltese disciplina le “Initial virtual financial asset offering”, ossia metodi con cui vengono raccolti fondi da parte di un emittente di “virtual financial assets” che vengono offerti in cambio di fondi.  Tale “virtual financial assets” (VFA) sarebbe qualsiasi forma di registrazione digitale di uno strumento utilizzato come mezzo di scambio, unità di conto o deposito di valore e che, per differenza, non costituisce moneta elettronica, strumento finanziario o token virtuale, per tale ultima definizione intendendosi uno strumento registrato digitalmente che non ha utilità, valore o applicazione al di fuori di una DLT o che sia emesso e possa essere scambiato con fondi solamente su tale piattaforma e direttamente dall’emittente.

La normativa, inoltre, stabilisce le regole per l’ammissione alla negoziazione su piattaforma DLT: in particolare, l’art. 3 prevede che gli emittenti criptovalute (registrati in apposito elenco) o altre attività finanziarie virtuali dovranno inviare un apposito whitepaper alla Malta Financial Services Authority (MFSA), l’Autorità maltese per i servizi finanziari designata come Autorità responsabile per il controllo del settore tecnologico. I whitepaper dovranno contenere una serie di informazioni, comprese le modalità con cui i fondi raccolti dovranno essere utilizzati e le regole di due diligence ai fini antiriciclaggio per l’individuazione del titolare effettivo dell’entità che emette l’ICO.

Contestualmente all’entrata in vigore della nuova legge, il Malta Financial Services Authority ha emanato una circolare chiarendo che, nella prima fase, sarebbero state ammesse solo le domande per essere autorizzati alla qualifica di agente in virtual financial assets, figura professionale con il compito di assistere, monitorare e fornire indicazioni all’emittente di VFA.

Tali agenti, che svolgono un’attività di consulenza e di audit nei confronti dell’emittente stesso, sono registrati in un apposito registro presso la stessa MFSA e potranno inviare i whitepaper per l’offerta al pubblico o l’ammissione alla negoziazione delle attività finanziarie virtuali dell’emittente.

Secondo la norma maltese l’emittente è considerato responsabile per i danni subiti da coloro che abbiano acquistato VFA, sia in sede di ICO sia dopo, sulla base delle informazioni contenute nel whitepaper, nel sito web o nelle promozioni, qualora dette informazioni si rivelino non veritiere. In aggiunta, il provvedimento legislativo regolamenta anche i c.d. “VFA Services”, ossia la ricezione, trasmissione ed esecuzione di ordini, la gestione di portafogli, l’attività di custode di VFA  o delle chiavi private, l’attività di consulenza, il collocamento e le attività di VFA Exchange per le quali è necessario richiedere una licenza[54].

7.2. Una sintesi per una ricostruzione organica della disciplina giuridica delle Initial Coin Offering e la possibile disciplina italiana applicabile

L’analisi comparatistica finora sviluppata permette di cogliere alcuni elementi comuni ed alcune divergenze di impostazione e qualificazione giuridica.

Miratamente, mentre negli Stati Uniti, la SEC applica il c.d. “Howey test”, analizzando lo scopo della fattispecie e dando prevalenza al concreto assetto di interessi, facendo prevalere la sostanza sulla forma, al fine di verificare se si può parlare di un contratto di investimento sottoponibile al Securities Act, in Europa, invece, prevale un approccio formale, teso a verificare se un prodotto rientri nella definizione di “valori mobiliari” di cui all’art. 4 comma 1 n. 44 della Direttiva n. 2014/65/UE (c.d. MIFID 2) che, tralasciando i requisiti della ragionevole aspettativa di un profitto o dello sforzo manageriale altrui, si limita a verificare il requisito della negoziabilità dello strumento sul mercato dei capitali.

Sulla negoziabilità, tuttavia, alcuni autori hanno sollevato delle eccezioni: F.Sarzana e M. Nicotra, infatti, evidenziano come il requisito della negoziabilità comporta la trasferibilità dello strumento Un token, di per sé trasferibile tramite blockchain, potrebbe però essere vincolato temporaneamente, ma tale impedimento temporaneo allo scambio non potrebbe valere ad escluderlo dalla definizione di prodotto finanziario. Diversamente, invece, i token a cui sono stati applicati del lockup che rendono tecnicamente impossibile i trasferimenti successivi, non potranno certamente definirsi valori mobiliari, con la conseguente disapplicazione delle norme europee regolanti le attività nei mercati finanziari[55].

Come anticipato anche l’atteso profitto da parte degli investitori pone ulteriori problemi di configurazione: non è detto che un token garantisca al titolare dei diritti partecipativi o patrimoniali (utili, interessi, dividendi), per ciò non essendo considerabile come valore mobiliare.

Tali riflessioni sembrerebbero condurre ad affermare che mentre le criptovalute “pure” non sembrano essere dotate di negoziabilità sul mercato dei capitali (quello in cui si attende un profitto) e, quindi, non dovrebbero poter essere regolate dalle norme relative ai mercati finanziari (seppur sottoponibili alle normative in tema di pagamenti, antiriciclaggio, attività di cambiavalute), al contrario i token ibridi potrebbero essere considerati negoziabili sul mercato dei capitali. Da ciò segue che i token che potrebbero essere inquadrati dalla SEC come securities, anche se ibridi, con molta probabilità riceverebbero la qualificazione di valori mobiliari in Europa.

Al netto di tutte queste riflessioni, comunque, il tentativo di ricostruzione giuridica proposto dai più attenti studiosi[56] prevede che in caso di token assimilabili ai contratti di investimento (USA) o valori mobiliari (UE) saranno applicabili le regole disciplinanti il collocamento di tali strumenti sui mercati di capitali.      
Le conseguenze di tali considerazioni comportano l’applicazione di alcune normative e alcuni obblighi tra cui:

  • Obbligo di pubblicazione del prospetto informativo o whitepaper:
  • Applicazione delle regole sul market abuse;
  • Applicazione della disciplina MIFID 2;
  • Applicazione delle regole delle Autorità Nazionali (iscrizione dei soggetti autorizzati al collocamento in appositi elenchi, autorizzazioni e controlli, etc). In particolare gli exchange che collocano sulle proprie piattaforme tali token dovranno essere dotati di specifica licenza secondo il Securities Act in USA o secondo la disciplina dei sistemi multilaterali di negoziazione (in Europa).

Qualora, invece, la ICO riguardasse criptovalute pure, ossia con mera funzione di pagamento (dunque non qualificabili contratti di investimento o valori mobiliari), invece andranno applicate le normative antiriciclaggio, come gli obblighi di verifica della clientela AML e KYC in sede di pre-sales. I suddetti obblighi andranno assolti dall’Exchange se collocati direttamente da questi.

Se, in ultimo, la ICO riguarderà utility token, sarà comunque obbligatorio adempiere a quanto statuito dalla normativa antiriciclaggio (soprattutto al fine di consentire il deposito del denaro ricevuto presso l’ente bancario).       
 

Normalmente, le ICO aventi ad oggetto utility token – a differenza delle normali ICO in cui i token sono subito rilasciati - sono anticipate da un accordo detto SAFT (Simple Agreement For Future Token), con cui l’ente emittente si impegna verso alcuni investitori qualificati a svolgere certe attività, a rilasciare un preciso numero di token ad un certo step del progetto. Tale accordo tuttavia, come precisato dalla FINRA, non è idoneo ad escludere automaticamente che la SEC inquadri comunque il token come Security.    

In ultimo, posto che la ICO di utility token può configurare un’operazione di reward crowdfunding, sarà necessario garantire l’adempimento delle norme in tema di tutela dei consumatori.

Ciò posto, volendo effettuare una disamina organica circa il quadro normativo italiano da applicare alle ICO si potrebbe sintetizzare in questo modo:

a) Se la ICO ha ad oggetto criptovalute pure (quelle in precedenza definite “token di classe 1”), si devono ritenere applicabili:

  • La normativa antiriciclaggio D.lgs. n. 90 del 25.5.2017, aggiornato dal D.lgs. 4 ottobre 2019, n. 125 (che ha modificato il D.lgs., 231/2007) e, quindi, le previsioni e i requisiti per l’esercizio dell’attività di cambiavalute si applicano anche ai prestatori di  servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale (c.d. exchanger) e ai prestatori di servizi di portafoglio digitale (c.d.custodial wallet), come definiti all’art. 1, comma2, lettere ff e ff bis  del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231,
  • di conseguenza, gli Obblighi per i prestatori di  servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale (c.d. exchanger) e ai prestatori di servizi di portafoglio digitale (c.d.custodial wallet) di iscrizione in una sezione speciale del registro tenuto dall’Organismo degli Agenti e dei Mediatori che raccoglie tutti i soggetti autorizzati ad esercitare l’attività di cambiavalute;
  • e gli Obblighi di adeguata verifica AML/KYC;

b) Se la ICO ha ad oggetto utility token occorre distinguere tra:

  • token che conferiscono il diritto ad un pagamento specifico o a pagamenti futuri, token rappresentativi di assets.    
    A seconda di come è configurato il token potrebbe essere inquadrato nell’ambito della categoria dei valori mobiliari, degli strumenti finanziari o assimilati o come strumento partecipativo al capitale di rischio. Pertanto si potranno applicare:
    • le previsioni del diritto societario;
    • Il Testo Unico della Finanza (TUF – D.lgs n. 58/1998) e le norme inerenti all’appello al pubblico di risparmio, con particolare riferimento all’obbligo di redazione e comunicazione di un prospetto informativo, all’applicazione della direttiva MIFID ed alla disciplina degli emittenti contenuta sia nel medesimo TUF sia nel regolamento Consob n. 11971/1999.
      Qualora si tratti di offerta di strumenti partecipativi al capitale di rischio, inoltre, una ICO collocata attraverso un exchange potrebbe essere in conflitto con la legge italiana sul cd. equity crowdfunding dettata decreto legge n. 179/2012 (convertito nella legge 17 dicembre 2012, n. 221) e dal regolamento Consob n. 19520/2013 che stabilisce la possibilità di ricorrere a tale forma di raccolta solamente in favore di particolari tipologie di società (startup ed imprese innovative) ed attraverso portali online gestiti da soggetti iscritti in apposito albo tenuto dalla Consob. D’altra parte qualora il token non sia assimilabile ad uno strumento finanziario è sempre necessario verificare che non si ricada nella disciplina relativa alla raccolta del pubblico risparmio (ossia all’acquisizione di fondi tra il pubblico con obbligo di rimborso), attività questa riservata alle banche (salvo alcune poche eccezioni (come, ad esempio, l’attività di social lending nei limiti previsti dal provvedimento Banca d’Italia del 8 novembre 2016)).
  • token per la prestazione di servizi o il ricevimento di beni (anche immateriali) e token rappresentativi di asset che non siano strumenti finanziari o partecipativi. In questo caso la disciplina della ICO non assume i connotati dell’offerta di uno strumento finanziario, ma conferisce il diritto, verso l’emittente del token o verso terzi, di ricevere una determinata prestazione o di utilizzare un bene (materiale e immateriale). Tali ipotesi sono riconducibili al crowdfunding, nella forma del reward crowfunding (in cui ai finanziatori si prospetta una ricompensa per aver effettuato l’investimento). Al riguardo:
    • Può applicarsi la disciplina della donazione modale (in cui ex art. 793 c.c. il donatario è tenuto all’adempimento dell’onere previsto) oppure alla vendita di cose future (ex art. 1472 c.c.);
    • In queste ipotesi l’Initial Coin Offering costituisce offerta al pubblico ex art. 1336 c.c. e le prestazioni possono assumere i più svariati contenuti, qualificando il negozio come misto, comunque regolato dall’autonomia contrattuale delle parti. Il contenuto della prestazione, pertanto, sarà quello stabilito dal soggetto che promuove l’offerta vincolandosi nei confronti del pubblico a prestare, anche in futuro, le obbligazioni dedotte nel contratto stesso;
    • Sarà, altresì, applicabile la disciplina del Codice del Consumo (D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206) nonché le singole normative che disciplinano la specifica prestazione dedotta nel contratto.[57]

7.3. Particolari declinazioni delle ICO: STO e IEO

Come evidenziato, l’ICO può essere definito come lo strumento fintech generale che, nel caso concreto, può assumere varie declinazioni, a seconda dell’oggetto dell’offerta (token di pagamento, un utility token, un security token ecc.) o di chi effettua l’operazione.

Nel corso del 2019 sono aumentate notevolmente le STO (un’evoluzione delle ICO), ossia le Security Token Offering[58]. Quest’ultime si sono dimostrate caratterizzate da una notevole sicurezza in quanto aventi ad oggetto security token che devono essere supportati da asset tangibili, ovvero da beni fisici che garantiscono il loro valore. In particolare, come anticipato, per l’emissione di Security Token è necessario che gli organismi di regolamentazione (FINMA in Svizzera, SEC in USA) approvino l’emissione di tali token, corrispondenti in pratica a delle azioni digitali della società emittente.

Le STO, dunque, si pongono a metà tra l’ICO e l’IPO in quanto come nell’ ICO l’investitore riceve un token veicolato in blockchain a rappresentazione dell’asset sottostante e, come in una IPO, il security token rappresenta un contratto con un’attività di investimento sottostante.

Ma la specificità delle ICO non si arresta con le STO. In realtà si sta assistendo ad un sempre maggio numero di IEO che se non prevedono un cambio sostanziale dal punto di vista della qualificazione giuridica e normativa, prevedono differenti meccanismi di funzionamento.
Le IEO, Initial Exchagne Offering, altro non sono che le ICO in cui la raccolta dei fondi è amministrata direttamente dall’Exchange. Insomma, se nella ICO la start-up lancia il progetto, crea un token che può avere un’utilità o meno dentro il progetto stesso, vende questo token e, una volta finito il periodo di ICO, viene listato in uno o più exchange per essere venduto o acquistato, nella IEO piuttosto di acquistare il token dal sito web del progetto, lo si acquista nel sito dell’exchange su cui verrà listato.      
Dal punto di vista pratico le IEO hanno alcuni vantaggi per l’investitore (può acquistare e scambiare il token direttamente nell’exchange; iniziata la IEO può già fare trading con i token; riduce il rischio in quanto se un exchange accetta di supportare un progetto vuol dire che ha già verificato la concretezza del progetto stesso, effettuando una due diligence), per l’ente emittente (riduce la speculazione in quanto gli exchange limitano gli acquisti impedendo che un solo investitore possa muovere il prezzo a proprio piacimento; aumenta la credibilità e la pubblicità del proprio progetto grazie alla promozione dell’exchange; c’è il listing immediato in quanto possono raccogliere fondi ed avere il token subito listato, mentre con le ICO tradizionali devono raccogliere fondi e parallelamente portare avanti contrattazioni con gli exchange) e per l’exchange (guadagno, nuovi utenti e pubblicità).        
Il rischio maggiore connesso, invece, riguarda la centralizzazione che si realizza: invero, se con ICO (soprattutto in periodi di non regolamentazione) il rischio per l’investitore poteva essere quello della truffa, con le IEO, ciò che può minare la sicurezza per l’investitore è paradossalmente l’exchange (si pensi ad un attacco hacker che svuota l’intero portafoglio). Anche per l’ente emittente, invece, il rischio consiste nell’affidare quasi totalmente la riuscita dell’operazione di raccolta all’exchange che ha gestito l’IEO.

8. Conclusioni

Le spinte tecnologiche e innovative che caratterizzano il mondo dell’informatica, sempre più in rapida evoluzione, richiedono, dunque, anche nei settori più monitorati come quello finanziario, una grande attenzione da parte del Legislatore, che non costituisca certamente un freno all’innovazione e alla sua diffusione. La tecnologia blockchain, la sua infrastruttura e la sua applicazione, può consentire una forte crescita in ambiti caratterizzati da forti esigenze di certezza, sicurezza, trasparenza. Il settore finanziario, in particolare, può far leva su un’infrastruttura probabilmente confacente ad alcune sue necessità ed esigenze, può espandersi utilizzando strumenti e procedure innovative. Ma per farlo ha bisogno di un legislatore nazionale attento e disponibile al cambiamento, coraggioso ma non sprovveduto, sorretto da un impianto regolatorio comunitario ed internazionale coerente ed efficace, comune e propositivo. Deve avere un occhio sempre rivolto alla tutela degli investitori ed un altro che guarda alle potenzialità di crescita del settore, mantenendo sempre stabilità e sicurezza nel mercato.

La blockchain, quindi, rappresenta certamente una rivoluzione nel mondo finance, capace di aumentare l’efficienza, diminuire i costi, realizzare disintermediazione mantenendo certezza e sicurezza. Ma, in assenza di regole chiare, semplici e lungimiranti, rischia di divenire un buco nero riservato ai soli esperti.      
Il mondo del diritto non può non rilevare le novità che la tecnologia offre al mondo, non può imbrigliarle ma deve, aprendosi al futuro e alla conoscenza digitale, offrire un nuovo metodo legislativo capace di farsi guida e sostegno dell’innovazione, sempre più veloce, sempre più dirompente.
Un mondo di diritti, di doveri e - che lo si accetti o meno – fatto anche di bit.

Note e riferimenti bibliografici

[1]Da blockchain4innovation dell’11.1.2020.

[2] M.Garavaglia, Tutto su Blockchain, Milano, Hoepli, 2018.

[3] Ivi.

[4] Il tema dell’immutabilità delle operazioni registrate su blockchain e della trasparenza dei dati ha destato non pochi dubbi in merito all’applicabilità della nuova normativa privacy introdotta dal GDPR. Tuttavia, una delle soluzioni prospettate concerne proprio l’applicazione della crittografia: tale tecnica consente, infatti, di rendere un’informazione indecifrabile da parte di coloro che non posseggono l’apposita chiave per decifrarla. Pertanto, al fine di cancellare un dato nella blockchain (in relazione al ben noto diritto all’oblio), potrebbe essere sufficiente realizzare un sistema di privacy by design che, prevedendo la distruzione della chiave necessaria a decifrare il dato memorizzato, consentirebbe implicitamente di “cancellare” il dato memorizzato. Sul punto, la società francese BCDiploma, che usa blockchain per archiviare diplomi, ha realizzato un sistema che prevede l’inserimento delle informazioni nella blockchain con la creazione di tre chiavi: la prima è consegnata allo studente che ha conseguito il diploma; la seconda è data alla scuola (persistent key); la terza è conservata dalle istituzioni scolastiche in base alle norme di legge (permanent key. Se lo studente vuole esercitare il diritto all’oblio, eliminando i suoi dati personali dalla blockchain, sarà sufficiente che richieda la cancellazione della c.d. persistent key, in modo che nessun terzo potrà più accedere a quei dati.

[5]Consultabile al link blockchain4innovation 

[6] Per il testo completo, link europarl

[7] M. Garavaglia, Tutto sulla Blockchain, op. Cit.

[8] Per una più approfondita disamina sul tema, F. Sarzana di S. Ippolito, M. Nicotra, Diritto della Blockchain, intelligenza artificale e IoT, Milano, Wolters Kluwer Italia, 2018.

[9] Da blockchain4innovation del 18.1.2020

[10] Per smart contract deve intendersi, in via semplificativa, la trasposizione in codice informatico di un contratto, capace di verificare in automatico l’avverarsi di determinate condizioni (controllo di dati di base del contratto) e di autoeseguire in automatico azioni (o dare disposizione affinché si possano eseguire determinate azioni) nel momento in cui le condizioni determinate tra le parti sono raggiunte e verificate, da blockchain4innovation, consultato il 19.1.2020.

[11] Un’altra distinzione operata in merito all’oggetto della tokenizzazione è quella che distingue: a) i payments token, criptovalute con un valore intrinseco, che non rappresentano un valore di terze parti ed equivalgono, dal punto di vista funzionale, alla moneta necessaria per pagare; b) Utility token, hanno ad oggetto un diritto all’acquisto o utilizzo di beni o servizi della piattaforma, assimilabili nel mondo reale ai voucher; c) Asset token, incorporano un diritto alla proprietà di un asset materiale o immateriale o un diritto alla conversione di un bene (equiparabil all’oro nel mondo reale); d) Equity token, incorporano quote di una proprietà registrata su blockchain (equiparabili alle azioni); e) Security token, rappresentano un titolo o una partecipazione nella ricchezza o nell’aspettativa di profitto creata dagli sforzi di una terza parte e traggono  il loro valore dal successo o fallimento di quella parte (equiparabili ai fondi comuni di investimento).

[12] La moneta fiat è la moneta avente corso legale in uno Stato, distinta dalla moneta-merce (ad esempio ancorata al valore dell’oro). La moneta fiat, in pratica, è una moneta il cui valore è sostanzialmente legato alla fiducia riposta dai cittadini nei confronti dell’autorità che la emette, normalmente lo Stato o una Banca Centrale (sono monete fiat l’euro, il dollaro, la sterlina, etc.).

[13] Sul punto, F. Sarzana di S. Ippolito, M. Nicotra, Diritto della Blockchain, intelligenza artificiale e IoT, Milano, Wolters Kluwer Italia, 2018; ”The Token Classification Framework: A multi-dimensional tool for understanding and classifying crypto tokens, di Thomas Euler.

[14] M. Garavaglia, Tutto sulla Blockchain ,op. Cit.

[15] Sul punto si segnalano le analisi giuridiche condotte da F. Sarzana di S. Ippolito, M. Nicotra, Diritto della Blockchain, intelligenza artificiale e IoT, Milano, Wolters Kluwer Italia, 2018; blockchain4innovation; Massimiliano Nicotra, ICO Initial Coin Offering: una ricostruzione giuridica del fenomeno, 2017 al link blockchain4innovation

[16] Sulle ICO, di cui si dirà in seguito, si anticipa che trattasi dell’acronimo di Initial Coin Offering, ossia un mezzo di crowdfunding.

[17] P. Marchionni,”The Next Generatione-government". Link

[18] Il riferimento è, in particolare, alla Direttiva UE n. 2015/2366, c.d. PSD2, che si rivolge a tutti i fornitori di servizi di pagamento, dalle banche alle assicurazioni, alle compagnie telefoniche, ai TPP (Third Party Providers), richiedendo alle banche e agli intermediari, in sostanza, di concedere ai TPP un accesso sicuro ai conti dei clienti e alle informazioni sui pagamenti, allo scopo di realizzare un mercato unico europeo dei pagamenti. In definitiva, la PSD2 ha aperto il mercato dei pagamenti anche a players non tradizionali.

[19] Con riferimento alla normativa antiriciclaggio, si pensi soprattutto agli obblighi di riconoscimento, alla soglia relativa alle operazioni sospette, etc.

[20] Sul tema S. Comellini, Ecco perchè i Bitcoin e le Criptovalute non sono Moneta Elettronica al link diritto.it

[21] G. Aranguena, Bitcoin: una sfida per policymakers e regolatori, su DMT, n.1 - 2014; S. Capaccioli, Criptovalute e bitcoin: un’analisi giuridica, 2016, Giuffrè.

[22] EBA ,Report on Crypto asset eba.europa.eu

[23] ESMA, esma.europa.eu

[24] IMF, imf.org

[25] World Bank, documents.worldbank.org

[26] FATF, fatf-gafi.org

[27] Cryptocurrencies and blockchain, europarl.europa.eu

[28] F. Sarzana di S. Ippolito, M. Nicotra, Diritto della Blockchain, intelligenza artificiale e IoT, Milano, Wolters Kluwer Italia, 2018

[29] Un Hard Fork è una modifica al protocollo di una criptovaluta che risulta incompatibile con le versioni precedenti, quindi i nodi che non si aggiornano alla nuova versione non saranno in grado di elaborare transazioni o aggiungere nuovi blocchi alla blockchain. Gli hard fork possono essere usati per modificare o migliorare un protocollo esistente, oppure per creare un nuovo protocollo e una nuova blockchain indipendenti.

[30] Zhou Xiaochuan: Future Regulation on Virtual Currency Will Be Dynamic, Imprudent Products Shall Be Stopped for Now, loc.gov del 21.1.2020.

[31] Al link eur-lex.europa.eu

[32] Al link eur-lex.europa.eu

[33] Art. 3, punto 16.

[34] Sulla differenza tra criptovaluta (o valuta virtuale) e moneta elettronica, riprendendo la iniziale differenziazione rappresentata nel corso della trattazione, si rappresenta, per completezza, che nelle criptovalute, a differenza della moneta elettronica, manca il soggetto terzo (la banca o l’Istituto di Moneta Elettronica IMEL) intermediario nella transazione in quanto essa avviene peer to peer. La moneta elettronica è digitalizzata, la criptovaluta è decentralizzata solitamente; inoltre i soggetti che emettono criptovaluta non rientrano tra quelli ai quali è riservata l’emissione di moneta elettronica. In ogni caso sia valuta virtuale (criptovaluta) che moneta elettronica sono monete digitali. Tutte le valute virtuali (cripto) sono digitali, ma non tutte le valute digitali sono virtuali (proprio perché esistono anche le valute elettroniche).

[35] F. Sarzana di S. Ippolito, M. Nicotra, Diritto della Blockchain, intelligenza artificiale e IoT, Milano, Wolters Kluwer Italia, 2018

[36] Sul tema, si consulti il link econopoly.ilsole24ore.com

[37]  Sul punto F. Sarzana di S. Ippolito, M. Nicotra, Diritto della Blockchain, intelligenza artificiale e IoT, Milano, Wolters Kluwer Italia, 2018; provvedimenti reperibili al link federnotizie.it

[38] Reperibile al link federnotizie.it, consultato il 25.1.2020

[39] Sul punto, per una più completa disamina, si veda S. Caravaca, “Il Bitcoin non è un oggetto materiale”, che c’è dietro la sentenza della Corte suprema spagnola, al link agendadigitale.eu

[40] Al riguardo si veda S.Capaccioli, Criptovalute e bitcoin: un’analisi giuridica, 2015, Giuffrè;.

[41] Al riguardo, si veda il link ipsoa.it

[42] Ivi.

[43] F. Sarzana di S. Ippolito, M. Nicotra, Diritto della Blockchain, intelligenza artificiale e IoT, Milano, Wolters Kluwer Italia, 2018

[44] Ivi.

[45] M. Nicotra, ICO Initial Coin Offering: una ricostruzione giuridica del fenomeno, al link blockchain4innovation.it del 27.1.2020. Al riguardo, l’Autore sostiene pure che ”in realtà si dovrebbe parlare più correttamente di “Token Generation Event”, ossia di un evento di generazione di token, dato che tali token possono rappresentare diritti diversi (o non rappresentarne affatto)”.

[46] Si veda al riguardo la pagina coinschedule, consultata il 27.1.2020.

[47] Come accennato, un fork di una blockchain si ha quando viene realizzata una modifica del codice originario di una blockchain il cui fine è il miglioramento di una valuta digitale. Ciò permette di fatto di generare una nuova versione della blockchain mantenendo però tutta la storia antecedente. Questo meccanismo ha permesso la nascita di nuove coin con caratteristiche diverse rispetto alla criptovaluta originaria. Un esempio storico è il fork avvenuto sul Bitcoin datato primo agosto 2017 da cui è nato Bitcoin Cash.

[48] Ivi.

[49] Tale assunto, in realtà, era stato già affermato non solo nel report “TheDAO” ma anche in quello ”Tomahawk coin“.

[50] T. Belardi, Blockchain negli Usa, le linee guida SEC per il framework normativo delle ICO, al link agendadigitale.eu del 27.1.202

[51] M. Bellini, Svizzera pubblica con Finma le linee guida dell’ICO per presidiare la Governance Blockchain, al link blockchain4innovation.it

[52] Per Stable Coin si intendono quei progetti di emissione di token così denominati, in cui il valore degli stable coin è correlato a un valore patrimoniale di riferimento che svolge la funzione di ancora (es. Una valuta fiat), al fine di contenere la volatilità dei prezzi, tipica dei token di pagamento finora utilizzati. Rispetto ai token di pagamento come bitcoin o ether, l’ancoramento a un valore patrimoniale è teso a conferire maggiore stabilità al valore. Tuttavia – afferma la FINMA – la definizione ”stable coin” è una denominazione principalmente di carattere commerciale.

[53] Supplemento alla guida pratica FINMA al sito www.finma.ch

[54] F. Sarzana di S. Ippolito, M. Nicotra, Diritto della Blockchain, intelligenza artificiale e IoT, Milano, Wolters Kluwer Italia, 2018

[55] Ivi.

[56] Sul punto F. Sarzana di S. Ippolito, M. Nicotra, Diritto della Blockchain, intelligenza artificiale e IoT, Milano, Wolters Kluwer Italia, 2018.

[57] Sulla distinzione M. Nicotra, ICO Initial Coin Offering: una ricostruzione giuridica del fenomeno, al link blockchain4innovation

[58] I security token sono protagonisti di un altro fenomeno noto come la “tokenizzazione degli asset”. Nel dettaglio, quando parliamo di tokenizzazione di un asset, intendiamo la possibilità di rappresentare il valore di un certo bene o in tanti token, per custodirli o scambiarli su blockchain. l token ha quindi le caratteristiche di sicurezza e trasferibilità della criptomoneta ma non è nativo e interno alla blockchain, bensì rappresenta un bene reale, un diritto “reale”, ma esterno ed esistente al di fuori del sistema blockchain. Pertanto “tokenizzare” equivale a “frazionare” un bene, un diritto, per vendere singole quote o porzioni agli investitori, per rendere l’economia più liquida e funzionale, oltre che accessibile anche ai piccoli risparmiatori.

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Decreto legge n. 179/2012 (convertito nella legge 17 dicembre 2012, n. 221)

Direttiva (UE) 2015/2366 del Parlamento Europeo e del Consiglio

Direttiva 2009/110/CE del Parlamento europeo e del Consiglio

Direttiva 2009/110/CE; 2^ direttiva IMEL

Direttiva IVA n. 2006/112/CE

Direttiva Mifid 2

Direttiva n. 2014/65/UE (c.d. MIFID 2)

Direttiva UE 2018/843

Direttiva UE n. 2015/2366, c.d. PSD2

DL Semplificazioni n. 135 del 2018

Legge n.12 del febbraio 2018

Linee Guida FINMA del 16 febbraio 2018

Linee Guida SEC del 3 aprile 2019

PE 581.948 (“How blockchain technology could change our lives”)

Regolamento Consob n. 11971/1999

Regolamento Consob n. 11971/1999

Regolamento Consob n. 19520/2013

Regolamento Consob n. 19520/2013

Risoluzione del Parlamento europeo del 3 ottobre 2018 sulle tecnologie di registro distribuito e blockchain: creare fiducia attraverso la disintermediazione (2017/2772 (RSP)) - P8_TA-PROV(2018)0373

Rregolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio

Tribunale di Brescia, Sez. Imprese, decreto n.7556 del 18.7.2018

Tribunale di Verona sentenza n. 195/2017

Tribunale Supremo Spagnolo, sentenza 326 del 20 giugno 2019

TUF – D.lgs n. 58/1998

United States District Court, Eastern District of Texas, SEC vs Trendon T. Shavers and Bitcoin Savings and Trust, Case 4:13-cv-00416-RC-ALM

V Direttiva Antiriciclaggio (Direttiva UE 2018/843 del Parlamento Europeo e del Consiglio)