• . - Liv.
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Gio, 6 Feb 2020

La tipicità del regime dei vincoli paesaggistici e delle sue deroghe

Modifica pagina

Aniello Iervolino
AvvocatoUniversità degli Studi di Napoli Federico II


Per poter realizzare un´opera edilizia in una zona vincolata paesaggisticamente è necessaria la compresenza dal titolo edilizio e dell´autorizzazione paesaggistica. Il PRG non ha funzione accertativa ma regolamentare dell´uso del territorio. Così Consiglio di Stato, sez. IV, n. 5945 del 17 ottobre 2018.


Sommario: 1. Il fatto. 2. L’art. 142, D.Lgs. n° 42/2004. 3. Le misure di salvaguardia. 4. La decisione del Consiglio di Stato. 5. Conclusioni

1. Il fatto

Gli appellanti, con il ricorso introduttivo proposto innanzi al T.A.R. Liguria, gravavano il parere della Soprintendenza e l’autorizzazione paesaggistica regionale concernenti la demolizione e la ricostruzione eseguita dalla Società controinteressata di un vicino edificio, sito nel tipico contesto rurale ligure del Comune di Rapallo e, quindi, paesaggisticamente vincolato ai sensi dell’art. 142, D.Lgs. n° 142/2004.

Il Giudice ligure, con la sentenza n° 1002 del 25.06.2014 respingeva il (primo) ricorso.

La decisione è stata appellata da alcuni degli originari ricorrenti che hanno censurato la sua erroneità nella parte in cui i Giudici di prime cure non avevano tenuto conto che il nuovo P.R.G. comunale non era stato ancora approvato ma solo adottato; per questo motivo, ci si sarebbe dovuti trovare in regime di salvaguardia.

Ciò avrebbe comportato l’applicazione della norma più restrittiva, ossia delle disposizioni del P.R.G. ancora vigente che non classificava l’area in questione come A o B (e, quindi, come non sottoposta a regime vincolistico).

In via del tutto tuzioristica, secondo gli appellanti, le NN.TT.A. del P.R.G. solo successivamente approvato (ed, invece, applicabile secondo il T.A.R. Genova) comunque escludeva dalla disciplina delle zone B quella de qua, tant’è vero che gli interventi realizzati nella zona in questione sono sempre stati sottoposti a previa autorizzazione paesaggistica.

Peraltro, l’immobile a demolirsi e ricostruirsi non aveva mai avuto destinazione residenziale ma sempre a fienile/stalla come documentalmente provato.

Nelle more della definizione del primo ricorso, il mancato inizio dei lavori da parte della Società provocava la decadenza dei titoli ottenuti. Ciononostante, il Comune di Rapallo decideva di rilasciare il Permesso di Costruire, prontamente impugnato con autonomo ricorso.

I ricorrenti insistevano sulla destinazione d’uso non residenziale.

Il T.A.R. genovese respingeva anche tale ricorso.

I ricorrenti soccombenti appellavano anche questa sentenza proponendo gli stessi motivi di gravame del primo appello evidenziando anche che l’asserita assenza di pregio, a detta del Comune (e secondo il Giudice amministrativo), ha provocato il mancato accertamento dell’impatto che l’opera edilizia a farsi avrebbe avuto sul territorio collinare ligure.

2. L’art. 142, D.Lgs. n° 42/2004

Il dato normativo richiamato dagli appellanti è rappresentato dall’art. 142 del D.Lgs. n° 42/2004 che così dispone: “1. Sono comunque di interesse paesaggistico e sono sottoposti alle disposizioni di questo Titolo: (…) c) i fiumi, i torrenti, i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato conregio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna (…).

2. La disposizione di cui al comma 1, lettere a), b), c), d), e), g), h), l), m), non si applica alle aree che alla data del 6 settembre 1985:

a) erano delimitate negli strumenti urbanistici, ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, come zone territoriali omogenee A e B;

b) erano delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, come zone territoriali omogenee diverse dalle zone A e B, limitatamente alle parti di esse ricomprese in piani pluriennali di attuazione, a condizione che le relative previsioni siano state concretamente realizzate”.

La disposizione, al primo comma, prevede la sottoposizione a vincolo paesaggistico di una serie di aree territoriali ma, al comma secondo, riconosce alcune eccezioni: una su tutte, le aree che, al 06.09.1985, erano state classificate dal piano urbanistico comunale come A (ossia, Centro storico) o B (ossia, Zona di completamento, area in cui le parti di territorio sono totalmente o parzialmente edificate).

Sulla mentovata eccezione non sussiste numerosa giurisprudenza. Tuttavia, di notevole interesse è la sentenza della Corte Costituzionale[1] che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 12, L.R. Veneto n° 10/2011 nella parte in cui ha aggiunto l’art. 45-decies alla Legge Regionale n° 11/2004 poiché, a detta del Presidente del Consiglio dei Ministri (ricorrente), l’articolo inserito avrebbe sottratto al regime dei vincoli zone più vaste rispetto a quelle eccezionalmente previste dall’art. 142, D.Lgs. n° 42/2004, facendovi rientrare anche le aree “comprese in zone urbanizzate con le caratteristiche insediative e funzionali delle zone A e B”.

La Corte si è pronunciata così giustificando l’illegittimità costituzionale della disposizione: “Si tratta, dunque, di una operazione normativa da ritenersi in sé non consentita, in quanto direttamente incidente su materia riservata alla legislazione statale, rispetto alla quale la legislazione regionale può solo fungere da strumento di ampliamento del livello della tutela del bene protetto e non - all'inverso, come nel caso qui in esame - quale espediente dichiaratamente volto ad introdurre una restrizione dell'ambito della tutela, attraverso l'incremento della tipologia delle aree cui il regime vincolistico non si applica”.

La decisione della Corte Costituzionale è importante perchè non ha solo argomentato sulla sostanziale ed evidente (illegittima) delegificazione della materia che la Regione Veneto aveva adoperato (tale fattispecie è stata trattata solo nella parte finale del pronunciamento) ma ha anche conferito particolare pregio al "tema" della tutela del paesaggio. Ed infatti, i Giudici, partendo dalla valorizzazione dell’art. 9, comma 2 Cost. (“poiché la prima disciplina che esige il principio fondamentale della tutela del paesaggio è quella che concerne la conservazione della morfologia del territorio e dei suoi essenziali contenuti ambientali» (sentenza n. 367 del 2007)”, si sono concentrati, invece, sul porre in ampio risalto che alla tipizzazione statale delle ipotesi vincolistiche corrisponde una precisa ed immutabile tipizzazione delle eccezioni.

A solo conforto del dato normativo in oggetto, la giurisprudenza amministrativa[2] così ha statuito: “Quanto al vincolo di natura paesaggistica, l’art. 142 D. L.vo 42/2004, come già la L. 431/85, esclude dalla tutela ex lege (tra le altre) le aree che alla data del 06/08/1985 erano delimitate negli strumenti urbanistici come zone A. Ogni altro vincolo di natura paesaggistica richiede invece che il bene tutelato venga individuato a seguito dell’apposito procedimento di cui agli artt. 138 e segg. ovvero in sede di redazione dei piani paesaggistici: in mancanza di tale individuazione non può ritenersi sussistente alcun vincolo”.

3. Le misure di salvaguardia

Le misure di salvaguardia costituiscono uno strumento che opera nella fase intermedia tra l’adozione del nuovo strumento urbanistico e l’avvenuta approvazione.

La normativa di riferimento è quella dell’art. 12, comma 3 del D.P.R. n° 380/2001 che così dispone: “3. In caso di contrasto dell'intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda. La misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell'ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all'amministrazione competente all'approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione”.

Tali misure, quindi, comportano la sospensione di ogni istanza di rilascio di un titolo edilizio che sia in contrasto con il piano urbanistico adottato; ed infatti, l’Ente nella succitata fase mediana potrà riscontrare positivamente solo le istanze i cui progetti siano ossequiosi delle disposizioni di entrambi i piani: quello vigente (abrogando) e quello adottato (approvando).

Lo scopo per cui intervengono tali misure è quello di evitare la compromissione degli assetti del territorio nel periodo che intercorre tra l’adozione e l’approvazione definitiva di un piano urbanistico poiché il titolo abilitativo rilasciato in quella fase può, ex post, risultare illegittimo in quanto il piano urbanistico adottato, prima di essere approvato, è suscettibile di ulteriori modifiche.

Così si è espressa la giurisprudenza penale sul punto: “Al riguardo, va ribadito che, in materia urbanistica, a seguito della adozione dei piani urbanistici, ovvero dal momento in cui l'organo amministrativo competente delibera formalmente il piano e lo pubblicizza, onde consentire la presentazione delle osservazione da parte dei soggetti interessati, entrano in vigore le misure di salvaguardia, con lo scopo di impedire che antecedentemente alla approvazione del piano vengano eseguiti interventi che compromettano gli assetti territoriali previsti dal piano stesso, così che integrano la violazione dell'art. 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, ora art. 44 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) gli interventi posti in essere dopo la adozione ed antecedentemente alla approvazione del piano ed eseguiti in contrasto con le misure di salvaguardia (Sez. 3, n. 37493 del 10/06/2003, Soluri, Rv. 226316)[3].

Per poter evitare l’applicazione delle misure di salvaguardia è, quindi, necessario che il progetto presentato sia conforme “al più restrittivo dei due regimi: quello vigente e quello adottato dove lo strumento anche solo in adozione rileva come presupposto ostativo al perfezionamento dell'istruttoria sulla domanda presentata nel vigore dello strumento vigente[4].

Ciò posto, è utile evidenziare anche che il provvedimento comunale di adozione di uno strumento urbanistico provoca sì la sospensione della valutazione delle richieste di titoli edilizi; purtuttavia, la delibera comunale non produce alcun altro effetto, tant’è vero che le misure di salvaguardia, come osservato supra, non si applicano ai progetti conformi alle disposizioni più restrittive.

Ed infatti, la giurisprudenza sul punto è stata chiara nell’affermare che: “Le misure di salvaguardia sono, quindi, unicamente finalizzate ad evitare l'immediata realizzazione di interventi che ledano le scelte programmatorie del Comune - quali risultanti dall'adozione del nuovo piano -, ma non si traducono in una applicazione anticipata delle previsioni contenute in quest'ultimo. In particolare, ove l'intervento risulti in sé legittimo e, come tale, si sottragga alla preclusione temporanea di cui all'articolo 12, comma 3, del D.P.R. 380/2001, non può neppure configurarsi la ratio sottesa alle misure di salvaguardia, al solo fine di dare attuazione anticipata alle diverse regole in tema di determinazione degli standard e quantificazione del contributo di costruzione[5].

4. La decisione del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato, sez. IV, con sentenza n. 5945 del 17 ottobre 201, ha accolto gli appelli proposti dai ricorrenti soccombenti in virtù delle seguenti motivazioni.

In primo luogo, i Giudici del gravame si sono opposti alla tesi accolta dal T.A.R. - censurata dai ricorrenti e riproposta dagli appellati - secondo cui l’approvazione del P.R.G. ha efficacia retroattiva e la delimitazione delle zone A e B avrebbe natura meramente “accertativa” delle zone antropiche ed urbanizzate.

Sulla prima argomentazione sussiste granitica giurisprudenza che considera il P.R.G. è un atto complesso, caratterizzato da un procedimento pluristrutturato, che esplica i suoi effetti solo al momento dell’approvazione. Come già osservato al paragrafo precedente, gli unici effetti anticipati rispetto all’approvazione dello strumento urbanistico de quo sono costituiti dall’applicazione delle misure di salvaguardia.

Per quanto attiene all’efficacia asseritamente “accertativa” delle disposizioni del Piano Regolatore i Giudici di Palazzo Spada hanno rilevato che così non è perché la funzione del P.R.G. è proprio quella di disciplinare e mettere ordine nella trasformazione del territorio regolato.

Con riferimento ai vincoli paesaggistici, il Consiglio di Stato ha chiarito (come fatto in questo contributo al secondo paragrafo) che la loro deroga ha carattere eccezionale ed espressamente tipizzato poiché “la disciplina statale ancora l’esclusione dal vincolo paesaggistico predisposto per legge alla delimitazione dei terreni negli strumenti urbanistici come zone A e B ad una data determinata, e cioè al 6 settembre 1985”.

Il carattere profondamente eccezionale di tale deroga è reso evidente dal motivo per cui la stessa deroga è sorta ossia quello di consentire la realizzazione di opere edilizie che erano già state avviate, approvate sulla base degli strumenti urbanistici allora vigenti.

In via del tutto subordinata a quanto affermato nella parte motiva della decisione, dalla documentazione versata in atti dagli appellanti è emerso chiaramente che la zona interessata dall’intervento demolitorio e ricostruttivo non è stata individuata nelle zone A e B né dall P.R.G. precedente all’epoca vigente (abrogando) né da quello adottato (approvando).

Tali argomentazioni rendono assorbente ogni altra decisione in merito ai motivi di appello ed alle eccezioni di controparte poiché l’assenza dell’autorizzazione paesaggistica rende, in via derivata, illegittimo il titolo rilasciato per realizzare attività di demolizione e ricostruzione di un bene.

A tal proposito, i Giudici hanno richiamato la sentenza del Consiglio di Stato n° 5663, sez. IV, 14.12.2015, n° 5663, che ha reso evidente, al fine di legittimare l’attività edilizia, la necessaria compresenza dell’autorizzazione paesaggistica e del titolo edilizio, disponendo che: “La mancanza di un’autorizzazione paesaggistica rende  on eseguibile le opere in questione e ben giustifica, in caso di loro realizzazione, provvedimenti inibitori, e sanzionatorio – ripristinatori, quale un’ordinanza di riduzione in pristino. Più volte la giurisprudenza amministrativa ha affermato che la concessione edilizia può essere rilasciata anche in mancanza di autorizzazione paesaggistica, fermo restando che è inefficace, e i lavori non possono essere iniziati, finché non interviene il nulla osta paesaggistico. La giurisprudenza è inoltre costante nel ritenere che l'inizio dei lavori è subordinato all'adozione di entrambi i provvedimenti. (in termini v. Cons. Stato, sez. VI, 2 maggio 2005, n. 2073; Cons. Stato, sez. V, 11 marzo 1995, n. 376; Cons. Stato, sez. V, 1 febbraio 1990, n. 61; Cons. Stato, sez. II, 10 settembre 1997, n. 468; Consiglio di Stato sez. VI n. 547 del 10.02.2006)”.

Tale costante orientamento è sostenuto anche dalle sentenze dei Giudici di prime cure che hanno ritenuto che “i due titoli, permesso di costruire e nulla osta paesaggistico, hanno contenuti differenti, seppure ambedue relazionati al territorio, e l'inizio dei lavori in zona paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio di ambedue i titoli[6].

5. Conclusioni

La sentenza commentata ha, in primo luogo, ribadito che la deroga al regime vincolistico paesaggistico non può avere alcuno sbocco interpretativo ma soggiace ad una (necessariamente) rigida applicazione letterale dell’art. 142, comma 2, D.Lgs. n° 42/2004.

In secondo luogo, il Piano Regolatore Generale conserva la sua funzione essenziale che non è quella accertativo - dichiarativa bensì quella di regolare l’uso del territorio.

In ultima analisi, la pronuncia ha posto in rilievo l’interdipendenza dell’autorizzazione paesaggistica e del titolo edilizio abilitativo, entrambi necessarie per poter legittimare il privato a realizzare un’opera edilizia all’interno di una zona vincolata.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Corte Costituzionale n° 22 dell’11.02.2016

[2] T.A.R. Puglia - Bari, sez. II, 23.05.2011, n° 754

[3] Cass. Pen., Sez. III, 03.02.2017 n° 5250

[4] Consiglio di Stato, sez. IV, 08.03.2019, n° 1599

[5] T.A.R. Lombardia - Milano, sez. II, 31.08.2018, n° 2039

[6] T.A.R. Campania - Napoli, sez. VIII, 05.06.2012, n° 2652