ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Mer, 10 Giu 2015

Quando il gioco del poker può essere considerato reato? Riflessioni su Cassazione, Sezione III Penale, sentenza n. 16889/2015

Modifica pagina

Giuseppe La Corte


Vengono sorprese quindici persone a giocare a poker texano ed immediatamente vengono elevate loro alcune contravvenzioni che proibiscono il gioco d’azzardo. Il dubbio è il seguente: si tratta di bisca clandestina, e quindi va punita per effetto di legge, o di di gioco praticato per scopo ludico-ricreativo? La sentenza in commento ci fornisce risposta.


Con sentenza del 22 maggio 2012 il Tribunale di Torino ha condannato ben quindici persone, delle quali talune imputate del reato di “esercizio dei giuochi d’azzardo” ex art. 718 c.p.(1), per avere agevolato e tenuto una casa da gioco ove era praticato il gioco d’azzardo, mentre altre erano imputate del reato di cui all’art. 720, comma secondo, numeri 1 e 2, c.p., rubricato “partecipazione ai giuochi d’azzardo”, ritenendole penalmente responsabili per i reati loro ascritti.

Avverso detta sentenza hanno proposto appello dieci dei pervenuti. La Corte di appello di Torino, dichiarato non doversi procedere stante la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, ha disposto la trasmissione degli atti alla Corte di Cassazione in relazione alla posizione di tre persone, tutte condannate alla sola pena pecuniaria.

I tre ricorrenti, impugnando la sentenza del giudice di prime cure, sostenevano che questi avesse errato nel ritenere la rilevanza penale della loro condotta, atteso che il gioco che essi stavano praticando, il c.d. poker texano, non fosse necessariamente da considerarsi d’azzardo. In subordine, i ricorrenti chiedevano che la condotta loro ascritta fosse inquadrata nella fattispecie di cui all’art. 723 c.p. “esercizio abusivo di un giuoco non d’azzardo”.

La Corte di Cassazione, Sezione III Penale, con sentenza n. 16889/2015 (allegata in fondo all'articolo) chiarisce fin da subito cosa si intenda per gioco d’azzardo. Al riguardo, i giudici affermano l’irrilevanza penale della pratica di gioco di carte denominato Texas hold ’em, c.d. poker texano, qualificandolo come gioco di abilità e non d’azzardo. 

Sussisterebbe l’azzardo ogni qualvolta, secondo la definizione dell’articolo 721 c.p., “ricorre il fine di lucro o la perdita è interamente aleatoria”. Sebbene, infatti, in linea di principio, il predetto gioco possa presentare le caratteristiche dell’azzardo, tuttavia esso esulerebbe da detta qualificazione ogniqualvolta si svolga in modalità torneo, sia prevista l’assegnazione di un numero uguale di gettoni, la preventiva individuazione del premio finale e l’impossibilità di svolgere più tornei o partite nel medesimo contesto temporale.
Tali elementi, se sussistono, “rendono preminenti, rispetto all’aleatorietà, altri aspetti del gioco, quali l’abilità del partecipante, la sua esperienza, l’attitudine alla concentrazione e anche le finalità del gioco si rilevano diverse dal mero lucro, perdendo rilievo il valore della posta rispetto all’impegno richiesto, così come assume preponderanza l’aspetto prettamente ludico del gioco”.

Alla luce di quanto premesso, la Corte ha concluso nel ritenere che nella fattispecie de qua ricorressero gli estremi per qualificare il fatto come gioco d’azzardo. Posto che mancava qualsiasi circostanza da far presumere alle forze dell’ordine che si trattasse di un torneo, della mancanza di una persona che assumesse il ruolo di arbitro per assicurare il corretto svolgimento della gara e l’assenza di qualsivoglia indicazione sul premio posto in palio. Altresì, veniva evidenziato l’esborso richiesto dai giocatori per l’acquisto delle fiches: per trenta persone intente al gioco risultavano versati 3.000 euro, cioè la quota media di partecipazione per ognuno dei concorrenti era di 100,00 euro.

Le norme in esame sono contravvenzioni punite dal titolo III del c.p.. E’ d’uopo osservare, infatti, che il reato si distingue in delitti, mala in se, e contravvenzioni, mala quia prohibita. Questi si distinguono a seconda della specie di pena prevista dal codice penale: i delitti sono quei reati per cui è prevista la pena dell'ergastolo, della reclusione, della multa, mentre le contravvenzioni sono quei reati per cui è prevista la pena dell'arresto e/o dell'ammenda, ex art. 39 c.p.

I delitti possono essere dolosi o colposi e sono puniti più gravemente rispetto alle contravvenzioni. In virtù dell’articolo 42 c.p., infatti, “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto se non l’ha commessa con dolo salvi i casi di delitto preterintenzionale o colposo, preveduti espressamente dalla legge”. Da ciò emergerebbe che una responsabilità per colpa nei delitti sarebbe ammessa in tutti quei casi in cui la legge lo preveda espressamente.

Si ricordi la differenza tra dolo e colpa. Entrambi devono essere tenuti in considerazione per identificare l’elemento soggettivo del reato. Nel primo caso, l’evento dannoso è preveduto, rappresentato e voluto dall’agente come conseguenza della sua condotta, ex 43, co.1, c.p. La colpa, invece, sussiste quando l’evento, anche se preveduto non è voluto dall’agente, si verifica a causa della sua negligenza, imprudenza o imperizia, ex 43, co.3 c.p.

Nelle contravvenzioni, invece, non è necessario valutare l’elemento soggettivo in quanto ciascuno risponde della propria azione sia essa dolosa o colposa, ex. 42, ult. co, c.p.

La Suprema Corte annulla la sentenza impugnata per prescrizione. In virtù dell’articolo 157 c.p. “la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria”. Per le contravvenzioni, il termine prescrizionale è pari a 5 anni (4 anni più un quarto in presenza di fatti interruttivi).

Le condotte contestate nel 2008, pertanto, si sono prescritte nel 2013, in epoca anteriore alla decisione assunta dalla Corte di Appello e con la quale era stata disposta la trasmissione degli atti alla Suprema Corte.

Non deve confondersi la prescrizione con l'assoluzione, anche se gli effetti per l'imputato possono sembrare identici. Nel primo caso, infatti, il giudice individua un reato, attribuibile all’imputato, ma prescritto. L’assoluzione invece interviene nei modi e termini stabiliti dall’articolo 530 c.p.p. perché il fatto non sussiste, l’imputato non lo ha commesso, non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato. Altresì, la prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall'imputato, ex art. 157 cp, che può decidere di continuare nel procedimento giudiziale che lo riguarda al fine di vedere riconosciuta la propria innocenza.

Alla luce delle superiori considerazioni, gli Ermellini annullano la sentenza impugnata dai tre ricorrenti perché il reato loro ascritto si era estinto per prescrizione.

 


(1) In concorso ex art. 110 c.p. e aggravato ex art. 719, numeri 1 e 3, c.p., “circostanza aggravante se sono impegnate nel giuoco poste rilevanti e se fra coloro che partecipano al giuoco ci sono perone minori degli anni diciotto”.