Pubbl. Gio, 4 Giu 2015
La Procura di Trento detta le linee guida per l’applicazione dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto
Modifica paginaIl vademecum per l’interprete delle norme processualpenalistiche: per una applicazione uniforme del nuovo articolo 131bis c.p.
Con il d.lgs. 28/2015 il legislatore ha introdotto nel panorama normativo italiano l'istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto (che abbiamo già affrontato analizzando il testo di legge (1) e raccogliendo i primi interventi giurisprudenziali (2), ndr).
La fattispecie è stata oggetto di numerose critiche da parte della dottrina con particolare riferimento alla massiccia, presunta, opera di depenalizzazione e al possibile contrasto con il principio di obbligatorietà dell'azione penale. Critiche ben presto fugate da autorevoli voci le quali hanno sottolineato la distinzione fra depenalizzazione e l'opera concretamente svolta dal legislatore italiano e la non violazione del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale in quanto la valutazione circa l'applicabilità della norma è demandata alla discrezionalità di un giudice terzo (e non al PM).
Alcune Procure italiane, come la Procura di Trento, hanno adottato circolari interne per tentare di armonizzare l'attività infradistrettuale, con riguardo all'interpretazione/applicazione del nuovo art. 131bis (3).
Per esplicare al massimo i proprie effetti deflattivi la causa di non punibilità, ad avviso della Procura di Trento, dovrebbe trovare applicazione già nella fase delle indagini preliminari, previa interlocuzione con le parti.
Rimane salva l'iscrizione del reato all'interno del casellario giudiziario, indi per cui l'indagato potrebbe aver interesse ad un proseguio del giudizio.
Le istruzioni specificano poi il quadro delle verifiche necessarie per qualificare l'istituto in virtù dei principi di proporzione e di economia processuale:
- Sussistenza di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole;
- Accertare che il reato oggetto di giudizio rientri nei limiti edittali previsti dall'art.131 bis ("Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena ...");
- Analizzare e valutare i presupposti che consentono di pervenire ad un giudizio di esclusione della punibilità ("... per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.").
La Procura ha tentato di tracciare i confini della fumosa attività di valutazione giudiziale, definendo con precisione i singoli parametri di riferimento per la valutazione dell'esclusione della punibilità. Tale scelta è dovuta alla labilità naturale dell'istituto, in modo tale da pervenire ad una applicazione il più possibile uniforme senza prescindere dalla valorizzazione delle caraterristiche precipue del caso concreto.
Tuttavia, a mio avviso, i maggiori problemi emergeranno con riferimento all'interpretazione del comma 3°, il quale definisce il comportamento abituale come derivante dalla dichiarazione di delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero dalla commissione di più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonchè nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate. Il problema è posto dal fatto che pare doversi desumere, come causa ostativa all'applicazione dell'art. 131 bis, la pericolosità sociale dello stesso imputato.
Il genus "delinquente abituale" rappresenta l'individuo che, a causa della sua continua attività criminosa, rivela una forte attitudine a commettere reati. La qualifica prende le mosse dalla ripetizione di più atti e dalle conseguenze che tale reiterazione imprime nel soggetto. Quanto più si ripete un atto, tanto minore è lo sforzo psichico e fisico richiesto, più facile diviene la sua deliberazione ed esecuzione. In tale modo l'abitualità nel comportamento delinquenziale appare come istituto orientato al criterio preventivo della difesa sociale, che considera la ripetizione di condotte criminose quale indice di pericolosità sociale, ovvero prognosi per ulteriori reati e non indice della riprovevolezza morale di un'abitudine reiterata (4).
L'ultimo nodo problematico affrontato dalla circolare della Procura di Trento è costituito dalla mancanza di una disciplina transitoria, la quale lascia spazio all'applicazione dei principi generali in materia di successione delle leggi nel tempo (art. 2-4 c.p.). A questo proposito la circolare specifica che debbano rientrare all'interno della categoria "disciplina più favorevole" non solo quelle concerneti in senso stretto la misura della pena, ma anche quelle che riguardano al complessivo trattamento riservato al reo (v. Corte costituzionale, sent. 393/2006).
A proposito merita di essere ricordata la recente pronuncia della Corte di Cassazione (sent. 15449, depositata il 15 aprile 2015) la quale ha affermato che, in assenza di una specifica disciplina transitoria, l'art. 131bis è norma retroattiva e va applicata anche ai procedimenti in corso. La norma per la Suprema Corte ha natura sostanziale, il che ne consente l'applicabilità retroattiva, costituendo disposizione più favorevole che introduce una causa di non punibilità nel sistema penale.
(1) A. DI MURO, "Reati "lievi", non punibilità ed archiviazione. Tutte le novità introdotte dal decreto sulla depenalizzazione", su CamminoDiritto.it
(2) I. FERRARA, "La nuova tenuità del fatto affrontata dalla giurisprudenza: il 131 bis al vaglio della magistratura", su CamminoDiritto.it
(3) «ART. 131-bis. (Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto)