Pubbl. Ven, 20 Dic 2019
Il rapporto tra le fattispecie di dichiarazione fiscale fraudolenta e le altre figure di frode e falsificazione
Modifica paginaLa traccia non estratta al concorso magistratura 2019 “Premessi cenni sui criteri distintivi tra concorso di reato e concorso apparente di norme, tratti il candidato in particolare del rapporto tra le fattispecie di dichiarazione fiscale fraudolenta di cui agli artt. 2 e 3 D.Lvo n. 74/2000 e le altre figure di reato caratterizzate da frode e falsificazione.”
Sommario: 1. Cenni sul concorso di reati e sul concorso apparente di norme; 2. Il principio di specialità dato dall’art 15 cp; 3. Le figure di reato di cui all’art 2 e 3 D.LVO 74/2000; 4. Il concorso tra le fattispecie di frode fiscale ed altre ipotesi di reato.
1. Cenni sul concorso di reati e sul concorso apparente di norme
Nell’ambito del concorso di reati, un soggetto può compiere, in forza di un’unica azione od omissione più violazioni della medesima legge penale, oppure può violare più disposizioni penali. Specularmente, con il compimento di più azioni od omissioni può trasgredire ad una medesima norma penale, o a più norme. Nel primo caso, siamo in presenza di un concorso formale, che, a sua volta può manifestarsi nelle forme del concorso formale omogeneo od eterogeneo, a seconda che la norma penale sia sempre la stessa oppure siano diverse tra loro. Nella seconda ipotesi, al contrario si concretizza un concorso materiale, ed anche in questa eventualità si possono avere un’omogeneità od un eterogeneità, sempre che la disposizione non rispettata sia la medesima o differente. Appare evidente che laddove si configuri un concorso di reati, è stata in precedenza risolta la questione afferente l’unità o pluralità di reati. Quello che cambia è il trattamento sanzionatorio, con applicazione del cumulo giuridico, ai sensi dell’art 81 cp per il concorso formale omogeneo ed eterogeneo e pena finale determinata da quella prevista per il reato più grave aumentata di un terzo. Invece, per il concorso materiale, fuori dall’ipotesi del reato continuato sempre contemplata all’art 81 cp, il cumulo materiale delle pene, seppur con i temperamenti previste in apposite disposizioni. In antitesi, sul piano logico, si raffigura il concorso apparente di norme. Infatti, secondo la definizione, ormai consolidatasi, di fronte ad un medesimo fatto, in apparenza vi è una convergenza di norme che sembrano, appunto prima facie potersi applicare alla fattispecie. Già da queste brevi premesse, si comprende come vi debba essere un nucleo comune tra le disposizioni potenzialmente applicabili, visto che se queste fossero a vicenda autoescludenti, non vi sarebbero dubbi sull’esistenza di un concorso di reati piuttosto che di un concorso apparente di norme. Sempre sul piano logico, ancor prima che normativo, è pacifico che più si amplia il campo del concorso di reati più si restringe quello del concorso apparente di norme, e viceversa. Posto che nel concorso apparente, in realtà il reato commesso è unico, necessariamente l’ordinamento deve prevedere un meccanismo di risoluzione delle antinomie, ovvero la convergenza potenziale di più norme verso un unico fatto. D’altronde, in piena aderenza alla funzione retributiva e rieducativa della pena, contrasterebbe con il principio del ne bis in idem sostanziale, la duplicazione sul piano sanzionatorio comportata dall’applicazione di più disposizioni penale, in presenza di un fatto sostanzialmente unico.
2. Il principio di specialità dato dall’art 15 c.p.
Il sistema prevede all’art 15 cp il principio di specialità e segnatamente: “Quando più leggi penali o più disposizioni della legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge penale, salvo che sia altrimenti stabilito”.Com’è noto a livello normativo, il nostro ordinamento non prevede espressamente altri strumenti tesi a risolvere il concorso apparente di norme. Ne consegue, che se il principio di specialità non trova impiego, saremo in presenza di una pluralità di reati, con spazio dunque al concorso di reati. In estrema sintesi, a livello interpretativo le due maggiori incertezze sono quelle legate alla corretta e compiuta definizione di stessa materia e del carattere speciale di una norma e/o disposizione. Per quanto concerne il primo elemento, l’opinione maggioritaria ha escluso che per identità di materia si possa fare riferimento all’identità del bene giuridico tutelato. Da un lato perché, in presenza di reati plurioffensivi, non rappresenta un criterio risolutivo, dall’altro perché una sua applicazione comporterebbe l’applicazione del concorso di reati, anche laddove non vi sono dubbi circa l’unicità del reato e quindi sull’esistenza di un concorso apparente di norme. Peraltro, si deve aggiungere come la scelta se catalogare una fattispecie all’interno di un gruppo di norme che tutelano un determinato bene giuridico è il frutto di scelta discrezionale, quando non addirittura casuale del legislatore, ma che nulla offre alcun elemento in relazione all’identità vera o presunta del fatto. Piuttosto deve valere una considerazione contraria: sarebbe incoerente che un medesimo fatto sia disciplinato all’interno del solito bene giuridico, con applicazione di due o più norme di legge. L’altra grande questione è legata alla stessa definizione di specialità. Più la definizione è ampia, più si resta dentro il perimetro dettato dall’art 15 cp. Ove il principio non possa trovare impiego, sono stati elaborati ulteriori principi, ricavabili secondo i sostenitori dal sistema, anche se in definitiva alcuni di questi non paiono essere che altrettante espressioni del principio di specialità. Si è dunque distinta una specialità per aggiunta o specificazione. La norma speciale contiene gli stessi elementi di quella generale con in più ulteriori elementi (specialità per aggiunta) oppure rispetto ad un nucleo comune si presentano alcuni elementi diversi (specialità per specificazione). Idealmente per descrivere il fenomeno si offre la rappresentazione dei due cerchi concentrici, dove la norma speciale contiene anche quella generale, ed in mancanza della prima troverebbe necessaria applicazione la seconda. Sempre a livello interpretativo, è stata configurata anche la specialità reciproca, che vede accanto ad un nucleo comune tra due o più norme, anche elementi speciali che appartengono ad entrambe le norme. Non abbiamo dunque più, una sola norma speciale ed una sola generale, ma allo stesso tempo più norme speciali e più norme generali. Tant’è che si profila la rappresentazione dei cerchi che si intersecano tra loro, e l’area di intersecazione è appunto rappresentata dal nucleo comune tra le due norme. Preso atto che, allo stato della legislazione attuale, il principio di specialità non può risolvere tutti i casi di concorso apparente di norme, sono stati elaborati ulteriori principi. In primo luogo si è fatta menzione del principio della specialità in concreto, il fatto che deve essere analizzato non è quello dettato dalle fattispecie, bensì dalle modalità con cui si è sviluppato il fatto concreto. Tale principio è stato respinto, poiché il confronto non deve essere operato tra i fatti concreti, che comporterebbero una valutazione discrezionale del giudicante, ma tra la struttura delle fattispecie astratte. Anche in questo caso, un margine di valutazione esiste comunque, legato però solo all’attività interpretativa circa il significato delle norme, e dunque legato ai parametri che la legge impone. Per quanto riguarda il principio di sussidarietà, è stato chiarito come in verità, questo non sia altro che un’espressione dello stesso principio di specialità. Infatti, a volte è la stessa legge a prevedere espressamente che una disposizione si applichi al posto di un’altra tramite apposite clausole di riserva. Al più si potrebbe sostenere che ove il legislatore non prevede espressamente che una legge si applichi al posto di un’altra, resta sempre sullo sfondo il principio di specialità che è l’unico dato a livello normativo. Maggior fortuna non hanno avuto i criteri dell’assorbimento e/o della consunzione che sono sostanzialmente omologhi e descrivono un rapporto di continenza, laddove la norma consumante che esaurisce l’intero disvalore del fatto, comprende al suo interno anche la norma consumata. E’ stato evidenziato come non sempre la norma consumante rappresenti il logico se non obbligato sviluppo della norma consumata. Altrettanto innegabile è che tale criterio oltre che non essere completamente risolutivo, basti pensare a quando due norme non sono in rapporto tra loro, è inevitabilmente legato ad una valutazione assolutamente discrezionale che non può che non contrastare con i corollari del principio di legalità quali la determinatezza e la tassatività della fattispecie.
3. Le figure di reato di cui agli articoli 2 e 3 D.LGS 74/2000
Il D.LGS 74/2000 nel ridisegnare la materia dei reati tributari compie una netta inversione di tendenza rispetto alla legislazione precedente data dalla Legge 516/1982. Infatti, perdono rilevanza penale tutti quegli atti prodromici rispetto alla dichiarazione fiscale che diventa l’elemento centrale e discriminante. Tanto è vero che non vi sono dubbi sul carattere istantaneo dei reati tributari che appunto, si realizzano nel momento in cui viene presentata la dichiarazione fiscale. Ciò comporta che tutti gli atti compiuti in precedenza, rispetto al citato momento, assumono i caratteri dell’ante factum non rilevante, allorquando il contribuente operi una dichiarazione corretta. In sede di Relazione Illustrativa del D.LGS 74/2000 si è posto lo scopo di favorire in tale modo l’emersione della ricchezza imponibile. In piena coerenza con quanto descritto, l’art 6 del DLGS 74/2000 prevede che i reati dichiarativi di cui agli art 2-3 e 4 non possono essere puniti a titolo di tentativo1. A livello di struttura tali fattispecie configurano reati di pericolo, non è necessario che lo Stato subisca un danno effettivo nei riguardi del bene giuridico protetto della pronta e corretta riscossione dei tributi dovuti. Occorre il dolo specifico, ovvero il fine di evadere le imposte, che non riguarda pertanto l’ipotesi legata all’evasione di terzi. L’art 2 disciplina la dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altre documenti per operazioni inesistenti. Si prendono in considerazione sia le fatture oggettivamente inesistenti, la prestazione o il bene non sono stati resi o dati, sia quelle soggettivamente inesistenti, la prestazione o il bene sono stati resi o dati, ma tra soggetti diversi rispetto a quelli indicati in fattura. Nel primo caso siamo davanti ad un’inesistenza assoluta, o relativa allorchè si tratti di sotto fatturazione (si indica un importo minore rispetto a quello effettivamente corrisposto o ricevuto), nel secondo di un’inesistenza relativa. Com’è noto per quanto riguarda le imposte dirette assume rilevanza esclusivamente l’inesistenza oggettiva, mentre per le imposte indiretta anche quella relativa, atteso che per il meccanismo della detrazione dell’imposta non è indifferente l’identità del soggetto passivo. L’art 2 punisce ex se, l’emissione delle fatture false, quando siano registrate nelle scritture contabili obbligatorie, o comunque sono detenute a fini di prova nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria. Non sono previste soglie di punibilità. Al contrario l’art 3 che sanzione la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici si caratterizza per un quid pluris : che è dato da una rappresentazione della situazione finanziaria del contribuente che non si basa solo ed esclusivamente sull’emissione delle fatture false. Tanto è vero che vengono sanzionate le due ipotesi speculari della mancata o minor indicazione di elementi attivi o dell’indicazione di costi inesistenti o superiore a quelli sostenuti, per abbattere l’imponibile fiscale. Vengono previste delle soglie di punibilità. Il successivo art 4 sanziona la dichiarazione infedele che manca dunque del carattere fraudolento e di profili ingannatori. I documenti rilevanti dal punto di vista fiscale sono stati correttamente redatti, ma in dichiarazione non si riportano, sempre in presenza dell’elemento del dolo specifico di evadere le imposte, correttamente gli elementi attivi e passivi. Infine, chiude il quadro dei reati dichiarativi, l’omessa dichiarazione di cui all’art 5. Quest’ultima per un incompatibilità logica ed ontologica non può concorrere con i delitti di cui agli articoli 3 e 4. Mentre per quanto concerne il rapporto tra gli articolo 2-3 e 4 il concorso di reati viene escluso da apposita clausola di riserva.
4) Il concorso tra le fattispecie di frode fiscale ed altre ipotesi di reato.
I reati di frode fiscale che come si è dato conto, sono reati istantanei, a forma vincolata, di pericolo e a dolo specifico, potenziale possono concorrere con altre fattispecie caratterizzate da frode e falsificazione. Con riguardo allo stesso DLGS 74/2000, atteso che l’art 8 sanziona l’emittente fatture false, l’art 9 esclude in deroga all’art 110 rispettivamente: che l’emittente concorra nel delitto dell’utilizzatore e viceversa. Poichè, sul piano logico l’emissione e l’utilizzazione di fatture false sono necessariamente correlate tra loro, in virtù del principio del ne bis in idem sostanziale, l’art 9 evita che un soggetto sia punito due volte per un fatto sostanzialmente analogo2. Nella realtà concreta dei casi, si è posto il problema se la citata deroga valga anche laddove la qualità di emittente e di utilizzatore, di fatto coincidono con il medesimo soggetto. E’ il caso di colui che formalmente riveste il ruolo di amministratore nella società A e di amministratore di fatto nella società B. Secondo l’opinione largamente prevalente in questa eventualità abbiamo un concorso, dato che la deroga di cui all’art 9 vale negli stretti limiti in cui via sia una divergenza sostanziale e formale tra emittente ed utilizzatore3. Oggetto di interesse è stata anche l’altra questione se l’emittente o l’utilizzatore, qualora non punibili perché nei rispettivi ambiti sono rimasti nella soglia del tentativo, che non punibile, possano concorrere, come concorso di persone nel reato, nel reato commesso dall’altro soggetto4. Anche di fronte a questa eventualità si è escluso che possa operare la deroga di cui all’art 9, perché diversamente opinando avremmo il paradosso di un soggetto che non viene punito per nessuno dei due reati. E ciò in contrasto con la ratio della citata norma che, in applicazione del principio del ne bis in idem, vuole evitare che un soggetto venga punito due volte per un fatto sostanzialmente analogo. Altro reato con cui si è previsto che vi possa essere concorso di reati, è l’art 11 che disciplina la fattispecie della sottrazione fraudolenta al traffico delle imposte. E’ indubbio che a livello strutturale delle fattispecie vi siano degli elementi comuni. Questi sono dati dall’essere i reati dichiarativi e la sottrazione di cui all’art 11 reati di pericolo, dal requisito del dolo specifico5. Mentre in un caso, segnatamente l’art 2 non abbiamo delle soglie di punibilità, all’art 11 seppur non espressa si può ravvisare una soglia implicita, posto che anche in presenza di atti fraudolenti sui propri beni, qualora il patrimonio fosse comunque capiente, non potrebbe ravvisarsi il reato della sottrazione fraudolenta. L’altro dato, di maggiore pregnanza consiste nella considerazione che nei reati dichiarativi il dolo ha come oggetto in genere il rispetto degli obblighi dichiarativi, nella sottrazione fraudolenta ha per oggetto il compimento di atti nei riguardi del patrimonio del contribuente. In altri termini, quest’ultimo potrebbe anche redigere dichiarazione assolutamente corrette, e compiere atti fraudolenti sul proprio patrimonio. Pertanto, si deve concludere che le due fattispecie sono strutturalmente diverse tra loro, per cui possono concorrere. Altra evenienza che si prospetta nell’applicazione concreta dei casi, è quella legata al concorso tra reati tributari e i reati fallimentari6. Posto che i due gruppi di reati sono contemplati in due leggi speciali, il primo scoglio sarebbe eventualmente costituito dallo stabilire quale legge sia speciale rispetto all’altra. Si è escluso che vi possa essere un rapporto di continenza sulla base della differente natura dei soggetti passivi. Nei reati tributari soggetto passivo è lo Stato, mentre nei reati fallimentari sono i terzi, e tra questi non vi rientra il primo, rilevato che i terzi sono per definizione un numero indeterminato per identità e numero di soggetti. Diverso è anche l’elemento soggettivo, dolo specifico riguardo alla frode fiscale, dolo generico relativamente ai reati fallimentari. Parimenti può dirsi anche per la fattispecie delle false comunicazioni sociali che tra l’altro coinvolgono la delicata questione della valutazione dei falsi materialmente rilevanti. Anche in questo caso, pertanto, si è optato per il concorso di reati. Al contrario, più problematico è stato individuare i rapporti tra la frode fiscale ed il reato di truffa ex art 640 n 2 e 640 bis cp. Per un primo orientamento, si deve negare l’esistenza di un concorso apparente di norme7. Si deve ravvisare un concorso di reati, perché diverso è il bene giuridico tutelato, così come il dolo, specifico nella frode, generico nella truffa. Lo stesso dicasi per la condotta, vincolata nel primo caso e a forma libera nel secondo. Inoltre mentre i reati tributari sono reati di pericolo, la truffa è un reato di evento, richiedendo l’elemento dell’induzione in errore. Per un indirizzo minoritario si doveva escludere il concorso di reati in favore del concorso apparente di norme, alla luce del rapporto di continenza che lega le due fattispecie8. In buona sostanza, la fattispecie più grave contiene, la frode fiscale contiene tutto il disvalore della fattispecie meno grave, la truffa. Si tratta dell’applicazione, pertanto, del citato principio di consunzione e/o dell’assorbimento. Il contrasto è stato composto sulla base di un ulteriore indirizzo che ha da un lato escluso il concorso di reati, e dall’altro ha ravvisato in tema, il concorso apparente di norme. Ciò, però, non sulla scorta del principio di consunzione, bensì in forza dello stesso principio di specialità se correttamente intesto, avuto riguardo all’analisi del rapporto strutturale tra le fattispecie. Si è in precedenza sottolineato come privo di sostanziale pregio, sia l’argomento fornito dalla diversità del bene giuridico tutelato. Invece, per quanto riguarda l’elemento del pericolo e del danno, è stato affermato come quest’ultimo, anche nel reato di frode fiscale non è detto che non si realizzi. E’ un componente ulteriore e non necessario affinché la fattispecie si realizzi. Ciò non toglie che a livello strutturale le due fattispecie siano simili. A bene vedere, in ogni caso, anche nella frode fiscale un danno, nell’immediato lo Stato lo riceve, atteso che una dichiarazione fiscale per l’insidiosità che le è propria comporta difficoltà negli accertamenti e controlli. In altri termini, la frode fiscale viene inquadrata come una sorta di truffa qualificata, speciale, la cui identità di struttura non può essere messa in dubbio sulla scorta dell’eventualità del danno subito dallo Stato. E’ noto come nell’ambito del diritto tributario, sul piano fiscale sia sanzionata ad esempio, l’imputazione in periodi di imposta differenti rispetto a quelli corretti sia dei crediti sia dei debiti, anche qualora non vi sia danno all’erario. E’ bastevole e sufficiente che vi sia un danno derivante dal maggiori dispendio dovuto alla necessità di controlli per accertare l’errata imputazione. Infatti, il contribuente non può scegliere di collocare a proprio piacimento i componenti positivi e negativi in dispregio di quelle che sono le leggi di imposta. Come corollario ed ulteriore argomento, si pone il dato oggettivo ed incontestato portato dalla Legge 289/2002 in materia che escludeva la punibilità per i reati tributari, con la correlata esenzione per il pubblico ufficiale che riceve la dichiarazione circa la disponibilità di redditi posseduti ma non denunciati, dall’obbligo di segnalazione ex art 331 cpp. Sulla scorta di queste ragioni, ed in virtù di una corretta applicazione del principio di specialità, si deve escludere un concorso di reati tra frode fiscale e truffa ai danni dello Stato. L’unica eccezione che, però, non inficia il precedente ragionamento, sorge allorquando l’autore della frode fiscale si propone uno scopo diverso ed ulteriore rispetto allo scopo del mancato pagamento delle imposte dovute. E’ l’eventualità che l’oggetto e lo scopo della truffa consista nell’ottenimento in proprio favore o di terzi dell’erogazione di fondi pubblici. Anche se la frode fiscale avrà agevolato o favorito l’ottenimento di soldi pubblici, in questa circostanza il reato tributario non esaurisce il disvalore della condotte. Più precisamente non siamo più davanti a due condotte sostanzialmente identiche, bensì a due comportamenti differenti, anche se comuni per alcuni tratti. Si può concludere che allora non sia più presente il pericolo di sanzionare due volte uno stesso soggetto per fatti sostanzialmente simili.
Note e riferimenti bibliografici
1Si riporta il testo degli articoli di interesse per quanto riguarda il dlgs 74/2000.
L’art 2 recita: “1. E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi. (2)
2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria”.
L’art 3 dispone: “1. Fuori dai casi previsti dall'articolo 2, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento e ad indurre in errore l'amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, quando, congiuntamente:
a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila;
b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l'ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell'imposta, è superiore al cinque per cento dell'ammontare dell'imposta medesima o comunque a euro trentamila.
2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria.
2. Ai fini dell'applicazione della disposizione del comma 1, non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali”
L’art 4 prevede: “1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente:
a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centocinquantamila; (1)
b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro tre milioni 1-bis. Ai fini dell'applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali.
1-ter. Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b).
L’art 5 in materia di omessa dichiarazione cosi dispone: “1. E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila.
1-bis. E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque non presenta, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d'imposta, quando l'ammontare delle ritenute non versate è superiore ad euro cinquantamila.
2. Ai fini della disposizione prevista dai commi 1 e 1-bis non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.”
L’art 6 invece: “ I delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 4 non sono comunque punibili a titolo di tentativo .
2Per un approfondita analisi sul punto si rimanda a: Stefano Dorigo, Rivista Trimestrale di Diritto Tributario, numero 2/2015 pag 263-279-Giappichelli-Torino
3Ex multis si cita la recente sentenza Cassazione 41124/2019 e la sentenza Cassazione 11034/2018.
4Sul punto si segnala Cassazione 51468/2018
5Si riporta il testo dell’art 11 Dlgs 74/2000: “1.E' punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l'ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni.
2. E' punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l'ammontare di cui al periodo precedente è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni.
6Si rimanda a Cassazione 4009/2014
7Per riferimenti dottrinali si rinvia a: Anna Rita Ciarcia, Rivista Trimestrale di Diritto Tributario, numero 2/2015, pag 281-300, Giappichelli, Torino
8Per l’ampia panoramica circa il quadro giurisprudenziale sia sul principio di specialità sia sul concorso di reati tra frode fiscale e il reato di truffa ai danni dello Stato si rimanda alla pronuncia elle Sezioni Unite della Cassazione Penale 1235/2011. Tale orientamento è stato ripreso e confermato da successive sentenze, quali ad esempio Cassazione 12872/2016