Pubbl. Gio, 28 Mag 2015
Le fattispecie di responsabilità erariale introdotte della Legge n. 190 del 6 novembre 2012 e l’analisi economico giuridica del fenomeno corruttivo.
Modifica paginaL’approvazione e l’attuazione della legge anticorruzione rappresenta per l’Italia l’occasione, non più procrastinabile, di allinearsi alle migliori prassi internazionali, introducendo nel nostro ordinamento nuovi strumenti diretti a rafforzare le politiche di prevenzione e contrasto della corruzione nella direzione più volte sollecitata dagli organismi internazionali di cui l’Italia fa parte.
LA LEGGE 6 NOVEMBRE 2012, N. 190: LE NUOVE FATTISPECIE DI RESPONSABILITA’ ERARIALE
A cura di
Maria Pina Di Blasio
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Sommario: 1. Breve premessa. – 2. Gli effetti patologici del fenomeno corruttivo. – 3. Le legge 190/2012 recante "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione dell’illegalità nella pubblica amministrazione". – 4. La centralità della prevenzione e l’adozione del piano anticorruzione da parte del responsabile per la prevenzione della corruzione. – 5. Le responsabilità erariali per i danni patrimoniali, da tangente, da disservizio e all’immagine del "dirigente preposto alla prevenzione della corruzione". – 6. Il danno erariale per la corresponsione di compensi in presenza atti di conferimento di incarichi pubblici nulli a soggetti in situazioni di "inconferibilità" o "incompatibilità". – 7. Fattispecie specifiche di danno nel "decreto sulla trasparenza amministrativa". – 8. La nuova configurazione della «fattispecie generale» del danno all’immagine. – 9. Le esimenti generali e quelle specifiche previste dalla normativa anticorruzione. – 10. Conclusioni.
1. Breve premessa. Dopo un lungo e travagliato dibattito è stata approvata la cosiddetta "Legge Anticorruzione", ovvero la Legge 6 novembre 2012, n. 190[1] recante «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione», meglio nota come «Legge anticorruzione». Si tratta di una legge composta sostanzialmente da un articolo contenente 83 commi che prevede una serie di misure preventive e repressive contro la corruzione e l’illegalità nella pubblica amministrazione.
Le disposizioni recate dai commi dell’articolo 1 pongono nuovi obblighi e adempimenti per le amministrazioni pubbliche, modifiche espresse a leggi vigenti, deleghe legislative e rinvii ad atti secondari da emanare. Le misure repressive che la legge vuole assicurare sono attuate grazie a modifiche del codice penale.
Oltre che dall’art. 1, la legge è composta anche da un secondo articolo, che pone la clausola di «invarianza»: dall’attuazione della legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Sicché le amministrazioni competenti provvedono allo svolgimento delle attività previste dalla legge con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Si tratta quindi di una legge "a costo zero".
L’approvazione e l’attuazione della legge anticorruzione rappresenta per l’Italia l’occasione, non più procrastinabile, di allinearsi alle migliori prassi internazionali, introducendo nel nostro ordinamento nuovi strumenti diretti a rafforzare le politiche di prevenzione e contrasto della corruzione nella direzione più volte sollecitata dagli organismi internazionali di cui l’Italia fa parte[2].
Con l’emanazione della l. n. 190 del 2012, l’ordinamento italiano si è orientato, nel contrasto alla corruzione, verso un sistema di prevenzione che si articola, a livello nazionale, con l’adozione del Piano Nazionale Anticorruzione e, a livello di ciascuna amministrazione, mediante l’adozione di Piani di Prevenzione Triennali.
Per singolare coincidenza, la definitiva approvazione del disegno di legge governativo ha avuto luogo esattamente nel nono anniversario della Convenzione contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell’Onu il 31 ottobre 2003, di cui la legge ha inteso dare applicazione. L’altra fonte sovranazionale cui la legge si ispira è la Convenzione penale sulla corruzione, "fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999″, e che perciò rimonta addirittura a tredici anni or sono.
Un ritardo nel recepimento delle iniziative normative europee ed internazionali che si è accompagnato ad una progressiva e sinora inarrestata discesa del nostro Paese nelle graduatorie che, a livello mondiale, misurano il grado di legalità e di trasparenza nella vita pubblica e nelle transazioni economiche private[3].
Il dato più preoccupante è la consapevolezza del fatto che le radici della corruzione in Italia affondano non solo "nelle distorsioni di specifiche procedure decisionali (tempi lunghi, opacità, discrezionalità impropria, debolezza dei controlli), ma anche in fattori di natura culturale e istituzionale"[4]. Si tratta, indubbiamente, di un fenomeno ormai dalla portata amplissima che è presente in ogni ramo delle istituzioni a tal punto da contagiarne ogni azione: in altre parole, come spesso viene ricordato anche dai magistrati della Corte dei Conti, la corruzione è diventato un fenomeno sistemico.
Il legislatore nazionale è intervenuto in due diverse, ma connesse direzioni: da un lato, sul versante preventivo, prescrivendo obblighi di trasparenza più stringenti a carico degli apparati pubblici e prevedendo procedure tese alla lotta del fenomeno corruttivo; dall’altro, sul versante repressivo, riformulando le fattispecie di concussione e corruzione e introducendo, anche sulla scia delle sollecitazioni internazionali, due nuove fattispecie incriminatrici: il traffico di influenze illecite e la corruzione fra privati.
Questo cambiamento di prospettiva nel contrasto alla corruzione deriva dalla presa d’atto della trasformazione della corruzione, che da fenomeno sporadico ed esterno all’apparato amministrativo riconducibile ad un singolo evento delittuoso, è divenuta in maniera crescente sintomo di "maladministration"[5], in quanto sempre più presente all’interno delle amministrazioni a tal punto da produrre spesso un asservimento totale della funzione amministrativa agli interessi dei corrotti.
Per questo motivo, nel diritto amministrativo è stata elaborata una nozione di corruzione più ampia di quella penalistica, che rinvia non solo a condotte penalmente rilevanti, ma anche a "condotte che sono fonte di responsabilità di altro tipo o non espongono ad alcuna sanzione, ma che tuttavia, sono comunque sgradite all’ordinamento giuridico: conflitti di interessi, clientelismo, partigianeria, occupazione di cariche pubbliche, assenteismo, sprechi"[6].
In particolare, gli obiettivi di questa riforma sono essenzialmente tre.
Adeguare l’ordinamento italiano agli impegni assunti a livello internazionale, in particolare alla Convenzione di Merida delle Nazioni Unite sulla corruzione del 2003[7] e alla Convenzione penale sulla corruzione elaborata nell’ambito del Consiglio d’Europa del 1999[8].
Porre rimedio all’inadeguatezza del sistema normativo a contrastare i fenomeni corruttivi, come dimostrato dalla diffusione endemica di tale tipologia di illeciti[9].
Dare una risposta concreta ad una diffusa domanda di intervento su un tema – quello della corruzione – particolarmente avvertito sul piano sociale e dalle pesanti ricadute economiche .
A tal fine le disposizioni introdotte con la legge 6 novembre 2012 n. 190 e con i decreti legislativi attuativi 235/2012, 33/2013, 39/2013 e, da ultimo, dal decreto n. 69/2013 (c.d. "decreto del fare") convertito nella legge 9 agosto 2013 n. 98 impongono una serie di adempimenti, tutti pesantemente sanzionati, che richiedono un intervento significativo di riorganizzazione interna ed un ammodernamento dei sistemi informativi.
La presente analisi sarà svolta mettendo in rilievo i soggetti, gli strumenti, gli obblighi, le deleghe e le modifiche normative e le misure repressive che la legge anticorruzione reca.
In particolare, si esamineranno i profili di responsabilità e correlative esimenti dei pubblici dipendenti, alla luce della legge n. 190 del 2012 e dei relativi decreti attuativi.
2. Gli effetti patologici del fenomeno corruttivo. A riprova di quanto sia preoccupante il fenomeno della corruzione nel nostro Paese, basta ricordare che, secondo il Report 2013 di Trasparency International, in Italia l’indice di percezione della corruzione (Corruption Perception Index, CPI) colloca il nostro Paese al 69° posto della graduatoria mondiale (che vede al primo posto la civilissima Danimarca e all’ultimo la Somalia)[10].
Gli illeciti contro la pubblica amministrazione sono alla base di molti episodi di diffusa illegalità, collegati anche all’operato della criminalità organizzata e funzionali al conseguimento di obiettivi illeciti da parte di amministratori poco sensibili all’interesse pubblico.
Gli episodi di corruzione, oltre ad integrare molteplici fattispecie di reato - dalla corruzione propria, a quella impropria, alla concussione, quest’ultima ridefinita nelle due figure della "concussione per costrizione" e della "concussione per induzione"[11] – alterano, come può facilmente intuirsi, i meccanismi di funzionamento dell’economia - si pensi alle norme sugli appalti pubblici e sulle concessioni amministrative - nonchè le regole sociali che esigono la selezione dei migliori mediante pubblici concorsi, finendo per scoraggiare gli investimenti economici nel nostro paese e determinando così una profonda disaffezione dei cittadini nei confronti delle istituzioni.
La maggior parte degli studiosi tende, e non a torto, a ravvisare nella corruzione una delle maggiori cause, se non l’unica, di inefficienza della pubblica amministrazione e del sistema economico.
I funzionari pubblici che accettano somme di denaro indebite (le cosiddette "tangenti"), infatti, hanno interesse a perpetuare l’inefficienza della pubblica amministrazione al fine di riservarsi uno spazio d’intervento per il loro tornaconto personale. La "tangente", da prezzo da pagare per accelerare le pratiche burocratiche o per evitare rallentamenti procedimentali, si trasforma in una vera e propria "tassa occulta" che finisce per ridurre gli investimenti e quindi la crescita del Paese[12].
La corruzione, inoltre, produce effetti negativi sulla competitività delle imprese, sull’offerta di lavoro e sul capitale umano.
La corruzione influisce altresì sulle scelte di bilancio dello Stato.
E' noto che i politici corrotti sono spinti ad allocare le risorse pubbliche in maggior misura verso i settori in cui è più facile estrarre rendite rilevanti, come le infrastrutture e la difesa, trascurando molto spesso altri settori come ad esempio, il comparto dell’istruzione, perché quest’ultimo, pur essendo strategico per la crescita del Paese, fornisce ai burocrati una limitata opportunità di ottenere delle rendite illecite.
Tuttavia, tra gli effetti peggiori della corruzione, devono essere annoverati la mancata selezione delle forze migliori della società e lo «scadimento etico» che alimenta una mentalità sociale sempre più incline a considerare ciò che è pubblico come una riserva per l’affermazione degli interessi personali[13].
Per avere contezza di quanto sia preoccupante il fenomeno della corruzione basti ricordare che, per combattere gli illeciti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, le Procure della Corte dei Conti nel corso del 2012 hanno emesso ben 317 citazioni a giudizio nei confronti dei responsabili dei delitti contro la pubblica amministrazione per danno patrimoniale diretto alla P.A., per danno da disservizio e all’immagine[14].
3. Le legge 190/2012 recante "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione dell’illegalità nella pubblica amministrazione". Per contrastare le attività illecite o anche solo abusive dei pubblici impiegati, la legge 6 novembre 2012, n. 190[15], ha previsto una serie di misure volte a prevenire i fenomeni corruttivi nell’ambito delle pubbliche amministrazioni nazionali e locali.
Nelle intenzioni del legislatore la lotta alla corruzione si deve combattere implementando la trasparenza dell’attività e dei processi decisionali delle pubbliche amministrazioni[16], la formazione dei funzionari sui temi dell’etica e della legalità (art.1, co. 11, L. 190/2012), nonché attraverso il rafforzamento dei doveri dei pubblici dipendenti, i cui codici di comportamento sono stati unificati e disciplinati con apposito regolamento generale approvato con D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62.
Funzionale alla prevenzione del fenomeno corruttivo è altresì la previsione dell’incandidabilità per i politici che abbiano riportato condanne definitive per gravi delitti non colposi (D.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, nota come Legge Severino) e dell’inconferibilità di incarichi pubblici ai soggetti condannati per reati contro la pubblica amministrazione o che si trovino in situazioni di reale o potenziale conflitto di interessi [17].
L’esigenza di prevenire i reati contro la pubblica amministrazione è palesata già dall’introduzione nel codice penale dell’art. 346-bis che punisce il "traffico di influenze illecite". Questo articolo ha anticipato la soglia della punibilità a quei comportamenti che non integrino gli estremi della corruzione o della concussione, punendo le condotte dei privati che, "sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio", si facciano dare o promettere "denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, ovvero per remunerarlo in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o ritardo di un atto del suo ufficio"[18].
In un’ottica più repressiva la legge 190/2012 ha "spacchettato" il reato di concussione finora disciplinato dall’art. 317 c.p., nelle due figure (già enucleate dalla norma appena richiamata) della "concussione per costrizione" (art. 317 c.p.)[19] – che continua ad essere caratterizzata dal metus publicae potestatis che induce il privato alla dazione al pubblico ufficiale - e della "concussione per induzione" (art. 319 quater), la quale si distingue dalla fattispecie costrittiva perché il privato non è costretto, non ricorrendo il metus publicae potestatis, ma solo indotto alla promessa o alla dazione illecita e quindi conserva un margine di scelta criminale[20].
Attraverso l’introduzione di un’apposita disposizione nel corpo del D.lgs. 165/2001, la legge 190/2012[21], ha poi inteso esplicitamente tutelare il pubblico dipendente che segnali un illecito da eventuali atti gestionali discriminatori, senza tuttavia provvedere ad una tutela adeguata sul piano processuale[22].
La legge 190/2012 ha quindi istituito l’Autorità Nazionale Anticorruzione, individuata nella Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle pubbliche amministrazioni (CIVIT), di cui all’art. 13 del D.lgs. 26 ottobre 2009, n. 150, cui è stata devoluta l’analisi delle cause e dei fattori della corruzione nonché la predisposizione degli interventi che ne possono favorire la prevenzione e il contrasto. Alla predetta Commissione spetta anche l’approvazione del piano nazionale anticorruzione predisposto dal Dipartimento della funzione pubblica[23].
La CIVIT può altresì esprimere pareri facoltativi agli organi dello Stato e a tutte le amministrazioni pubbliche circa la conformità degli atti e dei comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti collettivi individuali regolanti il rapporto di lavoro pubblico (art. 1, co. 2, legge 190/2012).
4. La centralità della prevenzione e l’adozione del piano anticorruzione da parte del responsabile per la prevenzione della corruzione. - Fondamentale, nell’ottica della novella, per prevenire la realizzazione dei reati contro la pubblica amministrazione è la designazione, all’interno di ciascun ente, del «responsabile della prevenzione della corruzione», da scegliersi tra i dirigenti generali, cui compete la "predisposizione del piano triennale anticorruzione" che deve essere poi adottato dall’organo di indirizzo politico e la selezione dei dipendenti destinati ad operare nei settori dell’amministrazione particolarmente esposti alla corruzione, tra cui devono essere annoverati, in primo luogo – in virtù del combinato disposto dei commi 9, lett. a) e 16 della legge 190/2012 - quelli in cui vengono predisposti i bandi di appalto per l’acquisto di beni e servizi, per l’erogazione di sovvenzioni, per l’assunzione di personale, ancorché assunti con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nonché quelli preposti al rilascio di provvedimenti autorizzatori o concessori.
Negli enti locali (Comuni e Province) il responsabile della prevenzione della corruzione é individuato ex lege nel Segretario dell’ente, salva diversa e motivata determinazione dell’organo di indirizzo politico[24].
Il responsabile per la corruzione è altresì responsabile per la trasparenza dell’ente[25] nonché garante del rispetto delle disposizioni sull’inconferibilità degli incarichi e sulle incompatibilità di cui al D.lgs. 39/2013[26], venendo ad assumere una posizione di garanzia non immune, come si vedrà, da responsabilità di vario genere.
Il piano triennale anticorruzione deve far fronte alle seguenti esigenze:
a) individuare le attività - tra cui quelle previste espressamente dalla legge all’art. 1, co. 16, con elencazione esemplificativa e non esaustiva – nell’ambito delle quali è più elevato il rischio di corruzione, anche raccogliendo le proposte dei dirigenti;
b) prevedere, per le attività individuate ai sensi della lettera a), meccanismi di formazione, attuazione e controllo delle decisioni idonei a prevenire il rischio di corruzione;
c) prevedere, con particolare riguardo alle attività individuate ai sensi della lettera a), obblighi di informazione nei confronti del responsabile anticorruzione chiamato a vigilare sul funzionamento e sull’osservanza del piano;
d) monitorare il rispetto dei termini, previsti dalla legge o dai regolamenti, per la conclusione dei procedimenti;
e) monitorare i rapporti tra l’amministrazione ed i soggetti che con la stessa stipulano contratti o che sono interessati a procedimenti di autorizzazione, concessione o erogazione di vantaggi economici di qualunque genere, anche verificando eventuali relazioni di parentela o affinità sussistenti tra i titolari, gli amministratori, i soci e i dipendenti degli stessi soggetti e i dirigenti e i dipendenti dell'amministrazione;
f) individuare specifici obblighi di trasparenza ulteriori rispetto a quelli previsti da disposizioni di legge.
La legge prevede che la mancata predisposizione del piano ovvero la mancata adozione delle procedure per la selezione o la formazione dei dipendenti costituiscono elementi di valutazione della responsabilità dirigenziale ex art. 21 del D.lgs. 165/2001 del responsabile per la corruzione[27].
L’art. 1, co. 10, impone poi al responsabile anticorruzione di provvedere:
a) alla verifica dell’efficace attuazione del piano e della sua idoneità, nonché a proporre la modifica dello stesso quando sono accertate significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell’organizzazione o nell’attività dell’amministrazione;
b) alla verifica, d’intesa con il dirigente competente, dell’effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento delle attività nel cui ambito è più elevato il rischio che siano commessi reati di corruzione;
c) ad individuare il personale da inserire nei programmi di formazione.
Il sistema impone dunque l’adozione di un vero e proprio «piano strategico» che preveda misure concrete contro la corruzione, calibrate sulle caratteristiche della singola P.A., per ridurre il rischio che il personale dell’ente ponga in essere reati contro la pubblica amministrazione favorendo i privati in cambio di vantaggi economici.
Alla luce di questo mutato contesto normativo non è più sufficiente, dunque, la predisposizione di meri documenti di valutazione del rischio[28].
E’ evidente l’influsso esercitato in questo settore dal modello di prevenzione della commissione dei reati da parte delle persone giuridiche, introdotto dal D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, che reca la "Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità"[29].
La legge 190/2012, infatti, ha estrapolato dal decreto sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche il sistema di esonero dalle responsabilità fondato sulla predisposizione di efficaci misure di prevenzione del rischio della commissione di reati di corruzione - e cioè l’adozione del piano triennale anticorruzione - nonché la prova della vigilanza sul funzionamento e sull’osservanza del piano.
Tuttavia i due modelli si distinguono riguardo all’imputazione della responsabilità atteso che il D.lgs. 231/2001 fa ricadere la responsabilità sull’ente stesso, mentre la legge 190/2012 ascrive la responsabilità per la "commissione di un reato di corruzione", ovvero per le "ripetute violazioni delle misure di prevenzione", al responsabile della prevenzione della corruzione, prevedendo in capo a costui una sorta di "colpa di organizzazione"[30], cui sono ricollegate diverse forme di responsabilità: in primis quelle dirigenziale e disciplinare, i cui presupposti sono valutati dagli organi di vertice della P.A. ed, infine, quella amministrativa patrimoniale, il cui accertamento spetta alla Corte dei Conti[31].
Da questa impostazione può ragionevolmente desumersi che la ratio delle norme anticorruzione scaturite dalla legge 190/2012 non sia solo quella di prevenire i singoli atti criminali, ma di evitare o contenere la propagazione degli effetti dannosi nei confronti dell’ente, imputando al responsabile della prevenzione detto danno.
Deve essere, in ogni caso, evidenziato che se la predisposizione di un efficace piano anticorruzione fa venir meno le responsabilità del dirigente preposto alla prevenzione, resta comunque ferma la responsabilità penale dell’autore del reato (o dei coautori, in caso di concorso di persone).
5. Le responsabilità erariali per i danni patrimoniali, da tangente, da disservizio e all’immagine del "dirigente preposto alla prevenzione della corruzione". - I numerosi doveri imposti dalla legge al responsabile della prevenzione della corruzione nel caso di realizzazione di un "reato di corruzione" espone costui a diverse forme di responsabilità: penale; disciplinare; dirigenziale e amministrativa - patrimoniale.
La responsabilità penale del preposto alla prevenzione della corruzione non è espressamente regolata dalla legge 190/2012, ma discende dalle disposizioni generali del codice penale in materia di concorso di persone (art. 110 c.p.c.).
Invero, secondo la giurisprudenza penale per rispondere del reato altrui è sufficiente aver fornito dolosamente al reo un contributo causale che abbia almeno agevolato la commissione del delitto (secondo la teoria della causalità agevolatrice)[32].
Alla stregua di questa impostazione il responsabile della prevenzione della corruzione potrà essere chiamato a rispondere del delitto solo in caso di concorso doloso con il concussore o il funzionario corrotto. La dottrina penalistica esclude infatti il concorso colposo nei reati dolosi altrui[33].
Pertanto, il responsabile della prevenzione non potrà essere chiamato a rispondere a titolo di concorso colposo con l’autore del reato di concussione o corruzione, nel caso in cui "colposamente" non abbia adottato un piano triennale di contrasto alla corruzione efficace[34].
Per quanto riguarda invece la responsabilità "amministrativa-patrimoniale" (definita anche "erariale" se pregiudica il patrimonio o le finanze dello Stato) – la quale sorge quando il dipendente pubblico o un soggetto legato alla pubblica amministrazione da un rapporto di servizio provochi un danno patrimoniale alla propria amministrazione o ad altro ente pubblico, agendo con dolo o colpa grave[35] - il responsabile della prevenzione che non abbia predisposto un piano anticorruzione ovvero non ne abbia predisposto uno idoneo o, ancora, non abbia inserito nei ruoli più a rischio di corruzione i dipendenti dotati della necessaria professionalità e privi di situazioni di conflitto di interesse e non ne abbia assicurato la rotazione, potrà essere chiamato a rispondere a titolo di concorso colposo nell’illecito amministrativo - patrimoniale perpetrato dal funzionario corrotto secondo lo schema della responsabilità parziaria, prevista dall’art. 1, comma 1 quater, della legge 14 gennaio 1994, n. 20. In virtù di tale disposizione la Corte dei Conti, valutate le singole responsabilità dei concorrenti, condanna ciascuno dei corresponsabili in base al proprio contributo oggettivo e soggettivo alla realizzazione del danno patrimoniale[36].
Ed invero la mancata predisposizione del piano o il suo mancato aggiornamento sarà sintomo di una inescusabile colpa di organizzazione (o colpa professionale) del responsabile per la prevenzione della corruzione che, secondo la giurisprudenza della Corte dei conti, integra il presupposto della colpa grave[37].
Accanto alla possibile responsabilità del dirigente per la lesione patrimoniale diretta subita dall’ente per effetto del reato, la legge 190/2012[38] ha prefigurato altresì un’autonoma fattispecie di danno all’immagine (analoga a quella ora prevista dall’art. 55 quinquies del D.lgs. 165/2001)[39], perseguibile dalla Corte dei Conti.
Questa fattispecie, in virtù della sua collocazione sistematica, va considerata svincolata dai limiti dai fissati dall’art. 17, comma 30-ter, del D.L. 1° luglio 2009, n. 78 (convertito con legge 3 agosto 2009, n. 102, c.d. "lodo Bernardo")[40] e dallo stesso art. 1, comma 62, della legge 190/2012.
L’art. 1, comma 12, della legge 190/2012 imputa la responsabilità per il danno all’immagine al dirigente preposto alla prevenzione della corruzione a prescindere dalla commissione di un reato contro la P.A. (o dall’accertamento del concorso con l’autore del delitto), fermi restando tutti gli altri presupposti della responsabilità amministrativa (nesso di causalità, rapporto di servizio, colpa grave) che, non ricevendo un’autonoma disciplina nella disposizioni in questione, devono essere determinati secondo la disciplina generale della responsabilità amministrativa[41].
Oltre alle predette fattispecie di danno, il responsabile per la prevenzione della corruzione potrà essere chiamato a rispondere anche del danno da disservizio, inteso come ridotta funzionalità del servizio a causa della pervasività del fenomeno corruttivo che impedisca, per un certo lasso di tempo, il normale e corretto espletamento delle attività previste dalla legge o dai regolamenti dell’ente o il raggiungimento dello scopo dell’attività pubblica[42].
6. Il danno erariale per la corresponsione di compensi in presenza atti di conferimento di incarichi pubblici nulli a soggetti in situazioni di "inconferibilità" o "incompatibilità". – Un’altra fonte di responsabilità erariale per il preposto alla prevenzione della corruzione può derivare dall’essere altresì responsabile ex lege delle disposizioni previste dal D.lgs. 8 aprile 2013, n. 39, in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni ai soggetti condannati per reati contro la pubblica amministrazione o provenienti da enti di diritto regolati o finanziati dalle pubbliche amministrazioni ovvero componenti di organi di indirizzo politico.
Il responsabile della prevenzione, infatti, non solo è tenuto a curare, anche attraverso le disposizioni del piano anticorruzione, che nell’amministrazione, ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico, siano rispettate le disposizioni del citato decreto sulla inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, ancorché contestato all’interessato l’esistenza o l’insorgere delle situazioni di inconferibilità o incompatibilità di cui al presente decreto, deve segnalare tempestivamente le violazioni delle disposizioni in discorso alla CIVIT, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato nonché alla Corte dei conti, per l’accertamento di eventuali responsabilità amministrative.
Nessun dubbio si pone sul fatto che il conferimento di un incarico pubblico ad un soggetto condannato per reati contro la pubblica amministrazione o proveniente da un ente di diritto privato regolato o finanziato da una P.A., ovvero componente di organi di indirizzo politico, in presenza di un divieto legale, determini non solo l’illegittimità dell’incarico, ma essendo espressamente sancita la nullità dell’atto di conferimento[43], renda indebiti i compensi erogati, con conseguente responsabilità amministrativa di chi ha conferito l’incarico stesso.
Invero, secondo la pacifica giurisprudenza contabile, il conferimento di incarichi a soggetti esterni all’amministrazione e le assunzioni poste in essere in violazione dei divieti legali, sono fonte di danno erariale[44] e la spesa conseguente a detti incarichi e assunzioni, in contrasto con i dettami normativi che prevedono limiti alle stesse, si sottrae a qualsivoglia "valutazione di utilità conseguito dall’ente locale a seguito della prestazione lavorativa contra legem"[45].
In questo contesto il responsabile della prevenzione potrà essere chiamato in giudizio dinanzi alla magistratura contabile quale corresponsabile del danno per "culpa in vigilando" (che dovrà sempre assumere il carattere della gravità), ove non abbia espletato i necessari controlli sul rispetto delle disposizioni del D.lgs. 39/2013, né contestato all’interessato l’insorgenza delle predette situazioni di incompatibilità e inconferibilità[46].
Il responsabile della corruzione risponderà invece in prima persona del danno qualora, a causa della mancata segnalazione alla Corte dei conti (prevista espressamente dall’art. 15 del D.lgs. 39/2013), si prescriva l’azione contabile volta all’accertamento della responsabilità amministrativa derivante dal conferimento di incarichi contra ius e dal pagamento dei relativi compensi[47].
7. Fattispecie specifiche di danno nel "decreto sulla trasparenza amministrativa". – Altre peculiari fattispecie di danno erariale si rinvengono nel decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, afferente il "Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni".
Il decreto in questione, infatti, dopo aver sancito che "la trasparenza" va intesa come "accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni", e che essa ha lo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali nonché sull’utilizzo delle risorse pubbliche, mostrando l’adesione del legislatore a quelle tesi dottrinali che hanno elaborato accanto al diritto all’informazione dei singoli, un vero e proprio interesse generale alla disponibilità delle informazioni da parte della collettività[48], ha disposto la pubblicità di tutti i documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ed affermato l’esistenza dei diritti di conoscenza, di accesso (civico) e di utilizzo di detti documenti da parte della collettività[49].
In questo quadro normativo l’art. 15 del D.lgs. 33/2013 ha stabilito l’obbligo di pubblicare i nominativi dei titolari di incarichi dirigenziali, di collaborazione e di consulenza, unitamente agli atti di conferimento dell’incarico, dei curricula vitae, dei compensi comunque denominati relativi al rapporto di lavoro, di consulenza e di collaborazione, con specifica evidenziazione delle componenti variabili della retribuzione, legate alla valutazione del risultato.
In caso di mancata pubblicazione dei dati relativi agli incarichi conferiti a soggetti estranei all’amministrazione, la legge vieta il pagamento di compensi agli stessi[50].
Tale divieto di corresponsione si desume dalla previsione secondo cui il pagamento del compenso fa sorgere la responsabilità del dirigente[51] che l’ha disposto, da accertarsi all’esito di un apposito procedimento disciplinare.
Ove sia ravvisata la responsabilità del dirigente che abbia autorizzato il pagamento, costui sarà passibile di una sanzione disciplinare "pari" all’ammontare dei compensi corrisposti.
La previsione del recupero del danno cagionato all’ente per il pagamento del compenso sotto forma di «sanzione pecuniaria», sembrerebbe delineare una peculiare fattispecie di danno erariale ad accertamento atipico, in cui il legislatore rimette l’accertamento della responsabilità, in una prima fase, alla stessa amministrazione attraverso il procedimento disciplinare, ma che non esclude, ove il procedimento disciplinare non venga attivato o la sanzione non sia applicata o venga ridotta, l’esercizio dell’azione di responsabilità da parte del Procuratore regionale della Corte dei Conti, sussistendo i presupposti stabiliti dall’art. 1 della legge 20/1994 (danno, rapporto di causalità tra il fatto ed il danno, dolo o colpa grave).
L’art. 15 del D.lgs. 33/2013, infatti, non sembra derogare alle attribuzioni delle Procure contabili, a tutela delle risorse pubbliche (art. 103, comma 2, Cost.), cui spetta la legittimazione straordinaria ad agire in giudizio a tutela dell’interesse pubblico e al perseguimento delle responsabilità dei pubblici funzionari[52].
In quest’ultimo caso, in sede contabile, potrebbe essere valutata sia la responsabilità patrimoniale del dirigente che ha pagato il compenso, sia quella di colui che doveva promuovere l’azione disciplinare -patrimoniale.
Per gli enti locali, l’omessa pubblicazione sul sito Internet dell’attribuzione di un incarico di consulenza, determina sicuramente la responsabilità amministrativa del dirigente preposto, ai sensi del disposto dell’art. 3, comma 54, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
L’art. 22, co. 4, del D.lgs. 33/2013, poi, vieta espressamente l’erogazione di finanziamenti ad enti pubblici, società, enti di diritto privato controllati e finanziati dall’amministrazione, in caso di mancata pubblicazione dei dati relativi agli enti medesimi.
In questa fattispecie normativa la pubblicità assume efficacia costitutiva della legittimazione al pagamento dei compensi.
Ne deriva che l’erogazione dei finanziamenti agli enti medesimi, in violazione con quanto stabilito dalla disposizione in esame, comporta un indebito esborso che costituisce un sicuro danno erariale.
Analogamente l’art. 26, comma 3, del D.lgs. 2013, prevede una fattispecie di danno erariale (il legislatore in questo caso designa la responsabilità erariale in tutte le sue sfaccettature come "amministrativa, patrimoniale e contabile"), derivante dalla omessa o incompleta pubblicazione dei criteri cui le amministrazioni devono attenersi per la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e del successivo pagamento dei medesimi contributi.
In questo caso la pubblicazione è espressamente configurata dal legislatore come una condizione legale di efficacia dei provvedimenti che dispongono dette concessioni e attribuzioni e, pertanto, condicio sine qua non per l’erogazione di somme di importo superiore a mille euro.
Negli articoli 22 e 26 del D.lgs. 33/2013, quindi, il Legislatore ha previsto due fattispecie tipiche di danno patrimoniale, derivanti dall’indebita erogazione di finanziamenti e sovvenzioni in mancanza della prescritta pubblicità, la cui responsabilità va imputata ai dirigenti secondo i criteri generali previsti dall’art. 1 della legge 20/1994.
La novella ha pure previsto che la mancata pubblicazione possa essere "rilevata d’ufficio dagli organi di controllo"[53].
Qualora poi l’inefficacia del provvedimento concessorio venga rilevata da altro soggetto interessato al contributo, può dar luogo ad un’azione risarcitoria ai sensi dell’art. 30 del D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, con conseguente danno patrimoniale indiretto in caso di condanna della P.A. al risarcimento nel giudizio amministrativo[54].
Infine, l’art. 46 del d.lgs. 33/2013, prevede una autonoma fattispecie di danno all’immagine, svincolata dal previo accertamento di un reato, derivante dalla violazione degli obblighi sulla trasparenza ovvero dalla mancata predisposizione del programma triennale per la trasparenza e l’integrità.
Si tratta da un danno all’immagine per «opacità dell’amministrazione» percepita dagli utenti come «non trasparente».
8. La nuova configurazione della «fattispecie generale» del danno all’immagine. – L’art. 1, comma 62, della legge 190/2012, ha novellato l’art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, aggiungendo, dopo il comma 1-quinquies, due nuovi commi che recitano:
«1-sexies. Nel giudizio di responsabilità, l'entità del danno all'immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente».
«1-septies. Nei giudizi di responsabilità aventi ad oggetto atti o fatti di cui al comma 1-sexies, il sequestro conservativo di cui all'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, è concesso in tutti i casi di fondato timore di attenuazione della garanzia del credito erariale».
Giova ricordare che la figura del danno non patrimoniale è stata elaborata dalla giurisprudenza civile, a conclusione di un laborioso percorso interpretativo teso a reinterpretare in chiave moderna l’art. 2059 c.c., disancorandolo dall’esclusiva connessione con l’art. 185 del codice penale, ed ha fruito dei risultati ermeneutici espressi nelle pronunce della Corte Costituzionale sul danno biologico.
In tal modo la giurisprudenza è giunta ad affermare la risarcibilità delle lesioni di interessi c.d. "areddituali", cioè non inerenti necessariamente alla salute individuale o collettiva, ma parimenti dotati di rilevanza costituzionale ai sensi dell’art. 2, tanto da essere ritenuti meritevoli di eguale tutela giurisdizionale.
Ritenuto che qualsiasi privazione e/o lesione di attività, che connotano in modo essenziale l’esistenza del danneggiato, possa dar luogo a risarcimento, ne è scaturita la nozione di danno esistenziale, definito come pregiudizio areddituale, non patrimoniale, tendenzialmente omnicomprensivo.
In tale ambito è stato collocato anche il "danno all’immagine", consistente, per le pubbliche amministrazioni, nella lesione del diritto alla propria identità personale, al proprio buon nome, alla propria reputazione e credibilità, in sé considerate, tutelato dall’art. 97 della Costituzione.
In particolare, la Corte di Cassazione ha statuito che la lesione del diritto della persona giuridica all’integrità della propria immagine è causa di danno non patrimoniale risarcibile, sia sotto il profilo della sua diminuita considerazione presso i consociati in genere (o presso coloro che operano in quei settori con i quali l’ente interagisce), sia sotto il profilo dell’incidenza negativa che la sminuita reputazione cagiona all’agire dei suoi organi[55].
La lesione dell’immagine della pubblica amministrazione si concretizza ogniqualvolta un soggetto legato da un rapporto di servizio con la Pubblica Amministrazione, ponga in essere un comportamento criminoso e sfrutti la posizione ricoperta per il soddisfacimento di scopi personali utilitaristici e non per il raggiungimento di interessi pubblici generali, così minando la fiducia dei cittadini nella correttezza dell’azione amministrativa, con ricadute negative sull’organizzazione amministrativa e sulla gestione dei servizi pubblici[56].
Questa opzione ermeneutica ha portato al superamento di quella, più risalente nel tempo, che, pur collocando il danno all’immagine nell’alveo del danno esistenziale, lo inquadrava normativamente non sotto l’egida dell’art. 2059 c.c., bensì dell’art. 2043 c.c., qualificandolo ugualmente quale danno-evento di natura non patrimoniale[57].
L’orientamento più recente delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, inaugurato a partire dalla nota sentenza 11 novembre 2008, n. 26972, ha ricostruito unitariamente la figura del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., negando carattere autonomo al danno cosiddetto esistenziale e ridimensionando la categoria del danno evento.
Sulla scorta di tale autorevole arresto giurisprudenziale la stessa Corte dei Conti, con la decisione della III Sezione Centrale d’Appello 9 aprile 2009, n. 143, pur avendo ritenuto i principi contenuti nella pronuncia della Suprema Corte non applicabili, immediatamente e autonomamente, al danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, si è soffermata sulla "nozione di danno all’immagine subito da un soggetto pubblico come danno patrimoniale da perdita di immagine, di tipo contrattuale, avente natura di danno conseguenza".
Questa opzione ermeneutica del danno all’immagine come danno non patrimoniale è stata fatta propria anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza 15 dicembre 2010, n. 335.
In ogni caso, la giurisprudenza pressoché unanime ritiene che la violazione del diritto all’immagine della Pubblica Amministrazione sia comunque economicamente valutabile, concretizzandosi in un onere finanziario che si ripercuote sull’intera collettività, spostando conseguentemente l’attenzione sulla sua quantificazione.
Invero la Corte di Cassazione, nella sentenza 2 aprile 2007, n. 8098, ha puntualizzato che il danno all’immagine "anche se non comporta apparentemente una diminuzione patrimoniale alla pubblica amministrazione, è suscettibile di una valutazione economica finalizzata al ripristino del bene giuridico leso"[58].
La risarcibilità del danno all’immagine della Pubblica Amministrazione costituisce ormai ius receptum nella giurisprudenza della Corte dei conti[59].
La stessa Corte dei Conti ha però ulteriormente precisato che la fattispecie dannosa non richiede la diffusione della notizia all’esterno della pubblica amministrazione, dando luogo al cosiddetto clamor o strepitus fori ovvero alla diffusione da parte degli organi di informazione, bastando che l’operato dell’autore dell’illecito abbia avuto eco tra gli impiegati del medesimo ente[60].
Pur essendo doveroso un principio di prova in ordine alla lesione all’immagine della P.A, la quantificazione del danno, pari idealmente all’ammontare delle spese necessarie al ripristino dell’immagine stessa[61], non può che avvenire in via equitativa ex art. 1226 c.c.[62]. In altri termini, non occorre che le spese siano già state sostenute, bastando la considerazione che la ricostituzione della reputazione dell’ente comporta comunque delle spese.
E’ stato infatti affermato che il danno all’immagine non sempre può essere esattamente quantificato in misura pari alle spese necessarie al ripristino del prestigio dell’ente pubblico, ma va astrattamente rapportato a tale ammontare "come un valore da determinare secondo l’apprezzamento del giudice ex art. 1226 c.c."[63].
In passato il criterio normalmente seguito dalla giurisprudenza contabile per la predetta quantificazione è stato quello di determinare il danno nella stessa misura delle somme percepite a titolo di tangenti da parte di pubblici dipendenti responsabili di concussione[64], ovvero, nei casi di maggiore gravità, ad un multiplo delle somme costituenti il profitto del reato[65].
L’art. 1, co. 62, della legge n.190/2012, novellando l’art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, attraverso l’inserimento nel corpo dell’articolo del nuovo comma "1-quinquies", ha stabilito che: "Nel giudizio di responsabilità, l’entità del danno all’immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salvo prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente".
Dunque, a ben guardare, la legge 190/2012 ha riformulato la fattispecie generale di danno all’immagine, precisando che:
a) il danno all’immagine è ipotizzabile in tutti i casi di reati contro la pubblica amministrazione, dunque, non solo quelli previsti dal titolo secondo del libro secondo del codice penale, come già previsto dall'art. 17 comma 30 ter, del D.L. 78/2009 (ad es. anche nei casi di truffa aggravata a danno dello Stato ex art. 640, comma 2 o 640 bis);
b) occorre che il reato sia stato accertato con sentenza passata in giudicato, ma non è più richiesta una sentenza di condanna stricto jure, per cui l’esercizio dell’azione risarcitoria dinanzi alla Corte dei Conti diviene possibile anche sulla scorta di una sentenza di patteggiamento (già ammessa da tempo da una consolidata giurisprudenza contabile)[66]e in presenza di una sentenza penale che abbia dichiarato la prescrizione del reato[67].
La norma, inoltre, ha predeterminato ex lege il pregiudizio non patrimoniale cagionato alla P.A., ovvero all’ente a prevalente partecipazione pubblica, in misura pari al doppio dell’importo del denaro o dell’utilità illecitamente percepita dal pubblico funzionario, salvo prova contraria che potrà essere fornita dal responsabile del danno, al fine di una sua attenuazione al di sotto dell’accennata misura legale, o dallo stesso Procuratore contabile, allo scopo di ottenere una condanna di importo più elevato nei casi di episodi di corruzione molto gravi.
Attesa la natura di norma processuale dell’art. 1, co. 62, della legge n.190/2012, avendo essa lo scopo di predeterminare l’ammontare del danno all’immagine agevolandone la prova, la citata disposizione deve ritenersi applicabile anche ai fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge stessa.
9. Le esimenti generali e quelle specifiche previste dalla normativa anticorruzione. - Nel giudizio contabile l’antigiuridicità del comportamento astrattamente idoneo ad integrare una fattispecie di responsabilità amministrativa patrimoniale può venire meno in presenza di determinate circostanze esimenti.
Sono esimenti a carattere generale la legittima difesa (art. 2044 c.c.); lo stato di necessità (art. 2045 c.c.): in questo caso l’indennità prevista a carico dell’agente resta a carico dell’amministrazione per mancanza di colpa grave (se il pubblico impiegato scappa dal terremoto senza portare con se il computer portatile a lui affidato dalla P.A. non sarà responsabile del danneggiamento dello stesso); il caso fortuito, che opera soprattutto sul terreno della responsabilità contabile sotto l’aspetto della impossibilità sopravvenuta che fa venir meno sia nesso di causalità che la colpa (art. 1218 c.c.); la forza maggiore ("vis cui resisti non potest"), che impedisce di ritenere responsabile, ad esempio, l’autista per il danneggiamento dell’auto di servizio colpita da un ramo caduto da un albero durante un improvviso temporale; l’esercizio di un diritto (ad. l’uso legittimo di armi da parte dell’agente non comporta responsabilità per il danneggiamento delle cose appartenenti a terzi); l’adempimento di un dovere (art. 51 c.p.).
Costituiscono invece esimenti tipiche della responsabilità erariale: l’osservanza dell’ordine del superiore, qualora esso non imponga la commissione di un reato (art. 18, D.P.R. 3/1957); il voto contrario o l’astensione, nel caso di partecipazione ad organi collegiali deliberanti (art. 1, co. 1 ter, della L. 20/1994); la buona fede dei rappresentanti degli organi politici (c.d. scriminanti politica, art. 1, co. 1-ter, ultimo periodo della L. 20/1994).
Nella cornice delle esimenti contabili deve essere collocata la previsione della legge 190/2012 che esclude la responsabilità del preposto alla prevenzione della corruzione nel caso di realizzazione dei reati di concussione e corruzione da parte del personale dell’ente, ove costui abbia predisposto efficaci misure di prevenzione del rischio della commissione di tali reati - e cioè abbia predisposto il piano triennale anticorruzione facendo quanto possibile per l’adozione dello stesso da parte dell’organo politico - e sia in grado di provare di aver vigilato sul funzionamento e sull’osservanza del piano[68].
Tuttavia, se la predisposizione di un efficace piano anticorruzione fa venir meno la responsabilità del dirigente preposto alla prevenzione, resta ferma la responsabilità penale dell’autore del reato (o dei diversi correi in caso di concorso di persone).
Non hanno efficacia esimente, invece, i pareri resi dalla CIVIT ai sensi dell’art. 1, co. 2, L. 190/2012. Questi pareri, infatti, a prescindere dall’autorevolezza dell’organo, non possono incidere sull’antigiuridicità di un determinato comportamento la cui valutazione spetta, a seconda dei casi, alla Procura della Repubblica o alla Procura della Corte dei conti, ma possono contribuire ad attenuare la responsabilità amministrativa, come i pareri resi ai comuni dall’ANCI, ritenuti in grado di diminuire la colpa dell’autore del danno[69].
10. Conclusioni. A conclusione di questa disamina dell’impatto delle nuove norme anticorruzione nel sistema della responsabilità amministrativa patrimoniale, si può rilevare come il legislatore abbia inteso prevenire i fenomeni di corruzione, chiamando a rispondere chi li realizza non solo sul piano penale, ma anche sul piano patrimoniale.
A questo scopo, come visto, il Legislatore ha previsto alcune fattispecie tipizzate di illecito erariale che si rapportano alla norma generale che sancisce la responsabilità amministrativa (art. 1, legge 20/1994) nel senso di ricavare dalla stessa i presupposti fondanti della responsabilità amministrativa, alla stregua di quanto stabilito dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti nella sentenza 12/2011.
In pratica, se si eccettua la fattispecie di responsabilità ad accertamento atipico contenuta nell’art. 15 del D.lgs. 33/2013, le fattispecie speciali non sembrano derogare alle regole dettate dall’art. 1 della legge 20/1994 per l’accertamento della responsabilità amministrativa.
Se la legge sarà idonea ad imprimere una svolta nel contrasto effettivo della corruzione per far risalire il nostro Paese rispetto alla posizione risultante dall’ultimo rapporto di Trasparency International, è difficile dire.
Tuttavia, la legge 190/2012, rappresenta un testo fondamentale per il futuro della pubblica amministrazione. Quest’ultima, in un momento storico cosi difficile, è chiamata a rafforzare il suo ruolo nella società e a ricostruire quella fiducia che molti cittadini hanno perso nei confronti delle istituzioni, anche a causa dell’alto livello di corruzione.
Inoltre, rappresenta un nuovo paradigma dell’azione amministrativa e una importante occasione per rinnovare e modernizzare l’azione della pubblica amministrazione, attraverso una maggiore responsabilizzazione dei diversi attori, che non si limiti solo ad attribuire ulteriori oneri ai funzionari e dirigenti pubblici, ma che permette una redistribuzione di responsabilità e quindi di potere.
Si può affermare che, la legge 190 rappresenta non un punto d’arrivo definitivo, ma un punto di partenza, e pertanto, sarà compito del legislatore intervenire sugli eventuali limiti e criticità che questa normativa potrebbe presentare.
Un primo profilo critico, per esempio, potrebbe essere connesso al rapporto fiduciario tra il sindaco/presidente e il segretario dell’ente, che appare poco idoneo a garantite l’imparzialità e l’indipendenza del Segretario, in qualità di responsabile della corruzione.
In questo senso le soluzioni potrebbero essere due: o avviare un ripensamento del ruolo e del sistema di nomina del segretario oppure attribuire il potere di nomina del responsabile al Consiglio, quale organo di controllo e di garanzia.
Qualunque sia la scelta, sarà compito del legislatore intervenire per chiarire il quadro.
Un secondo punto critico da considerare è sicuramente quello relativo alla risorse. La lotta alla corruzione non è una lotta sostenibile a «costo zero», ma implica numerosi costi che producono effetti nel lungo periodo, sia diretti che indiretti. Sarà pertanto necessario chiarire quali siano le risorse utilizzabili al fine di attuare la normativa anticorruzione.
Infine, sarà necessario che il Legislatore torni anche sul tema della responsabilità del Responsabile, al fine di dare effettiva attuazione alle norme anticorruzione.
La responsabilità dirigenziale, proprio per i limiti alla sua applicabilità e ai suoi scarsi effetti dirimenti, non costituisce un forte deterrente alla mancata attuazione degli obblighi derivanti dalla normativa anticorruzione.
Pertanto, sarà necessario ripensare anche il sistema delle responsabilità, rafforzando probabilmente, anche alla luce del nuovo codice di condotta recentemente approvato, la sfera della responsabilità disciplinare[70] come leva ulteriore per promuovere l’effettiva implementazione della normativa anticorruzione.
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[1] Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 13 novembre 2012, n. 265.
[2] In particolare, il GRECO (Groupe d'Etats contre la Corruption) del Consiglio d’Europa, il WGB (Working Group on Bribery) dell’OCSE e l'IRG (Implementation Review Group) per l'implementazione della Convenzione contro la corruzione delle Nazioni Unite.
[3] L’ultimo rapporto di Transparency International colloca l’Italia a pari merito con Bosnia – Erzegovina e São Tomé quanto a corruzione percepita nel settore pubblico e nella politica, in 72esima posizione su 174 nazioni, con uno scivolamento di tre posti rispetto al precedente rapporto.
[4] Vannucci A., Un nuovo paradigma contro la corruzione, cit., pag. 423
[5] Per maladministration si intende una serie di fenomeni che "vanno dai ritardi nell’espletamento delle pratiche, alla scarsa attenzione alle domande dei cittadini, al mancato rispetto degli orari di lavoro, fino alle stesse modalità di trattare le persone senza il dovuto rispetto e la necessaria gentilezza". In tal senso cfr. Cassese S., "Maladministration" e rimedi, in Foro italiano, 1992, V, 243; Cerulli Irelli V., Etica pubblica e disciplina delle funzioni amministrative, in La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, (a cura di) F. Merloni e L. Vandelli, Firenze, 2010, 92; Mattarella B. G., Recenti tendenze legislative in materia di prevenzione della corruzione, in www.masterprocurement.it , 2012, 1.
[6] Ivi, pag. 1.
[7] Ratificata con la legge 3 agosto 2009, n. 116 (in Gazz. Uff., 14 agosto 2009, n. 188).
[8] Ratificata con la legge 28 giugno 2012, n. 110 (in Gazz. Uff., 26 luglio.
[9] Cfr. Fiandaca G., Esigenze e prospettive di riforma dei reati corruzione e concussione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, II, p. 885 secondo il quale la corruzione ha raggiunto una dimensione sistemica, cioè è diventata «prassi stabile e strutturata, rete istituzionalizzata di relazioni e scambi illeciti, coinvolgente – pur secondo modelli diversi – un po’ tutti i gruppi sociali, dalle elites ai comuni cittadini impegnati in piccole attività di routine». In termini preoccupanti si esprime anche la Relazione orale del Presidente della Corte dei Conti dott. Luigi Giampaolino, Roma 5 febbraio 2013, p. 9, in www.corteconti.it: «la natura sistemica della corruzione ha comportato un ingigantimento del bene giuridico offeso e una rarefazione del contenuto di disvalore dei singoli comportamenti di corruzione. In effetti, la corruzione sistemica, oltre al prestigio, all’imparzialità e al buon andamento della pubblica amministrazione, pregiudica, da un lato, la legittimazione delle Pubbliche Amministrazioni, e, dall’altro (…) l’economia della Nazione».
[10] In posizione peggiore del Botswana (30), del Rwanda (49), della Namibia (57) e del Ghana (63). In Europa solo la Romania, la Bulgaria (77) e la Grecia (80) hanno conseguito un punteggio peggiore dell’Italia. Si veda http://cpi.transparency.org/cpi2013/results/
[11] Antolisei, F. Manuale di diritto penale, cit., p. 271 ss. e Fiandaca G. – Musco E., Diritto penale, Parte Speciale, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 153 ss.
[12] Fiorino N. - Galli, E. La corruzione in Italia, cit., p. 83.
[13] Come ha affermato l’ex Presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino, il nostro Paese ha urgente bisogno di un "ritorno all'etica del rispetto del denaro pubblico e delle funzioni di [13]interesse pubblico". Relazione del Procuratore Regionale Antonio Caruso per l’inaugurazione dell'anno giudiziario 2013 della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Lombardia.
[14] Relazione presentata dal Procuratore Generale della Corte dei Conti, Salvatore Nottola, per la cerimonia di apertura dell’anno giudiziario 2013, reperibile sul sito www.corteconti.it
[15] Sulla scorta di quanto disposto dall’art. 6 della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall'Assemblea generale dell’Onu il 31 ottobre 2003 (ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116) ed in attuazione degli artt. 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione, adottata a Strasburgo il 27 gennaio 1999 (ratificata con legge 28 giugno 2012, n. 110).
[16] Sarcone V., La trasparenza amministrativa: da principio a diritto, in AA. VV., Il contrasto al fenomeno della corruzione nelle amministrazioni pubbliche. Commento alla legge 190/2012 e decreti attuativi, Roma, 2013, p. 65 ss.
[17] Si veda al riguardo quanto stabilito dal D.lgs. 8 aprile 2013, n. 39.
[18] Art.1, co. 75, L. 190/2013.
[19] Art.1, co. 75, L. 190/2013.
[20] Così Severino P., La nuova legge anticorruzione, in Dir.pen. proc., 1/2013, p. 7 ss. Ed invero secondo la Cassazione "l’induzione, richiesta per la realizzazione del delitto previsto dall'art. 319 quater cod. pen. (così come introdotto dall'art. 1, comma 75 della legge n. 190 del 2012), necessita di una pressione psichica posta in essere dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio che si caratterizza, a differenza della costrizione, che integra il delitto di concussione di cui all'art. 317 cod. pen., per la conservazione, da parte del destinatario di essa, di un significativo margine di autodeterminazione o perché la pretesa gli è stata rivolta con un'aggressione più tenue o in maniera solo suggestiva ovvero perché egli è interessato a soddisfare la pretesa del pubblico ufficiale, per conseguire un indebito beneficio". In questi termini Cass., Cass. pen., Sez. VI, 8 maggio 2013, n. 20428 nonché Cass. pen., Sez. VI, 25 febbraio 2013, n. 11944.
[21] Si veda l’art.1, co. 51, che ha inserito nel corpo del D.lgs. 30 marzo 2001, n.165, l’art. 54 bis.
[22] Pasqua S., Introduzione al volume, AA.VV., Il contrasto al fenomeno della corruzione nelle amministrazioni pubbliche, Commento alla legge 190/2012 e decreti attuativi, cit., p. 65 ss.
[23] Vitullo V., L’autorità nazionale anticorruzione. Organizzazione, compiti e poteri. Il ruolo del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in AA. VV., Il contrasto al fenomeno della corruzione nelle amministrazioni pubbliche. Commento alla legge 190/2012 e decreti attuativi, cit., p. 19 ss. nonché Sarcone V. - Tartaglione M. - Vitullo V., La stesura dei piani triennali di prevenzione della corruzione nelle aziende del servizio sanitario nazionale. Sintesi delle principali indicazioni operative, p. 6 ss., in www.amministrativamente.com.
[24] Cfr. art. 1, comma 7, L. 190/2012.
[25] Art. 43, D.lgs. 33/2013.
[26] Art. 15, D.lgs. 39/2013.
[27] Art.1, co. 8, ultimo periodo, L. 190/2013.
[28] Merloni F., I piani anticorruzione e i codici di comportamento, cit., p. 9.
[29] Il D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 ha introdotto una forma di responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato: gli enti possono essere forniti di personalità giuridica, ovvero, essere associazioni che ne siano prive. Sono esclusi dalla responsabilità lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli enti pubblici non economici e quelli che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (art. 1). In pratica l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a). Tra i reati che possono essere imputati all’ente vanno ricordati quelli di indebita percezione di erogazioni pubbliche, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico (articoli 316-bis, 316- ter, 640, comma 2, n. 1, 640-bis e 640-ter del codice penale, se commesso in danno dello Stato o di altro ente pubblico). L'ente non risponde del reato solo se le persone che hanno commesso il reato (legali rappresentanti amministratori) abbiano agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi, oppure dimostri di aver adottato, prima della commissione del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei, secondo criteri previamente indicati dal legislatore, a prevenire reati della specie di quello verificatosi nonché la predisposizione di un organo dotato di autonomi poteri di controllo deputato a vigilare sul funzionamento di tale modello organizzativo e che tali controlli sono stati elusi fraudolentemente.
[30] Merloni F., I piani anticorruzione e i codici di comportamento, cit., p. 10 ss.
[31] Cfr. art. 1, commi 12, 13 e 14, L. 190/2012.
[32] Cfr. ex multis Cass. pen., Sez. VI, 22 maggio 2012, n. 36818; Cass. pen., Sez. IV, 22 maggio 2007, n. 24895. La teoria della causalità agevolatrice è ben descritta da Mantovani F., Diritto penale, Padova, 2000, p. 539 ss.
[33] Mantovani F., Diritto penale, cit., p. 551.
[34] Quali sono tipicamente i delitti di corruzione e concussione. Così Orefice M., La responsabilità connessa alla realizzazione del piano anticorruzione: le modifiche alla legge 14 gennaio 1994, n. 20, Relazione tenuta al convegno di Varenna, 19-21 settembre 2013.
[35] Si rinvia all’approfondito studio di Pisana S. M., La responsabilità amministrativa, p. 22 ss. In argomento si vedano anche Tenore V., in AA. VV., La nuova Corte dei Conti, Milano, 2013, p. 27 ss. e Schiavello L., Responsabilità contabile, in Enc. dir., Vol. XXXIX, Milano, 1988, p. 1381 ss.; Sandulli A. M., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1988, p. 311 ss.; Bennati A., Manuale di contabilità di Stato, Napoli, 1990, p. 759 ss.
[36] Sulle implicazioni, anche processuali della responsabilità parziaria, si rinvia a C. Conti, Sez. Riunite, 31 ottobre 2003, n. 18/QM.
[37] Cfr. Corte dei Conti, Sez. Lazio, 6 aprile 2011, n. 572.
[38] Art. 1, co. 12, L. 190/2012.
[39] Articolo 55-quinquies "False attestazioni o certificazioni": 1. Fermo quanto previsto dal codice penale, il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustifica l’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 400 ad euro 1.600. La medesima pena si applica al medico e a chiunque altro concorre nella commissione del delitto. 2. Nei casi di cui al comma 1, il lavoratore, ferme la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni, è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno all’immagine subiti dall’amministrazione.
[40] La disposizione richiamata disponendo che: "Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97" secondo l’interpretazione della Consulta avrebbe vincolato la perseguibilità del danno all’immagine da parte delle Procure della Corte dei conti ai soli casi di previo accertamento definitivo della responsabilità penale per uno dei reati tipici dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, di cui al Libro II, Titolo II, Capo I del Codice penale (artt. 314-335). Ed invero la Corte Costituzionale nella sentenza 15 dicembre 2010, n. 355, ha statuito che non vi è dubbio che la formulazione dell’art. 17, comma 30 ter, del D.L. 78/2009 "non consente di ritenere che, in presenza di fattispecie distinte da quelle espressamente contemplate dalla norma impugnata, la domanda di risarcimento del danno per lesione dell'immagine dell'amministrazione possa essere proposta innanzi ad un organo giurisdizionale diverso dalla Corte dei conti, adita in sede di giudizio per responsabilità amministrativa ai sensi dell'art. 103 Cost.. Deve, quindi, ritenersi che il legislatore non abbia inteso prevedere una limitazione della giurisdizione contabile a favore di altra giurisdizione, e segnatamente di quella ordinaria, bensì circoscrivere oggettivamente i casi in cui è possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione dell’immagine dell'amministrazione imputabile a un dipendente di questa". Per la risarcibilità del danno all’immagine anche in presenza di reati diversi da quelli propri dei pubblici ufficiali previsti Libro II, Titolo II, Capo I, in base alla considerazione che le sentenze di rigetto della Consulta sono prive di efficacia nomofilattica e non sono in grado di attribuire alla norma una illimitata "patente di costituzionalità" si vedano Corte dei Conti, Sez. I App., 11 luglio 2013, n. 514 e Corte dei Conti, Sez. I App., 14 dicembre 2012, n. 809.
[41] Si veda, in proposito, Corte dei conti, Sez. Riunite, 23 aprile 2003 n.10/QM. In dottrina Tenore V., in AA. VV., La nuova Corte dei Conti, cit., p. 192 ss.
[42] Cfr., ex multis, Corte dei Conti, Sez. I App., 15 dicembre 2011, n. 561; Corte dei Conti, Sez. Veneto, 13 giugno 2011, n. 382; Corte dei Conti, Sez. I, 19 febbraio 2010, n. 103.
[43] Si veda l’art. 17, D.lgs. 39/2013.
[44] In questi termini Corte dei Conti, Sez. I App., 23 marzo 2012, n. 14 e Corte dei Conti, Sez. Giurisdiz. Lazio, 30 aprile 2010, n. 976.
[45] Così Corte dei Conti, Sez. Riunite, 22 maggio 1997, n. 65 e Corte dei Conti, Sez. Giurisdiz. Lazio, 22 luglio 2008, n. 1216.
[46] Sulla culpa in vigilando cfr. Corte dei Conti, Sez. II App., 1 febbraio 2013, n. 41.
[47] Art. 53, comma 3, R.D. 12 luglio 1934, n. 1214.
[48] Art. 53, comma 3, R.D. 12 luglio 1934, n. 1214.
[49] Sul punto, anche per ulteriori indicazioni bibliografiche, si rinvia a Sarcone , V. La trasparenza amministrativa: da principio a diritto, in AA. VV., Il contrasto al fenomeno della corruzione nelle amministrazioni pubbliche., Commento alla legge
190/2012 e decreti attuativi, cit., p. 69.
[50] Art. 15, commi 2 e 3, D.lgs. 33/2013.
[51] L’art. 15 del D.lgs. 33/2013, parla di accertamento della responsabilità all’esito del procedimento disciplinare, configurando una sorta di responsabilità disciplinare per illeciti di natura amministrativo patrimoniale, riservati alla giurisdizione contabile.
[52] In questi termini Corte Cost. 5 marzo 1971, n. 68, in Foro Amm., 1971, I, 2, p. 89 ss. nonché più recentemente Corte dei Conti, Sez. I App., 14 dicembre 2012, n. 809.
[53] Per i dirigenti il potere di controllo degli atti dell’Ufficio è espressamente previsto dall’art. 17, D.lgs. 165/2001.
[54] Sui presupposti per l’esercizio dell’azione risarcitoria nel processo amministrativo si rinvia a Saitta N., Sistema di giustizia amministrativa, Milano 2011, p. 47 ss. e Chieppa R. – Giovagnoli R., Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2012, p. 918 ss.
[55] Cfr. Cassazione, Sez. III civile, 4 giugno 2007, n. 12929.
[56] In tal senso Corte dei conti, Sez. Lombardia, 16 febbraio 2011, n. 208; Corte dei conti, Sez. Sicilia, 31 maggio 2011, nn. 2189; Corte dei conti Sez. Sicilia, 30 maggio 2011, n. 2160.
[57] Tesi cui aveva aderito la giurisprudenza contabile sulla scorta di quanto statuito dalle Corte dei conti, Sez. Riunite, 23 aprile 2003 n.10/QM.
[58] Negli stessi termini Cass. civ., Sez. Unite, 25 ottobre 1999, n. 744; Cass. civ., Sez. Unite, 4 aprile 2000, n. 98; Cass. civ., Sez. Unite, 15 luglio 2005, n. 14990; Cass. Civ.,Sez. Unite, 20 giugno 2007, n.14297.
[59] Si vedano Corte dei conti, Sez. Lombardia, 24.03.1994, n.31; Corte dei conti, Sez. I App., 7 marzo 1994, n.55; Corte dei conti, Sez. II App., 27 aprile 1994, n. 114; Corte dei conti, Sez. Umbria, 10 febbraio 1995, n.20; Corte dei conti, Sez. Umbria, 23 maggio 1995, n. 211; Corte dei conti, Sez. Lombardia, 12 gennaio 1996, n.133; Corte dei conti, Sez. Sardegna, 14 aprile 1997, n.372; Corte dei conti, Sez. Campania, 23 aprile 1998, n.29; Corte dei conti, Sez. I App., 28 aprile 1998, n.10; Corte dei conti, Sez. II App., 13 ottobre 1998 n.207; Corte dei conti, sez. Sicilia, 4 maggio 1998, n.179; Corte dei conti, Sez. Umbria, 28 maggio 1998, n.628; Corte dei conti, Sez. Piemonte, 7 giugno 1999, n.1041; Corte dei Conti, SS.RR., 28 maggio 1999, n.16/QM; Corte dei Conti, Sez. Lombardia, 15 dicembre 1999 n.1551; Corte dei Conti, Sez. Lombardia, 18 maggio 2000, n.672; Corte dei conti, sez. I App., 25 marzo 2002 n.96; Corte dei conti, Sez. Lazio, 25 febbraio 2003 n. 439; Corte dei Conti, SS.RR., 23 aprile 2003 n.10/QM; Corte dei conti, Sez. III App., 10 settembre 2003, n. 392; Corte dei conti, Sez. II App., 26 gennaio 2004, n. 27; Corte dei conti, Sez. I App., 10 febbraio 2004, n. 49; Corte dei conti, Sez. Lombardia, 10.2.2004, n.433; Corte dei conti, Sez. I, 21 marzo 2007, n. 66; Corte dei conti, Sez I App., 21 giugno 2007, n. 173; Corte dei conti, Sez. II App., 10 luglio 2007, n. 231; Corte dei conti, Sez. I App.,
7 maggio 2008 n. 202 e Corte dei conti, Sez. I App., 24 febbraio 2009 n. 97.
[60] Sul punto v. Corte dei conti, Sez. II App., 28 settembre 2011 n.443; Corte dei conti, sez. Lombardia, 3 maggio 2012 n. 247.
[61] Cfr. Cass. Civ., Sez. Unite, 25 giugno 1997, n. 5668.
[62] Ex multis Corte dei conti, Sez. Lombardia, 16 agosto 2012, n. 378; Corte dei conti, Sez. Lombardia, 16 agosto 2012, n. 376; Corte dei conti, Sez. Lombardia, 30 maggio
2012, n. 314; Corte dei conti, Sez. Lombardia, 3 maggio 2012 n.247; Corte dei conti, sez. Lombardia, 20 febbraio 2012, n.96; Corte dei conti, SS.RR., 23 aprile 2003 n.10/QM.
[63] Così Corte dei conti, sez. Lombardia, 22 agosto 2012, n. 380.
[64] Cfr., ad esempio, Corte dei conti, Sez. II App., 9 ottobre 2003, n. 285)
[65] Cfr. Corte dei conti, sez. Lombardia, 20 febbraio 2012, n.9.
[66] Ex multis, Corte dei conti, Sez. Lombardia, 16 agosto 2012, n. 378; Corte dei conti, Sez. Lombardia, 16 agosto 2012, n. 376; Corte dei conti, Sez. Lombardia, 30 maggio
2012, n. 314; Corte dei conti, Sez. Sicilia, 30 maggio 2011, n. 2160; Corte dei conti, Sez. Piemonte, 13 gennaio 2011, n. 11; Corte dei conti, Sez. Piemonte, 11 febbraio 2010, n. 25; Corte dei conti, Sez. Piemonte, 23 marzo 2009, n. 65; Corte dei conti, Sez. Lombardia, 29 dicembre 2008, n.986; Corte dei conti, Sez. Lombardia, 25 novembre 2008, n.835; Corte dei conti, Sez. I App., 14 gennaio 2008, n.24; Corte dei conti, Sez. I App., 16 settembre 2008, n.404; Corte dei conti, Sez. I App., 21 giugno 2004, n. 224; Corte dei conti, Sez. I App., 07 gennaio 2004, n.3; Corte dei conti, Sez. Lazio, 10 marzo 1999, n. 157; Corte dei conti, Sez. Friuli, 19 gennaio 1999, n. 6.
[67] Cfr. Corte dei conti, Sez. Campania, 23 agosto 2013, n. 287.
[68] Art. 1, comma 12, L. 190/2012.
[69] Sull’efficacia dei pareri ANCI si veda Corte dei conti, Sez. Lazio, 3 marzo 2008, n. 1216.
[70] Barrera P., La responsabilità disciplinare dei dipendenti pubblici, in Merloni e Vandelli, La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, Passigli ed. e Astrid, 2010.