Pubbl. Gio, 31 Ott 2019
La misericordia canonica: un´istanza eccedente performativa
Modifica paginaLa misericordia canonica è l’autentico punto nodale da cui ripartire per performare il concetto di giustizia, transitando dall’astrattezza della norma alle singole persone. Così intesa la misericordia tiene unita la concretezza della persona (christifideles) e il suo agire.
Sommario: 1. La misericordia canonia; 2. Un'istanza "eccedente"; 3. "Performare"; 4. Conclusioni
1. La misericordia canonica
Misericordia divina e diritto della Chiesa
Dio ha manifestato la sua bontà mediante la creazione, volendo che l’uomo potesse compartecipare la sua felicità; dunque, l’opera di redenzione, di “ri-creazione”, riflette un aspetto della sua bontà: la sua “eccedente” misericordia. Quest’ultima è il grande attributo di Dio in ragione del quale perdona gli uomini. Come virtù umana apre il cuore dell’uomo alla compassione del dolore altrui. È un grado eccelso di giustizia che parte dalla situazione di ciascun fedele cristiano, tenendo in considerazione la propria natura umana peccatrice, per la quale la Chiesa desidera e cerca la salvezza.
La misericordia modera la giustizia ed è intrinsecamente unita alla compassione, infatti, accentua il concetto di “patire con”, diversamente dalla giustizia che risalta la volontà di soccorrere alle necessità. Etimologicamente significa un cuore che sa aprirsi alla miseria, ovvero la disposizione di accudire chiunque si trova nella necessità, essere sensibili verso la carenza umana. La misericordia, in quanto tale, non distrugge la giustizia, ma al contrario, diviene sua piena perfezione.
San Tommaso nel contesto del discorso sulla giustizia sottolinea a questo proposito che, in Dio non ci può essere alcuna contraddizione tra giustizia e misericordia, perché “Dio è misericordioso, non perché compie qualcosa contro la sua giustizia, ma perché egli va oltre la giustizia, come nel caso di un creditore al quale sono dovuti cento denari; se questi di propria iniziativa concede al debitore duecento denari, questo tale non va contro la giustizia, ma è semplicemente generoso e misericordioso. (...) Ne consegue che la misericordia non prescinde dalla giustizia, ma che essa è in un certo senso pienezza della giustizia” [1].
Nel rapporto tra giustizia e misericordia, S. Tommaso stabilisce così che la misericordia va al di là di quanto la giustizia esige, e in questo modo la supera portandola a pienezza. É in questo senso che possiamo parlare di virtù “eccedente” rispetto la stessa giustizia, «una capacità di Dio e dell'uomo di superare un limite, per essere quindi “eccedente” nell’incontro con l’altro, per “strutturare lo spazio e il tempo, ogni spazio e ogni tempo, come luoghi e momenti dell’avvento di Dio» [2].
Infine, la misericordia in San Tommaso è vista come “la somma della religione cristiana” in riferimento alle opere concrete di misericordia, perché essa nasce dall’impulso interiore dell’amore per Dio. Le opere di misericordia vengono così nutrite e motivate dall’amore di Dio, in modo che la misericordia porta ad un esser-come-Dio interiore. L’atteggiamento interiore di misericordia, infine, porta uno ad esser-simile-a-Dio anche per quanto riguarda il suo comportamento nei confronti delle persone.
La misericordia in questo senso è innanzitutto, non un atteggiamento etico, ma piuttosto una questione di fede, perché risponde alla domanda “a quale Dio” uno crede. Ma questa fede si rivela anche profondamente pratica, in quanto essa non può fare a meno della testimonianza concreta della misericordia. Il processo per diventare simili a Dio non si esaurisce in una pura interiorità, ma caratterizza tutto il comportamento e le azioni di una persona, diviene stile di vita. La misericordia è un atto di amore verso Dio e al tempo stesso una esigenza di giustizia verso l’uomo. Si tratta di un’espressione di amore, senza la quale ogni giustizia è difficile.
Nel commento a Mt 5,7, “Beati i misericordiosi, poiché otterranno misericordia” San Tommaso spiega: “La giustizia senza la pietà conduce alla crudeltà, la misericordia senza giustizia invece porta alla dissoluzione dell’ordine” [3]. Per la creazione e il mantenimento di un ordine sociale e, quindi, per raggiungere un buon livello di convivenza umana, c’è bisogno sia di giustizia che di misericordia.
Il diritto canonico è impregnato di questa misericordia ed è strumento “legale” del quale la Chiesa si serve per la salvezza delle anime (c. 1752).
Virtù “eccedente”, carità, clemenza ed equità
Nella Evangelii Gaudium (EG) Papa Francesco cita San Tommaso d’Aquino, che ha definito la misericordia come la “più grande delle virtù”. Il contesto di questa citazione nella EG è il tema della gerarchia delle verità in materia di fede e di morale. Anche in quest’ultima vi è infatti una gerarchia delle virtù e delle azioni che ne derivano. San Tommaso considera la misericordia come la più alta delle virtù, poiché testimonia la fede nella misericordia e nell’amore di Dio (Cfr. EG, 37).
Seguendo questa strada già battuta e lunga, si può affermare che la misericordia è virtù “eccedente” che come tale va oltre la carità, la clemenza e l’equità. Infatti, la misericordia si distingue dalla carità, che cerca l’unione ed è in continua tensione verso l’oggetto amato. La misericordia, invece, è oltre la carità, nel senso che, muove il cuore dell’uomo a chinarsi sulla miseria umana per alleviarne il dolore, rendendo possibile il perdono e l’accoglienza dell’altro così com’è. Inoltre, la misericordia non fu imposta come mandato, mentre la carità sí; ancora, la misericordia è operativa soltanto rispetto al prossimo. La virtù della carità si riferisce innanzitutto a Dio, il quale dev’essere amato sopra ogni cosa e al prossimo che dev’essere amato come se stessi.
La misericordia, si differenza dalla clemenza, che di fronte all’applicazione di una pena, modera il rigore della giustizia e inclina a mitigare la facoltà di castigare. Dunque, la misericordia è molto più ampia; prende in considerazione l’uomo in tutti i suoi aspetti e non solo per il castigo che meritano i suoi delitti.
Ulteriormente, la misericordia si differenzia dall’equità che colma il vuoto legale di quelle situazioni che la legge, dato il suo carattere generale, non è stata in grado di prevedere e che, se applicata così come proposta dal legislatore, porterebbe a palesi ingiustizie. L’equità non mitiga il rigore della legge, perché semplicemente non la applica, ma risulta essere una prudente correzione della giustizia legale nel caso concreto.
La misericordia è intimamente vincolata alla salvezza dell’uomo ed strumento per la sua realizzazione. Proprio per tale motivo, l’autentico diritto ecclesiale è misericordioso, si china a riscattare chi cade nell’errore per liberarlo dalla schiavitù, desiderando la conversione del suo cuore a Dio per ottenere la grazia del perdono [4].
“La giustizia da sola non basta, anzi, può condurre alla negazione e all’annientamento di sé stessa, se non si consente a quella forza più profonda, che è l’amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni. È stata appunto l'esperienza storica che, fra l’altro, ha portato a formulare l’asserzione: sommo diritto, somma ingiustizia (summum ius, summa iniuria). Tale affermazione non svaluta la giustizia e non attenua il significato dell’ordine che su di essa si instaura; ma indica solamente, sotto altro aspetto, la necessità di attingere alle forze dello spirito, ancor più profonde, che condizionano l’ordine stesso della giustizia” (Dives in misericordia, 12).
2. Un'istanza "eccedente"
·La misericordia nel diritto antico e nel CIC
Nel 1095 Ivo di Chartres sviluppa nel suo Prólogo un breve trattato sulla misericordia, dove afferma che la salvezza delle anime è il principio fondamentale sul quale si basano le norme canoniche. La legge può essere addolcita dalla carità ogni qual volta che le circostanze lo suggeriscono senza imporre pesanti carichi che ostacolano il suo raggiungimento ultimo. Giustizia e misericordia non si contrappongono tra loro; Dio stesso è la vera misericordia e l’autentica giustizia. É proprio dei giudici, tenendo in considerazione la salvezza delle anime come finalità ultima della legge, usare in un caso la severità e nell’altro l’indulgenza. Il rigore della legge deve essere temperato dalla misericordia [5].
Alcuni decenni più tardi, Algéro di Liegi, scrive il Liber de misericordia et iustitia, dove, seguendo la prospettiva iniziata da Ivo di Chartres cerca di offrire una soluzione circa la risoluzione dei conflitti proponendo una chiara distinzione nell’applicazione della norma, in un caso seguendo i parametri della misericordia, benignità e tolleranza, e nell’altro, quando l’obiettivo è quello di correggere il male, seguendo un criterio di giustizia. Pertanto, i due Autori summenzionati, concordano nell’attribuire una supremazia della misericordia sulla giustizia, che nel dire del Primo, la misericordia tutto scusa e nel dire del Secondo, è preferibile a tutto anche agli olocausti e sacrifici [6].
Lo stesso orientamento può essere attribuito a Graziano, che nel compilare le norme canoniche a metà del XII secolo, nel suo Decreto, insiste sullo spirito di misericordia e benevolenza che devono reggere il giudizio, difatti nel Cap. X (dist. XLV) afferma: “Coloro che giudicano con giustizia osservano la misericordia con giustizia”.
Come già detto, la Chiesa cerca la salvezza dell’uomo, così come il diritto canonico, autenticamente diritto, che affonda le sue radici nella Sacra Scrittura, nella Teologia, impregnato di misericordia vuole la salus animarum. Per questo motivo, prende quindi, in considerazione ogni fedele, soggetto al compimento di una certa norma e considera le cause che potrebbero rendere meno gravoso l’adempimento della legge, consentendo in alcuni casi la sua dispensa o attenuando il suo rigore (Cann. 85 e seguenti)[7].
La misericordia canonica si manifesta soprattutto in tutte quelle istituzioni che mirano alla salvezza, per esempio, la necessità del perdono dei peccati, la situazione del pericolo di morte, lo scandalo o le sanzioni penali e in molti altri istituti. Di conseguenza il can. 978 §1 tenendo insieme tanto la giustizia quanto la misericordia (“giudice e medico”) così recita: “Ricordi il sacerdote che nell’ascoltare le confessioni svolge un compito ad un tempo di giudice e di medico, ricordi inoltre di essere stato costituito da Dio ministro contemporaneamente della divina giustizia e misericordia, così da provvedere all’onore divino e alla salvezza delle anime”.
Pericolo di morte e altre situazioni gravi
Spesso abbiamo ripetuto e sostenuto che il Codice è impregnato di misericordia, da questa consapevolezza nasce l’esigenza di dimostrare concretamente attraverso i canoni come la misericordia divina è performativa della giustizia umana; la logica del Legislatore è quella del Padre misericordioso, vera e unica legge della Chiesa, difatti, il Vangelo, ci ricorda: “Siate misericordiosi come misericordioso è il Padre vostro” (Lc 6, 36).
Questa logica - al contempo prospettiva (nel senso che, avendo la persona del fedele al centro, tiene unite le dimensioni temporali di passato, presente e futuro) - di misericordia è la ragione per la quale quando sussiste il pericolo di morte, il Codice ampia le facoltà dei ministri cosicché a nessuno manchi la grazia della salvezza. Il can. 844 §4, perciò, permette ai ministri cattolici di amministrare i sacramenti della penitenza, dell’eucarestia e l’unzione degli infermi anche ai cristiani che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica; il can. 865 §2 autorizza il battesimo di un adulto senza che abbia alcuna conoscenza circa le verità principali della fede; il can. 868 §2 legittima il battesimo di un minore anche contro la volontà dei suoi genitori; il can. 961 §1, 1°, autorizza ad impartire il sacramento della penitenza in forma collettiva, o in materia penale, sospende l’applicazione della pena che proibisce di amministrare o ricevere i sacramenti (cann. 1335 e 1352 §1). La ragione fondamentale del sospendere transitorio di una censura rimane la salus animarum affinché la validità della pena non vada a scapito delle anime [8].
Altro esempio di misericordia è nel can. 976 che dà facoltà a qualsiasi sacerdote, anche sprovvisto della facoltà di confessare, di assolvere validamente e lecitamente da qualsiasi censura il penitente che è in pericolo di morte, incluso il complice nel peccato contro il sesto comandamento (can. 977); questa confessione potrebbe risultare anche imposta al sacerdote con riferimento al can. 986 §2 che lo obbliga ad ascoltare le confessioni dei fedeli che si trovano in pericolo di morte.
Il postulato della misericordia si manifesta ancora nel can. 1005 quando, regola il sacramento dell’unione, ordinando al sacerdote di amministrare il sacramento anche quando esistano dubbi sulla gravità dell’infermità, sul raggiunto uso di ragione o se già morto.
Quando la necessità urge, la Chiesa anticipa con misericordia la celebrazione del matrimonio, creando una forma straordinaria (solo davanti ai testimoni) come nel can. 1116 §1, 1° e 2°.
La misericordia conosce la necessità, non solo nel caso del pericolo di morte, ma anche per e in altre situazioni gravi che richiedono misure eccezionali per assistere spiritualmente i fedeli. Così il can. 230 §3 permette ai fedeli laici, quando le necessità lo consentono perché per esempio non ci sono ministri, di amministrare il battesimo, distribuire la comunione ed esercitare il ministero della parola. Una normativa rigida e inflessibile impedirebbe di colmare misericordiosamente le occorrenze dei fedeli nelle medesime condizioni di necessità. Nei casi urgenti il Codice restringe le prescrizioni gravose e amplia le facoltà dei ministri, come accade ugualmente nella comunicatio in sacris del can. 844 §2.
La misericordia, in quanto categoria meta-giuridica “eccedente”, protegge anche la buona fama del fedele. Il can. 916, con una misura eccezionale, autorizza il sacerdote, anche se ha coscienza di un peccato, a celebrare la messa, con previo atto di contrizione perfetta e con il proposito di confessarsi quanto prima, sempre che esista un motivo grave, come può essere il pericolo di scandalo. In linea con questo principio di buona fama, il Codice impone che venga mantenuto il segreto su tutte le prove penali (can. 1455 §1) per non causare danno all’onore delle persone (can. 1457§3, can. 1717 §2) e sospende l’obbligo di osservare una pena latae sententiae non dichiarata o che non era pubblica nel luogo del reo, sempre che quest’ultimo non possa osservarla senza scandalo (1352 §2).
La misericordia impone altresì l’obbligo di non negare la remissione di una censura al delinquente che sia recesso dalla contumacia (can. 1358 §1) e permette che non sia espulso il religioso che, nonostante abbia commesso un delitto grave, si sia emendato ed abbia riparato allo scandalo (can. 695 §1).
La misericordia canonica si avverte soprattutto nell’insieme di norme che regolano il rapporto della Chiesa con i fedeli che si sono consacrati al suo servizio. Difatti ai superiori è comandato di prendersi cura della salute spirituale e materiale di tutti i coloro che gli sono stati affidati ed è chiesto ai vescovi di prendersi cura e di aiutare con “attiva misericordia” i sacerdoti, soprattutto quando li vedano “per qualsiasi ragione, in pericolo, o sono in qualche modo venuti meno ai loro doveri” (CD 16). Anche nel caso estremo dell’espulsione di un membro dall’istituto religioso, il legislatore comanda che sia osservata l’equità e la carità evangelica in loro favore (can. 702 §2).
Quando regola la relazione del parroco con la sua parrocchia, la misericordia si trasforma in mandato: lo Stesso deve conoscere i suoi fedeli, assisterli nelle loro angustie e nel dolore per la perdita dei loro cari, aiutare con profonda carità gli infermi e i moribondi, dedicarsi con particolare diligenza ai poveri, agli afflitti, a chi è rimasto solo, ecc. (can. 529 §1).
Ugualmente la carità paterna-materna della Chiesa si manifesta nella regolamentazione della messa del sacerdote infermo o cieco al can. 930, o nel diritto di chi non può accedere al sacramento dell’eucarestia attraverso una particolare catechesi (can. 777, 4°). Rispetto al sacramento del matrimonio, come istituzione peculiare, ricordiamo il già menzionato can. 1116, la situazione del can. 1180 (omnia parata) o la sanazione in radice del can. 1161.
Infine, ugualmente misericordiosa si mostra la Chiesa attraverso il CIC nella supplenza della potestà come recita il can. 144: “Nell’errore comune di fatto o di diritto, e parimenti nel dubbio positivo e probabile sia di diritto sia di fatto, la Chiesa supplisce, tanto nel foro esterno quanto interno, la potestà di governo esecutiva”; caso questo che, nelle situazioni particolari, si estende anche ai sacramenti della confermazione, della penitenza e del matrimonio.
3. “Performare”
·Il crocevia tra Persona e Diritto
Nella Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, Papa Francesco, riferendosi alle parole di Giovanni XXIII pronunciate all’apertura del Concilio e a quelle del Beato Paolo VI in occasione della conclusione dello Stesso, così scriveva: “Tutta questa ricchezza dottrinale è rivolta in unica direzione, servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità”[9]. La persona umana è al centro dell’agire di Dio, quindi della Chiesa e come abbiamo mostrato al centro della logica misericordiosa del legislatore.
La persona “in ogni sua necessità” quindi, ontologicamente “bisognosa” di performare e potenzialmente ricreare continuamente la sua esperienza fallace, non semplicisticamente sulla base della sola legge, che precede e giustifica l’agire umano, quanto sulla irrinunciabile relazionalità che intrinsecamente gli appartiene, manchevolezza che lo rende “bisognoso” dell’altro e di rispondere all’appello “a incarnare l’agire reciprocante secondo giustizia nello spazio esistenziale dell’incontro” [10]. Performare e ricreare continuamente l’esperienza è pertanto possibile in un processo di “umanizzazione capace di superare con creatività e speranza il vincolo del tempo, per guardare al fondamento delle relazioni - perché nessuno rimanga escluso - nella loro proiezione di futuro” [11].
In questo orizzonte ricreante, la persona è chiamata a riscoprire come dono Divino la sua capacitas di riconoscere Dio come Padre, discernendo altresì nella sua misericordia come riformare continuamente la rete delle proprie relazioni che sovente si aggroviglia; ispirandosi all’agire di Dio che è al contempo il Creatore della verità dell’uomo.
La misericordia in tal senso può essere crocevia performativo della persona e del suo agire, poiché questo stile - non solo atteggiamento momentaneo o casistico - esprime al meglio il suo bisogno di relazionalità “reciprocamente condizionante” allo stesso tempo con Dio e con l’uomo. Contrariamente, la persona cadrebbe in balia dell’arbitrio della forza, nella morsa di una storia che scorre e di una prassi tesa ad autogiustificare la sola verità di sé stessa [12].
Si tratta di coltivare, allora, un modello diverso della misericordia capace di ricomprendere in essa la giustizia: un modello che, come traspare dai precedenti paragrafi, è già dato nella logica Codiciale dell’83 come ‘’eccedente’’, ma che ha bisogno di un ripristino in un nuovo orizzonte ermeneutico che sappia guardare all’evoluzione dell’uomo nella sua interezza.
Questo nuovo modello ha alla base - come già detto - il concetto di performatività della misericordia, anche nel senso che può essere fatto proprio solo da coloro che accettano di guardare con misericordia innanzitutto se stessi. C’è bisogno di questo coraggio per saper usare misericordia anche verso i limiti dell’altro [13].
Il Diritto rettamente inteso come esperienza umana e personale, reale e relazionale, quindi, quale fenomeno della strutturazione organizzata dell’esperienza umana, può essere una delle chiavi paradigmatiche e concettuali più illuminanti per guardare al fondamento delle relazioni con una maggiore obiettività. Tuttavia, il diritto, “pur coinvolgendo la persona che vive nella realtà del suo tempo, che vi muove i suoi passi, non può esaurire nel tempo la totalità della sua azione” [14].
Il reale è il “percorso” su cui muove i suoi passi il principio dello Ius sequitum vitam, principio che della vitam nella sua interezza deve poter fare il bacino naturale dello Ius nel suo senso più pieno; bacino nel quale è possibile performare “una cultura giuridica dell’unità capace di coniugare la crescita integrale della persona e la sua integrante relazionalità giuridica” [15].
“La sfida in gioco è quella di saper guardare all’esperienza giuridica nella prospettiva della continua riforma, continuità ermeneutica, superando i tentativi di esegesi, quale tensione a far emergere il novum che sempre chiede di essere compreso e attuato. Questo slancio permette di cogliere la proposta “performativa” di argomentare per ragioni, attraverso il vincolo della Verità [16].
4. Conclusioni
I doveri della misericordia e i doveri di giustizia non sono contrapponibili. L’assolutizzazione della misericordia potrebbe portare a negare l’adempimento dei doveri di giustizia che restano la mediazione fondamentale dei rapporti intersoggettivi all’interno della comunità. Non può esistere mai alcuna tolleranza verso l’ingiustizia neppure a fin di bene per l’attuazione della misericordia. Dall’altra parte, è anche vero che l’assolutizzazione della giustizia finirebbe per negare la gratuità misericordiosa “del primo passo” che dovrebbe sempre animare e plasmare i rapporti di giustizia, almeno quelli intraecclesiali. Le esigenze della misericordia - come suddetto - vanno oltre quelle della sola e stretta giustizia perché questa possa realizzare la pienezza umana e cristiana.
Gli obblighi di giustizia rispondono al vincolo intersoggettivo del diritto-dovere che riconosce l’esistenza di realtà giuste nel corpo sociale della Chiesa che la persona può rivendicare come appartenenti a se stessa. La Chiesa della pura misericordia, invece, è una falsa chiesa perché il vero perdono cristiano promuove la dimensione ecclesiale e comunionale dei rapporti intersoggettivi, come sua esigenza, esercitando al suo interno la funzione salvifica nell’adempiere i doveri di giustizia.
La misericordia deve essere sempre in stretta continuità con la giustizia. L’adempimento del mio obbligo di misericordia verso il fratello mi porta a performare ciò che deve precederlo come adempimento per obbligo di giustizia. Venendo meno la giustizia neppure la misericordia sarebbe più praticabile. Separare la misericordia dalla giustizia condurrebbe alla negazione di ciò che è giusto nella Chiesa oppure alla sopraffazione dei doveri di giustizia nei confronti della gratuità del dono (“per-dono”).
La stretta e fredda giustizia (senza misericordia), appunto, è nella natura stessa della legge umana dal momento che essa è generale e astratta da dover prevedere e provvedere a tutte le situazioni. L’ingiustizia, la “summa iniuria”, può verificarsi nell’applicazione al singolo caso del “summum ius”. Tutto questo sarebbe in contraddizione con una visione evangelica della vita e con le premesse che abbiamo fatto.
Nell’ambito della comunione ecclesiale i diritti e i doveri sono orientati al fine salvifico. La legge non adempie il suo fine, cioè perderebbe il suo carattere di razionalità, se i diritti e i doveri che ne scaturiscono contrastano con la realtà salvifica andando oltre (“eccedendo”) ciò che giuridicamente è dovuto. Quindi la legge necessita di essere interpretata per essere adattata al caso specifico. Un possibile criterio d’interpretazione che nell’ordinamento giuridico della Chiesa è andato affermandosi è l’aequitas canonica [17] che Enrico da Susa, detto l’Ostiense, definì iustitia dulcore misericordiae temperata, un principio che realizza la iustitia maior, il perfezionamento della giustizia che ha come fonte la misericordia. L’aequitas canonica rafforza la rationabilitas della legge rendendola nella sua interpretazione più flessibile e umana.
L’aequitas canonica, ha un fondamento teologico. Infatti, la misericordia è un concetto teologico che l’Ostiense assume per indicare la misericordia di Dio come modello e atteggiamento che l’Autorità deve avere nel far eseguire la legge. Quindi, la misericordia diviene il criterio di interpretazione delle concrete situazioni umane. Mediante la “dolcezza della misericordia” la giustizia viene temperata e moderata, cioè viene corretta nell’applicazione al caso singolo rendendola giusta. Nella Chiesa l’aequitas canonica, non è propriamente un istituto giuridico, ma un atteggiamento, un criterio che consente all’autorità competente di mutare il rapporto di giustizia ispirandosi alla giustizia divina, l’unica che può giudicare perché è la sola che può leggere in profondità il cuore dell’uomo nelle sue vicende. Nell’ordinamento giuridico della Chiesa la “dolcezza della misericordia” conferisce al rigore giuridico della legge, che in astratto pur deve esserci, una nuova motivazione tutta salvifica, espressione della carità, di curare, formare, perdonare e non vendicare.
Di certo la scelta “salvifica” del progettare il bene dinnanzi al male richiede coraggio: “è una scommessa, ma è una scommessa razionale. L’accusa di non essere realista si ritorce contro coloro che attraverso il loro realismo bellico mettono ormai a rischio in modo molto concreto il futuro stesso della civiltà umana. Per il cristiano è anche un atto di fede, ma di una fede cui può sentirsi interpellato il sentire profondo di ogni persona, con le sue vicende contraddittorie, la zavorra dei suoi limiti, le sue speranze deluse” [18].
Note e riferimenti bibliografici
BERTOLONE, V., La salus animarum nell’ordinamento giuridico della Chiesa, Roma, 1987.
GIOVANNI PAOLO II (auctoritate promulgatus), Codex Iuris Canonici, AAS 75/II (1983) I-XXX; 1-324.
CODA, P., Il logos e il nulla. Trinità religioni mistica, Città Nuova, Roma, 2003.
EUSEBI, L., Giustizia umana e misericordia: un incontro possibile? in Orientamenti pastorali, 2016.
EUSEBI, L., Misericordia: “superamento” del diritto o “dimensione” della giustizia? in Colombo, G. (ed.), La misericordia e le sue opere, VITA E PENSIERO, Milano, 2016.
FRANCESCO, Esortazione Apostolica, Evangelii Gaudium, 24. 11. 2013.
FRANCESCO, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, Misericordiae vultus, 11.04.2015.
GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica, Dives in Misericordia, 30.11.1985.
GHIRLANDA, G., La misericordia di Dio nel diritto ecclesiale, Rassegna di teologia 21 (1980), 7-10.
IACCARINO, A., Nessuno resti escluso. La giustizia oltre i confini, Lateran University Press, Città del Vaticano, 2013.
IACCARINO, A., Il principio di equità alla prova dell'esercizio della giurisdizione, in Vergentis: vol. 4 (2017).
KRETZSCHMAR, R., Alger von Luttichs, Traktat De misericordia et iustitia, Sigmaringen, 1985.
LINTNER, M.M., Dio giusto o misericordioso? Monte Senario – Quaderni di spiritualità 20, n. 58, Gennaio-Aprile 2016, 29–32.
TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologica, ST, I, q. 21, a.3.
WERCKMEISTER, J., Yves de Chartres, Le Prologue, Paris, 1997.
[1] TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologica, ST, I, q. 21, a.3
[2] Cfr. CODA, P., Il logos e il nulla. Trinità religioni mistica, Città Nuova, Roma, 2003, 530.
[3] Cfr. LINTNER, M.M., Dio giusto o misericordioso? Monte Senario – Quaderni di spiritualità 20, n. 58, Gennaio-Aprile 2016, 29–32.
[4] Cfr. GHIRLANDA, G., La misericordia di Dio nel diritto ecclesiale, Rassegna di teologia 21 (1980), 7-10.
[5] Cfr. WERCKMEISTER, J., Yves de Chartres, Le Prologue, Paris, 1997.
[6] KRETZSCHMAR, R., Alger von Luttichs, Traktat De misericordia et iustitia, Sigmaringen, 1985.
[7] GIOVANNI PAOLO II (auctoritate promulgatus), Codex Iuris Canonici, AAS 75/II (1983) I-XXX; 1-324.
[8] Cfr. BERTOLONE, V., La salus animarum nell’ordinamento giuridico della Chiesa, Roma, 1987.
[9] FRANCESCO, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, Misericordiae vultus, 11.04.2015, 4.
[10] IACCARINO, A., Il principio di equità alla prova dell'esercizio della giurisdizione - In: Vergentis: vol. 4 (2017) p. 325.
[11] Ibidem, 329.
[12] Ibidem
[13] Cfr. EUSEBI, L., Giustizia umana e misericordia: un incontro possibile? in Orientamenti pastorali, 2016 1-2, 49 ss.
[14] IACCARINO, A., Il principio di equità alla prova dell'esercizio della giurisdizione - In: Vergentis: vol. 4 (2017) p. 327.
[15] Ibidem
[16] Per verità s’intende argomentare la giustizia (e la misericordia) nel diritto, in situazioni concrete che impegnano la libertà, la partecipazione e la corresponsabilità intersoggettiva degli uomini.
[17] Riprendiamo brevemente il concetto di aequitas canonica, già citato nel secondo paragrafo, accentuando in questo caso la definizione dell’Ostiense, che ci pare aprire vie di riflessione più concrete e illuminanti per la prassi.
[18] EUSEBI, L., Misericordia: “superamento” del diritto o “dimensione” della giustizia? in Colombo, G. (ed.), La misericordia e le sue opere, VITA E PENSIERO, Milano 2016: 121- 130.