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Pubbl. Mar, 19 Mag 2015

Pubblica amministrazione e risarcimento del danno da ritardo: quando chiederlo e chi può farlo

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Giuseppe Guida Petraglia


Analisi breve del risarcimento del danno da ritardo, riconosciuto in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.


Il silenzio. Se è la condizione ottimale per una sala dove si tiene un concerto, non lo è invece nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione. E così la legge 69/2009 stringe il torchio nei confronti dell’amministrazione inerte e la costringe a pagare. Se il tempo ha un valore economico allora anche la P. A. ne deve prendere atto.

L’art. 2 bis della legge 241/1990 - introdotto dall’art. 7, lett. c), della legge 69/2009 - prevede l’obbligo di risarcimento a carico delle P. A. - e dei soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative - del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

La norma si inserisce nella più ampia previsione dell’art. 7 della legge 69/2009 che, nel reintrodurre il termine generale di 30 giorni per la conclusione del procedimento, ripropone la norma sulla procedura del "silenzio" di cui all’art. 21 bis della legge Tar n. 1034/1971.

A più di dieci anni di distanza dalla legge delega n. 59/1997 (rimasta inattuata), dove si prevedeva il pagamento di un indennizzo in caso di mancato rispetto del termine del procedimento da parte della P. A., riaffiora il problema del danno da ritardo, questa volta risolto normativamente con la configurazione di un illecito aquiliano. La previsione del danno ingiusto causato dall’inosservanza del termine, unitamente all’elemento soggettivo (dolo o colpa) alla base di tale inosservanza e alla previsione di una prescrizione quinquennale per la richiesta del risarcimento del danno, riconducono la fattispecie all’illecito di cui all’art. 2043 c.c. 

Ma in che modo la norma si inserisce nell’attuale contesto normativo e giurisprudenziale?

Scaduto il termine del procedimento, sono tre le evenienze con cui il privato deve confrontarsi.

La prima ipotesi è quella in cui l’inerzia si protragga e la legge non attribuisca alcun significato al silenzio. 
In tal caso la legge mette a disposizione uno strumento veloce per risolvere il ritardo: ai sensi dell'art. 21 bis legge TAR n. 1034 del 1971, su ricorso del privato, entro 30 giorni il TAR decide sulla domanda in camera di consiglio e, nel caso di totale o parziale accoglimento della stessa, il Giudice amministrativo ordina all'amininistrazione di provvedere entro il termine di 30 giorni; qualora l'amministrazione rimanga ulteriormente inadempiente oltre il detto termine, il giudice, su richiesta di parte, nomina un commissario ad acta perchè provveda in luogo della stessa.

Il secondo caso può verificarsi quando la P. A. emani in ritardo un provvedimento favorevole oppure, terzo ed ultimo caso, un provvedimento sfavorevole, eventualmente anche nel corso del giudizio instaurato avverso il silenzio.

In tutte e tre le ipotesi si pone il problema della risarcibilità del danno, cagionato o dal ritardo nell’emanazione dell’atto – favorevole o sfavorevole - o dal silenzio, qualora l’inerzia perduri e il privato decida di non porre fine al silenzio con la promozione della procedura propulsiva ai sensi dell’art. 21 bis, anche nell’ipotesi in cui quest’ultima non si sia ancora definita. 

Perché il silenzio sia rilevante giuridicamente in ordine ad un’eventuale responsabilità risarcitoria della P. A. è necessario che l’istanza rimasta inevasa riguardi i casi nei quali “il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio” .

La giurisprudenza del Consiglio di Stato, ha osservato che “indipendentemente dall´esistenza di specifiche norme che impongano ai pubblici uffici di pronunciarsi su ogni istanza non palesemente abnorme dei privati, non può dubitarsi che, in regime di trasparenza, il relativo obbligo sussiste ogniqualvolta esigenze di giustizia impongano l´adozione di un provvedimento espresso, in ossequio al dovere di correttezza e buona amministrazione (art. 97 Cost.)". (Cons. St., Sez. IV, 14 dicembre 2004, n. 7955)

La giurisprudenza prevalente si è assestata sul riconoscimento della risarcibilità del danno da ritardo solo nell’ipotesi di provvedimento favorevole al privato. Egualmente nel caso di perdurante silenzio si ritiene che sia possibile riconoscere un risarcimento nell’unico caso in cui si possa stabilire, con un buon grado di probabilità, la spettanza del bene oggetto dell’istanza del privato. 

In presenza di un provvedimento di rigetto dell’istanza del privato o di un giudizio prognostico negativo circa la spettanza del bene della vita, la giurisprudenza è dell’avviso che nessun titolo abbia il privato per ottenere il risarcimento.

Tale impostazione, che ridisegna l’illecito da atto illegittimo come un illecito aquiliano ai sensi dell’art. 2043 c.c., è stata però contrastata da chi ritiene che la legge 241/1990 preveda una serie di obblighi procedimentali di correttezza a carico della P. A., oltre ad un rapporto diretto tra cittadino e P. A., a seguito dell’istanza del privato.

Questa teoria ha avuto poca fortuna anche in conseguenza del timore di estendere eccessivamente l’area della risarcibilità degli interessi legittimi in presenza di vizi esclusivamente procedurali.

L’elemento oggettivo dell’illecito è costituito da una condotta omissiva individuata nell' "inosservanza dei termini del procedimento", colposa o dolosa, che abbia causato al privato un “danno ingiusto”. 

Risulta evidente, quindi, l’autonomia di tale fattispecie risarcitoria rispetto al contenuto dell’atto amministrativo. Il bene protetto è il rispetto dei tempi certi del provvedimento al fine di salvaguardare le aspettative del privato. Il danno subito dal privato è ingiusto perché la P. A. non ha rispettato i tempi determinati dall’ordinamento per la legalità del suo agire amministrativo.

Infatti quest’ultima ha il preciso scopo di addivenire all’emanazione dell'atto, finalità diversa da quella risarcitoria, che pertanto può essere azionata indipendentemente dal giudizio avverso il silenzio. 

Il danno non discende automaticamente dalla scadenza del termine. Secondo l´art. 2043 dovrà essere rigorosamente provato nel suo ammontare e sarà comunque limitato al c.d. interesse negativo. Il danno risarcibile “non potrà, essere quello che discende dalla mancata emanazione del provvedimento, ma solo quello che sia derivato al privato dalla situazione di incertezza protratta oltre il termine, in altri termini l’interesse negativo".

Se la fattispecie è riconducibile all’art. 2043, con il conseguente onere della prova dell’esistenza dell’elemento oggettivo a carico del privato, non è comunque richiesto al privato danneggiato uno sforzo probatorio sotto il profilo dell'elemento soggettivo: opererà perciò l´art. 2727 c.c. e il privato danneggiato potrà invocare l´illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa, o allegare circostanze ulteriori idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile. Spetterà poi all'amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile.