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Pubbl. Sab, 16 Nov 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

Oblio: il principio di diritto sancito dalle SS. UU. e gli indirizzi della Corte di giustizia UE e della Corte EDU

Ettore Bruno


I rapporti conflittuali tra diritto di cronaca e internet da una parte e riservatezza e diritto all´oblio dall´altra, alla luce della giurisprudenza di legittimità e di quella europea: la soluzione offerta dalle Sezioni Unite e le decisioni della Corte di Giustizia UE e della Corte EDU in tema di rapporti privacy/web e riservatezza/rievocazione.


Sommario: 1. Introduzione; 2. Libertà di informazione, diritto di cronaca e privacy; 3. Il diritto all’oblio contrapposto alla “rievocazione storica”: a)generalità; b)il pregresso orientamento della giurisprudenza di legittimità e l’indirizzo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo; c)la recente pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte in tema di rapporti tra diritto all’oblio e diritto alla rievocazione storiografica; 4. Dati personali nel web: la recentissima pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea; 5. Considerazioni conclusive.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Libertà di informazione, diritto di cronaca e privacy; 3. Il diritto all’oblio contrapposto alla “rievocazione storica”: a)generalità; b)il pregresso orientamento della giurisprudenza di legittimità e l’indirizzo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo; c)la recente pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte in tema di rapporti tra diritto all’oblio e diritto alla rievocazione storiografica; 4. Dati personali nel web: la recentissima pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea; 5. Considerazioni conclusive.

AbstractITA

Qui di seguito si percorrerà, dopo la necessaria disamina dell’ampio contesto in cui il tema si colloca, l’evoluzione interpretativa della giurisprudenza di legittimità e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in tema di bilanciamento tra due interessi fortemente contrapposti: diritto alla rievocazione storica e diritto all’oblio. Seguirà una trattazione relativa alla soluzione fornita dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema di rapporti tra la diffusione globale di dati personali via web e la relativa indicizzazione nei motori di ricerca da una parte e il diritto alla riservatezza e all’oblio dall’altra.

AbstractENG

Here below, after the necessary examination of the broad context in which the topic is placed, we will cover the interpretative evolution of the jurisprudence of legitimacy and of the European Court of Human Rights in terms of balancing between two strongly opposing interests: right to historical re-enactment and the right to be forgotten. This will be followed by a discussion of the solution provided by the European Court of Justice concerning the relationship between the global dissemination of personal data via the web and the relative indexing in search engines on the one hand and the right to privacy and oblivion from the other.

1. Introduzione

Il diritto all’oblio consiste, sic et simpliciter, nell’interesse di un individuo a essere dimenticato, ovvero nella pretesa che non venga più nominato o che i suoi dati personali vengano cancellati dagli archivi.

Negli ultimi anni esso è andato assumendo sempre maggiore rilievo principalmente con riguardo ai siti di informazione online, accessibili a un numero sempre maggiore di utenti e consultabili una quantità di volte potenzialmente illimitata, grazie anche all’indicizzazione dei contenuti sui cosiddetti “motori di ricerca”.

Tuttavia, la nozione giuridica di “oblio” non va intesa in un’accezione circoscritta in via esclusiva al settore telematico/digitale. Infatti, il fenomeno riguardante i rapporti tra diritto alla riservatezza e divulgazione di notizie e dati interessa anche il sistema dell’informazione cartacea, seppure in misura minore rispetto allo sconfinato e complesso mondo virtuale

E’ noto come il fenomeno della divulgazione di dati personali con il tempo stia assumendo caratteri sempre più preoccupanti, specialmente a seguito della loro diffusione globale per il tramite della rete internet, insuscettibile questa di un controllo efficace, data, appunto, la sua dimensione globale.

Ciò premesso, appare evidente che la pretesa all’anonimato sarà riconosciuta come diritto meritevole di tutela ove non sussista un interesse apprezzabile, in termini di utilità sociale, alla ri-divulgazione di una notizia già legittimamente diffusa in passato: è il caso di fatti di cronaca ormai distanti nel tempo, relativamente ai quali opera (e in ciò va ricercata la ratio del riconoscimento del diritto all’oblio) la presunzione che il lettore o l’utente non abbiano più interesse o abbiano un interesse comunque labile a causa del decorso di un tempo significativamente lungo rispetto all’epoca degli avvenimenti ad esserne informati, col conseguente indebolimento del legittimo esercizio del correlativo diritto di informare.

Invero, in tali ipotesi, qualora la divulgazione dei fatti e l’indicazione dei dati personali siano ritenute pregiudizievoli e sconvenienti per il soggetto a cui essi si riferiscono, questi, ritenendosi danneggiato, potrà invocare il proprio diritto sotteso al divieto della loro rinnovata divulgazione.

Parimenti, il soggetto che si assuma danneggiato dalla diffusione di informazioni che lo riguardino o di propri dati personali su piattaforme telematiche e su siti online, potrà legittimamente esercitare il diritto di ottenere la loro cancellazione dagli archivi digitali o la rimozione di un contenuto dalla rete[1].

In tale ottica, assumono carattere funzionale rispetto all’attuazione concreta del diritto all’oblio le seguenti condizioni: da una parte, la pretesa di non essere più nominati o citati, riferita soprattutto al sistema dell’informazione cartacea e che varrà in una prospettiva diacronica limitata al futuro; dall’altra, di più ampio respiro e con sviluppi illimitati in una prospettiva onnicomprensiva dal punto di vista temporale, la rimozione dei dati dai sistemi virtuali e/o la deindicizzazione dei contenuti, a carico, queste, dei gestori dei motori di ricerca[2]

2. Libertà di informazione, diritto di cronaca e privacy

La libertà di informazione, che comprende tanto il diritto di informare quanto quello di informarsi e di essere informati, discende dalla Carta costituzionale, che all’articolo 21, sancisce annoverandolo tra le libertà fondamentali «il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione»[3].

In virtù della previsione costituzionale, è riconosciuta e garantita a chiunque la facoltà di esprimere, comunicare e diffondere il proprio pensiero, anche divulgandolo verso una categoria ampia di soggetti; il diritto in parola, inoltre, può essere esercitato attraverso una pluralità di mezzi: la stampa quotidiana o periodica, i mezzi radiotelevisivi, il web.

Per opinione dominante in dottrina[4], il diritto di cronaca costituisce un’estrinsecazione della libertà costituzionalmente garantita dall’articolo 21 della Carta costituzionale, sul rilievo che la notizia non è mai neutrale non limitandosi, infatti, a riportare in maniera sterile fatti e accadimenti, ma risulta fatalmente accompagnata da opinioni, recensioni o commenti riconducibili al pensiero del soggetto che la divulga. In altre parole, la stampa e gli altri mezzi di comunicazione di massa non si riducono a mero mezzo di comunicazione e di diffusione di notizie di cronaca, ma acquisiscono anche il carattere di strumento che veicola il pensiero del cronista[5]che con ogni verosimiglianza andrà a influenzare e indirizzare le convinzioni di chi legge o ascolta (senza contare che la sintesi informazione/giudizio rinvia anche all’orientamento politico del giornale, al gruppo economico o al partito politico di riferimento dell’editore[6]).

Una volta chiarito, nei termini che precedono, come la garanzia costituzionale debba intendersi estesa al diritto di cronaca - seppure non ricompreso nei dettami dell’articolo 21 della Carta fondamentale, ma, nondimeno, in forza dell’interpretazione estensiva di esso, occorre altresì rilevare come il diritto in parola trovi fondamento anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo[7]Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione, e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiera» - Art. 19).

Anche la Convenzione per la salvaguardia dei Diritto dell’Uomo e delle Libertà fondamentali[8] (Art. 10, primo comma: «Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera[…]») fornisce un supporto fondamentale al riconoscimento della libertà di stampa, quindi al diritto di divulgare notizie, pur nei limiti e con le restrizioni previste dalla legge[9]. Il principio in parola non è certo di poco conto, se si considera che tale Convenzione è stata assorbita dal Trattato di Lisbona[10], pertanto pur non essendo pacifica la soluzione che si prospetta, ma, anzi, al centro di uno spinoso dibattito dottrinale e giurisprudenziale risulterebbe direttamente applicabile dagli organi giurisdizionali italiani[11].

Non può mancare un cenno, infine, a una carta di principi che seppur risalente nel tempo e ristretta a un preciso ambito territoriale risulta tuttora connotata da caratteri di grande rilevanza e che definisce la libertà di manifestazione del pensiero come «uno dei diritti più preziosi dell’uomo»[12].

Tuttavia, il legittimo esercizio di queste libertà entrambe di rilevanza costituzionale impone le dovute riflessioni in tema di soccombenza dell’una nei confronti dell’altra (o, se si vuole, di prevalenza dell’una rispetto all’altra) essendo evidente che, trattandosi di situazioni fatalmente confliggenti, occorrerà calibrare i rispettivi ambiti e confini per trovare la corretta via verso una loro armonica coesistenza.

In altri termini, bisogna chiedersi entro quali limiti la libertà di informazione possa conciliarsi con altri diritti parimenti degni di tutela e anch’essi non privi di garanzia costituzionale, verso i quali essa presenta caratteri di reale o apparente conflittualità. Ai nostri fini, il riferimento è il diritto alla riservatezza, seppure la questione interessi altri diritti della persona, quali il decoro e la reputazione, nonché certe tutele riferibili alla corretta amministrazione della giustizia (segreto giudiziale) e all’interesse nazionale (segreto di Stato).

Ai nostri fini, occorre necessariamente operare un rinvio alle norme della Costituzione che, per consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale[13], offrono elevandolo al rango di diritto fondamentale della personalità, come tale inviolabile copertura costituzionale al diritto alla riservatezza.

La Consulta, infatti, in varie pronunce ha attribuito il carattere della inviolabilità al diritto alla riservatezza, estendendo ad esso la garanzia di cui all’articolo 2 della Carta costituzionale, laddove prevede che «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità economica e sociale».

Due diritti fondamentali e inviolabili, dunque, entrambi provvisti di fondamento costituzionale (che va ravvisato, rispettivamente, negli articoli 2 e 21 della Costituzione), da armonizzare e far convivere.

Secondo la giurisprudenza di legittimità[14] affinché la diffusione di una notizia possa ritenersi lecita e/o legittima nell’ottica di un giusto bilanciamento tra interessi contrapposti (rectius, tra diritti concorrenti: l’uno, quello alla divulgazione di informazioni, di carattere pubblico, l’altro, quello alla riservatezza, di natura privata), è necessario che essa sottostia alle seguenti condizioni.

In primo luogo, la divulgazione dei fatti, seppur riferiti a vicende private, deve rispondere a un interesse pubblico[15] (che comprende anche quello che viene volontariamente offerto alla pubblica attenzione[16]); i fatti siano di tale importanza e rilevanza che appare opportuno che vengano resi noti; la notizia abbia i caratteri dell’essenzialità[17], ovvero giunga ai destinatari dell’informazione non contaminata da fatti e circostanze superflue o non apprezzabili.

Ultima in ordine sistematico, la narrazione deve essere il più possibile aderente alla realtà[18], previo il necessario riscontro a carico del cronista al fine di raccontare l’accaduto per come accade - circa l’aderenza del fatto narrato alla verità storica[19].

Sussistendo tali parametri, così come fissati dalla giurisprudenza allo scopo di bilanciare le due tutele contrapposte, il diritto alla riservatezza risulterà soccombente rispetto alla libertà di informazione.

Segue la predetta impostazione peraltro allineandosi, ex ante, lungo il solco che andrà a segnare la normativa europea con l’emanazione del Regolamento UE n. 679 del 2016[20] - anche il “Codice della Privacy”[21], il quale, a proposito del trattamento di dati effettuato «nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità», o «da soggetti iscritti nell’elenco dei pubblicisti o nel registro dei praticanti», oppure «finalizzato esclusivamente alla pubblicazione o diffusione anche occasionale di articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero anche nell’espressione accademica, artistica e letteraria», prevede che le informazioni personali possano essere trattate anche senza il consenso dell’interessato, «purché nel rispetto delle regole deontologiche di cui all’articolo 139»[22].

Senza dilungarci sui numerosi interventi del “Garante per la protezione dei dati personali”[23], il cui esame meriterebbe una trattazione a parte, sicuramente merita di essere menzionato, ai nostri fini, il provvedimento in cui il Garante osserva che «l’autore dell’articolo e il direttore responsabile della testata devono operare un vaglio rigoroso dei limiti posti al diritto di cronaca, in ragione della necessità di salvaguardare la dignità della persona a cui si riferiscono i dati», e che, inoltre, le norme vigenti in materia di protezione dei dati personali e il codice deontologico «permettono, nell’ambito dell’esercizio dell’attività giornalistica, di raccogliere e diffondere dati personali, anche in assenza del preventivo consenso dell’interessato […] tuttavia, nel rispetto di alcuni limiti, tra cui quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico», principio che deve essere tenuto presente - raccomanda ancora il Garante – «anche alla luce della necessità di tutelare la dignità della persona»[24].

Nel giudizio di bilanciamento tra i diritti in parola, prevarrà, rebus sic stantibus e sulla base delle suesposte considerazioni, il diritto di informare, in funzione non soltanto del corrispettivo diritto di informarsi e essere informati, ma anche e soprattutto dell’interesse sociale sotteso alla divulgazione di notizie di cronaca: diritti bilanciati nel senso della giusta prevalenza - o malgrado la prevalenza dell’uno nei confronti dell’altro[25], salvo le particolarità che dappresso andremo a prospettare e che conducono al cuore delle questioni riguardanti il tema dell’oblio.

3. Il diritto all’oblio contrapposto alla “rievocazione storica”

3a. Generalità

Al tema del problematico equilibrio tra diritto di cronaca e diritto alla riservatezza (o privacy) apparentemente inconciliabili ma in realtà armonizzabili, come abbiamo visto, nei modi e nel rispetto dei limiti di cui ampiamente supra, si giustappone la complessa questione riguardante il rapporto, altrettanto problematico e anch’esso connotato da significativi caratteri di conflittualità, tra il diritto di cronaca e il diritto all’oblio.

E’ bene precisare che la rappresentazione astratta di “cronaca” che qui rileva non è un concetto generico, ma riguarda, come ampiamente anticipato, la divulgazione a distanza di tempo più o meno lunga di notizie relative a fatti o accadimenti già in precedenza trattati e oggetto, quindi, di pubblicazione o diffusione mediatica; si tratta, in altre parole, di una sorta di “rievocazione storica”, ovvero di una cronaca sovrapposta, si potrebbe dire, o ripetuta rispetto all’esposizione dei fatti già avvenuta con la pubblicazione pregressa della notizia[26]. La questione che qui si pone non riguarda il tema, oggi di sempre maggior interesse, dell’esercizio del diritto all’oblio nel mondo digitale, ma, invece, «un tema che può apparire ormai antico, quello della rievocazione di vicende e della ripubblicazione di un artico cartaceo già pubblicato [...]. Si tratta dell’accezione più risalente del diritto all’oblio, quella elaborata dalla dottrina civilistica e dalla giurisprudenza, in epoca antecedente all’avvento della Rete»[27].

Il diritto all’oblio viene qui in considerazione, dunque, nella sua veste di situazione giuridica da (eventualmente) tutelare in contrapposizione alla libertà di stampa, intesa, questa, non nell’accezione onnicomprensiva ma riferita ad una dimensione più ristretta, ovvero come diritto a rievocare vicende e fatti di cronaca già oggetto di narrazione e diffusione massmediatica.

La ratio del diritto in parola per come qui è inteso va ricercata nella perdita di importanza nel tempo di una notizia e, pertanto, nella necessità che l’accesso ad essa venga limitato a vantaggio di diritti come quello al rispetto della vita privata e alla riservatezza.

Tale diritto ha ricevuto espressa regolamentazione e legittimazione normativa soltanto con l’entrata in vigore del Regolamento UE 2016/679 (GDPR), dopo che per lungo tempo era stato riconosciuto solamente a livello giurisprudenziale, sia nazionale che europeo: segnatamente, l’artico 17 del predetto Regolamento prevede il diritto per l’interessato di ottenere, in presenza di determinate condizioni, la cancellazione dei dati personali che lo riguardano e, per contro, l’obbligo a carico del titolare del trattamento di cancellare i dati personali senza ingiustificato ritardo. Tuttavia, la norma fa salve alcune eccezioni relativamente alle quali il trattamento risulti necessario, tra cui rientra l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione.

3b. Il pregresso orientamento della giurisprudenza di legittimità e l’indirizzo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

In passato, la giurisprudenza di legittimità  aveva già tentato di offrire, in mancanza di specifiche indicazioni normative all’uopo concepite, una lente teoretica adatta ad affrontare una lettura logico-giuridica dei fenomeni configgenti volta a consentire un percorso interpretativo che conducesse ad un equo giudizio di bilanciamento, all’esito del quale concepirne una coesistenza equilibrata e armonica. Tuttavia, i percorsi interpretativi indicati dalla Suprema Corte, al di là delle chiare enunciazioni di principio, spesso appaiono, come stiamo per vedere, non del tutto esaustivi in tal senso.

Dalla lettura dei passaggi motivazionali tratti dalle numerose pronunce della Corte di cassazione sul tema che qui ci occupa, emerge il riconoscimento del diritto all’oblio, sul  presupposto, tuttavia, della corretta valutazione di una variabile, indicata nondimeno in maniera piuttosto generica, che andrà ad incidere sui rapporti tra diritti contrapposti: il tempo[28].

Variabile, quest’ultima, che andrà inevitabilmente a mutare il peso di ciascuna delle due situazioni giuridiche da bilanciare: il tempo presente e l’attualità, quindi l’interesse attuale, faranno pendere la bilancia dalla parte del diritto di cronaca; il trascorrere del tempo, viceversa, dalla parte del diritto alla riservatezza nel rispetto della dignità umana.

A fronte della complessità della questione, i Giudici di legittimità hanno enunciato alcuni principi di diritto che val la pena riportare: «il diritto del soggetto a pretendere che proprie, passate vicende, siano pubblicamente dimenticate (nella specie, c.d. diritto all’oblio in relazione ad un’antica militanza in bande terroristiche) trova limite nel diritto di cronaca solo quando sussista un interesse effettivo ed attuale alla loro diffusione, nel senso che quanto recentemente accaduto (nella specie, il ritrovamento di un arsenale di armi nella zona di residenza dell’ex terrorista) trovi diretto collegamento con quelle vicende stesse e ne rinnovi l’attualità. Diversamente, il pubblico ed improprio collegamento tra le due informazioni si risolve in un’illecita lesione del diritto alla riservatezza, mancando la concreta proporzionalità tra la causa di giustificazione (il diritto di cronaca) e la lesione del diritto antagonista»[29].

Il principio di diritto sopra richiamato introduce il concetto che potremmo definire di “attualità rinnovata”: e’ sufficiente il verificarsi di nuovi fatti ancorché riferiti a vicende del passato la cui notizia e i dati personali ad essa connessi siano già stati diffusi perché il diritto all’oblio, sussistendo le altre condizioni richieste, soccomba di fronte all’“antagonista” diritto di cronaca. La rievocazione storica, in altre parole, risulterebbe giustificata dalla reiterata attualità della notizia che, seppure riferita a vicende del passato, ravviva l’interesse pubblico ad essere informati.

Si può meglio comprendere il significato di quanto appena esposto, provando a proporre qualche esempio: in qualche vicenda relativa ad un determinato scandalo, per la sentenza di assoluzione o di condanna occorrerà attendere un certo numero di anni dall’inizio delle indagini; l’intervenuta sentenza dei Giudici di primo grado può esser visto come un accadimento storico collegato a quello scandalo che potrebbe essere ritenuto sufficientemente idoneo ai fini del rinnovamento, seppure a distanza di molto tempo, dell’attualità di quelle vicende, determinando così il prevalere del diritto di cronaca rispetto al configgente diritto all’oblio. Oppure si pensi ai fatti  molto risalenti nel tempo, ma di recente riportati alla ribalta da una nota trasmissione televisiva, relativi al ritrovamento dei “Bronzi di Riace” (anche qui, non v’è dubbio che le rivelazioni recentemente emerse rinnovino l’attualità di quegli eventi storici). Il tali casi si può ritenere che, con ogni verosimiglianza, a nulla varrebbe invocare giudizialmente il diritto al’oblio.

Emblematica risulta anche un’altra pronuncia in cui la Suprema Corte, con riferimento a un articolo pubblicato nella versione online di un giornale e rimasto in rete nonostante l’invito alla cancellazione dei dati da parte degli interessati, conferma la legittimità delle conclusioni cui erano giunti i Giudici di merito[30] nell’affermare, nel caso di specie, la violazione del diritto alla riservatezza in forza della considerazione, così come riportato in uno dei passaggi motivazionali della pronuncia degli Ermellini che «la facile accessibilità e consultabilità dell’articolo giornalistico, molto più dei quotidiani cartacei tenuto conto dell’ampia diffusione locale del giornale on line, consentiva di ritenere che dalla data di pubblicazione fino a quella della diffida stragiudiziale fosse trascorso sufficiente tempo perché le notizie divulgate con lo stesso potessero soddisfare gli interessi pubblici sottesi al diritto di cronaca giornalistica, e che quindi, almeno dalla data di ricezione della diffida, il trattamento di quei dati non potesse più avvenire»; relativamente a tale fattispecie, continua la Corte, «il persistere del trattamento dei dati personali aveva determinato una lesione del diritto dei ricorrenti alla riservatezza e alla reputazione».[31]

Da ultimo, appare opportuno dare conto di un’importante elaborazione giurisprudenziale operata dalla Corte di cassazione in una sentenza che ha il merito di anticipare l’acceso dibattito giurisprudenziale che da lì in poi si andrà a sviluppare intorno al problema del bilanciamento tra il diritto di rievocazione storica e la tutela della riservatezza. In essa, si enuncia che «il titolare dell’organo di informazione  […] è tenuto a osservare i criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza e non eccedenza dell’informazione, avuto riguardo alla finalità che ne consente il lecito trattamento, nonché a garantire la contestualizzazione e aggiornamento della notizia già di cronaca oggetto di informazione e di trattamento, a tutela del diritto del soggetto cui i dati pertengono alla propria identità personale o morale nella sua proiezione sociale», talché l’interessato sia coinvolto e reso partecipe «nell'utilizzazione dei propri dati personali, a quest'ultimo spettando il diritto di conoscere in ogni momento chi possiede i suoi dati personali e come li adopera, nonché di opporsi al trattamento dei medesimi, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta, ovvero di ingerirsi al riguardo, chiedendone la cancellazione, la trasformazione, il blocco, ovvero la rettificazione, l'aggiornamento, l'integrazione […] a tutela della proiezione dinamica dei propri dati personali e del rispetto della propria attuale identità personale o morale».

In tale contesto si incardina il principio secondo cui «se l’interesse pubblico sotteso al diritto dell’informazione (art. 21 Cost.) costituisce un limite al diritto fondamentale alla riservatezza (artt. 21 e 2 Cost.), al soggetto cui i dati pertengono è correlativamente attribuito il diritto all’oblio , e coié a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati»[32].

La Corte sembra qui riconoscere il diritto dell’interessato a partecipare al trattamento dei suoi dati, chiedendone la rettifica, o anche avanzando richieste di aggiornamenti e precisazioni, quasi a concepire una sorta di contrappeso al trattamento esclusivo dei dati da parte dell’organo di informazione.

Non si può non notare che la giurisprudenza di legittimità, limitandosi a enunciare principi generici e astratti e non indicando, al contrario, criteri rigorosi e oggettivi a cui far ricorso per attuare un giusto bilanciamento tra interessi divergenti, ma solo parametri vaghi (quale il concetto generico e sfuggente di “decorso del tempo”) nulla pare aggiungere allo spinoso dibattito che riguarda l’armonizzazione della libertà di informare col diritto alla privacy. Tanto è vero che di recente la questione è stata rimessa, con ordinanza della Corte stessa, come vedremo nel paragrafo successivo, alle Sezioni Unite.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, da par suo, nel rimettere ai giudici nazionali ogni valutazione circa il giudizio di bilanciamento tra interessi contrapposti, sembra tuttavia dare maggiore peso alla libertà giornalistica e al diritto del pubblico a essere informato.

Nella decisione qui d’interesse[33], infatti, sul rilievo che gli archivi online costituiscono una fonte preziosa per la ricerca storica e tenuto conto del ruolo fondamentale della divulgazione giornalistica nei confronti dell’opinione pubblica la Corte di Strasburgo ha ritenuto legittima la decisione del giudice nazionale (nella fattispecie la Corte Federale di Giustizia tedesca) che, a sua volta, non aveva ravvisato alcuna violazione del diritto di cui all’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) nel caso di tre testate giornalistiche che consentivano il libero accesso ai contenuti dei loro archivi contenenti i dati personali dei protagonisti di un caso di omicidio avvenuto anni prima, la cui notizia, allora, era stata divulgata nel pieno rispetto della libertà di stampa e delle regole deontologiche.

In precedenza, la stessa Corte ritenendo che l’interesse del pubblico all’informazione abbia un peso maggiore, ma in conformità a determinati criteri tassativi, la cui sussistenza deve essere di volta in volta riscontrata, introduceva un nuovo concetto: quello del grado di notorietà del soggetto dei cui dati si tratta, classificandolo come parametro di misurazione dell’interesse pubblico che la notizia, pur risalente nel tempo, può suscitare[34].

A questa si rifà, peraltro, una recente Ordinanza della Suprema Corte[35], in cui gli Ermellini affermano che, in assenza di determinati presupposti «la pubblicazione di una informazione concernete una persona determinata, a distanza di tempo da fatti ed avvenimenti che la riguardano, non può che integrare […] la violazione del fondamentale diritto all’oblio, come configurato dalle disposizioni normative e dai principi giurisprudenziali» delle Corti europee.

In forza delle considerazioni suesposte, si può concludere, dunque, che, come indicato dalla giurisprudenza di legittimità, il decorso del tempo appare sufficiente a legittimare l’invocazione del diritto all’oblio, fatte però salve tutte quelle ipotesi in cui si configuri “un ritorno di attualità”, o “un’attualità rinnovata”, di fatti del passato già trattati; e ciò sulla base dell’emergere di nuove vicende o accadimenti ad essi riferiti o riferibili e che, appunto, estendono e dilatano il significato di “attualità” e, quindi, dell’ interesse pubblico sotteso.

Il discrimen tra cronaca “lecita” e cronaca in violazione del diritto alla riservatezza è stato ravvisato, in riferimento ad una della fattispecie concrete trattate dalla Suprema Corte nei summenzionati procedimenti, in due anni e mezzo a partire dall’accadimento dei fatti[36].

A conclusioni non dissimili rispetto a quelle dei Giudici di legittimità italiani è giunta, come abbiamo visto, la Corte di Strasburgo, che, più volte chiamata a pronunciarsi in materia, ammette il prevalere dell’interesse pubblico all’informazione su quello del singolo all’oblio, facendo leva sulla strumentalità della cronaca rispetto alla ricostruzione storica e sulla sua funzione sociale, oltre che su altri fattori, quali il grado di notorietà dell’interessato, la verità storica, l’attendibilità delle fonti e la non eccedenza delle notizie rispetto allo scopo informativo.

3c. La recente pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte[37] in tema di rapporti tra diritto all’oblio e diritto alla rievocazione storiografica.

La vicenda trae origine dall’iniziativa di un soggetto che assume essere stato leso nel proprio diritto all’oblio a seguito della pubblicazione di un articolo concernente il caso di omicidio da egli stesso commesso molti anni prima e per il quale era stato condannato in via definitiva e aveva già scontato la relativa pena.

Questi chiedeva la condanna della giornalista e del quotidiano che avevano rievocato l’episodio di cronaca che lo riguardava al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali  subiti, fondando la propria domanda sul rilievo che la pubblicazione dell’articolo dopo un lunghissimo lasso di tempo dai fatti gli avesse procurato un senso di angoscia e prostrazione, con grave ripercussione sulla sua salute, e lo avesse esposto ad una nuova gogna mediatica, con conseguente grave danno per la sua immagine.

Il Tribunale adito aveva rigettato la suddetta domanda e la Corte d’Appello il relativo ricorso. Dalla ricostruzione della vicenda che si evince dalle motivazioni alla sentenza che stiamo esaminando, infatti, la Corte di merito aveva scartato l’ipotesi di una “rinnovata condanna mediatica e sociale” in danno del ricorrente, poiché la cronaca, «se inserita in un preciso disegno editoriale non può mai dirsi superata», in quanto «il tempo non cancella ogni cosa e la memoria, anche se dura e crudele, può svolgere un ruolo nel sociale, in un’assoluta attualità che ne giustifica il ricordo».

Contro la sentenza della Corte d’Appello, il soggetto proponeva ricorso per Cassazione avverso il quotidiano e l’autrice della pubblicazione, all’esito del quale la Terza Sezione Civile della Corte stessa trasmetteva gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite della questione, ritenuta di particolare importanza, «costituita dalla necessità di stabilire i precisi confini tra diritto all’oblio e diritto di cronaca»[38].

Ciò premesso, e passando all’esame della suddetta pronuncia delle Sezioni Unite, va anzitutto osservato come i Giudici di legittimità muovano dalla premessa che «quando un giornalista pubblica di nuovo, a distanza di un lungo periodo di tempo, una notizia già pubblicata – la quale, all’epoca, rivestiva un interesse pubblico – egli non sta esercitando il diritto di cronaca quanto il diritto alla rievocazione storica (storiografica) di quei fatti»; e, dunque, «l’attività storiografica, intesa appunto come rievocazione di fatti ed eventi che hanno segnato la vita di una collettività, fa parte della storia di un popolo, ne rappresenta l’anima ed è, perciò, un’attività preziosa».

Ed è proprio sull’assunto della cronaca che diventa storia che la Suprema Corte poggia la prevalenza, in via di principio, del diritto all’oblio rispetto alla libertà di stampa, per cui «il diritto dell’interessato al mantenimento dell’anonimato sulla identità personale è prevalente, a meno che non sussista un rinnovato interesse pubblico ai fatti ovvero il protagonista abbia ricoperto o ricopra una funzione che lo renda pubblicamente noto».

Alla luce di quanto sopra, in positivo, la rievocazione prevarrà sul diritto all’oblio a condizione dell’anonimato (è questo l’elemento di novità rispetto alle risultanze delle precedenti elaborazioni giurisprudenziali), salvo che il protagonista delle vicende rievocate sia una persona  pubblicamente nota o sussista un ritorno dell’interesse pubblico alla diffusione mediatica dei fatti.

I Giudici di legittimità, nell’accogliere il ricorso del ricorrente e cassando la sentenza impugnata, rinviavano il giudizio alla Corte di merito con l’enunciazione del seguente principio di diritto: «In tema di rapporti tra il diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione del c.d. diritto all'oblio) e il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito - ferma restando la libertà della scelta editoriale in ordine a tale rievocazione, che è espressione della libertà di stampa e di informazione protetta e garantita dall'art. 21 Cost. - ha il compito di valutare l'interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell'ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l'interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell'onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva (nella specie, un omicidio avvenuto ventisette anni prima, il cui responsabile aveva scontato la relativa pena detentiva, reinserendosi poi positivamente nel contesto sociale)».

In conclusione, alla luce del recentissimo orientamento espresso dalle SS. UU., non fa che consolidarsi l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità pregressa che aveva fissato, almeno nelle linee fondamentali, così come si evince dai passaggi motivazionali delle numerose pronunce sul tema, i principi in tema di limiti al corretto esercizio del diritto di cronaca nella sua veste di diritto alla rievocazione storica.

4. Dati personali nel web: la recentissima pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea

La decisione della Corte di Giustizia UE[39] qui in commento che riguarda soltanto uno degli aspetti sotto cui viene in considerazione il tema dell’oblio, quello, cioè, della deindicizzazione di dati e contenuti nei motori di ricerca attiene ai rapporti tra diritto alla divulgazione di dati personali in internet e diritto alla riservatezza con riguardo alla dimensione non temporale, ma territoriale.

La questione trae origine da una decisione dell’Autorità per la protezione dei dati francese (CNIL) che, in accoglimento di una domanda volta a ottenere la soppressione di alcuni link dall’elenco dei risultati visualizzati a seguito di una ricerca che partiva dalla digitazione nel motore di ricerca del nome del soggetto dei cui dati si trattava, aveva intimato a Google la cancellazione, con portata e valenza universale, dei dati “incriminati”.

Tuttavia, il gestore del motore di ricerca provvedeva alla rimozione di tali dati, con la limitazione territoriale, però, riferita ai confini del Paese di appartenenza degli utenti che avessero effettuato una connessione alla versione del motore di ricerca accessibile unicamente dallo Stato membro. Successivamente, dal rifiuto di dar seguito alla diffida del CNIL, scaturiva una sanzione di 100.000 euro a carico di Google e pertanto quest'ultimo con ricorso proposto al Consiglio di Stato (Conseil d’Etàt) francese chiedeva l’annullamento della sanzione, sul rilievo che essa si fosse basata su un’erronea interpretazione della legge francese che recepisce la Direttiva 95/46/CE del 95 relativa alla tutela delle persone fisiche con riferimento al trattamento dei dati personali; il Conseil d’Etàt sospendeva il procedimento e investiva della questione la Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Nella decisione in argomento, la Corte del Lussemburgo risolvendo le questioni pregiudiziali a essa sottoposte dal Consiglio di Stato francese giunge alla conclusione che le norme di riferimento europee (Direttiva CE 95/46 del 1995 e Regolamento UE 2016/679) vadano interpretate nella direzione della non sussistenza di alcun obbligo in capo al gestore di un motore di ricerca di effettuare la deindicizzazione su tutte le versioni del motore di ricerca, ma solo nelle versioni del suo motore di ricerca corrispondenti a tutti gli Stati membri, sempre che l’inserimento dei dati nel contesto informativo arrechino pregiudizio all’interessato (quest’ultima considerazione è data dall’argomento che il diritto alla protezione dei dati personali non è una “prerogativa assoluta” e va contemperato con altri diritti fondamentali).

La deindicizzazione dei dati, quindi, andrà effettuata in tutti gli Stati membri e non nella sola versione del motore corrispondente allo Stato membro di residenza del beneficiario della deindicizzazione stessa, sul rilievo che - conclude la corte di Giustizia UE – «il legislatore dell’Unione ha ormai scelto di fissare le norme sulla protezione dei dati mediante un regolamento, direttamente applicabile in tutti gli Stati membri […] al fine di assicurare un livello coerente ed elevato di protezione in tutta l’Unione e di rimuovere gli ostacoli alla circolazione dei dati all’interno della stessa».

Tuttavia, «occorre infine sottolineare che il diritto dell’Unione, pur se […] non impone, allo stato attuale, che la deindicizzazione accolta verta su tutte le versioni del motore di ricerca in questione, neppure lo vieta. Pertanto, un’autorità di controllo o un’autorità giudiziaria di uno Stato membro resta competente ad effettuare, conformemente agli standard nazionali di protezione dei diritti fondamentali […] un bilanciamento tra, da un lato, il diritto della persona interessata alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei suoi dati personali e, dall’altro, il diritto alla libertà d’informazione e, al termine di tale bilanciamento, richiedere, se del caso, al gestore di tale motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le versioni di suddetto motore». Ciò implica la conseguenza che l’Autorità di uno stato membro sarà legittimata a chiedere, in base alla normativa nazionale di riferimento, la deindicizzazione universale (o globale).

5. Considerazioni conclusive

«Nello spazio globale i diritti si dilatano e scompaiono, si moltiplicano e si impoveriscono, offrono opportunità collettive e si rinserrano nell’ambito individuale, ridistribuiscono poteri e subiscono soggezioni, soprattutto agli imperativi della sicurezza e alla prepotenza del mercato. Andamenti contraddittori, che sono il segno d’un tempo che non conosce tragitti lineari e vive di conflitti acutissimi»[40].

Si ritiene opportuno, a conclusione di questo lavoro, riprodurre il passaggio dottrinale in parola, tratto da uno scritto di Stefano Rodotà Giurista di chiara fama prima ancora che Garante per la protezione dei dati personali (1997-2005), poiché esso, oltre che darci l’idea del significato attuale del fenomeno della conflittualità, riferita ad un contesto generale, tra tutele che, appunto, “si dilatano” e “si rinserrano” in una sorta di rimpallo tra la dimensione individuale e quella collettiva, ci da il senso della complessità della materia nella dimensione globalizzata, oltre che offrire un pregevole spunto per affrontare in maniera incisiva e risolutiva i tratti più problematici dell’ampia e non priva, già di per sé, di aspetti spinosi - questione riguardante  l’oblio nell’era digitale.

Diritto all’oblio, dunque, come pretesa all’anonimato perché si venga dimenticati: il tema appare connotato, come si è visto, da problematiche complesse, la cui complessità risulta ancor più stringente, appunto, se riferita al mondo virtuale.

In tale contesto, è da notare che le prime elaborazioni giurisprudenziali e i primi impianti normativi in materia di diritto alla riservatezza e di trattamento di dati personali vedranno la luce solo a cavallo tra il secolo scorso e gli anni duemila. I numerosissimi interventi giurisprudenziali, sia a livello nazionale che in ambito europeo, inoltre, non hanno ancora chiarito i lati più controversi né colmato i vuoti che forse bisognerà colmare, in un contesto fatalmente globalizzato come quello attuale, armonizzando la normativa, per quanto possibile, in una dimensione di diritto internazionale e non solo europeo.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Si tratta del “diritto alla rettifica e alla cancellazione dei dati personali e all’opposizione al trattamento degli stessi”, come previsto dalle norme europee e nazionali (Chiara Anna Pia Giordano, Il diritto all’oblio nella giurisprudenza italiana ed europea, in Riv. Cammino Dirit., 11, 2017).

[2] Il principale e il più utilizzato al mondo tra i motori di ricerca è Google, la cui portata globale e la diffusione planetaria ne hanno fatto il motore di ricerca per antonomasia.

[3] Articolo 21, primo comma, Costituzione. 

[4] Precursore dell’interpretazione estensiva dell’art. 21, Cost., che vuole il diritto di cronaca quale corollario della libertà di manifestazione del pensiero, è V. CRISAFULLI, Problematica della libertà di informazione, in Il Politico, 1964, p. 286.

[5]Non si tratta semplicemente di raccontare episodi ma di contribuire alla formazione di quella che viene definita opinione pubblica […] infatti è ormai palese che il modo di presentare una notizia e la risonanza che ne può essere data, influenzano la formazione dell’opinione pubblica, indirizzando il pubblico verso un’opinione piuttosto che un’altra”, G. Catalisano, La disciplina del diritto di cronaca, in AmbienteDiritto.it, 11 gennaio 2018, anno XVIII.

[6] Si pensi a quel radio-telegiornale o a quel giornale che dovesse riportare - nell’edizione cartacea o online - notizie riguardanti lo sciopero in una grande fabbrica avente interessi economici nel gruppo che edita o produce la testata; oppure al giornale di riferimento di un partito politico che dovesse diffondere la notizia di uno sbarco di migranti sulle coste o su un’isola italiane.

[7]Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 a Parigi.

[8]  Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 dai Governi degli Stati allora membri del Consiglio d’Europa.

[9]  L’art. 10 della Convenzione, al secondo comma, così infatti recita: ”L’esercizio di queste libertà, comportando doveri e responsabilità, può essere sottoposto a determinate formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge e costituenti misure necessarie in un società democratica, per la sicurezza nazionale, l’integrità territoriale o l’ordine pubblico, la prevenzione dei reati, la protezione della salute e della morale, la protezione della reputazione e dei diritti altrui, o per impedire la divulgazione di informazioni confidenziali o per garantire l’autorità e la imparzialità del potere giudiziario”.

[10] Il Trattato di Lisbona - che ha modificato il TUE (Trattato sull’Unione Europea) e il TCE (Trattato istitutivo della Comunità Europea) -  è stato firmato il 13 dicembre 2007 ed è entrato in vigore il 1 dicembre 2009. Esso – accorpando anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e la  Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali - ha sostanzialmente sostituito il Trattato che prevedeva una Costituzione europea, il cui progetto fu definitivamente abbandonato in seguito al rifiuto di alcuni Stati membri che si opposero all’adozione di detta Costituzione europea.

[11]  Franco Abruzzo (ricerca e analisi di), La libertà di stampa, tutela dell’informazione e dei giornalisti alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europeae della “Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo nel contesto delle Convenzioni internazionali che proclamano la libertà di stampa, che dà conto, nei termini che seguono, anche di una Raccomandazione del Consiglio d’Europa e di un principio espresso dalla Corte Europea dei Diritti umani: “Il Consiglio d’Europa, nella raccomandazione R(2000)7 […] ha scritto testualmente: «L’articolo 10 della Convenzione, così come interpretato dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo, s’impone a tutti gli Stati contraenti». Su questa linea si muove il principio affermato il 27 febbraio 2001 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: ”I giudici nazionali devono applicare le norme della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo secondo i principi ermeneutici espressi nella giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell'Uomo”».  www.francoabruzzo.it /document.asp?DID=8117    

[12] Articolo 11 della “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino” del 26 agosto 1789: “La libera manifestazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge”.

[13] La Corte costituzionale ha più volte dichiarato che quello alla riservatezza è da intendersi come diritto inviolabile ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione: tra le altre, Sentenza Corte cost. n. 63 del 1994 e Sentenza Corte cost. n. 81 del 1993.

[14]  Cass. Civ., Sez. III, Ord. n. 13551 del 25 maggio 2017. In senso conforme, ex multis: Cass. Civ., Sez. I, Sent. n. 5259 del 18 ottobre 1984 (che è una pronuncia di portata storica, nota anche come sentenza decalogo del giornalista) della quale merita di essere evidenziato il seguente passaggio motivazionale: “Il diritto di stampa (cioè la libertà di diffondere attraverso la stampa notizie e commenti, sancito in linea di principio nell’art. 21 Cost. e regolato fondamentalmente dalla l. 8 febbraio 1948 n. 47, è legittimo quando concorrano le seguenti tre condizioni: 1. utilità sociale dell’informazione; 2. verità oggettiva o anche soltanto putativa (purché, in quest’ultimo caso, frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) dei fatti esposti; 3. forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione: cioè non eccedente rispetto allo scopo informativo da conseguire, improntata a serena obiettività almeno nel senso di escludere il preconcetto intento denigratorio e, comunque, in ogni caso rispettosa di quel minimo di dignità cui ha sempre diritto anche la più riprovevole delle persone, sì da non essere mai consentita l’offesa triviale o irridente i più umani sentimenti”; Cass. Pen., SS. UU., Sent. n. 8959 del 30 giugno 1984.

Si veda anche Cass. Civ., Sez. III, Sent. n. 6902 dell’8 maggio 2012, in cui i Giudici di legittimità ribadiscono l’orientamento, oramai consolidato, quanto all’esercizio del diritto di cronaca che qui rileva nella veste di scriminante del reato di diffamazione a mezzo stampa.

[15]  La Consulta ha affermato il principio secondo cui “non è dubitabile che sussista, e sia implicitamente tutelato dall’art. 21 Cost., un interesse generale della collettività all’informazione, di tal che i grandi mezzi di diffusione del pensiero (nella più lata eccezione, comprensiva delle notizie) sono a buon diritto suscettibili di essere considerati nel nostro ordinamento, come in genere nelle democrazie contemporanee, quali servizi oggettivamente pubblici o comunque di pubblico interesse” (Sentenza Corte cost. n. 94 del 1977).

[16]  A. BEVERE - A. CERRI, Il diritto dell’informazione e i diritti della persona, CEDAM, 1995, pp. 53 e ss.

[17] Cass. Civ., Sez III, Sent. n. 12834 del 6 giugno 2014, in cui la Suprema Corte enuncia il seguente principio di diritto in materia di tutela dell’immagine: “La pubblicazione su un quotidiano della foto di una persona in coincidenza cronologica con il suo arresto, deve rispettare, ai fini della sua legittimità, non soltanto i limiti della essenzialità per illustrare il contenuto di una notizia e del legittimo esercizio del diritto di cronaca (fissati dagli artt. 20 e 25 della legge n. 675 del 1996 applicabile pro tempore alla fattispecie in esame e riprodotti nell’art. 137 del codice della privacy) ma anche le particolari cautele imposte a tutela della dignità della persona ritratta dall’art. 8, primo comma, del codice deontologico dei giornalisti, che costituisce fonte normativa integrativa; l’indagine sul rispetto dei suddetti limiti nella pubblicazione della foto va condotta con maggiore rigore rispetto a quella relativa alla semplice pubblicazione della notizia, tenuto conto della particolare potenzialità lesiva della dignità della persona connessa alla enfatizzazione tipica dello strumento visivo, e della maggiore idoneità di esso ad una diffusione decontestualizzata e insuscettibile di controllo da parte della persona ritratta”.

[18] Viene da sé che qualora il soggetto dei cui dati e delle cui informazioni personali si tratta abbia rilievo pubblico, il giornalista gode, rispetto a tali limiti, di margini più ampi nell’attività di diffusione della notizia.

[19] Cass. Pen., Sez. V, Sent. n. 6429 del 21 febbraio 2005, in cui si ribadisce il principio della rigorosa corrispondenza tra quanto è stato narrato e ciò che è realmente accaduto; Cass. Pen. Sez. V, Sent. n. 2113 del 6 marzo 1997, in cui i Giudici di legittimità affermano l’obbligo per il giornalista – al pari dello storico - di accertarsi che i fatti narrati corrispondano a verità e di verificare l’attendibilità della fonte.

[20]“Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati”, meglio noto come GDPR (General Data Protection Regulation), in GUUE, L 191/1 del 4 maggio 2016.

[21] Decreto Legislativo n. 196 del 30 giugno 2003, modificato dal Decreto Legislativo n. 101 del 10 agosto 2018 (c.d. Decreto di adeguamento al GDPR) e, da ultimo, dal D.L. n. 53 del 14 giugno 2019.

[22] Tali regole deontologiche – così recita l’articolo 139 del Codice della privacy - prevedono “misure e accorgimenti a garanzia degli interessati rapportate alla natura dei dati, in particolare per quanto riguarda quelli relativi alla salute e alla vita o all’orientamento sessuale”. E’ bene evidenziare che le “Regole deontologiche relative al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica” nel 2019 hanno sostituito il precedente “Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica” e sono state anch’esse inserite nel corpus del Codice della Privacy, di cui costituiscono l’Allegato A e di cui, quindi, vanno considerate ormai parte integrante. Il predetto codice è considerato fonte normativa integrativa (si veda, a tale ultimo riguardo, il principio di diritto enunciato in Cass. Civ., Sez. III, Sent. n. 12834/2014, di cui supra, nota xvii, oltre a Cass. Civ., Sez.III, Sent. n. 10690 del 24 aprile 2008, in cui si afferma che “il rispetto delle previsioni deontologiche è condizione essenziale per la liceità e la correttezza del trattamento dei dati personali e, se tali presupposti non sussistono, il consenso dell’interessato è imprescindibile e la diffusione del dato senza quel consenso è suscettibile di essere apprezzato come fatto produttivo di danno risarcibile”).

[23] Basti qui richiamare, a titolo esemplificativo: provvedimento del 14 ottobre 1997,https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/30979; provvedimento del 18 ottobre 2012, https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/2109781

[24] Provvedimento del “Garante per la protezione dei dati personali” del 14 febbraio 2002, https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/1064328  

[25]  Le suesposte considerazioni valgano anche per il c.d. “giornalismo d’inchiesta”, nei casi, ovvero, in cui il cronista riprenda “a telecamere  nascoste” uno o più soggetti - al fine di farli uscire, “con l’inganno”, allo scoperto, così diventando una sorta di agente provocatore - in mancanza della previa autorizzazione dell’interessato. Ciò sul rilievo che “il giornalista deve nascondere la telecamera perché altrimenti l’interlocutore, sapendo di essere registrato, non parlerebbe liberamente” (A. Rodontini, Giornalismo d’inchiesta e riservatezza. Il diritto di cronaca prevale sulla tutela della privacy (art. 167, c. 2, D. Lgs. 196/03), in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 7-8, in cui si auspica peraltro una nette linea di demarcazione, a livello legislativo, dei “confini della tutela dei dati personali, indicando fin dove questa si estende e dove invece essa è destinata a soccombere. Diversamente, lasciando al Giudice o al Pubblico Ministero la discrezionalità, vi sarà sempre un interesse configgente, una forza diversa e opposta, centripeta, che potrà essere più o meno forte a seconda di quale sia l’interesse da difendere”).

[26] Il diritto all’oblio si può manifestare, oltre che nel senso già visto - e che qui rileva - anche con un significato riferito ad un parametro temporale agganciato non al periodo di tempo “intercorrente tra la pubblicazione dell’informazione e la sua ripubblicazione bensì a quello di permanenza della stessa on-line” (Chiara Anna Pia Giordano, pubblicaz. cit.).

[27]  Giusella Finocchiaro, Diritto all’oblio e diritto di cronaca: una nuova luce su un problema antico, in GiustiziaCivile.com, 15/01/2019, da cui val la pena estrarre il passaggio in cui si contestualizza il diritto all’oblio in relazione “a vicende che hanno costituito fatti di cronaca o comunque in relazione alle quali la pubblicizzazione, cioè la fuoruscita dalla sfera della riservatezza degli interessati, era da considerarsi lecita, ma rispetto alle quali non è lecita la ripubblicazione.

[28] Una descrizione moto efficace del “fattore tempo” che incide sul diritto all’oblio, giustificandone la configurabilità, si rinviene in Annamaria Di Clemente, Il diritto all’oblio alla luce della recentissima pronuncia della Corte di giustizia UE, in Riv. Cammino Dirit., 10, 2019: “[…] l’esercizio del diritto all’oblio è teso non già a cancellare il passato quanto a proteggere il presente impedendo che una notizia già pubblicizzata e, quindi, uscita dalla sfera privata del soggetto venga nuovamente, senza una legittima ragione, posta all’attenzione degli utenti a distanza di un certo lasso temporale”.

[29] Il principio di diritto riportato è espressamente enunciato dagli Ermellini in Cass. Civ., Sez. III, Sent. n. 16111 del 26 giugno 2013.

[30] Il riferimento normativo utilizzato dal Tribunale di Chieti - Sez. distaccata di Ortona, era stato individuato nell’art. 11 del Decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali), il cui testo prevede, tra l’altro, che i dati personali oggetti di trattamento sono conservati “per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati”.

[31] Cass. Civ., Sez. I, sent. n. 13161 del 24 giugno 2016.

[32] Cass. Civ., Sez. II, Sent. n. 5525 del 21 aprile 2008, che opera anche una distinzione tra notizie riportate negli archivi storici dei giornali e dati indicizzati nei motori di ricerca, in una lunga serie di passaggi motivazionali non sempre, a parere dello scrivente, di facile comprensione.

[33] Corte EDU, V Sezione, Sentenza del 28 giugno 2018, M.L. e W.W. c. Germania, ric. 60798/10 e 65599/10. Per un commento approfondito della decisione e per il link di accesso alla sentenza: Claudia Morini, Il bilanciamento tra diritto all’oblio, libertà di espressione e conservazione della memoria collettiva in una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in mediaLAWS – Law and Policy of the Media in a Comparative Perspective, 24 ottobre 2018, 3/2018.

[34] Corte EDU, Sentenza del 19 ottobre 2017, Fuschsmann c. Germania, ric. 71223/2013.

[35] Cass. Civ., Sez. I, Ordinanza n. 6919 del 20 marzo 2018, in cui si legge che “il diritto fondamentale all’oblio può subire una compressione, a favore dell’ugualmente fondamentale diritto di cronaca, solo in presenza di specifici e determinati presupposti: 1) il contributo arrecato dalla diffusione dell’immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico; 2) l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell’immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali), da reputarsi mancante in caso di prevalenza di un interesse divulgativo o, peggio, meramente economico o commerciale del soggetto che diffonde la notizia o l’immagine; 3) l’elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la particolare posizione rivestita nella vita pubblica e, segnatamente, nella realtà economica o politica del Paese; 4) le modalità impiegate per ottenere e nel dare l’informazione, che deve essere veritiera poiché attinta da fonti affidabili, e con un diligente lavoro di ricerca, diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell’interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione; 5) la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell’immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all’interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al grande pubblico”.

[36] Sul punto si osserva giustamente, a scongiurare la possibilità che l’indirizzo giurisprudenziale venga interpretato nel senso di una potenziale compressione del diritto di cronaca, che “quello che si disciplina non è l’espressione del diritto, innegabilmente ampio, ma la tutela della persona a non essere identificata – per sempre – in un evento , sebbene antigiuridico. Aver indicato nei due anni e mezzo un tempo che non possa giustificare più la permanenza di una notizia in un archivio online, è affermazione di civiltà, sia per l"accesso ampio alla stessa, sia per la difficoltà di percezione dei tempi diversi, nel soggetto che legge, tra la notizia datata e quella attuale” (Francesca Sassano, Diritto all’oblio. Fissato un tempo perché gli accadimenti siano cancellati dagli archivi on line cass. Civ. 13161/2016, in Persona&Danno, 10/07/2017.

[37] Cass., Sezioni Unite Civili, sentenza n. 19681 del 22 luglio 2019.

[38] Cass. Civ., Sez. III, Ordinanza n. 28084 del 5 novembre 2018.

[39] Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, C-507/17, 24 settembre 2019.

[40] S. RODOTA’, Il diritto di avere diritti, Editori Laterza, 2015, p. 1 e ss., nel cui “Prologo” (da cui il passaggio è tratto) l’Autore descrive magistralmente le implicazioni teoriche del fenomeno della conflittualità tra situazioni – verrebbe da dire uguali e contrarie - parimenti tutelate.

Per una trattazione ampia dei temi oggetto del presente contributo, oltre che per una disamina approfondita delle questioni specifiche qui trattate, si rimanda, oltre che alle opere citate, ai seguenti volumi:

D. CARETTI - A. CARDONE, Diritto dell’informazione e della comunicazione nell’era della convergenza tecnologica, Il Mulino, 2019;

V. PEZZELLA, La diffamazione. Le nuove frontiere della responsabilità penale e civile e della tutela della privacy nell’epoca delle chat e dei social forum, UTET, 2016;

M. MEZZANOTTE, Il diritto all’oblio, Edizioni Scientifiche Italiane, 2009;

R. ZACCARIA, Diritto dell’informazione e della comunicazione, CEDAM, 2007.