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Pubbl. Dom, 25 Ago 2019

L´ordinamento giudiziale canonico: linee generali ed elementi distintivi

Luciano Labanca
Dottore di ricercaNessuna


Dopo una breve introduzione generale sul sistema giudiziale nell´ordinamento canonico, sia nell´ambito della Chiese particolari, sia della Chiesa universale, si presentano brevemente i profili dei Tribunali Apostolici della Rota Romana, della Segnatura Apostolica e della Sezione per i delicta reservata della Congregazione per la Dottrina della Fede


Sommario: Introduzione; 1. L'ordinamento giudiziale canonico;  1.1.La struttura giudiziale nelle Chiese particolari; 1.2. La struttura giudiziale della Chiesa universale: i Tribunali Apostolici; 1.2.1. La Rota Romana; 1.2.2. Il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica; 1.2.3. Tribunale supremo della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) sui delicta reservata; Osservazioni conclusive

Sommario: Introduzione1. L'ordinamento giudiziale canonico;  1.1.La struttura giudiziale nelle Chiese particolari; 1.2. La struttura giudiziale della Chiesa universale: i Tribunali Apostolici; 1.2.1. La Rota Romana; 1.2.2. Il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica; 1.2.3. Tribunale supremo della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) sui delicta reservata; Osservazioni conclusive

Introduzione

In questo breve elaborato si vorrebbero delineare in maniera sintetica e con un approccio generale gli elementi distintivi dell’ordinamento giudiziale canonico. Dopo una introduzione più ampia sull’ordinamento canonico e le tematiche relative alla potestas giudiziale, ci si soffermerà brevemente sulle strutture delle Chiese particolari e della Chiesa universale, dove viene amministrata la giustizia a diversi livelli.

1.  L’ordinamento giudiziale canonico[1]

Il diritto canonico, ossia l’ordinamento giuridico della comunità ecclesiale, prevede che la potestà giudiziale, come declinazione della potestà di governo, appartenga agli uffici capitali della Chiesa, ossia al Romano Pontefice, come giudice universale e ai Vescovi ed equiparati, come giudici nelle loro chiese locali. Tale potestà giudiziale viene esercitata da loro personalmente, o per delega stabile, da specifiche strutture vicarie, i tribunali, che risolvono le controversie rientranti nell’ambito delle loro competenze[2].

Per competenza, nel linguaggio canonico, si intende la concretizzazione della potestà giudiziale della Chiesa nelle controversie che possono sorgere tra i fedeli per perseguire o difendere i loro diritti. L’oggetto dei giudizi della Chiesa, naturalmente, in ossequio alla specifica identità dell’ordinamento canonico, prevede soltanto le materie spiritualiquelle annesse alle spirituali, come ad esempio la materia matrimoniale, quella patrimoniale canonica, la materia penale, in ordine all’accertamento dei delitti e all’irrogazione o dichiarazione delle pene canoniche e le materie dove c’è ragione di peccato[3].

La giustizia, secondo il diritto canonico, deve operare con una certa equità, l’aequitas canonica; ciò significa che l’applicazione dei canoni non deve essere rigida e formale, bensì flessibile e sostanziale, in modo da tutelare non solo le esigenze giuridiche, ma anche e soprattutto quelle spirituali.

Il processo canonico, dunque, rimane sempre l’extrema ratio, e l’ordinamento canonico prevede che precedentemente si intraprendano soluzioni conciliative extragiudiziali (arbitrato, transazione, conciliazione, etc.)[4]. Il processo canonico, tuttavia, prevede la risoluzione autoritativa delle controversie, mediante l’autorità giudiziale costituita, chiamata a raggiungere, analizzando i fatti, la certezza morale sulla decisione da prendere e sempre secondo la stretta osservanza delle procedure legali (modo iure praescripto)[5].

1.1.La struttura giudiziale nelle Chiese particolari

In base alla strutturazione costitutiva della Chiesa, esistono tribunali a livello locale, dove si possono esercitare il primo e il secondo grado di giudizio, e i cosiddetti tribunali apostolici, che operano per la Chiesa universale, come strutture vicarie del Romano Pontefice.

Nelle Chiese particolari, ossia le Diocesi e le circoscrizioni territoriali o personali ad esse equiparate, si collocano i cosiddetti tribunali diocesani. Ogni Vescovo diocesano è giudice di prima istanza ed è tenuto a costituire un tribunale nell’ambito della sua Diocesi. Nonostante la sua missione pastorale, tuttavia, il Vescovo esercita la potestà giudiziaria tramite un Vicario giudiziale e un certo numero di giudici diocesani (chierici o laici). Appartengono al tribunale costituito, anche il Difensore del vincolo e il Promotore di giustizia, che svolgono funzioni di tutela dell’interesse pubblico e sono di nomina episcopale. A questi ultimi si affianca il personale amministrativo, in modo particolare il notaio e gli assessori, come consulenti dei giudici[6].

La competenza del Vescovo diocesano, e quindi del Tribunale da lui costituito, riguarda tutte le cause contenziose e penali, a eccezione di alcune cause che sono riservate al Tribunale della Rota Romana (cosiddetto foro apostolico). Con il Motu proprio di papa Francesco, Mitis Iudex Dominus Iesus[7], sulla riforma del processo canonico per le cause di nullità matrimoniale, oltre ad una revisione dei titoli di competenza relativa per i processi di nullità matrimoniale[8], si prevede che queste cause possano essere trattate coram episcopo, con il cosiddetto “processo più breve”, introducibile con consenso del vicario giudiziale, quando la nullità sia evidente dai documenti e le parti siano d’accordo. In questi casi il vescovo, come giudice, in 45 giorni potrà emettere una sentenza di nullità matrimoniale[9].

Negli altri casi, non ammissibili in questa forma, il processo viene istruito regolarmente nel tribunale diocesano o interdiocesano. Contro le sentenze dei tribunali diocesani è possibile proporre appello davanti al tribunale di seconda istanza, con sede nella diocesi del metropolita (o arcivescovo) preposto ad una provincia ecclesiastica, che ha una posizione di preminenza rispetto ai vescovi delle altre diocesi, dette “suffraganee”. Ogni tribunale di appello, per salvaguardare il diritto di ogni fedele di essere giudicato dal Romano Pontefice, è concorrente con la Rota Romana.

Nell’ordinamento canonico, inoltre, sono previsti i cosiddetti tribunali ecclesiastici regionali ed interdiocesani. Essi sorgono per ottimizzare l’attività giudiziaria e renderla più funzionale alle esigenze dei fedeli: più vescovi diocesani, specialmente per l’esiguità delle cause e per la scarsità di personale qualificato, possono costituire un unico tribunale che comprenda i rispettivi territori di competenza.

Fino alla riforma di papa Francesco, la loro competenza era quasi del tutto circoscritta alla trattazione delle cause matrimoniali. Oggi, con l’istituzione di un maggior numero di tribunali diocesani, si è lasciata libertà ai vescovi di aderire o meno ai tribunali interdiocesani. La direzione e la vigilanza di ciascun tribunale spetta al vescovo della diocesi (Moderatore) dove è situato il tribunale stesso, avvalendosi della collaborazione di uno o più vicari giudiziali e di giudici interdiocesani.

1.2. La struttura giudiziale della Chiesa universale: i Tribunali Apostolici

Per quanto riguarda l’amministrazione della giustizia a livello di Chiesa universale, si deve ricordare che il Romano Pontefice è giudice supremo per tutta la Chiesa[10], a cui ogni fedele può rivolgersi su sua richiesta, o su sua avocazione motu proprio, oltre ai casi previsti dalla legge canonica, in cui si ha una riserva di giurisdizione per determinate persone (Capi di Stato, Cardinali, Legati pontifici e Vescovi nella materia penale)[11].

Ordinariamente il Romano Pontefice amministra la giustizia mediante quattro organi costituiti stabilmente, con potestà ordinaria e vicaria, i cosiddetti tribunali apostolici: la Rota Romana (foro apostolico), il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, la sezione disciplinare della Congregazione per la Dottrina della Fede (per i delicta graviora, secondo Sacramentorum Dignitatis tutela) e la Penitenzieria Apostolica (tribunale di foro interno)[12].

1.2.1.     La Rota Romana

Il Tribunale della Rota Romana, la cui origine e il cui prestigio risalgono al XII secolo, è dotato di un ordinamento autonomo (cosiddette Norme rotali) ed è composto da venti giudici, detti “uditori rotali”, appartenenti a varie nazionalità, perché rappresentino tutta la Chiesa. Devono essere necessariamente sacerdoti e dotati di competenza canonica, esperienza e buona reputazione. La loro nomina è riservata al Pontefice. Presiede all’attività giudiziaria del tribunale il Decano, anch’egli nominato dal Pontefice, che è il giudice più anziano e al quale sono attribuiti i compiti di direzione e vigilanza sul corretto funzionamento del tribunale.

La Rota Romana, pur essendo tribunale di appello per tutta la Chiesa[13], concorrente con i tribunali di appello di tutto il mondo, giudica anche le cause di grado superiore[14]; inoltre è bene precisare come in terza istanza, l’esame della causa non sia limitato ai soli profili di legittimità, ma comprenda una trattazione anche nel merito.

La Rota, inoltre, ha anche una competenza di primo grado per le cause riservate dalla legge, in modo particolare, per le persone fisiche e giuridiche che non hanno altro superiore gerarchico al di sotto del Romano Pontefice, come i vescovi per le cause contenziose, le diocesi e i superiori degli istituti di vita consacrata di diritto pontificio[15].

1.2.2.     Il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica

Altro organismo giudiziario della Sede Apostolica, è il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. Esso è posto al vertice dell’ordinamento giudiziario della Chiesa e svolge la funzione di giudice di legittimità, come la Corte di Cassazione, ma anche funzioni amministrative, di direzione generale e vigilanza sull’amministrazione della giustizia ecclesiastica[16].

Per svolgere queste funzioni amministrative, il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, si struttura piuttosto come congregazione della Curia Romana, che non come vero e proprio tribunale. La struttura prevede un ordinamento autonomo, basato sulla Lex propria della Segnatura Apostolica, promulgata nel 2008, ed è composto da cardinali e vescovi nominati dal Pontefice, di cui uno di essi con funzioni di prefetto per presiedere tale dicastero.

Il prefetto è coadiuvato da un Segretario Arcivescovo, nominato dal Pontefice, che ha il compito di direzione complessiva del tribunale. Ci sono anche presbiteri, particolarmente esperti nella materia canonistica, che svolgono il ruolo di referendari, ossia periti per determinate cause.

Le competenze specifiche attualmente attribuite al Tribunale della Segnatura Apostolica si suddividono in tre settori di attività:

a) Il primo settore riguarda la funzione giudiziaria, con competenza a decidere sui ricorsi di nullità contro le decisioni emesse dalla Rota Romana, sui ricorsi contro i decreti con cui la Rota ha rigettato le richieste di riapertura del giudizio delle cause matrimoniali e della sacra ordinazione, sulle istanze di ricusazione dei giudici della Rota stessa e sui conflitti di competenza tra tribunali non soggetti allo stesso tribunale di appello. In questo settore, la Segnatura svolge un ruolo simile a quello della Corte di Cassazione nell’ordinamento giudiziario italiano.

b) Il secondo settore riguarda la funzione di giustizia amministrativa, con competenza a giudicare sui ricorsi circa la legittimità degli atti emanati dalle autorità amministrative ecclesiastiche, su altre cause di natura amministrativa e sui conflitti di competenza tra i dicasteri della Curia romana. Questa sezione amministrativa, introdotta dopo il Concilio Vaticano II, non può mai essere adita direttamente perché decida su atti amministrativi, ma soltanto dopo aver compiuto tutti i passaggi del ricorso gerarchico. La decisione amministrativa avviene sempre circa la legittimità in procedendo e in decernendo dell’autorità amministrativa e mai riguardo al merito, sebbene la Segnatura possa decretare la restitutio in integrum e il risarcimento del danno arrecato con un atto amministrativo contestato, ad istanza della parte ricorrente. In questo settore, la Segnatura svolge in qualche modo le funzioni del Consiglio di Stato nell’ordinamento italiano.

c) Il terzo settore riguarda la funzione di regolamentazione e controllo della complessiva amministrazione della giustizia e costituisce la parte più rilevante dell’attività della Segnatura; nello specifica garantisce il corretto esercizio della funzione giudiziaria da parte dei tribunali e il controllo di legittimità sulle sentenze di nullità matrimoniale, in forza della loro esecutività civile, la cosiddetta “delibazione”. Si occupa anche di verificare l’operato dei tribunali inferiori, che sono tenuti ad inviare a questo organo, annualmente, una relazione sulla loro attività giudiziaria. Questa funzione è simile a quella svolta del Ministero della Giustizia nell’ordinamento italiano. Il Tribunale della Segnatura Apostolica, infine, svolge anche funzioni di consulenza e indirizzo nei confronti dei tribunali che ne facciano richiesta, per quanto concerne l’applicazione o l’interpretazione di norme giuridiche.

1.2.3. Tribunale supremo della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) sui delicta reservata[17]

Una novità tristemente attuale della storia recente, dovuta specialmente all’esplosione del fenomeno degli abusi sessuali di chierici a scapito di minori, si ebbe con la promulgazione da parte di Giovanni Paolo II del motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela del 30 aprile 2001[18]. Il motu proprio era diviso in una parte sostanziale che conteneva i delitti riservati alla CDF ed in una parte procedurale che descriveva la prassi giudiziale da seguire nel giudicare tali delitti.

I delitti ricompresi nella categoria dei più gravi (graviora) vennero suddivisi in tre gruppi: i delitti contro l’Eucarestia (la tentata celebrazione eucaristica da parte di chi non insignito del carattere sacerdotale; la communicatio in sacris vietata; la consacrazione per fine sacrilego); i delitti contro il Sacramento della Penitenza (assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento; sollecitazione al peccato contro il sesto comandamento fatta in occasione del sacramento della penitenza o con il pretesto di questo; violazione del sigillo sacramentale); i delitti ‘contro i costumi’ (contra mores) il peccato contro il sesto comandamento, grave ed esterno, commesso da un chierico con un minore di 18 anni (alzando l’età rispetto ai 16 anni stabiliti dal can. 1395, § 2).

Il 21 maggio 2010 Benedetto XVI rende la legge speciale promulgata da Giovanni Paolo II, una legge ordinaria per tutta la Chiesa, apportando anche alcune modifiche rilevanti[19]. Nella nuova edizione del 2010 che, in primis, non si parla più di delicta graviora, bensì di delicta reservata, aggiungendo anche i delicta contra fidem che non erano contemplati nell’edizione del 2001 (per i quali si rimanda direttamente ai canoni del CIC e del CCEO in materia sostanziale).

In tali casi la CDF agisce in seconda istanza lasciando all’Ordinario la procedura di prima istanza e la possibile remissione della pena. I delitti contro l’Eucarestia restano immutati, mentre vengono incluse nei delitti contro il sacramento della Penitenza maggiori fattispecie delittuose; si prevedono in aggiunta: attentata assoluzione sacramentale o ascolto vietato della confessione, la simulazione dell’assoluzione sacramentale, la registrazione o divulgazione della confessione attraverso i mezzi di comunicazione sociale. Con l’art. 5 del motu proprio del 2010, si tipizza anche il nuovo delitto di attentata ordinazione di una donna con la pena della scomunica latae sententiae e la possibilità di dimissione dallo stato clericale se il reo è chierico[20].

Le modifiche sostanziali più rilevanti si hanno con l’art. 6 concernente il delictum gravius contra mores, ossia l’abuso su minori perpetrato da un chierico. Si opera l’equiparazione al minore della persona che ha abitualmente un uso imperfetto della ragione. Poi, al n° 2, si tipicizza come azione delittuosa l’acquisizione o la detenzione o la divulgazione, a fine di libidine, di immagini pornografiche di minori sotto i quattordici anni da parte di un chierico, in qualunque modo e con qualunque strumento[21]. Per quanto concerne la prescrittibilità, poi, si concede alla CDF facoltà di deroga, all’art. 7, § 1, innalzando il termine da dieci a venti anni, dal compimento della maggiore età della vittima, se minore[22].

Dal punto di vista procedurale[23], sinteticamente, il punto di partenza – come in tutti i procedimenti penali - è sempre dato dal fumus delicti, ossia la notitia criminis che perviene alla competente autorità. L’Ordinario, raggiunto da una notizia simile in materia di delicta reservata, secondo i casi summenzionati, deve avviare l’indagine previa (cann. 1717-1719).

A differenza di quanto disposto, in via ordinaria, in materia di delicta reservata, l’Ordinario deve trasmettere gli atti dell’investigatio praevia alla CDF[24]. La CDF, dopo aver esaminato gli atti, può indicare diverse possibilità: a) ritenere che non sia necessario instaurare un processo pur potendo, in simili casi, proporre provvedimenti non penali atti a promuovere il bene pubblico della Chiesa (rimedi penali, ammonizioni, etc.); b) può avocare a sé la causa sin dal primo grado; c) può dar mandato all’Ordinario di celebrare il processo e indicare la via giudiziale o amministrativa da seguire; d) in casi di particolari gravità può deferire il caso direttamente al Sommo Pontefice, dando sempre al reo la possibilità di difesa.

Per quanto concerne l’appello contro la decisione, in forma di decreto o sentenza, esso va interposto presso la medesima Congregazione, Feria IV, che giudica sul merito e sulla legittimità (non c’è competenza da parte del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica). Tale appello non vede gradi a sé superiori; esso è pertanto definitivo[25].

A differenza dei processi penali ordinari, per i quali si prevede che le misure cautelari, secondo il can. 1722 del CIC e il can. 1473 del CCEO, come la sospensione dal ministero pubblico o altre limitazioni, possono essere comminate solo a processo già iniziato e non già nella fase della praevia investigatio, per i procedimenti relativi a delicta reservata, esse possono essere comminate già nel momento dell’apertura della investigazione previa[26].

Le cause sui delitti riservati, inoltre, sono soggette al segreto pontificio, per tutte le persone coinvolte nell’indagini e per gli operatori, sia diocesani, sia della Congregazione per la Dottrina della Fede[27].

Osservazioni conclusive

Al termine di questo brevissimo elaborato nel quale si è cercato di delineare, per grandi linee, la struttura dell’ordinamento giudiziale canonico. È emerso come esso si fondi essenzialmente sul principio del contraddittorio e sul diritto di difesa, ponendo sempre al centro la persona, al fine di tutelare il bene pubblico della comunità ecclesiale. Per la sua finalità squisitamente spirituale, tuttavia, l’ordinamento canonico cerca di accorciare sempre di più le distanze tra la verità processuale e la verità reale, ponendo il contraddittorio piuttosto come procedimento dialettico, in cui tutte le parti del processo contribuiscono alla ricerca della verità.

La visione del processo canonico come istituzione ecclesiale, sottolinea questo suo “servizio alla verità”, distaccandosi da qualsiasi visione che riduca il processo a un luogo per affermare semplicemente diritti soggettivi, attraverso strategie tecniche o pretese esclusivamente autoreferenziali.

La scottante riviviscenza di un delitto penale canonico, come strumento ecclesiale e pastorale, per affrontare la dolorosa problematica dei delitti di abuso su minori da parte del clero, sta portando ad una continua riflessione della Chiesa sulla necessità di modulare meglio e secondo giustizia e verità le diverse componenti.

Si è reso anche necessario, ultimamente, considerare le responsabilità dei Pastori della Chiesa sul modo di gestire queste situazioni. È questo lo scopo che ha mosso Papa Francesco a promulgare gli ultimi due motu proprio, Come una madre amorevole (4 giugno 2016) e Vos estis lux mundi (7 maggio 2019), con ulteriori chiarimenti specialmente in vista dei compiti di vigilanza e tutela affidati ai pastori della Chiesa verso i più piccoli e indifesi.

Note e riferimenti bibliografici 

[1] Per una trattazione esaustiva e lineare, Cfr. M. J. Arroba Conde, Presupposti del processo canonico, in Idem (ed.), Manuale di diritto canonico, Città del Vaticano 2014, 269-288.

[2] A proposito dei giudici, nominati dai titolari degli uffici capitali e dei collegi giudicanti, il can. 135 §3 specifica: «La potestà giudiziale, di cui godono i giudici e i collegi giudiziari, è da esercitarsi nel modo stabilito dal diritto, e non può essere delegata, se non per eseguire gli atti preparatori di un qualsiasi decreto o sentenza».

[3] Cfr. Can. 1401: «La Chiesa per diritto proprio ed esclusivo giudica: 1) le cause che riguardano cose spirituali e annesse alle spirituali; 2) la violazione delle leggi ecclesiastiche e tutto ciò in cui vi è ragione di peccato, per quanto concerne lo stabilirne la colpa ed infliggere pene ecclesiastiche».

[4] Cfr. Can. 1713: «Per evitare le contese giudiziarie si può utilmente ricorrere alla transazione o riconciliazione, oppure affidare la controversia al giudizio di uno o più arbitri». Al can. 1715, tuttavia, si statuisce che: «§1. Non può esserci valida transazione o compromesso su tutto ciò che appartiene al bene pubblico e sulle altre cose di cui le parti non possono disporre liberamente. §2. Trattandosi di beni ecclesiastici temporali, si osservino, ogni qualvolta la materia lo richiede, le formalità stabilite dal diritto per l'alienazione delle cose ecclesiastiche».  

[5] Cfr. can. 135;

[6] Cfr. cann. 1419-1427.

[7] Cfr. Franciscus PP., Litterae apostolicae motu proprio datae: Mitis Iudex Dominus Iesus, in AAS CVII (2015), pp. 958-970.

[8] Si rendono equiparati i titoli di competenza relativa connessi al domicilio e quasi-domicilio di entrambe le parti, il foro della celebrazione e il foro delle prove (dove sarebbe più facile reperire prove), cfr. Ivi, art. 1 – “Il foro competente e i tribunali”, cann. 1671-1673.

[9] Cfr. Ivi, art. 5 – “Il processo matrimoniale più breve davanti al Vescovo”, cann. 1683-1687.

[10] Cfr. can. 1442: «Il Romano Pontefice è giudice supremo in tutto l'orbe cattolico, e giudica o personalmente o tramite i tribunali ordinari della Sede Apostolica oppure per mezzo di giudici da lui delegati».

[11] Cfr. can. 1405 §1: «Il Romano Pontefice stesso ha il diritto esclusivo di giudicare nelle cause di cui al can. 1401: 1) i capi di Stato; 2) i Padri Cardinali; 3) i Legati della Sede Apostolica e nelle cause penali i Vescovi; 4) le altre cause che egli stesso abbia avocato al proprio giudizio».

[12] Nel presente elaborato non ci sarà una trattazione specifica della Penitenzieria Apostolica, in quanto essa si configura più come un Dicastero della Curia Romana, che come un vero e proprio tribunale, retto dal diritto processuale canonico, sebbene essa sia considerata comunque un Tribunale. Il profilo e le competenze emergono dalla Costituzione apostolica Pastor Bonus di Giovanni Paolo II sulla Curia Romana. Cfr. artt. 117-120: «Art. 117 - La competenza della Penitenzieria apostolica si riferisce alle materie che concernono il foro interno e le indulgenze; Art. 118 - Per il foro interno, sia sacramentale che non sacramentale, essa concede le assoluzioni, le dispense, le commutazioni, le sanzioni, i condoni ed altre grazie; Art. 119 - La stessa provvede a che nelle Basiliche patriarcali dell'urbe ci sia un numero sufficiente di penitenzieri, dotati delle opportune facoltà; Art. 120 - Al medesimo dicastero è demandato quanto concerne la concessione e l'uso delle indulgenze, salvo il diritto della Congregazione della Dottrina della Fede di esaminare tutto ciò che riguarda la dottrina dogmatica intorno ad esse».

[13] Cfr. can. 1443: «Il tribunale ordinario costituito dal Romano Pontefice per ricevere gli appelli è la Rota Romana».

[14] Cfr. can. 1444: «§1. La Rota Romana giudica: 1) in seconda istanza le cause giudicate dai tribunali ordinari di prima istanza e deferite alla Santa Sede per legittimo appello; 2) in terza o ulteriore istanza le cause già giudicate dalla stessa Rota Romana e da qualunque altro tribunale, a meno che la cosa non sia passata in giudicato. §2. Questo tribunale giudica anche in prima istanza le cause di cui nel can. 1405, §3, o le altre cause che il Romano Pontefice sia motu proprio sia ad istanza delle parti avocò al suo tribunale ed affidò alla Rota Romana; e queste, la Rota stessa le giudica anche in seconda ed ulteriore istanza, salvo che nel rescritto di commissione non si sia disposto altrimenti».

[15] Cfr. can. 1405 §3: «È riservato al tribunale della Rota Romana giudicare: 1) i Vescovi nelle cause contenziose, fermo restando il disposto del can. 1419, §2; 2) l'Abate primate o l'Abate superiore di una congregazione monastica, il Moderatore supremo di istituti religiosi di diritto pontificio; 3) le diocesi e le altre persone ecclesiastiche sia fisiche sia giuridiche che non hanno Superiore al di sotto del Romano Pontefice».

[16] Cfr. Can. 1445: « §1. Il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica giudica: 1) le querele di nullità, le richieste di restitutio in integrum ed altri ricorsi contro le sentenze rotali; 2) i ricorsi nelle cause sullo stato delle persone, che la Rota Romana rifiutò di ammettere a nuovo esame; 3) le eccezioni di sospetto ed altre cause contro gli Uditori della Rota Romana per atti posti durante l'esercizio delle loro funzioni; 4) i conflitti di competenza di cui nel can. 1416. §2. Lo stesso Tribunale dirime le contese sorte per un atto di potestà amministrativa ecclesiastica, ad esso legittimamente deferite, le altre controversie amministrative ad esso deferite dal Romano Pontefice o dai dicasteri della Curia Romana e il conflitto di competenza tra gli stessi dicasteri. §3. Spetta inoltre a questo supremo tribunale:

1) vigilare sulla retta amministrazione della giustizia e prendere provvedimenti, se necessario, contro avvocati e procuratori; 2) prorogare la competenza dei tribunali; 3) promuovere ed approvare l'erezione dei tribunali di cui nei cann. 1423 e 1439».

[17] Cfr. D. Cito, Appunti sull’evoluzione normativa del diritto penale canonico nell’ultimo decennio, in AA. VV. (Curr), Recte sapere. Studi in onore di Giuseppe Dalla Torre, Giappichelli, 198-203.

[18] Cfr. Iohannes Paulus Pp. II, Litterae Apostolicae motu proprio datae: Sacramentorum Sanctitatis Tutela del 2001, in AAS XCIII (2001), pp. 738-739.  

[19] Cfr. Benedictus Pp. XVI, Normae de delictis Congregationi pro Doctrina Fidei reservatis seu Normae de delictis contra fidem necnon de gravioribus delictis, in AAS CII (2010), pp. 419-434.

[20] Cfr. Ivi, art. 5: «Alla Congregazione per la Dottrina della Fede è riservato anche il delitto più grave di attentata sacra ordinazione di una donna: 1° fermo restando il disposto del can. 1378 del Codice di Diritto Canonico, sia colui che attenta il conferimento del sacro ordine, sia la donna che attenta la recezione del sacro ordine, incorrono nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica; 2° se poi colui che attenta il conferimento del sacro ordine o la donna che attenta la recezione del sacro ordine è un cristiano soggetto al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, fermo restando il disposto del can. 1443 del medesimo Codice, sia punito con la scomunica maggiore, la cui remissione è pure riservata alla Sede Apostolica; 3° se poi il reo è un chierico, può essere punito con la dimissione o la deposizione».

[21] Cfr. Ivi, art. 6: «§ 1. I delitti più gravi contro i costumi, riservati al giudizio della Congregazione per la Dottrina della Fede, sono: 1° il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore di diciotto anni; in questo numero, viene equiparata al minore la persona che abitualmente ha un uso imperfetto della ragione; 2° l’acquisizione o la detenzione o la divulgazione, a fine di libidine, di immagini pornografiche di minori sotto i quattordici anni da parte di un chierico, in qualunque modo e con qualunque strumento. § 2. Il chierico che compie i delitti di cui al § 1 sia punito secondo la gravità del crimine, non esclusa la dimissione o la deposizione».

[22] Cfr. Ivi, art. 7: «§ 1. Fatto salvo il diritto della Congregazione per la Dottrina della Fede di derogare alla prescrizione per i singoli casi, l’azione criminale relativa ai delitti riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede si estingue per prescrizione in vent’anni. § 2. La prescrizione decorre a norma del can. 1362 § 2 del Codice di Diritto Canonico e del can. 1152 § 3 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. Ma nel delitto di cui all’art. 6 § 1 n. 1, la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il minore ha compiuto diciotto anni».

[23] Per approfondire si veda: D. Milani, De delicta reservata seu delicta graviora: la disciplina dei crimini rimessi alla competenza della Congregazione per la Dottrina della Fede, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, 32, 21.10.2013, 1-25; B.F. Pighin, Diritto penale canonico, Venezia, 2008, pp. 72-86; C. Papale, Il processo penale canonico. Commento al codice di diritto canonico. Libro VII, parte IV, Città del Vaticano, 2012; C. Papale, Formulario commentato del processo penale canonico, Città del Vaticano, 2013. 

[24] Cfr. Benedictus Pp. XVI, Normae de delictis Congregationi pro Doctrina Fidei reservatis seu Normae de delictis contra fidem necnon de gravioribus delictis, art. 16: «Ogni volta che l’Ordinario o il Gerarca ha la notizia, almeno verisimile, di un delitto più grave, svolta l’indagine previa, la renda nota alla Congregazione per la Dottrina della Fede, la quale, se non avoca a sé la causa per circostanze particolari, ordina all’Ordinario o al Gerarca di procedere ulteriormente, fermo restando tuttavia, se del caso, il diritto di appello contro la sentenza di primo grado soltanto al Supremo Tribunale della medesima Congregazione».

[25] Cfr. Ivi, art. 27: «Contro gli atti amministrativi singolari emessi o approvati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nei casi dei delitti riservati, si ammette il ricorso, presentato entro il termine perentorio di sessanta giorni utili, alla Congregazione Ordinaria (ossia, Feria IV) del medesimo Dicastero, la quale giudica il merito e la legittimità, eliminato qualsiasi ulteriore ricorso di cui all’art. 123 della Costituzione Apostolica Pastor bonus».

[26] Cfr. Ivi, art. 19: «Fermo restando il diritto dell’Ordinario o del Gerarca, fin dall’inizio dell’indagine previa, di imporre quanto è stabilito nel can. 1722 del Codice di Diritto Canonico o nel can. 1473 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, anche il Presidente di turno del Tribunale, su istanza del Promotore di Giustizia, ha la stessa potestà alle stesse condizioni determinate nei detti canoni».

[27] Cfr. Ivi, art. 30: «§ 1. Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio. § 2. Chiunque viola il segreto o, per dolo o negligenza grave, reca altro danno all’accusato o ai testimoni, su istanza della parte lesa o anche d’ufficio sia punito dal Turno superiore con congrue pene».