Pubbl. Mar, 5 Mag 2015
La "cross examination" e l´art. 499 c.p.p.; cosa succede quando si ha a che fare con un cd. "teste ostile"?
Modifica paginaUn viaggio nel magico mondo del dibattimento. Nello specifico, oggi, ci si occuperà del divieto di domande suggestive ex art. 499 c.p.p. L´articolo in esame può essere derogato? Con quali limiti?
L’art. 499 c.p.p. prevede una serie di regole per lo svolgimento dell’esame testimoniale tra cui spicca il divieto di proporre domande suggestive.
Ai sensi del comma 3, invero, “Nell’esame condotto dalla parte che ha chiesto la citazione del testimone e da quella che ha un interesse comune sono vietate le domande che tendono a suggerire le risposte”.
Tali sono le domande che, presupponendo cose non ancora dette, tendono a suggerire o a provocare la risposta del testimone secondo gli intenti dell’esaminante. Si pensi, ad esempio, al caso di una domanda che si articola nella minuziosa descrizione di un fatto e si conclude con la richiesta se esso sia vero o falso .
Il divieto riguarda però soltanto la parte che ha chiesto la citazione del testimone -o, più esattamente, che ha chiesto l’assunzione della prova testimoniale, dato che il teste può anche essere portato in udienza senza citazione- e quella che ha con essa una comunanza di interessi (ad esempio, la parte civile con il pubblico ministero, il responsabile civile con l’imputato, l’associato di un’organizzazione criminale rispetto ad un altro associato coimputato).
Ne consegue che le domande suggestive non sono inibite alle parti diverse nel controesame. Il legislatore, infatti, ha voluto evitare che chi indica un teste a prova della propria tesi faccia allo stesso capire anche la risposta che si attende da lui, considerando che si tratta di una persona che presumibilmente partecipa, in qualche misura, della posizione di chi lo ha chiamato a deporre. Nel controesame, invece, è consentito alle altre parti saggiare l’attendibilità e la credibilità dell’esaminato, ponendo domande finalizzate a metterlo in imbarazzo ed a provocare risposte che, se anche lasciate trasparire nella domanda, spontaneamente non verrebbero forse fornite .
In analogia con quanto avviene nel processo angloamericano, si è supposto che nel controesame, non essendo ipotizzabile un accordo tra la parte e il testimone, la mancanza di spontaneità della risposta provocata da una domanda suggestiva possa essere funzionale a una verifica della veridicità del teste. Il controesame, in realtà, è destinato a sottoporre a verifica le dichiarazioni già rese dal testimone nel corso dell’esame condotto dalla parte che lo ha indicato. Questa verifica sarà favorita dal confronto della versione già resa dal teste con le risposte incontrollate che il controesaminante riuscirà ad ottenere anche mediante domande suggestive .
Un’eventuale eccezione è stata ravvisata nell’ipotesi del “teste ostile”, quello, cioè, che la parte introduce ritenendolo a sé favorevole e, ciononostante, in sede di esame diretto si rivela sfavorevole in maniera ed in circostanze sospette; in questo caso, secondo un’interpretazione che fa leva sulla ratio dell’esame diretto e sull’esperienza formatasi nei sistemi adversary, non pare possa più prospettarsi il divieto, per la parte che conduce l’esame, di porre domande suggestive ; ad ogni modo, la parte potrà effettuare al teste le contestazioni a norma dell'art. 500 c.p.p.
Passando dal piano dei principi alla prassi applicativa, non sempre è agevole stabilire quando una domanda possa definirsi suggestiva.
A tal proposito, in dottrina, sono stati elaborati alcuni criteri di massima.
Secondo una prima indicazione non sarebbe mai suggestiva la domanda introdotta dalle particelle: chi, come, dove, quando, perché; questa soluzione suscita delle perplessità, in quanto eccessivamente riduttiva e semplicistica: non si tiene conto, infatti, del contesto concreto in cui le domande vengono formulate.
Secondo un’altra prospettazione deve ritenersi suggestiva la domanda preceduta da un presupposto, inteso come premessa non dimostrata che possa ricevere una risposta tendente a soddisfarne le richieste di chi la formula, e quella che dà per ammesso un fatto o una circostanza che il teste non ha riferito (c.d. domanda implicativa), che altri, invece, colloca tra le domande nocive ovvero tra quelle potenzialmente lesive della lealtà dell’esame e del requisito della specificità .
Non è invece suggestiva la domanda alternativa (ad esempio: pioveva o nevicava?), perché lascia all'esaminato la possibilità di rispondere nei due modi.
La giurisprudenza ha affermato che la formulazione di domande tramite capitolato di prova si pone in contrasto con l’art. 499 coma 3 c.p.p., in quanto tale modalità di proporre le domande al teste si risolve in una mera ripetizione di una testimonianza predisposta nel suo complesso, rendendo pertanto agevole e unilaterale la risposta.
La giurisprudenza è divisa sul comportamento del presidente del collegio (o del giudice monocratico) che, in sede di controesame, impedisca al difensore la formulazione di una domanda suggestiva.
Secondo un orientamento ulteriore tale condotta integra una nullità ai sensi dell’art. 180, che deve essere dedotta entro il termine previsto dall’art. 182.
Secondo un diverso indirizzo è legittimo il potere di escludere, anche in sede di controesame, domande suggestive, costituendo un’estrinsecazione della più ampia facoltà di intervento durante l’esame testimoniale riconosciuta al presidente dall'art. 499 comma 6.
Si ritiene esattamente che il divieto di formulare domande suggestive operi anche in sede di riesame. Ciò si desume sulla base dell’analogia esistente con l’esame diretto e della ratio dell’istituto, nonché dalla formulazione letterale del comma 3, che si riferisce alla parte che ha chiesto la citazione del teste e a quella che ha un interesse comune.
Circa la questione relativa alla proposizione di domande suggestive la Suprema Corte ha affermato che essa deve essere prospettata direttamente al giudice innanzi al quale si forma la prova. Nei successivi gradi di giudizio, invece, può essere oggetto di valutazione solo la motivazione con cui il giudice abbia accolto o rigettato l’eccezione e, pertanto, non può essere eccepita per la prima volta con i motivi di impugnazione l’inutilizzabilità dell’atto assunto in violazione dell’art. 499 c.p.p.
Infine, si precisa che le regole dettate dall’art. 499 c.p.p. non sono applicabili all’assunzione di informazione da parte del p.m. di persone informate sui fatti; tali soggetti, difatti, sentiti nel corso delle indagini preliminari ai sensi dell’art. 362 c.p.p., non rivestono la qualità di testimoni.
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