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Pubbl. Lun, 29 Lug 2019

Diritti umani: una fondazione metafisica o esistenziale?

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Andrèe Chiarella


Due proposte teoriche sulla natura e sul fondamento dei diritti umani.


Abstract. Human rights investigation is an important part of the contemporary philosophical debate, a debate that is largely structured around two questions. What are human rights? Where does their foundation lie? If finding an answer to the first question is difficult, it is even more difficult to provide an answer to the second. Nevertheless, through this paper I will try to reconstruct a part of the extremely articulated discourse that has as its object human rights and their foundation. To do this I will focus on two articles:  Diritti umani senza metafisica? of Robert Alexy[1], and Human Rights: Existential, Not Metaphysical of Massimo La Torre[2].

Sommario: 1. Diritti umani e diritti fondamentali; 2. Diritti umani: una fondazione metafisica; 3. Diritti umani: una fondazione esistenziale; 4. Osservazioni conclusive.

1. Diritti umani e diritti fondamentali

Nel suo articolo La Torre sostiene che il punto di partenza per poter meglio comprendere la complessa questione relativa alla fondazione o giustificazione dei diritti umani è assumere che tra diritti umani e diritti fondamentali vi sia una certa connessione concettuale. Una connessione, questa, che probabilmente dipende, in parte, dall’adesione ad una teoria del diritto neoistituzionalistica, di cui La Torre è uno dei massimi esponenti contemporanei. I diritti fondamentali sono da lui pensati come diritti umani “istituzionalizzati”, cioè calati all’interno di una data comunità politica, di una istituzione intesa come sfera d’azione resa possibile da regole costitutive, allorquando le possibilità d’azione in essa contenute siano nel tempo effettivamente sfruttate[3], allorquando, cioè, le norme in questione siano effettivamente osservate. Infatti, «[p]erché i diritti siano fondamentali in un sistema è necessario che essi siano parte della sua norma di riconoscimento, ossia dell’insieme di criteri in base ai quali si può giudicare valido o meno ogni altro atto normativo nel sistema giuridico stesso»[4]. Per assolvere a tale funzione, la giustificazione dei diritti non può riposare nella mera decisione di qualche autorità politica, né nell’eventuale protezione all’interno di una costituzione. C’è bisogno di qualcosa in più. Perché un diritto sia fondamentale, occorre concepirlo come dotato di valore in sé. In altre parole, bisogna concepirlo come diritto umano.

Come fa notare La Torre, «i diritti fondamentali non potrebbero essere e non sono cosa banale»[5], non hanno né potrebbero avere un contenuto qualsiasi. E allora, se si sostiene che i diritti umani offrano una giustificazione morale ai diritti fondamentali, il problema del valore generale dei diritti fondamentali è destinato ad intrecciarsi con quello della universalità dei diritti umani.

A tal proposito, Robert Alexy individua nell’astrattezza dei diritti umani una condizione indispensabile per la loro pretesa di universalità. Procedendo con ordine, il professore tedesco, nell’articolo Diritti umani senza metafisica?, propone di definire il concetto di diritti umani a partire dall’individuazione di cinque tratti distintivi. I diritti umani sono (1) universali, (2) fondamentali, (3) astratti, (4) morali e (5) prioritari.

In primo luogo, i diritti umani sono “universali” perché titolare ne è ogni uomo in quanto uomo. In secondo luogo, i diritti umani «proteggono non tutte le fonti e condizioni possibili e immaginabili del benessere, ma solo interessi e bisogni fondamentali»[6], pertanto un altro tratto distintivo è il carattere “fondamentale” del loro oggetto. Sempre con riferimento all’oggetto, i diritti umani sono “astratti”. Per spiegare tale qualità, Alexy si serve di un esempio: il diritto alla salute. Si può essere concordi nel sostenere che il diritto alla salute spetti a tutti, nondimeno ciò che questo significhi nel caso concreto potrebbe destare lunghe controversie. Infatti, i diritti umani, in quanto caratterizzati dall’astrattezza, sono estremamente generali e vaghi. Essi, come i diritti fondamentali, vengono concepiti dal filosofo tedesco non già come “comandi definitivi” (definitive Gebote) – vale a dire “regole” (Regeln) – ma come “richieste o comandi di ottimizzazione” (Optimierungsgebote) – ossia “princìpi” (Prinzipien) che prescrivono alle autorità giuridiche di massimizzare i fini ultimi dell’ordinamento, tenendo sempre conto delle possibilità giuridiche e fattuali[7]. Le regole hanno condizioni di soddisfacimento del tipo “tutto o niente”, e si applicano per sussunzione; i princìpi, invece possono essere soddisfatti in gradi diversi, e si applicano tramite il bilanciamento (Abwägung), un ragionamento assiologico condotto attraverso il giudizio di proporzionalità[8].

In quanto concepiti come princìpi, per poter essere applicati in casi concreti, i diritti devono essere sottoposti ad una operazione di bilanciamento. È solo dopo il bilanciamento che i diritti si trasformano da “princìpi” a “regole”.

Questo tipo di ragionamento ha almeno due conseguenze. In primo luogo, non possono darsi “diritti assoluti”, cioè diritti non bilanciabili con altri diritti, tanto è vero che quella del professor Alexy è una delle più recenti proposte teoriche sulla relatività dei diritti umani. In secondo luogo, la identificazione dei diritti con i princìpi rimanda necessariamente al ragionamento morale. È probabilmente su questo punto della riflessione che emerge con tutta chiarezza la convinzione che fra diritto e morale vi sia una forte, necessaria connessione. D’altro canto, il quarto tratto distintivo dei diritti umani individuato da Alexy è la “moralità”. Moralità che attiene alla validità del diritto. I diritti umani non sono cosa banale. Un diritto vale moralmente solo quando può essere giustificato di fronte ad ogni individuo, ed esiste in quanto può essere giustificato. Cosicché nella filosofia di Alexy il problema della fondazione dei diritti umani diventa piuttosto il problema della giustificazione dei diritti umani. Naturalmente alla validità morale dei diritti umani se ne può aggiungere una giuridica. Questo avviene nel momento in cui il diritto umano viene assorbito all’interno delle carte costituzionali, o delle carte internazionali poste a salvaguardia dei diritti dell’uomo. Il che conduce al quinto tratto distintivo, la “priorità”. I diritti umani, in quanto diritti morali, rappresentano il criterio cui ogni interpretazione deve conformarsi, costituendo una sorta di norma di riconoscimento dell’ordinamento giuridico à la Hart, che esiste in quanto c’è una pratica convergente da parte di giudici, funzionari e legislatori che vi si uniformano e la concepiscano quale parametro di validità per riconoscere le norme appartenenti al sistema.

A questa astuta ricostruzione del diritto umano come situazione giuridica relativa il professor La Torre, all’interno del suo articolo, muove una critica: essa non tiene conto dello speciale ruolo che i diritti sono chiamati a svolgere soprattutto all’interno di società democratiche. Essi, infatti, hanno senso nella misura in cui, per usare un’espressione di Dworkin, possano essere usati come trumps, limiti forti, assi nella manica del cittadino contro le politiche dei governi. Diversamente il ruolo dei diritti umani ne uscirebbe mortificato. Pertanto non tutti i diritti possono essere considerati “princìpi” nel senso di “precetti di ottimizzazione”, standards teleologici. I diritti umani, in particolare, non sono concetti (concepts) bisognosi di una concettualizzazione (conceptions) che dia loro uno specifico contenuto. Al contrario, i diritti umani dovrebbero essere specifici abbastanza da poter essere immediatamente applicabili. Qui l’operazione di bilanciamento, infatti, potrebbe risultare pericolosa, insorgendo il rischio di una loro diluizione. Altrimenti, come nella visione di Alexy, bilanciamento e proporzionalità diventano il vero codice normativo (normative cypher), lo standard superiore, il che sarebbe controproducente e in qualche modo paradossale per una situazione giuridica il cui senso e la cui storia derivano dal tentativo di sollevare una protezione (firewall) contro l’abuso di potere.

Nonostante la connessione concettuale tra diritti umani e fondamentali, nel pensiero di La Torre essi non coincidono. Difatti mentre i diritti umani rappresentano la giustificazione alla base di una comunità politica, i diritti fondamentali sono diritti umani “istituzionalizzati”. Distinguendoli, dunque, è possibile sostenere che i diritti umani non sono relativi, come nel pensiero rappresentato da Alexy; mentre i diritti fondamentali, almeno in certi casi, potrebbero essere pensati come concetti relativi. Essi non sono entità appartenenti a una dimensione ideale, ma hanno senso solo se calati all’interno di una istituzione, e così soggetti ai limiti che sono tipici delle situazioni reali.

2. Diritti umani: una fondazione metafisica

Come anticipato, nella prospettiva di Alexy la questione della fondazione (e dell’esistenza stessa) dei diritti umani si interseca con la questione dalla loro giustificabilità. L’autorevole proposta del professore tedesco è quella di combinare principalmente due approcci teorici, la fondazione esplicativa e la fondazione esistenziale, per ottenere, in fine, un modello giustificativo ibrido e di tipo metafisico-costruttivo, reso possibile dal richiamo esplicito alla filosofia di Frege.

L’argomento esplicativo viene sviluppato da Alexy all’interno della cornice di una fondazione teorico-discorsiva dei diritti umani, ove è evidente l’influenza di Habermas. Il modello viene definito “esplicativo” perché, appunto, si pone quale obiettivo quello di rendere esplicito ciò che è necessariamente implicito nella prassi umana. L’argomento si svolge su tre livelli[9].

Nel primo livello si prova a dimostrare che la prassi discorsiva, definita da Robert Brandom come «practices of living and asking for reasons», cioè come prassi dell’asserire, chiedere e addurre ragioni, presuppone necessariamente delle regole che alludono alla libertà e alla uguaglianza dei partecipanti al discorso. La necessità di tali regole implicite si esplicita dimostrando che la loro assenza ha quale conseguenza l’assurdità della prassi discorsiva. Alexy propone tre esempi.

  1. «Per me la ragione G, che io adduco per le mie affermazioni, non è ovviamente una buona ragione; tu dovresti, però, accettare G come una buona ragione per questa affermazione alla luce del tuo basso livello intellettivo»[10].
  2. «Se le mie ragioni non ti convincono, il tuo contratto non viene prolungato»[11].
  3. «Se noi escludiamo A, B e C dalla nostra discussione e dimentichiamo le loro obiezioni, noi ci potremo convincere del fatto che la ragione G da me addotta è una buona ragione»[12].

L’assurdità di questi enunciati, afferma il professor Alexy, è segno della necessità delle regole contro le quali essi si infrangono.

Tuttavia, si noterà, pur accettando che prendere parte alla prassi discorsiva significa accettare la libertà e l’uguaglianza dei partecipanti come regole del discorso, ancora nulla è stato detto sulla giustificabilità dei diritti umani. Questo perché non è stato ancora dimostrato né che la prassi discorsiva è necessaria, né che le regole del discorso implicano di per sé l’esistenza di diritti umani. Infatti, che sia necessario considerare l’altro nel mondo etereo del discorso come libero ed eguale, non implica riconoscerlo libero ed eguale anche nell’ambito dell’agire concreto. Motivo per il quale l’argomento deve svilupparsi su un secondo e su un terzo livello.

Nel secondo livello Alexy propone di dimostrare la necessità della prassi discorsiva argomentando che colui il quale, durante la sua intera vita, non abbia mai partecipato ad un discorso non avrà conosciuto la forma di vita più autentica. L’uomo è una «creatura discorsiva»[13]. Questo argomento è strettamente collegato alla fondazione esistenziale, sulla cui analisi mi soffermerò a breve.

È nel terzo livello dell’approccio teorico-discorsivo, o esplicativo, che si realizza la transizione dal discorso all'azione. Ma questo passaggio necessita di almeno una premessa aggiuntiva. Bisogna accogliere come necessario il concetto di autonomia. La partecipazione sincera e incondizionata al discorso presuppone il riconoscimento dell’altro come soggetto autonomo, che agisce secondo regole e principi che lui stesso percepisce e giudica corretti. Nella visione di Alexy, riconoscere l’altro come soggetto autonomo nel discorso implica il suo riconoscimento in quanto persona. E a sua volta questo significa attribuirgli dignità, riconoscendo i suoi diritti umani.

A tal proposito, il professor La Torre fa notare come una tale linea argomentativa, comunque magistralmente articolata, che pretende di trasformare delle regole discorsive in regole di condotta, o di azione, renda estremamente problematica la costruzione teorica del professore tedesco. Infatti tale strategia potrebbe risultare poco convincente laddove si evidenziasse che la prassi discorsiva non rappresenta l’unica esperienza umana[14]. Dunque sorge spontanea una domanda: perché l’uomo dovrebbe voler prendere parte al discorso? E ancora, perché l’uomo dovrebbe voler riconoscere il valore della parola dell’altro?

A questo punto, l'analisi esplicativa della teoria del discorso di Alexy si fonde con un'altra teoria, quella esistenziale, che si struttura intorno alla pretesa natura discorsiva degli esseri umani.

Ma è davvero impossibile rinunciare alla nostra condizione discorsiva? Probabilmente no. La natura discorsiva dell’uomo è relativa e dipende dalla misura in cui la accettiamo, riconoscendoci reciprocamente come creature discorsive.

Radicando i diritti umani nella teoria del discorso Alexy, in definitiva, fonda i diritti umani nella metafisica, rispondendo così al quesito che fa da titolo al suo stesso articolo. Così come Frege parlava di esistenza ideale di pensieri – irriducibili sia agli oggetti sensibili del mondo fisico sia alle rappresentazioni del mondo psichico – allo stesso modo, nella prassi comunicativa, hanno esistenza ideale proprio quelle regole da cui derivano i diritti fondamentali. In tal modo egli concepisce una doppia natura dei diritti. I diritti fondamentali senz’altro appartengono al diritto positivo, ma questo non è sufficiente a spiegarne la complessa natura. Oltre alla dimensione reale, data dalla positivizzazione, essi hanno anche una dimensione ideale che si concreta nella formulazione delle regole del discorso.

3. Diritti umani: una fondazione esistenziale

Nella seconda sezione dell’articolo Human Rights: Existential, Not Metaphysical La Torre ha il proposito di offrire, quasi in risposta alla strategia argomentativa di Alexy, una fondazione dei diritti umani alternativa, che lui stesso definisce “non metafisica ma esistenziale”. Alla base del suo argomento v’è l’idea che esistano quattro “normative situations” che danno forma alla nostra comprensione e all’uso dei diritti umani. Si tratta (1) della situazione esistenziale, (2) della situazione morale, (3) della situazione politica e (4) della situazione legale.

La situazione esistenziale potrebbe essere definita come una sorta di situazione primordiale, uno stato naturale in cui l’uomo, di fronte alla pluralità dei suoi bisogni e desideri, si domanda come dovrebbe agire. È proprio in questa fase che affiora per la prima volta il ragionamento pratico. È proprio in questa fase che la morale affonda le sue radici. Una risposta su quale sia la cosa giusta da fare, di certo, non può derivare dalla natura. La natura, infatti, è muta a chi la interroghi sul corso da dare alle proprie azoni. In una tale condizione, in cui l’uomo è travolto dalla pluralità dei suoi bisogni e desideri, l’unica risposta può arrivare da qualcosa che costituisca un limite alla sua stessa azione. Un limite chiaro, insormontabile. Tale limite è dato dalla parola, dal linguaggio, dal discorso con un altro essere umano. Infatti solo gli esseri umani possono fornirci informazioni attraverso la loro capacità discorsiva. Con il risultato che, dando voce all’altro, chiedendogli informazioni pratiche, lo riconosciamo come qualcuno uguale a noi, un essere umano. Noi abbiamo bisogno dell’altro non per ottenere la sua obbedienza, né per riconoscere il nostro potere su di lui. Abbiamo bisogno dell’altro piuttosto per individuare un limite alla nostra azione, in modo da trovare una risposta alla domanda su quale sia la cosa giusta da fare, assumendo il punto di vista dell’altro. Cosicché la risposta su quale sia la cosa giusta da fare ci deriva dalla “empatia”.

La condizione “discorsiva” o morale dunque è la conseguenza della necessità di ottenere delle informazioni pratiche. Noi riceviamo tali informazioni solo dando voce all’altro. Qui ci troviamo in una dimensione discorsiva ideale dove, per la prima volta, compaiono i diritti. Infatti nella situazione esistenziale non ci sono diritti, i quali sono concepibili solo all’interno di dinamiche intersoggettive. Nella situazione esistenziale l’uomo è ancora da solo, alla ricerca dell’altro.

Una volta che si acceda alla situazione discorsiva, compaiono i diritti. Infatti, per poter prendere parte al discorso c’è bisogno di presupporre dei “basic rights”, come l’eguaglianza e la libertà dei partecipanti al discorso. Dare voce agli altri non significa imporre loro di parlare, o estorcere le parole con la forza, bensì offrire l’opportunità di esprimersi oppure no, in totale libertà. Solo quando l’informazione che chiediamo è spontanea possiamo assumere la sua verità e sincerità. Altrimenti, per usare la terminologia di John Langshaw Austin, le condizioni implicite di felicità dell’atto linguistico sarebbero violate, con la conseguenza di una contraddizione performativa. La finalità medesima dell’atto linguistico sarebbe vanificata, in quanto esso non potrebbe più funzionare quale criterio direttivo di cui, tuttavia, l’uomo ha bisogno per uscire dalla situazione primordiale, esistenziale.

La terza situazione, quella politica, è funzionale ad una sorta di “istituzionalizzazione” dei diritti che emergono nella dimensione morale. Questo passaggio avviene attraverso la stipulazione di un patto sociale, che segue una regola ben precisa: tutti i contraenti saranno coperti da un “velo di ignoranza”. Si tratta di una metafora filosofica sviluppata da John Rawls che serve a spiegare il possibile modo per giungere a fondamento di una futura società giusta. Immaginiamo che un gruppo di individui, privati di qualsiasi conoscenza circa il proprio ruolo nella società, le proprie capacità, i propri valori vengano chiamati a scegliere le regole e i princìpi sui quali si fonderà la società in cui vivono. Ebbene, in condizioni simili, le parti saranno portate a scegliere la via della eguale libertà, cioè, ad accogliere due principi di giustizia: (1) Ogni persona ha uguale diritto alla più estesa libertà fondamentale, compatibilmente con una simile libertà per gli altri; (2) Le ineguaglianze economiche e sociali sono ammissibili solo se sono per il beneficio dei meno avvantaggiati[15]. Il principio di eguale libertà si realizza all’interno di una comunità di individui che reciprocamente si riconoscono uguale dignità e capacità d’azione. In tal modo, la libertà politica dell’uno, anziché essere compressa dalla libertà politica dell’altro, si completa e si perfeziona attraverso di essa.

È solo a questo punto che si passa alla situazione legale, la quale si pone il problema di garantire una adeguata protezione ai diritti. Ma si tratta di un passaggio finale, diversamente da quanto sostenuto da Norberto Bobbio ne L’età dei diritti, in quanto la protezione di un diritto è possibile solo dopo la sua giustificazione, che in questo caso è una giustificazione esistenziale.

4. Osservazioni conclusive

Robert Alexy ha sostenuto attraverso la sua elaborazione teorica che un diritto umano esiste allorquando è giustificato. In tal modo postula dapprima la giustificazione e subito dopo l’esistenza del diritto. Ma affinché qualcosa possa essere giustificato prima deve essere immaginato, deve avere un senso, deve esistere. E il senso dei diritti umani, nella conclusione di Massimo La Torre, è il ruolo che essi assumono una volta che ci muoviamo dalla situazione esistenziale alla ricerca di un limite insormontabile che ci indichi quale sia la cosa giusta da fare.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Robert Alexy, Menschenrechte ohne Metaphysik?, in Deutsche Zeitschrift für Philosophie, 52 (1/2004) pp. 15-24; trad. it. Leonardo Di Carlo (a cura di), Diritti umani senza metafisica?, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 2015, pp. 7-21.

[2] Massimo La Torre, Human Rights: Existential, Not Metaphysical, in Ratio Juris. Vol. 31 No. 2, Giugno 2018, pp. 183-195.

[3] Cfr. Massimo La Torre, Norme, istituzioni, valori: Per una teoria istituzionalistica del diritto, Gius.  Laterza & Figli, Roma-Bari 2008, pp. 139-153.

[4] Gianluigi Palombella, Diritti, in Filosofia del diritto, Ulderico Pomarici (a cura di), Giappichelli, Torino 2007, p. 34.

[5] Massimo La Torre, Human Rights: Existential, Not Metaphysical, cit., p. 184. Trad. mia.

[6] Robert Alexy, Diritti umani senza metafisica?, cit., p. 9.

[7] Cfr. Robert Alexy, Theorie der Grundrechte (1994), trad. it. Teoria dei diritti fondamentali, Il Mulino, Bologna 2012, cap. III.

[8] Ivi, pp. 152 ss.

[9] Cfr. Robert Alexy, La Teoría del Discurso y los Derechos Fundamentales, in La argumentación y los derechos fundamentales, Agustìn José Menéndez e Erik Oddvar Eriksen (a cura di), 2010, pp. 27 ss.

[10] Robert Alexy, Diritti umani senza metafisica?, cit., p. 15.

[11] Ibidem.

[12] Ibidem.

[13] Ivi, p. 17.

[14] Cfr. Massimo La Torre, Nueve críticas a la Teoría de los Derechos Fundamentales de Alexy, in La argumentación y los derechos fundamentales, Agustìn José Menéndez e Erik Oddvar Eriksen (a cura di), 2010, pp. 75 ss.

[15] Cfr. John Rawls, A Theory of Justice, Rev. ed. Cambridge, MA: Harvard University Press. 1999, trad. it. Ugo Santini (a cura di), Una teoria della giustizia, Sebastiano Maffettone (a cura di), Feltrinelli, Milano 2008, pp. 32 ss.