ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Gio, 20 Giu 2019

Denunciare lo smarrimento della carta d´identità per ottenerne un´altra è falso in atto pubblico

Modifica pagina

Tania Terranova


Con la sentenza n. 10309 del 12 dicembre 2018 (depositata l´8 marzo 2019), la Suprema Corte torna a pronunciarsi sulle ipotesi di falsa denuncia di smarrimento di un documento quando funzionale al rilascio di un duplicato, così ribadendo la configurabilità del reato di cui all´art. 483 c.p.


Sommario: 1. La fattispecie di Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico ex art. 483 c.p. Considerazioni introduttive. – 2. Il ricorso in Cassazione. - 3. Le questioni affrontate dalla Cassazione, V Sez. penale, con la sentenza n. 10309 del 12 dicembre 2018 (dep. 8/3/2019).

1. La fattispecie di Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico ex art. 483 c.p. Considerazioni introduttive.

L’articolo 483 c.p. prevede la fattispecie di falsità ideologica del privato in atto pubblico. Essa, in particolare, punisce con la reclusione fino a due anni, chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità.

Si tratta, nello specifico, di un’attestazione del privato consistente esclusivamente in un’affermazione o negazione, e giammai in una dichiarazione di volontà fatta allo scopo di occultare o mascherare una data situazione od operazione, cioè il contenuto di un contratto e la sua portata effettiva[1].

Il fatto tipico può consistere anzitutto nella condotta del privato che attesta falsamente una verità deputata ad essere recepita in un atto pubblico al quale una specifica norma giuridica attribuisca la funzione di provare i fatti ivi attestati, così collegando l’efficacia probatoria dell’atto medesimo al dovere del dichiarante di affermare il vero [2]. Tuttavia, la norma di cui all’art. 483 c.p., accanto alla falsa attestazione di fatti, punisce anche chi omette elementi atti a descrivere perfettamente e compiutamente il fatto oggetto della dichiarazione. Ne deriva, che, il reato è configurabile non soltanto “per quello che viene detto, ma anche per quello che viene taciuto”, allorquando dall’occultamento di elementi essenziali, ne risulti una rappresentazione non veritiera e quindi oggettivamente falsa[3].

Le fattispecie di falsità ideologica, accomunate dalla stessa peculiarità, hanno ad oggetto un atto -che pur essendo genuino, in quanto proveniente effettivamente dal suo autore- non è tuttavia veridico, perché contenente dichiarazioni non conformi al vero. Di conseguenza, in materia di falso, il codice penale tutela in via principale la fede pubblica documentale, da intendersi come la fiducia e la sicurezza che la legge ripone ed attribuisce a determinati documenti.

Si tratta di un reato comune, in quanto l’autore del delitto in esame può essere chiunque, ma è punibile soltanto la falsa attestazione resa dinanzi un pubblico ufficiale, con l’esclusione di quella resa al pubblico impiegato incaricato di un pubblico servizio, attesa la formulazione dell’art. 493 c.p. che estende a questi soggetti l’applicabilità esclusivamente delle norme riguardanti le falsità commesse dai pubblici ufficiali.

Sul piano soggettivo, trattandosi di un delitto, tutti i frammenti della fattispecie devono essere coperti dal dolo. Difatti, perché si configuri il reato de quo è richiesto il dolo generico, il quale è integrato dalla volontà cosciente di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero.

2. Il ricorso in Cassazione

Con la recente sentenza del 12 dicembre 2018 (depositata l' 8 marzo 2019), n.10309, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul reato di falsità ideologica di cui all'art. 483 c.p. In particolare, un soggetto, condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato di cui all’art. 483 c.p. -integrato dalla falsa denuncia di smarrimento della propria carta di identità, in realtà consegnata ad un creditore a garanzia del pagamento di un debito- ricorre alla Suprema Corte denunciando le conclusioni della Corte di Appello di Trento, poiché a suo dire, l’atto incriminato non era destinato a provare i fatti in esso affermati.

3. Le questioni affrontate dalla Cassazione, V Sez. penale, con la sentenza n. 10309 del 12 dicembre 2018 (dep. 8/3/2019).

Sull’unico motivo dedotto dalla difesa, tripartito in sezioni distinte, la Corte di Cassazione si è pronunciata rigettando il ricorso perché ritenuto infondato. Gli Ermellini hanno evidenziato l'infondatezza dell'impugnativa “quanto all’affermazione del ricorrente secondo cui l'atto incriminato non era destinato a provare i fatti in esso affermati”; poiché, secondo consolidato principio di legittimità, il reato di cui all'art. 483 cod. pen. è configurabile “nel caso di falsa denuncia di smarrimento di un documento quando la predetta denunzia sia presupposto necessario per il rilascio del duplicato e, quindi, l'atto abbia una sua specifica destinazione ed efficacia probatoria”[4].

L’indirizzo interpretativo in parola, è stato ribadito da Cass., sez. V, del 19 aprile 2018, n. 33848, per la quale “il reato di cui all'art. 483 c.p., si configura nelle ipotesi di falsa denuncia di smarrimento della carta d’identità. Quello di presentare denuncia costituisce un obbligo, poiché la stessa costituisce il presupposto dell'attivazione del procedimento amministrativo. Il delitto non implica il dolo specifico”. Ed in senso conforme risultano sia Cass., Sez. V, n. 7995 del 15/11/2013 che Cass., sez. V, n. 45208 del 17/10/2001, le quali già in passato avevano affermato che la condotta di falsità ideologica nella denuncia di smarrimento di un documento di identità, integra gli estremi del reato di cui all’art. 483 c.p.,avendo ad oggetto un atto produttivo dell’effetto giuridico della possibile attivazione del procedimento per il rilascio di un duplicato del documento.

La giurisprudenza di legittimità, inoltre, si è più volte pronunciata anche sull’ipotesi della falsa denuncia di smarrimento delle patente di guida, rilevando nella specie gli estremi del delitto di cui all'art. 483, comma 1 c.p., poiché la condotta contestata era tesa allo scopo di ottenere indebitamente il duplicato del documento.

In conclusione, la Suprema Corte, condividendo l’orientamento dei precedenti citati, afferma che il duplicato di un documento oggetto di denuncia di smarrimento, avviene mediante l’annotazione negli schedari del Comune di residenza. Procedura che rappresenta il presupposto necessario nel procedimento amministrativo per ottenere una nuova carta d'identità in sostituzione di quella smarrita. In questo modo è comprovata “sia la provenienza della dichiarazione da persona legittimata ad ottenere il duplicato, sia il dato oggettivo della perdita del documento, giuridicamente rilevante ai fini amministrativi”.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Cass., sez. V, 12 febbraio 1976 (dep. 29 maggio 1976), n. 6501.

[2] Cass., S.U., 15 dicembre 1999 (dep. 9 marzo 2000), n.28.

[3] Cass., sez. V, 29 settembre 1999 (dep. 11 novembre 1999), n. 12882.

[4] Cass., sez. V, 19 aprile 2018 (dep. 19 luglio 2018),  n.33848.