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Pubbl. Gio, 9 Mag 2019

Riservatezza nella configurabilità del reato di interferenze nella vita privata

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Mauro Giuseppe Cilardi
AvvocatoUniversità degli Studi di Bari


Breve nota a Cass. pen., sez. III, 8 gennaio 2019, n. 372 in materia di interferenze illecite nella vita privata.


Ha suscitato un notevole interesse mediatico la tesi espressa dalla Cassazione nella sentenza in commento, secondo cui non integra reato filmare e fotografare la vicina di casa, che, trovandosi in un’abitazione privata, non usi adeguati accorgimenti per proteggere la propria intimità.

Nel caso in esame la donna ripresa si trovava nella doccia della sua abitazione e si mostrava nuda all’esterno, pur sapendo che la finestra della stanza era priva di tende.

Nonostante la vicenda si presti a considerazioni di natura etica, è necessario, tuttavia, chiarire che un’indagine di carattere normativo, sistematico e logico conduce a ritenere giuridicamente corretta la conclusione a cui sono giunti i Giudici di legittimità nella sentenza n. 372 del 2019.

L’ipotesi è, astrattamente, riconducibile alla fattispecie prevista dall’art. 615 bis del codice penale, che punisce le interferenze illecite nella vita privata.

Si tratta di un reato comune, collocato nel titolo relativo ai delitti contro la persona e precipuamente posto a tutela del diritto alla riservatezza, che riceve copertura costituzionale in virtù del combinato disposto di cui agli articoli 2, 14 e 15 della Carta fondamentale.

In particolare, da una parte l’art. 2 consacra la rilevanza giuridica dei diritti fondamentali dell’uomo, che lo Stato si impegna a riconoscere e garantire, dall’altra l’art. 14 e l’art. 15 sanciscono, rispettivamente, l’inviolabilità del domicilio e della segretezza di ogni forma di comunicazione privata, subordinandone le eventuali limitazioni alle garanzie previste dalla legge.

In questo quadro normativo si colloca il delitto di interferenze illecite nella vita privata, che si configura ogniqualvolta un soggetto, mediante l’utilizzo di strumenti di ripresa sonora o visiva, si procuri indebitamente notizie o immagini inerenti alla vita privata che si svolge nei luoghi di privata dimora.

Particolare attenzione dev’essere rivolta alla clausola di illiceità speciale “indebitamente”, su cui poggia l’intera costruzione normativa del delitto in questione. Ai fini della commissione dell’illecito non è, infatti, sufficiente che il soggetto carpisca scene della sfera personale altrui, che avvengono in luoghi privati. È necessario, invece, che l’intrusione nella privacy avvenga in maniera indebita, non dovuta, ossia contro la volontà riconducibile al soggetto ripreso, che è tenuto a rendere noto, in modo espresso o almeno implicito, l’interesse a rendere private le azioni che sta svolgendo.

Questa conclusione è confortata non solo dal dato letterale, ma anche da due elementi ulteriori.

Dal punto di vista sistematico, ogni norma va letta in connessione con le disposizioni affini, tra le quali, per il reato di cui si discorre, assume rilievo il reato di violazione di domicilio, previsto dall’art. 614 cod. pen. Al riguardo, dal tenore letterale della norma emerge, chiaramente, che l’introduzione in uno dei luoghi di privata dimora è illecita, solo se avviene trasgredendo o aggirando la volontà di colui che ha il diritto di escludere dal luogo violato il soggetto introdotto.

Del resto, deve precisarsi che né l’interferenza illecita nella vita privata e né la violazione di domicilio offrono una protezione del domicilio in quanto tale, bensì proteggono ciò che il soggetto vi compie all’interno, in condizioni tali da rendere non visibili all’esterno i momenti della sua vita.

In altre parole, il diritto individuale alla riservatezza non può ritenersi leso nell’ipotesi in cui l’osservazione della persona dall’esterno avviene liberamente e senza utilizzare alcun mezzo insidioso, come ad esempio le microspie o le telecamere nascoste.  

Lapidaria è la sentenza nella parte in cui afferma che “se l’azione, pur svolgendosi in luoghi di privata dimora, possa, come nel caso in esame, essere liberamente osservata dagli estranei, senza ricorrere a particolari accorgimenti, non si configura una lesione della riservatezza del titolare del domicilio”.

Non può non evidenziarsi, inoltre, che la pronuncia in commento si limita a confermare un orientamento costante nella giurisprudenza di legittimità, già espresso nelle sentenze n. 18035 del 2012 e n. 25363 del 2015.

In conclusione, emerge che la protezione offerta dal diritto penale alla riservatezza nei luoghi di privata dimora non è assoluta. La tutela presuppone, in particolare, che il titolare della sfera personale adoperi le opportune cautele, affinché ciò che compie nella privata dimora non sia visibile ad estranei. In caso contrario, egli non potrà invocare le garanzie previste dalla legge penale.

Riferimenti bibliografici

G. Fiandaca, E. Musco, Diritto Penale - Parte Speciale, Vol. II, Tomo 1, Zanichelli, Bologna, 2013

F. Mantovani, Diritto Penale - Parte Generale, Cedam, Padova, 2017