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Pubbl. Lun, 29 Apr 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

Perdite su crediti: regole per la deducibilità

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Alessandra Formicola


Il trattamento civile, contabile e fiscale delle perdite sui crediti: regole per la deducibilità.


Sommario: 1.Introduzione del criterio del c.d. costo ammortizzato – 2.Requisito per la deducibilità: la definitività della perdita – 3.Casi di presunzione di certezza della perdita e deducibilità automatica della stessa – 3.1.I crediti di modesta entità - 3.2.I crediti prescritti - 3.3.I crediti cancellati dal bilancio in ossequio ai principi contabili - 3.4. i crediti vantati verso debitori sottoposti ad una procedura concorsuale.

1-  Introduzione del criterio del c.d. criterio del costo ammortizzato

Il trattamento civile, contabile e fiscale delle perdite sui crediti è stato recentemente modificato sia dal legislatore che dall’OIC (Organismo Italiano di contabilità). Quest’ultimo ha emanato nuovi principi contabili introducendo per la valutazione dei crediti e dei debiti il nuovo criterio del c.d. Costo Ammortizzato[1], che si applica dai bilanci 2016 ad eccezione di quelli redatti in forma abbreviata[2] o delle micro imprese[3].

Per l’applicazione di tale criterio nella valutazione dei crediti, è  necessario effettuare in primis la rilevazione iniziale del credito. Il valore di iscrizione iniziale sarà rappresentato dal valore nominale dello stesso al netto di premi, sconti, abbuoni; ed inclusi i costi direttamente attribuibili alla transazione che ha generato il credito, ovvero i costi di transazione, commissioni attive e passive e ogni differenza tra valore iniziale e valore nominale a scadenza[4].  

Dal momento che l’interesse rilevato a conto economico è quello effettivo e non quello nominale concordato tra le parti, alla fine dell’esercizio sarà necessario fare due diverse scritture contabili. Nella prima, si registrerà nello stato patrimoniale l’incasso degli interessi attivi nominali come definiti nel contratto, mentre  nella seconda invece andranno registrati in conto economico gli interessi calcolati con il TIR[5].

2-  Requisito per la deducibilità: la definitività della perdita

In riferimento al concetto di deducibilità della perdita, viene richiesto che questa risulti certa e definitiva. La soddisfazione del requisito della certa esistenza della perdita va intesa in termini di probabilità di emersione della stessa.

A tal proposito, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che la deducibilità dal reddito d’impresa sia ammissibile quando la perdita su crediti divenga definitiva, escludendo dunque ogni elemento valutativo e presuntivo[6]: in particolare, la “definitività” della perdita è configurabile ove si possa escludere l’eventualità che in futuro il creditore riesca a realizzare, anche parzialmente, la propria pretesa creditoria[7].  In caso contrario, ove l’inesigibilità del credito fosse una condizione solo temporanea, non sussisterebbe  il requisito della “definitività” della perdita , che sarebbe solo “potenziale”. Riferimento normativo centrale sul punto è l’art. 101, comma 5, TUIR,  che fa riferimento alla presenza (fuori dai casi in cui opera la presunzione legale) di elementi “certi e precisi”[8].

Dal disposto codicistico emerge chiaramente come tali requisiti di certezza e determinabilità debbano essere riferiti non tanto alla perdita  in sé , quanto  piuttosto ad altri elementi che fungono da c.d. “indicatori di probabilità”[9]. Quindi, alla luce di tali argomentazioni si può ritenere che la perdita possa essere ritenuta definitiva solo a fronte di una situazione oggettiva di insolvenza del debitore non temporanea relativa ad una situazione di illiquidità finanziaria e incapienza patrimoniale tale da fare escludere la possibilità di una futura soddisfazione delle ragioni creditorie. A parere dell’Amministrazione Finanziaria, tale situazione può considerarsi verificata in presenza di:

1) un decreto accertante lo stato di fuga, la latitanza o irreperibilità del debitore,

2) di denuncia di furto d’identità da parte di quest’ultimo (art. 494 c.p.),

3) ipotesi di persistente assenza dello stesso (art. 49 c.c.);

4) documenti attestanti l’esito negativo di azioni esecutive attivate dal creditore (ad esempio, il verbale di pignoramento negativo), sempre che l’infruttuosità delle stesse risulti anche sulla base di una valutazione complessiva della situazione economica e patrimoniale del debitore, assoluta e definitiva;

5) la dimostrazione, sulla base di idonea documentazione e a corredo di ripetuti tentativi di  recupero senza esito, che il debitore si trova nell’impossibilità di adempiere per un’oggettiva situazione di illiquidità finanziaria ed incapienza patrimoniale e che, pertanto, è sconsigliata l’instaurazione di procedure esecutive (lettera di un legale) [10].

A questo proposito, possono reputarsi sufficienti elementi di prova – ai fini della deducibilità della perdita dal reddito d’impresa – tutti i documenti attestanti l’esito negativo delle azioni esecutive avviate dal creditore, come il verbale di pignoramento negativo, purché l’infruttuosità delle stesse risulti anche sulla base di una valutazione complessiva della situazione economica e patrimoniale del debitore, assoluta e definitiva[11].

Inoltre, ai fini della deducibilità delle perdite su crediti, la giurisprudenza della Suprema Corte aveva riconosciuto  la rilevanza – in quanto sintomatiche dell’esistenza di elementi certi e precisi[12] – anche delle procedure esecutive non andate a buon fine[13], come nel caso di :

  1. impossibilità di notificare gli atti giudiziari (decreti ingiuntivi e atti di precetto), ovvero di eseguire i pignoramenti;
  2. sopravvenuta irreperibilità del debitore ovvero la dichiarazione resa dallo stesso in merito alla propria incapacità ad adempiere;
  3. oggettiva convenienza a rinunciare al credito, avvalorata dall’accertata insussistenza, in capo al debitore, di beni mobili ed immobili soggetti ad annotazione presso i pubblici registri.

Secondo quanto sostenuto da giurisprudenza della Cassazione la perdita deducibile deve essere analiticamente comprovata con ogni mezzo di prova utilizzabile nel processo tributario[14], mediante più elementi – non essendone sufficiente uno solo – gravi, precisi e concordanti, coerentemente con i principi generali in materia di presunzioni semplici (art. 2729 c.c.).

In linea con tale orientamento anche la giurisprudenza di merito ritiene che l’assenza di specifiche indicazioni, sia nella normativa che nella prassi di riferimento, determini la necessità di documentare la certezza e precisione in maniera rigorosa.

È, pertanto, necessario esperire tutte le azioni di recupero che l’importo del credito e la localizzazione del debitore rendono economicamente convenienti: quanto maggiore risulta l’ammontare della pretesa, tanto più incisivi devono essere i tentativi di esazione (atto di precetto, ingiunzioni di pagamento e pignoramenti, sino al deposito dell’istanza per la dichiarazione di fallimento).

3. Casi di presunzione di certezza della perdità e deducibilità automatica della stessa

La perdita si considera, invece, “certa” e deducibile in modo “automatico” ai sensi del disposto codici stico dell’art. 101 TUIR c. 5 come modificato da D. Lgs 147/2015 nei casi in cui:

  1. i crediti sono di modesta entità e sono scaduti da più di 6 mesi;
  2. i crediti sono prescritti;
  3. i crediti sono cancellati dal bilancio in ossequio ai principi contabili;
  4.  i crediti sono vantati verso debitori sottoposti ad una procedura concorsuale.

3.1. I crediti di modesta entità 

Riguardo ai crediti di  “modesta entità”, l’ art. 101, c. 5  del Tuir stabilisce che gli elementi certi e precisi della perdita su crediti si ritengono automaticamente sussistenti quando:

- il termine di scadenza del proprio pagamento sia decorso da almeno sei mesi;
- il credito sia di modesta entità, ovvero non superi l’importo di euro 5.000 per le imprese di più rilevante dimensione [15] e euro 2.500 negli altri casi.

In mancanza di una chiara ed esaustiva definizione da parte del legislatore della quantificazione  della “modesta entità”, l’Agenzia delle Entrate ha fornito alcune utili indicazioni [16]:

  1. deve essere considerato il valore nominale del credito (compresa Iva, esclusi interessi di mora esoneri accessori per inadempimento, al netto di eventuali importi incassati), a prescindere da eventuali svalutazioni civilistiche e fiscali,
  2.  oppure – nel caso di credito acquisito per effetto di un atto traslativo il corrispettivo di acquisto (art. 106, c. 2, del Tuir).

In tutto tenendo presente che l’importo di ogni credito può essere considerato singolarmente, e non cumulativamente, soltanto se riguarda un rapporto giuridico autonomo rispetto agli altri, mentre occorrerà operare una sommatoria tra i crediti scaduti da almeno 6 mesi se derivanti da un rapporto giuridico unitario tra le controparti (ad esempio come nel caso dei contratti di somministrazione e dei premi ricorrenti di una polizza assicurativa). Inoltre, ai fini della deduzione dal reddito d’impresa, è altresì necessario che la perdita sia stata imputata a conto economico [17].

3.2.  I crediti prescritti 

Riguardo alla materia dei “crediti prescritti” l’art. 101, c. 5,  Tuir così come novellato, disciplina tra le altre ipotesi di “automatica sussistenza degli elementi certi e precisi” anche quella della prescrizione del diritto alla riscossione.  In tema di prescrizione si rimanda al dettato civilistico[18], in particolare, all’art 2946 c.c. secondo il cui disposto «ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge». Come contemplato poi dal successivo art. 2943 c.c. «la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio […] dalla domanda proposta nel corso di un giudizio […] e da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore». Il codice Civile sancisce il termine prescrizionale ordinario di dieci anni (mentre si ricorda essere di 5 anni per la somministrazione di beni e servizi da cui scaturiscano pagamenti periodici ex art 2946 c.c.).

Alla prescrizione di ogni azione finalizzata a soddisfare il credito, quindi, consegue la perdita di qualsiasi diritto giuridico, economico e patrimoniale sullo stesso. L’effetto della prescrizione del diritto di esecuzione del credito iscritto in bilancio determina dunque la cristallizzazione della perdita emersa, rendendola definitiva[19].

In sostanza, la perdita di ogni diritto sul credito derivante dalla prescrizione di esso, ai fini contabili, cristallizza la perdita ad esso connessa andando così ad integrare una fattispecie di deducibilità della perdita in capo al creditore. Come già evidenziato dall’Agenzia delle entrate “Sulla base del tenore letterale della norma, che non individua dei specifici limiti quantitativi, si ritiene che la previsione normativa in esame debba trovare applicazione a prescindere dall’importo del credito prescritto”[20].

3.3. I crediti cancellati dal bilancio in ossequio ai principi contabili

Altra ipotesi di automatica sussistenza degli elementi certi e precisi della perdita è rappresentata dalla cancellazione dei crediti in bilancio, operata in dipendenza di eventi estintivi, da parte delle imprese che redigono il rendiconto annuale in base ai principi contabili internazionali di cui al Regolamento (CE) n. 1606/2002 e – in virtù della novità introdotta dall’art. 1, c. 160, lett. b), della Legge n. 147/2013 – a quelli italiani OIC.  E’ proprio l’art. 1, c. 160, lett. b), della citata Legge che, riformulando la precedente normativa vigente ha stabilito che prescindendo dall’adozione da parte delle imprese degli standard  internazionali : “Gli elementi certi e precisi sussistono inoltre in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in applicazione dei principi contabili”[21].

Per cui, a prescindere dalla data in cui è sorto il credito, rileva il momento di cancellazione dal bilancio in ossequio agli standard OIC 15. Ai cui sensi la deducibilità della perdita su crediti (ove non occorra provare gli “elementi certi e precisi” e in assenza delle  ipotesi dei crediti di modesta entità scaduti da almeno sei mesi e di quelli prescritti) è prevista nelle seguenti fattispecie di cancellazione del credito[22]:

a) cessione pro-soluto[23];

b) transazione;

c) rinuncia unilaterale del credito.

Non rientra il caso della svalutazione integrale del credito in quanto la modifica normativa si riferisce soltanto alle “ipotesi esterne di cancellazione” , e non a quelle interne improntate a una mera stima.

a)Cessione pro-soluto[24]

Il principio contabile nazionale OIC 15 (par. 57-62) prevede la cancellazione del credito dal bilancio tutte le volte in cui il credito si estingue o viene ceduto mediante un’operazione che trasferisce al cessionario sostanzialmente tutti i rischi inerenti lo strumento finanziario ceduto.

In particolare, è stabilito che la società cancella il credito dal bilancio quando:

a) i diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dal credito si estinguono;
b) la titolarità dei diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dal credito è trasferita e con essa sono trasferiti sostanzialmente tutti i rischi inerenti il credito [25].

Per completezza e alla luce di tutto quanto fin ora esposto, rileva sottolineare come ai sensi del R.M. n.137/E/1996  l’importo fiscalmente rilevante del suddetto componente negativo del reddito d’impresa, originatosi per effetto di una cessione pro-soluto veniva determinato come differenza tra il valore fiscalmente riconosciuto del credito e il corrispettivo di alienazione dello stesso.

Orientamento superato dall’interpretazione del tenore letterale dell’ultimo periodo dell’art. 101, c. 5, del Tuir, come modificato dalla Legge n. 147/2013, che attribuisce esclusiva rilevanza alla cancellazione del credito in bilancio, in ossequio ai corretti principi contabili, a prescindere, da qualsiasi altro elemento, compresa la natura del cessionario, purché indipendente dal cedente. Resta impregiudicato il potere dell’Amministrazione Finanziaria di sindacare la congruità della perdita, ai sensi dell’abrogato art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, sostituito dall’art. 10-bis della L. 212/2000[26].

b) Perdite su crediti da transazione

In primis, occorre in questa sede ricordare brevemente che la transazione è giuridicamente disciplinata dall’art. 1965 c.c. come “il contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro”.  

In secundis, rileva sottolineare come, già prima dell’entrata in vigore della Legge n.147/2013,  fosse stata riconosciuta la deducibilità dal reddito d’impresa della corrispondente perdita su crediti da transazione. Riconoscimento avvalorato dall’orientamento della giurisprudenza  fondato sul principio secondo cui, l’imprenditore può compiere “operazioni di per sé stesse antieconomiche in vista ed in funzione di benefici economici su altri fronti” (Cass. Civ. Sent. n. 10802/2002). A ciò si aggiunga che la transazione soddisfa, per propria natura, i requisiti di certezza e precisione della perdita sul credito: l’atto sottoscritto dalle parti attesta, infatti, l’accertata inconsistenza patrimoniale del debitore e l’inopportunità di agire giudizialmente nei suoi confronti[27].

c)rinuncia volontaria ad un credito

I casi di rinuncia volontaria ad un credito, compresi quelli perfezionati nell’ambito di una transazione, determinano sempre una perdita deducibile, a nulla rilevando, invece, l’eventuale definizione a condizioni antieconomiche (Cass. Civ. sent.n. 23863/2007).

Sul punto, l’Agenzia delle Entrate[28] ha precisato che la deducibilità della perdita da transazione è ammessa se risulta soddisfatta una duplice condizione:  il creditore e il debitore non appartengono al medesimo gruppo e la difficoltà finanziaria del debitore[29] risulta documentata, ad esempio, dall’istanza di ristrutturazione presentata dallo stesso oppure dalla presenza di passività insolute anche verso terzi.

Rispetto al periodo di deducibilità, la perdita su crediti fiscalmente rilevante deve essere dedotta in  ossequio al principio di competenza[30], nell’esercizio in cui risultano verificati i corrispondenti elementi di certezza e precisione [31]. Ove la perdita derivi da un’operazione di cessione, il periodo di competenza della corrispondente deduzione va individuato attribuendo rilevanza alla stipulazione del contratto di trasferimento della titolarità del diritto di credito[32].

3.4. I crediti vantati verso i debitori sottoposti a una procedura concorsuale 

Ultimo caso in cui, ai sensi del disposto dell’art. 101, c. 5, del Tuir, ai fini delle deducibilità della perdita su crediti non devono essere provati gli elementi di certezza e precisione, è quello nel quale il debitore versi in uno stato di “crisi”: sia stata aperta una procedura concorsuale (amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, concordato preventivo, fallimento e liquidazione coatta amministrativa), oppure il debitore abbia concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182-bis del R.D. n. 267/1942, abbia adottato un piano attestato di risanamento di cui all’art. 67, c. 3, lett. d), L. fall. o sia stato assoggettato a una procedura estera equivalente, prevista in Stati o territori con i quali esiste un adeguato scambio di informazioni.

Ai fini dell’applicazione dell’art. 101, c. 5, del Tuir, il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale e la corrispondente perdita su crediti assume rilevanza fiscale (senza dover applicare il principio generale degli “elementi certi e precisi”), dalla data di uno dei seguenti atti:

  • sentenza dichiarativa di fallimento;
  • decreto di ammissione al concordato preventivo;
  • decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti [33];
  • provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa;
  • decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi;
  • iscrizione presso il Registro delle Imprese del piano attestato di risanamento[34] ;
  • provvedimento di ammissione alla procedura estera equivalente, prevista in uno Stato o territorio con il quale esiste un adeguato scambio di informazioni[35].

Inoltre, anche nei casi di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento e di procedimento di liquidazione del debitore, seppur non espressamente indicati dall’art. 101 c.5 Tuir si ritiene applicabile la disciplina agevolativa della deducibilità immediata della perdita su crediti in deroga al principio generale degli “elementi certi e precisi” in quanto tali strumenti di soluzione della crisi d’impresa sono qualificati dalla Legge n. 3/2012come “procedure concorsuali”.

In riferimento alle perdite su crediti vantati verso debitori in crisi, le maggiori problematiche fiscali e civili sembrano essere correlate a due importanti aspetti quali l’individuazione del periodo di deducibilità delle stesse e la determinazione dell’importo deducibile.

Rispetto all’individuazione del periodo di deducibilità, occorre partire da un dato di fatto: l’art. 101 c. 5, secondo periodo, del Tuir riconosce la rilevanza fiscale delle perdite su crediti a partire dalla data di apertura della procedura concorsuale, senza però considerare i diversi momenti successivi – sino alla chiusura del relativo iter – in cui è possibile oggettivamente  individuare quale sia  la parte di credito effettivamente non più recuperabile. 

Tale lacuna è stata colmata dall’art. 13, c. 1, lett. d), e 3 del D.Lgs. n. 147/2015, in vigore dal periodo d’imposta in corso al 7 ottobre 2015, mediante dell’introduzione del c. 5-bis dell’art. 101 del Tuir,  che recita: "Per i crediti di modesta entità e per quelli vantati nei confronti di debitori che siano assoggettati a procedure concorsuali o a procedure estere equivalenti ovvero abbiano concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti o un piano attestato di risanamento,  la deduzione della perdita su crediti é ammessa, ai sensi del c.5, nel periodo di imputazione in bilancio, anche quando detta imputazione avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui, ai sensi del predetto comma, sussistono gli elementi certi e precisi ovvero il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale, a meno che l'imputazione non avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui, secondo la corretta applicazione dei principi contabili, si sarebbe dovuto procedere alla cancellazione del credito dal bilancio" (ad esempio, per effetto della cessione del credito a terzi, o per avvenuta prescrizione dello stesso, ovvero della stipulazione di un accordo di saldo e stralcio)[36].

In riferimento invece alla questione della determinazione dell’importo deducibile, occorre sottolineare che all’individuazione del periodo d’imposta, secondo i suddetti criteri, consegue l’effetto di attribuire rilevanza fiscale alle valutazioni civilistiche dell’impresa, fondate sulla stima del valore presumibile di realizzo[37]. Previsione che deve essere periodicamente aggiornata, coerentemente con l’evoluzione della procedura concorsuale alla quale è stato assoggettato il debitore[38].

In altri termini, è fiscalmente riconosciuta la perdita corrispondente a quella stimata dal redattore del bilancio, e non necessariamente all’intero importo del credito, purché ciò non derivi da un procedimento arbitrario, bensì risponda a un razionale e documentato processo di valutazione, conforme ai criteri dettati dai principi contabili adottati. Il riconoscimento di una perdita integrale del credito potrebbe, infatti, risultare improprio nel contesto di quelle procedure, contemplate dalla norma, che sono dirette alla prosecuzione dell’attività dell’impresa del soggetto in crisi – come il concordato preventivo in continuità aziendale (art. 186-bis L. fall.) – o che addirittura sono poste in essere per motivi differenti dall’insolvenza del debitore, come nel caso della liquidazione coatta amministrativa disposta per irregolare funzionamento, a norma dell’art. 80 del D.Lgs. n. 385/1993.

Al ricorrere di tali ipotesi, può essere ragionevole presumere la riscossione, almeno in parte, del credito. A tale fine, l’Amministrazione Finanziaria ha fornito un elenco esemplificativo di documenti, differenziati in base alla procedura di riferimento, ritenuti idonei a provare la congruità del valore stimato della perdita:

1) l’inventario dei beni del fallimento, predisposto dal curatore, con l’assistenza del cancelliere

addetto del tribunale (art. 87 L. fall.). Si sottolinea che, ai fini della valutazione della perdita, il creditore necessita di conoscere la consistenza dei debiti della procedura, esposti nello stato passivo esecutivo del fallimento. Tali elementi sono, generalmente, desumibili dal rapporto riepilogativo semestrale di cui all’art. 33, u.c., L. fall., che il curatore provvede a comunicare – mediante posta elettronica certificata – ai creditori ammessi allo stato passivo esecutivo, nonché a depositare presso il Registro delle Imprese;

2) il piano di concordato preventivo presentato ai creditori (art. 160 L. fall.).  A questo proposito, dovrebbero ritenersi rilevanti, in primo luogo, la relazione di attestazione – redatta da un professionista indipendente (art. 67, co. 3, lett. d), L. fall.) – sulla veridicità dei dati aziendali e fattibilità del piano (art. 161, co. 3, L. fall.) e, poi, quella del commissario giudiziale di cui all’art.172 L. fall., nonché quelle periodiche, nel caso di concordato con cessione dei beni, del liquidatore giudiziale (art. 182 L. fall.);

3) la situazione patrimoniale predisposta dal commissario della liquidazione coatta amministrativa (art. 205 L. fall.);

4) la relazione del commissario giudiziale dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (art. 28 del D.Lgs. n. 270/1999);

5) le garanzie reali, personali ovvero assicurative;

6) i documenti prodotti da organi ufficialmente nominati all’interno della procedura estera alla quale il debitore risulta assoggettato[39].

Rispetto poi alla casistica delle perdite su crediti derivanti dall’esecuzione di un’intesa privata tra il debitore e uno o più creditori, occorre evidenziare come tali ipotesi non siano espressamente disciplinate  dall’art. 101, c. 5, del Tuir.

Tale circostanza comporta come effetto l’applicabilità dei principi generali di deducibilità della perdita su crediti  fondati sulla sussistenza degli elementi certi e precisi della stessa, ad eccezione del caso in cui ricorra una fattispecie derogatoria, come la prescrizione o la circostanza che il credito è di modesto importo ed è scaduto da almeno sei mesi.

A tal proposito occorre però ricordare che il legislatore italiano, attraverso il c.d Decreto Bilanci, ha recepito la Direttiva Europea 2013/34/UE  introducendo, tra le diverse novità, l’articolo 6 del D. Lgs 139/2015 che ha modificato il comma 8 dell’art. 2426 del c.c. prevedendo che i crediti e i debiti siano rilevati in bilancio secondo il criterio del costo ammortizzato. Pertanto, al fine di limitare i profili di incertezza per gli operatori, si  estende la deducibilità automatica delle perdite su crediti realizzate in presenza di piani attestati di risanamento (ex art. 67, c. 1, lett. d, L.F.) a decorrere dalla data di iscrizione nel Registro delle imprese, operando una sostanziale equiparazione con il regime previsto in presenza di procedure concorsuali.

La deducibilità fiscale sarà possibile anche con riferimento alle procedure concorsuali o di risanamento previste dalle legislazioni estere che garantiscano un adeguato scambio di informazioni. Altra importante novità introdotta è la riduzione del margine delle contestazioni per difetto di competenza: l’intervento recepisce le indicazioni già fornite dall’Agenzia delle Entrate, la quale ha già riconosciuto che per quanto riguarda le perdite su crediti di modesta entità il termine di sei mesi dalla scadenza previsto dalla normativa fiscale rappresenta unicamente il momento a partire dal quale la perdita può essere fiscalmente dedotta, considerato che la stessa diviene effettivamente deducibili solo nell’esercizio di iscrizione in bilancio.

Lo stesso criterio viene adottato anche in relazione alle perdite su crediti vantate nei confronti di debitori assoggettati a procedure concorsuali o ad esse equiparate che diventano così deducibili anche dopo l’anno di apertura del fallimento, con il conseguente venir meno del rischio di contestazioni per violazione del principio di competenza in relazione alle deduzioni operate in esercizi successivi.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Il legislatore italiano non fornisce la definizione del criterio del costo ammortizzato, rimandando espressamente a quanto disciplinato nei principi internazionali IAS/IFRS. Nel merito, nello IAS 39 il costo ammortizzato di un'attività/passività finanziaria è definito come “il valore a cui è stata misurata al momento della rilevazione iniziale l’attività o la passività finanziaria al netto dei rimborsi di capitale, aumentato o diminuito dall’ammortamento complessivo utilizzando il criterio dell’interesse effettivo su qualsiasi differenza tra il valore iniziale e quello a scadenza, e dedotta qualsiasi riduzione (operata direttamente o attraverso l’uso di un accantonamento) a seguito di una riduzione di valore o di irrecuperabilità”.

[2] Il bilancio "in forma abbreviata" disciplinato dall'art. 2435 -bis c.c. permette, alle società che non hanno superato determinati parametri e che non hanno emesso titoli negoziati in mercati regolamentati, di fruire, nella redazione del bilancio semplificato che,  ai sensi dell'art. 2423 deve comunque rispettare le clausole generali fissate per la redazione del bilancio che deve risultare chiaro e deve fornire una rappresentazione veritiera e corretta della situazione aziendale.

[3] Il c.d. Decreto Bilanci (D. Lgs n.139/2015) ha recepito le indicazioni contenute nella Direttiva 2013/34/UE, relativa ai bilanci di esercizio e consolidati. Il legislatore italiano ha optato per parametri dimensionali differenti e corrispondenti alla metà dei valori indicati dalla stessa. In particolare al primo comma dell’art 2435-ter del Codice Civile si definiscono micro-imprese: “le società di cui all'articolo 2435-bis che nel primo esercizio o, successivamente, per due esercizi consecutivi, non abbiano superato due dei seguenti limiti:-totale dell'attivo dello stato patrimoniale: 175.000 euro; -ricavi delle vendite e delle prestazioni: 350.000 euro; -dipendenti occupati in media durante l'esercizio: 5 unità”.

[4] Come specificato nel principio contabile OIC 15- Crediti : “L’ammortamento dei costi di transizione, delle commissioni attive o passive, integra o rettifica gli interessi attivi calcolati al tasso nominale di modo che il tasso di interesse effettivo possa rimanere un tasso di interesse costante lungo la durata del credito da applicarsi al suo valore contabile” . In altre parole gli interessi attivi calcolati al tasso nominale (come da contratto stipulato tra le parti) sono “corretti” per tenere conto dell’ammortamento dei costi di transizione e delle commissioni lungo tutta la durata del credito, trovando così un tasso di interesse effettivo costante per tutto il periodo in cui è concesso il credito.

[5] acronimo dall'inglese Internal Rate of Return, il tasso interno di rendimento rappresenta il costo massimo finanziario (debito e capitale) che l'azienda può assumere in relazione ad un determinato progetto.

[6] C.M. n. 39/E/2002, par.3 c.2. cit. “Già in precedenti orientamenti (cfr. Circolare n. 131 del 19 luglio 1978, Risoluzione prot. 656 del 16 maggio 1979, in Documentazione tributaria nel sito www.agenziaentrate.it), l’Amministrazione aveva chiarito che gli elementi certi e precisi, cui fa riferimento la norma, permettono la deduzione delle perdite su crediti nella determinazione del reddito d’impresa, quando le perdite divengono definitive, escludendo pertanto ogni elemento valutativo e presuntivo.”

[7] C.M. n. 26/E/2013, par.3 cit “Dalla formulazione della norma è possibile individuare l’ambito oggettivo, che ne costituisce anche presupposto per l’applicazione, individuato nelle “perdite su crediti”, e le condizioni di deducibilità richieste per il riconoscimento fiscale delle perdite, gli “elementi certi e precisi”. Con riguardo all’ambito oggettivo si evidenzia che la disposizione in esame si rende applicabile solo in presenza di una perdita su crediti considerata “definitiva” (cfr. Circolare n. 39 del 10 maggio 2002).

[8] NATALI, Strumenti e procedure per il recupero crediti, parte II – PROFILI MONOTEMATICI Ipsoa, Milano, 2017, p 651 ; sullo stesso tema LUPI, Certezza e probabilità in materia di perdite su crediti, in Rass. Trib., 1987, I, 249; PURI, Crediti ceduti ed accantonamenti a fondo rischi, in Riv. Dir. Trib., 1991, I, 327; CROVATO, Alcune precisazioni in materia di competenze delle perdite: spunti critici in relazione all’orientamento interpretativo del Secit, in Riv. Dir. Trib., 1993, I, 691; DEL FEDERICO, Minusvalenze patrimoniali, sopravvenienze passive, perdite ed accantonamenti per rischi su crediti, in AA.VV., L’imposta sul reddito delle persone fisiche, in Giur. sist. Dir. Trib., a cura di F. Tesauro, vol. II, Torino, 1994, 751; Id., Le perdite su crediti, in AA.VV., Il reddito d’impresa, a cura di Tabet, I, Padova, 1997, 305; BEGHIN, Cessione di crediti pro soluto ed elusione fiscale. Note a proposito di un particolare interpretazione dell’art. 66, comma 3, Tuir in funzione antiabuso, in Rass. Trib., 1999, 1757; Id., Le perdite derivanti dalla cessione di crediti con clausola pro soluto tra giudizi di opportunità e giudizi di corrispondenza alla fattispecie legale, in Rass. Trib., 2000, 884, Id., Perdite su crediti, atti dispositivi del diritto e principio di inerenza, in GT – Riv. Giur. Trib., 2009, 1463; ZIZZO, I redditi d’impresa, in G. Falsitta, Manuale di diritto tributario – Parte speciale– il sistema delle imposte in Italia, Padova, 2000, 262; Id., Le perdite su crediti verso debitori assoggettati a procedure concorsuali, in Corr. trib., 2010, 2342; CANTILLO, La deducibilità fiscale delle perdite su crediti verso debitori assoggettati a procedure concorsuali, in Rass. trib., 2002, 2073; FIORENTINO, I crediti delle imprese nell’Ires, Padova, 2007, passim; INGRAO, La cessione di crediti pro solvendo tra minusvalenze e svalutazioni, in Riv. dir. trib., 2007, I, 129; FERRANTI, Le perdite su crediti nella determinazione del reddito d’impresa, in Corr. trib., 2009, 175; CONTRINO, La fiscalità delle perdite su crediti dei soggetti IAS/IFRS, in Corr. trib., 2011, 1224.

[9] NATALI, Strumenti e procedure per il recupero crediti, parte II – PROFILI MONOTEMATICI - Ipsoa,  Milano, 2017, p651 , Lupi, Certezza e probabilità in materia di perdite su crediti, in Rass. Trib., 1987, I, 249.

[10]  La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 26/e del 2013 ha riconosciuto infatti che è condizione sufficiente per la deducibilità della perdita l’antieconomicità delle azioni di recupero, sempre che il contribuente abbia almeno fatto un tentativo (anche tramite pec o raccomandata) per ottenere quanto suo di diritto.

[11] Sul punto, la C.M. n. 26/E/2013 (par. 3.1) ha precisato che l’infruttuosa attivazione delle procedure esecutive nei confronti di un ente pubblico, peraltro non assoggettabile a quelle concorsuali, non è da sola sufficiente a dimostrare l’impossibilità futura di recuperare il credito.

[12] al ricorrere dei quali il creditore è liberato dall’onere di provare la certezza e l’entità della perdita, sempre per la parte che eccede il fondo di accantonamento fiscale 0,50% (art. 101 c. 5 Tuir)

[13] Cass. Civ. sent. n. 16330/2005  in cui si riporta : “L'art. 66 comma 3° del T.U.I.R. più volte citato prevede testualmente che "le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi, e in ogni caso, per le perdite su crediti, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali". Il tenore letterale di questa disposizione consente d'interpretarla nel senso che l'anno di competenza per operare la deduzione deve coincidere con quello in cui si acquista certezza che il credito non può più essere soddisfatto, perché in quel momento stesso si materializzano gli elementi "certi e precisi" della sua irrecuperabilità. Diversamente opinando si rimetterebbe all'arbitrio del contribuente la scelta del periodo d'imposta in cui gli sarebbe più vantaggioso operare la deduzione, snaturando la regola espressa dal principio di competenza, che rappresenta invece criterio inderogabile ed oggettivo per determinare il reddito d'impresa (v. Cass. n. 16198/2001). Tanto premesso in linea di principio, la decisione della CTR, che fonda la sua conclusone su questa esegesi, oltre che corretta è altresì incensurabile, siccome la valutazione e l'apprezzamento dei dati probatori offerti al suo esame e valorizzati ai fini della individuazione del momento in cui sono emersi suddetti elementi "certi e precisi", non è suscettibile di controllo o riesame in questa sede, implicando indagini sul merito precluse a questa Corte. A tal riguardo giova ribadire che la prova della sussistenza degli elementi suddetti non impone né la dimostrazione che il creditore si sia attivato per esigere il suo credito, né tampoco che sia intervenuta sentenza di fallimento del debitore (Cass. n. 3862/2001).”

[14] Cass. Civ. Sez. Trib. n. 14568/2001.

[15] Ai sensi dell’ art. 27, c. 10, del D.L. n. 185/2008 si intendono “imprese di più rilevante dimensione” quelle che conseguono un volume d’affari o ricavi non inferiori a 100 milioni di euro. Il superamento o meno di tale limite deve essere verificato sulla base dei criteri definiti dal provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 54291/2009, in virtù dei quali deve essere assunto, come parametro di riferimento, il valore più elevato tra i seguenti dati indicati nelle dichiarazioni fiscali: i ricavi derivanti dalla cessione di beni e dalle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività d’impresa, oppure dalla vendita di materie prime e sussidiarie, di semilavorati e altri beni mobili – esclusi quelli strumentali – acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione (art. 85, co. 1, lett. a) e b), del Tuir) e  il volume d’affari determinato a norma dell’art. 20 del D.P.R. n. 633/1972.

[16] C.M. n. 26/E/2013, par. 4.

[17] l’art. 101, c. 5-bis, del Tuir  introdotto dall’art. 13, co. 1, lett. d), del D.Lgs. n. 147/2015, con effetto a partire dal periodo d’imposta in corso al 7 ottobre 2015 – stabilisce, con riguardo ai crediti di modesta entità, che “la deduzione della perdita su crediti è ammessa, ai sensi del comma 5, nel periodo di imputazione in bilancio, anche quando detta imputazione avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui, ai sensi de predetto comma, sussistono gli elementi certi e precisi […] sempreché l’imputazione non avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui, secondo la corretta applicazione dei principi contabili, si sarebbe dovuto procedere alla cancellazione del credito dal bilancio”.

[18] Ai sensi dall’art. 2934 c.c., “ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge”. Il successivo art. 2943 c.c. stabilisce, inoltre, che la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio, dalla domanda proposta nel corso di un giudizio e da ogni altro atto idoneo a costituire in mora il debitore.

[19] La C.M. n 26/E/2013 ha chiarito che, coerentemente con la formulazione letterale della norma, si deve ritenere che il beneficio sia invocabile a prescindere dall’importo del credito prescritto (diversamente da quanto previsto per i crediti di modesta entità), fermo restando il potere dell’Amministrazione Finanziaria di contestare che l’inattività del creditore sia configurabile come un’effettiva volontà liberale, indipendentemente dal periodo d’imposta di prescrizione del credito.

[20] Ai sensi, dunque, di quanto disciplinato dalla C.M. n.26/E del 2013, par. 5, appare chiaro  come in materia di crediti prescritti non rilevino i limiti quantitativi previsti per i crediti di “modesta entità”.

[21] Quest’ultima modifica normativa è applicabile alle perdite su crediti maturate dal periodo al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013 e riguardante i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili nazionali.

[22] ai sensi dell’abrogato art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 (oggi art. 10-bis della L. 212/2000) , rimane, in ogni caso fermo il potere di sindacato dell’Amministrazione Finanziaria qualora la perdita derivi da un’operazione elusiva oppure antieconomica, qualificabile come una mera liberalità.

[23] Come chiarito anche dalla Circolare dell’Agenzia delle Entrate m. 14/E del giugno 2014.

[24] Nella C.M. n. 26/E/2013, l’Agenzia delle Entrate aveva sottolineato che le operazioni maggiormente caratterizzate da un elevato grado di potenziale elusività sono quelle intercorrenti tra soggetti non indipendenti: è il caso, delle cessioni di credito perfezionate in virtù di un corrispettivo non congruo rispetto al valore del credito, ovvero ad un prezzo simbolico e in assenza di tentativi di recupero coattivo prima dell’alienazione stessa. In questo senso la Circolare ASSOIME n. 15/2013, che ritiene “dubbia l’inerenza delle operazioni di cessione del credito sulla base di un corrispettivo decisamente sproporzionato rispetto al valore intrinseco del credito, ovvero di altri atti estintivi riconducibili a un comportamento dell’imprenditore non giustificato, come la rinuncia del credito non supportata da una specifica motivazione di carattere economico”. Al ricorrere di tale ipotesi, l’Agenzia delle Entrate, potrebbe sulla base di fondati elementi oggettivi, contestare che la cessione pro-soluto sia soltanto apparente, poiché – in virtù di altri accordi contrattuali – le parti hanno stabilito che, in caso di mancato pagamento da parte del debitore ceduto, i contraenti dell’alienazione sono tenuti a restituire rispettivamente: quanto ricevuto (il cedente) e la titolarità del credito (il cessionario), facendo, quindi, venire meno la presunta e formale natura definitiva della perdita su crediti.

[25] Salvi casi eccezionali, il trasferimento dei rischi implica anche quello dei benefici: ai fini della valutazione del trasferimento dei rischi, si tiene conto di tutte le clausole contrattuali, come, ad esempio, gli obblighi di riacquisto al verificarsi di certi eventi o l’esistenza di commissioni, franchigie o penali dovute per il mancato pagamento.

[26] a questo proposito, la C.M. n. 26/E/2013 segnala come maggiormente a rischio le fattispecie intercorse tra soggetti non indipendenti. Nel caso in cui l’oggetto della cessione sia rappresentato da un credito non ancora scaduto, per il quale non sia separatamente prevista la corresponsione di interessi, è deducibile la sola eccedenza – rispetto al corrispettivo di alienazione – del valore attualizzato dei crediti, ovvero al netto degli interessi impliciti non ancora maturati al momento della cessione (Cass. Civ. sent. n. 13916/2000). Non rileva, pertanto, il valore nominale di iscrizione nell’attivo dello stato patrimoniale del bilancio d’esercizio.

[27] Cass. Civ. Sent. n. 11329/2001.

[28] C.M. n. 26/E/2013, par. 3.2.

[29] diversamente, qualora derivi da una lite in merito ad una fornitura, il relativo onere costituisce una sopravvenienza passiva e non una perdita su crediti. La perdita su crediti da transazione può essere giustificata, sotto il profilo della convenienza economica, allo stesso modo ed in presenza delle stesse condizioni che sono state previste in caso di cessione a titolo definitivo (C.M. n. 26/E/2013, par. 3.2.

[30]Il principio di competenza economica è una prassi amministrativa che consiste nel considerare, nel conto economico di un bilancio d'esercizio, solo i costi e i ricavi che si riferiscono e hanno effetto in quel periodo di tempo, a prescindere dalle manifestazioni finanziarie già avvenute o che devono ancora avvenire.

[31] Cass. Civ. sent. n. 16330/2005.

[32] R.M. n. 100/E/2007 sec cui l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate è, pertanto, coerente con il principio di competenza di cui all’art. 109, c. 1, del Tuir, secondo cui i costi sono riconosciuti nell’esercizio in cui risultano verificate le condizioni di certezza dell’esistenza ed obiettiva determinabilità.

[33] L’art. 13, co. 1, lett. d), del D.Lgs. n. 147/2015 ha, inoltre, aggiunto il c. 5-bis dell’art. 101 del Tuir, stabilendo una specifica regola di deducibilità applicabile ai debitori assoggettati a procedure concorsuali italiane, o estere equivalenti, o che hanno concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato o pubblicato, presso il Registro delle Imprese, un piano attestato di risanamento: la deduzione della perdita sui crediti è ammessa, in questi casi, nel periodo di imputazione in bilancio, anche qualora tale iscrizione avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui, ai sensi del predetto comma, sussistono gli elementi certi e precisi o il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale, sempreché l’imputazione non avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui, secondo la corretta applicazione dei principi contabili, si sarebbe dovuto procedere alla cancellazione del credito dal bilancio.

[34] novità introdotta con  D.Lgs. n. 147/2015, applicabile con effetto già dal modello Unico 2016.

[35] novità introdotta con  D.Lgs. n. 147/2015, applicabile con effetto già dal modello Unico 2016. In riferimento  alla nozione di “Stati o territori con i quali esiste un adeguato scambio di informazioni”, si rimanda  al D.M. 27 aprile 2015, emanato ex art. 1, c. 678  L. n. 190/2014. Rileva sottolineare come, con tali disposizioni, il legislatore italiano abbia voluto considerare – ai fini della deducibilità delle perdite su crediti, in deroga al principio generale degli “elementi certi e precisi”- l’effettiva validità degli istituti analoghi all’accordo di ristrutturazione dei debiti, previsti dalla legislazione di Stati esteri, come nel caso, ad esempio, della procedura fallimentare di ristrutturazione societaria denominata “Chapter 11” prevista dal Federal Bankruptcy Code degli Stati Uniti d’America.

[36] L’art. 101, c.5, del Tuir viene interpretato nel senso che le svalutazioni contabili dei crediti verso i debitori assoggettati a procedure concorsuali o a procedure estere equivalenti, ovvero che abbiano concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti o adottato un piano attestato di risanamento – fiscalmente rilevanti nei periodi d’imposta in cui il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale, ed eventualmente non dedotte in tali periodi – sono deducibili nell’esercizio in cui si provvede alla cancellazione del credito dal bilancio in applicazione dei principi contabili. In altri termini, la mancata deduzione, anche soltanto parziale, come perdite fiscali delle svalutazioni contabili dei crediti nell’esercizio in cui già sussistevano i requisiti per la deduzione non costituisce violazione del principio di competenza fiscale: è, tuttavia, necessario che la deduzione venga effettuata non oltre il periodo d’imposta in cui, secondo la corretta applicazione dei principi contabili, si sarebbe dovuto procedere alla vera e propria cancellazione del credito dal bilancio. In virtù di tale disposizione, le imprese possono, pertanto, continuare a gestire i fondi svalutazione tassati per masse, senza dover ogni volta imputarli fiscalmente – e, quindi, mediante variazioni in sede di dichiarazione dei redditi – ai crediti per i quali sorgono i requisiti per la deduzione, che potrà, invece, essere semplicemente operata all’atto della cancellazione.

[37] Circolare Assonime n. 69/2005, pag. 38.

[38] In senso conforme, si riscontra anche l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui – considerato che l’art. 101, c. 5, del Tuir non dispone regole particolari – è applicabile il principio di derivazione dal bilancio: con l’effetto che, in presenza di una delle suddette procedure concorsuali, la perdita su crediti è deducibile per un ammontare pari a quello imputato a conto economico C.M. n. 26/E/2013, par. 6.

[39] La C.M. n. 26/E/2013 ha, inoltre, affrontato il caso in cui, in un esercizio successivo a quello di rilevazione della perdita su crediti nei confronti di un debitore assoggettato ad una delle suddette procedure, emergano nuovi elementi idonei a dimostrare che la stessa è maggiore di quella inizialmente rilevata e dedotta: l’ulteriore perdita, purché rilevata in bilancio e corredata da adeguata documentazione, assume rilevanza fiscale. È il caso, ad esempio, del credito vantato nei confronti di un imprenditore commerciale ammesso al concordato preventivo e per il quale viene successivamente dichiarato il fallimento, oppure nell’ipotesi stessa del fallimento, interessato da una modifica del programma di liquidazione a causa di esigenze sopravvenute nel corso della procedura (art. 104-ter, co. 5, L. fall.). Alla luce dell’orientamento dell’Agenzia delle Entrate, e delle relative osservazioni formulate, si forniscono alcune possibili indicazioni di carattere operativo, ai fini dell’individuazione della perdita sul credito, riguardanti le principali procedure concorsuali, nonché l’accordo di ristrutturazione dei debiti e il piano attestato di risanamento.