ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Mer, 29 Apr 2015

Dentro la sentenza Parolisi: perchè la condotta del reo non rientra in quelle per cui è prevista l´aggravante di crudeltà?

Emmanuel Luciano


Commento alla sentenza che si pronuncia su un noto caso di cronaca nera: come mai, nonostante le trentacinque coltellate, la Corte di Cassazione ha escluso l´aggravante della crudeltà?


Partiamo dalla massima: secondo la Suprema Corte di Cassazione, la mera reiterazione dei colpi inferti alla vittima di omicidio non può essere ritenuta elemento sufficiente all'integrazione della circostanza aggravante della crudeltà ex art. 577, 1° comma n. 4 c.p., in un contesto sorretto dal dolo d'impeto e dal finalismo omicidiario correlato a tale condizione psicologica (Cassazione penale Sentenza, Sez. I, 24/02/2015 10/02/2015, n. 8163)

Partiamo dalla massima: secondo la Suprema Corte di Cassazione, la mera reiterazione dei colpi inferti alla vittima di omicidio non può essere ritenuta elemento sufficiente all'integrazione della circostanza aggravante della crudeltà ex art. 577, 1° comma n. 4 c.p., in un contesto sorretto dal dolo d'impeto e dal finalismo omicidiario correlato a tale condizione psicologica (Cassazione penale Sentenza, Sez. I, 24/02/2015 10/02/2015, n. 8163)

La sentenza in commento si pronuncia su un notissimo caso di cronaca nera, relativo all’omicidio ed al successivo vilipendio del cadavere di una donna da parte del proprio marito, caporalmaggiore dell’Esercito. La condotta omicidiaria è stata realizzata con un’arma da punta e da taglio, con la quale sono state inferte ben trentacinque ferite in diverse parti del corpo, sì da determinare la morte della donna per anemia emorragica acuta. Il fatto è stato commesso in un pianoro, ove la coppia aveva portato la figlia a giocare. L’imputato, già condannato in primo grado, era stato dichiarato dalla Corte di Assise di Appello colpevole di omicidio volontario, aggravato dalla qualità soggettiva di coniuge della vittima, dall’aver approfittato di circostanze tali da ostacolare la difesa e dall’aver agito con crudeltà, nonché di vilipendio di cadavere e condannato alla pena di trent’anni di reclusione, così rideterminata la pena dell’ergastolo irrogata in primo grado. Avverso tale pronuncia le difese dell’imputato e delle parti civili hanno depositato articolati ed amplissimi motivi di ricorso. Tra tutti questi, la Corte di Cassazione, confermando la declaratoria di penale responsabilità dell’imputato per entrambi i delitti a lui attribuiti, ha ritenuto fondato il solo motivo in cui è stata dedotta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante del delitto di omicidio dell’aver agito con crudeltà, con annullamento della sentenza su tale specifico punto e rinvio al giudice di merito sul punto della determinazione del trattamento sanzionatorio. E' proprio su questo punto che voglio richiamare l'attenzione del lettore, ossia sul punto della sentenza concernente l’esclusione dell’aggravante della crudeltà (punto 4.12 della motivazione in diritto). L'art. 577, 1° co., n. 4 c.p. punisce con la pena dell’ergastolo l’omicidio commesso col concorso di una delle circostanze indicate ai n. 1 (fatto commesso per motivi abietti o futili) e 4 (impiego di sevizie e crudeltà) dell’art. 61 c.p.

La giurisprudenza pronunciatasi sulla aggravante della crudeltà è pacifica e costante.
L’aggravante è ritenuta sussistente quando le modalità della condotta rendono obiettivamente evidente la volontà di infliggere alla vittima sofferenze che esulano dal normale processo di causazione dell'evento e costituiscono un quid pluris rispetto all'attività necessaria alla consumazione del reato, rendendo la condotta stessa particolarmente riprovevole per la gratuità e superfluità dei patimenti cagionati alla vittima con un'azione efferata, rivelatrice di un'indole malvagia e priva del più elementare senso d'umana pietà (ex plurimis: C., Sez. I, 27.5.2011, n. 30285, in C.E.D. Cass., rv. 250797; C., Sez. I, 27.5.2008, n. 25276, in C.E.D. Cass., rv. 240908; C., Sez. I, 19.12.2007, n. 4495, in C.E.D. Cass., rv. 238942; C., Sez. I, 6.7.2006, n. 32006, in C.E.D. Cass., rv. 234785; C., Sez. I, 8.4.2003, n. 35675, in Guida al Diritto, 2003, 50, 81). Per la configurabilità dell'aggravante è richiesto che il reo agisca con la coscienza e volontà di infliggere alla vittima sofferenze aggiuntive rispetto al normale processo di causazione della morte (C., Sez. I, 15.1.2013, n. 19966, in C.E.D. Cass., rv. 256254).

Con specifico riferimento al delitto di omicidio, si è affermato che l’aggravante postula modalità della condotta rivelatrici dell'intenzione di arrecare patimenti eccedenti il normale meccanismo causale impiegabile nella concreta vicenda per provocare la morte della vittima e di dare soddisfazione ai propri istinti crudeli e immorali (C., Sez. I, 7.3.2014, n. 18136, in C.E.D. Cass., rv. 258909). Quanto alle situazioni che fondano il riconoscimento dell’aggravante, ferma la particolarità dei singoli casi concreti, è pacifico che la mera reiterazione dei colpi inferti alla vittima non integri di per sé l’aggravante del delitto di omicidio, se tale azione, che è connessa alla natura del mezzo usato per conseguire l'effetto delittuoso, non eccede i limiti della normalità causale rispetto all'evento e non trasmoda in una manifestazione di efferatezza (C., Sez. I, 24.10.2013, n. 725, in C.E.D. Cass., rv. 258358; C., Sez. I, 28.5.2013, n. 27163, in C.E.D. Cass., rv. 256476; C., Sez. I, 16.5.2012, n. 33021, in C.E.D. Cass., rv. 253527; C., Sez. V, 17.1.2005, n. 5678, in C.E.D. Cass., rv. 230745). L'aggravante è riconosciuta quando risulti accertato che l'agente abbia infierito lungamente e rabbiosamente sulla vittima, con una condotta che eccede i limiti della normalità causale, a nulla rilevando che la vittima abbia potuto o meno percepire l'afflittività degli atti di crudeltà (C., Sez. I, 28.5.2013, n. 27163, in C.E.D. Cass., rv. 256476). Così, l’aggravante è stata riconosciuta in relazione alla reiterazione di colpi di coltello quando la modalità della condotta sia stata espressione della volontà di infliggere alla vittima sofferenze che esulano dal normale processo di causazione dell'evento morte (C., Sez. I, 5.3.2014, n. 18332, in Banca Dati Leggi d’Italia; C., Sez. I, 28.5.2013, n. 27163, in C.E.D. Cass., rv. 256476).

La Corte di Cassazione nella decisione oggetto del presente articolo si conforma ai costanti orientamenti giurisprudenziali sopra ricordati per escludere la sussistenza dell’aggravante nel caso sottoposto al suo esame.

La Corte di merito aveva ritenuto sussistente la circostanza in forza della prevalente considerazione del numero dei colpi inferti alla vittima (ben trentacinque). La Corte di legittimità ha escluso che il numero di colpi inferti, in considerazione delle particolarità del caso di specie, fosse elemento sufficiente ad affermare la sussistenza dell’aggravante, in mancanza di modalità della condotta che comportassero un effettivo superamento della normalità causale determinante l’evento omicidiario, nonché la causazione alla vittima di sofferenze aggiuntive rispetto a quelle inerenti alla condotta tipica del delitto di cui all’art. 575 c.p.. Ha osservato sul punto la Corte che la duplice considerazione delle modalità di realizzazione della condotta, quale elemento costitutivo e circostanziale del reato, ha violato, in assenza di elementi ulteriori che giustificassero il riconoscimento dell’aggravante, il principio del ne bis in idem sostanziale, che è corollario dei più generali principi di tassatività e determinatezza della norma incriminatrice. Il numero dei colpi inferti può assumere rilevanza – senza che sia possibile individuare un limite numerico agli stessi – in relazione al singolo caso, alla luce delle modalità complessive della condotta e dell’elemento psicologico del reato.

Il riconoscimento della sussistenza di un dolo d’impeto e di una condotta caratterizzata da estrema rapidità, frutto di rabbia e aggressività, ha costituito un elemento di ulteriore e definitiva conferma, nel giudizio della Corte di Cassazione, dell’esclusione della circostanza aggravante nella fattispecie di omicidio sottoposta al suo esame. In tale caso, il numero dei colpi inferti, più che connotare di una particolare crudeltà la condotta, ulteriore a quella di per sé insita in un’azione omicidiaria, costituisce espressione, nel caso concreto, proprio della immediatezza e rapidità della decisione omicidiaria e del finalismo della condotta a cagionare la morte della donna.