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Pubbl. Dom, 12 Apr 2015

Un pericolo per le imprese: le frodi aziendali interne, studiate con un caso pratico

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Emmanuel Luciano


Un noto aforisma popolare recita: "guardati le spalle dai nemici, ma soprattutto dagli amici" e, come è noto, i proverbi hanno sempre ragione! Nell´articolo che segue, tocchiamo con mano come le frodi interne possano essere più pericolose delle frodi esterne.


L´episodio occorso all´interno del Tribunale di Milano ha dimostrato che siamo il paese del "come è potuto succedere? Come mai non ci siamo accorti di nulla? ".
 
Queste sono le stesse domande che i manager si pongono ogni qual volta che, dopo l’accaduto, si ritrovano ad analizzare gli effetti di una frode interna alla propria organizzazione. In realtà, le aziende sono molto più preoccupate e soprattutto consapevoli del rischio di potenziali frodi esterne piuttosto che da quelle commesse internamente. Se è vero che anche per le frodi esterne ci sia ancora molto da fare, ad oggi molto poco viene fatto per prevenire ed affrontare le frodi interne. I danni di queste ultime sono ugualmente ingenti ed è assolutamente errato considerare tale vulnerabilità come un problema ineluttabile, sul quale si possa fare ben poco.
 
Quando si parla di frode si pensa sempre al furto o all’appropriazione indebita perpetrata con l’inganno. Tuttavia essa può essere anche uno strumento per sabotare l’organizzazione con mero spirito di rivalsa o di vendetta, senza alcuno scopo di illecito guadagno. In tal caso gli effetti sono molto più pericolosi: con un atto di tal guisa, infatti, si può veramente provocare una perdita devastante con relativa facilità e con minore probabilità di essere perseguiti e dunque scoperti.
 
E´ il caso di A. N., la quale ha impugnato il licenziamento disciplinare irrogatogli dalla F. N. Srl, siccome ritenuta responsabile di avere volontariamente cancellato dati aziendali di notevole importanza e riservatezza dal computer affidatole in via esclusiva.
 
Il Giudice di prime cure ha accolto l´impugnazione e la Corte d´Appello di Napoli, con sentenza del 20.11.2008 - 20.1.2009, ha rigettato l´impugnazione proposta dalla parte datoriale, osservando, a sostegno del decisum, quanto segue:
  • non erano emersi elementi concreti a dimostrare per quale ragione la lavoratrice, responsabile dell´Assicurazione Qualità, avrebbe dovuto conservare in via esclusiva nel suo computer files che riguardavano l´Ufficio Tecnico e che, comunque, erano contenuti, come qualunque "lavorazione o documento", nel server centrale ed erano presenti, in forma cartacea, presso le committenti e nei cantieri;
     
  • neppure era stato dimostrato che la lavoratrice avesse l´uso esclusivo del suo personal computer, essendo anzi emerso, come peraltro evincibile già dalla contestazione, il contrario, vale a dire che chiunque avrebbe potuto usarlo;
     
  • sulla base delle risultanze probatorie acquisite era risultato che qualunque dipendente avrebbe potuto accedere al computer della A.; non c´era alcun obbligo di salvare dati sul personal computer in dotazione; non era dato sapere se vi fossero stati conservati dei files prima dell´episodio di cui alla contestazione nè, eventualmente, quali;
     
  • per conseguenza la lavoratrice, non avendo l´obbligo di salvare i dati, non era tenuta al salvataggio nemmeno dei piani di sicurezza relativi ai cantieri di Bisceglie e di Caserta, conservati sicuramente nel server centrale (ma non rinvenuti) e su cartaceo;
     
  • non c´era nessuna prova, "ma nemmeno alcun indizio", che potesse indurre a ritenere che la A. avesse eliminato volontariamente i files de quibus;
     
  • per ulteriore conseguenza doveva ritenersi l´irrilevanza della (non provata) formattazione del personal computer, poichè, per dire che l´ipotetica formattazione aveva cancellato i dati, sarebbe stato necessario avere prima la certezza che ci fossero stati dati da cancellare e, in particolare, che vi fossero stati i piani di sicurezza ivi inutilmente ricercati;
     
  • l´eventuale estensione della contestazione relativa alla formattazione del computer anche alla cancellazione di altri files, nemmeno indicati, sarebbe stata di assoluta genericità, con conseguente lesione dei diritti di difesa della lavoratrice;
     
  • poichè nessuno dei dipendenti, e nemmeno la A., aveva l´obbligo di salvare dati sul proprio personal computer, bensì di salvarli nel server centrale, la loro eventuale (e non provata) cancellazione non avrebbe concretizzato alcun comportamento disciplinarmente rilevante, perchè non sarebbe stato trasgredito nessun obbligo, risultando anzi che quello sarebbe stato il comportamento da tenere (ossia, una volta lavorati, salvare i dati sul server e cancellarli dal singolo computer);
     
  • nessuno aveva comunque visto la A. formattare il suo personal computer l´11.9.2003, ultimo giorno di lavoro nel quale la società afferma sarebbe stata compiuta l´operazione, che peraltro avrebbe richiesto il possesso di un compact disk di installazione e l´interazione al computer per un congruo lasso di tempo (di forse anche due ore);
     
  • l´ A., laddove, come sostenuto dalla parte datoriale, avesse agito per danneggiare la Società, che le aveva imposto una trasferta ad Aosta, non avrebbe potuto raggiungere tale scopo, perchè qualunque dato era conservato nel server;
     
  • era privo di riscontro probatorio anche il rilievo della parte datoriale di non aver avuto più di quindici dipendenti;
     
  • nessuna indicazione era stata fornita dalla parte datoriale per l´aliunde perceptum.
 
Avverso tale sentenza della Corte territoriale, la F. N. Srl ha proposto ricorso per Cassazione fondato su cinque motivi, rigettato con sentenza n. 17097 del 21/07/2010.
 
E´ evidente come sia meglio prevenire che curare, dal momento che risulterebbe estremamente difficoltoso provare l´eventuale frode interna (probatio diabolica). Del resto la nonna lo diceva sempre: "guardati dai nemici, ma soprattutto dagli amici!"