• . - Liv.
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Mer, 27 Feb 2019

Recupero degli stipendi versati: è onere del datore di lavoro dimostrare l´assenza di causa nei pagamenti

Modifica pagina

Alessandra Inchingolo


La Corte di Cassazione precisa con sentenza n. 22387/2018 che l´onere di provare una diversa causa debendi spetti al solvens


Con la sentenza in commento la Cassazione ricorda come la prova del pagamento della retribuzione e del TFR grava sempre sul datore di lavoro. 

Le buste paga, anche se sottoscritte con formula “per ricevuta”, costituiscono prova della mera consegna del documento, ma non dell’effettivo pagamento della cui dimostrazione è onerato il datore di lavoro. Non si riscontra, infatti, una presunzione assoluta di corrispondenza tra quanto riportato nella busta paga e la retribuzione concretamente percepita dal lavoratore che può provare l’insussistenza del carattere di quietanza delle sottoscrizioni apposte. C’è quindi bisogno di una firma “per quietanza” che al limite potrebbe essere apposta anche sullo stesso cedolino paga. 

Rimane fermo il principio in base al quale l’accettazione da parte del lavoratore senza riserve della liquidazione in sede di cessazione del rapporto può assumere significato negoziale, unitamente ad altre circostanze precise, concordanti ed obiettive.

La Corte di Cassazione, sez. Lavoro n. 2238/18, ha statuito che al datore di lavoro ( solvens) compete determinare la causa di ciascun pagamento e anzi la configurazione di questo in riferimento ad un determinato obbligo conforme, sicché nella successiva azione di ripetizione il solvens deve dimostrare l’inesistenza solo di quella causa da lui stesso individuata all’atto del pagamento, incombendo sul lavoratore (accipiens) la dimostrazione di un’eventuale altra fonte di debito.

Nel caso in esame, un lavoratore chiamava in causa l’ex datore di lavoro, un istituto bancario, poiché nel mometo in cui veniva trasferito da una sede ad un’altra, la banca gli riconosceva un contributo mensile per le spese di viaggio. Venuta meno la causa dell’emolumento, la banca continuava a riconoscerlo nella busta paga, fino al momento  in cui cessava il rapporto di lavoro. Tuttavia tale emolumento non veniva incluso poi nel computo del tfr e della pensione integrativa aziendale.

Tuttavia la Corte d’appello, respingeva il ricorso e accoglieva la domanda riconvenzionale spiegata dal datore di lavoro che chiedeva la restituzione dei pagamenti eseguiti in quanto non dovuti al lavoratore sul quale gravava l’onere di dimostrare la sopravvenienza di un nuovo titolo giustificativo delle erogazioni.

Ma il lavoratore si rivolgeva al Supremo Collegio deducendo attraverso cinque motivi le sue ragioni. 

La Cassazione ha affermato che la natura retributiva di un pagamento all’interno di un rapporto di lavoro va presunta, spettando al solvens dimostrare l’insussistenza di essa e dovendo la dimostrazione fare leva su elementi contrari rispetto all’esistenza di quel titolo. Infatti, si dovrebbe provare l’effettivo e concreto verificarsi di un errore oppure l’insussistenza o l’inidoneità giuridica dei fatti che la stessa controparte in concreto abbia addotto quale fondamento della persistente attribuzione retributiva.

Entrambe le parti hanno dimostrato che la causa per cui era previsto il contributo mensile per spese di viaggio era venuta meno dal 2004, ma questo non significa che spettasse al lavoratore dimostrare una diversa causa debendi dei pagamenti avvenuti successivamente a tale data  ed effettuati mese per mese  fino alla cessazione del rapporto lavorativo, avvenuta nel 2008.

Se infatti è vero che quel titolo originario era venuto meno, è altrettanto vero che l’erogazione è proseguita costantemente per anni.

Dunque, il Supremo Collegio conclude sostenendo che seppur vero che vi è stato un errore nel pagamento, riconosciuto da ambo le parti, l’onere di provare l’errore grava sul solvens, ossia il datore di lavoro e non sull’accipiens, il lavoratore.

Accoglie i primi due motivi di ricorso, ritenendo assorbiti gli altri e cassa la sentenza impugnata rinviando alla Corte d’Appello, in diversa composizione.