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Pubbl. Dom, 17 Feb 2019

Riforma penitenziaria: pubblicati tre schemi di decreti legislativi

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Salvatore Natalizio


Le principali novità della riforma dell’ordinamento penitenziario in seguito alla pubblicazione di tre schemi di decreti legislativi, rispettivamente in materia di vita detentiva e lavoro penitenziario (A.G. n. 16), di esecuzione delle pene nei confronti dei minorenni (A.G. n. 20) e di giustizia riparativa e mediazione reo-vittima (A.G. n. 29).


Sommario: 1. Introduzione. 2. Il sistema penitenziario italiano. 3. A.G. n. 16, recante modifiche all’ordinamento penitenziario in materia di vita detentiva e lavoro penitenziario. 4. A.G. n. 20, recante modifiche alla disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni. 5. A.G. n. 29, recante disposizioni in materia di giustizia riparativa e mediazione reo-vittima. 6. Un diverso approccio ai problemi di sempre.

1. Introduzione.

Il primo agosto 2018 potrebbe rappresentare una svolta significativa – forse la più attesa dal lontano 1975, anno di pubblicazione dell’originaria legge sull’ordinamento penitenziario – poiché sembra essersi chiuso, almeno per il momento, il tortuoso iter parlamentare inerente all’approvazione della riforma penitenziaria con l’attuazione della legge delega 23 giugno 2017, n. 103 e l’emanazione dei decreti legislativi attuativi[1].

In particolar modo, sono stati pubblicati tre schemi di decreti legislativi:

1) A.G. n. 16, recante modifiche all’ordinamento penitenziario in materia di vita detentiva e lavoro penitenziario;

2) A.G. n. 20, recante modifiche alla disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni;

3) A.G. n. 29, recante disposizioni in materia di giustizia riparativa e mediazione reo-vittima.

In merito ad un quarto schema di decreto legislativo, quello concernente la materia delle misure alternative e dei benefici penitenziari (A.G. n. 17), il Governo, nella più recente composizione, in ragione della nuova legislatura in corso, ha deciso di non esercitare la delega, avendo il testo ricevuto parere contrario dalle commissioni parlamentari.

Prima di esaminare i predetti schemi di decreti legislativi, però, è utile premettere qualche breve considerazione iniziale, con gli opportuni riferimenti numerici, sull’attuale vita detentiva nel nostro Paese.

2. Il sistema penitenziario italiano.

L’ordinamento penitenziario ha da poco compiuto quarant'anni[2] nel corso dei quali la situazione detentiva sembra essersi trovata in una drammatica impasse con la conseguenza, ineluttabile, dell’abdicazione in favore di una mera “finzione rieducativa”.

Si potrebbe dire che, usando le dovute cautele del caso, dopo più di quarant’anni siamo pressappoco al punto di partenza[3].

Una ragione che ci consente di spiegare questa deprimente situazione è ravvisabile nella tendenza del potere politico, qualunque esso sia, ad affrontare ogni motivo di insicurezza sociale ricorrendo allo strumento più scontato ma allo stesso tempo meno efficace, la detenzione carceraria.

La risposta “carcerocentrica”, erroneamente ritenuta la sola in grado di sciogliere il nodo gordiano che si cela dietro le sbarre dei penitenziari italiani, ha progressivamente prodotto un sovraffollamento che ha diminuito la credibilità del recupero sociale del reo.

Ed i numeri, in tal senso, parlano chiaro[4].  

Lungi, dunque, dall’essere pervenuti a quel grado di civiltà predicato anche dal celebre filosofo Voltaire, negli ultimi anni abbiamo tuttavia assistito ad un lento miglioramento.

Si è ridotto il ricorso alla custodia cautelare in carcere; il carcere non è più un approdo quasi inevitabile per chi ha problemi di droga; la quota di detenuti stranieri si va lentamente riducendo[5] ed il sovraffollamento carcerario, congenito problema prettamente italiano, è stato posto, temporaneamente, sotto controllo dopo la condanna europea della Corte di Strasburgo[6].

Luci ed ombre, dunque, che ci pongono, però, ancora ben distanti da una dignitosa condizione carceraria in un Paese civile dove il più importante principio garantista della “certezza della pena” trova una scontata enunciazione teorica unicamente nell’attuale Contratto di Governo[7].

3. A.G. n. 16, recante modifiche all’ordinamento penitenziario in materia di vita detentiva e lavoro penitenziario. 

Lo schema di decreto legislativo in materia di vita detentiva e lavoro penitenziario (A.G. n. 16)[8] reca, al Capo I, disposizioni in tema di vita penitenziaria, modificando alcune norme dell’ordinamento penitenziario nella prospettiva di assicurare una maggior tutela dei diritti di detenuti ed internati e, al Capo II, interviene sulla legislazione penitenziaria, attraverso modifiche finalizzate a rafforzare il ruolo del lavoro quale strumento essenziale del trattamento rieducativo dei condannati.

In primo luogo è stato modificato l’art. 5 della legge sull’ordinamento penitenziario (d’ora in avanti O.P.) al fine di rendere gli istituti penitenziari dei luoghi nei quali si possano svolgere tutte le attività che caratterizzano la vita quotidiana all’esterno. La disposizione, come modificata, prevede che pur nel pieno rispetto delle esigenze di sicurezza, gli edifici siano dotati di locali per lo svolgimento di tutte le attività che integrano il trattamento, incluse quelle di socializzazione.

Il successivo art. 6 O.P., così come modificato, conferma i requisiti di adeguatezza dei locali di soggiorno e pernottamento: ampiezza sufficiente, illuminazione con luce naturale e artificiale, tale da permettere il lavoro e la lettura, aerazione, riscaldamento, dotazione di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale, buono stato di conservazione e di pulizia.

Nel medesimo articolo il legislatore delegato prevede la normale attribuzione, derogabile nel caso in cui vi ostino le prescrizioni mediche ovvero particolari situazioni dell’istituto non lo consentano, di camere individuali per il pernottamento in favore dei detenuti condannati all’ergastolo[9] e degli imputati.

La novella concernente l’art. 8 O.P., in materia di caratteristiche dei servizi igienici, mira all’eliminazione dagli istituti italiani dei servizi igienici c.d. “a vista” ed alla obbligatoria fornitura di acqua calda per le docce.

Chiude il Capo I del predetto schema di decreto legislativo la modifica intervenuta sull’art. 12 O.P. che, dedicato alle attrezzature per attività di lavoro, di istruzione e di ricreazione, inserisce, tra i materiali che devono essere forniti dalle biblioteche carcerarie, anche il riferimento agli audiolibri, valido ausilio soprattutto per gli stranieri.

Esaminando ora le modifiche vertenti il Capo II relativo, come anticipato, al lavoro penitenziario, ed in particolare l’art. 20 O.P., si evidenzia l’estensione dell’elemento trattamentale del lavoro anche ai soggetti ospitati nelle REMS[10]; inoltre, è stata prevista la possibilità, per l’amministrazione penitenziaria, di organizzare e gestire attività di produzione e vendita di beni o servizi, sia all’interno che all’esterno dell’istituto.

L’art. 20 ter O.P., concernente il lavoro di pubblica utilità, prevede che i detenuti e gli internati possano chiedere di essere ammessi a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito nell’ambito di progetti di pubblica utilità, tenendo conto anche delle specifiche attitudini lavorative. La possibilità di essere assegnati a prestare la propria attività all’esterno dell’istituto è, tuttavia, esclusa per i detenuti e gli internati, autori dei delitti di cui all’art. 416 bis c.p. e dei delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare le attività delle associazioni in esso previste.

L’art. 22 O.P., così come riscritto, prevede, per ciascuna categoria di detenuti e internati che lavorano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, la determinazione della remunerazione determinata in relazione alla quantità e qualità del lavoro prestato, in misura pari ai 2/3 del trattamento economico di cui ai contratti collettivi.

Chiude lo schema l’art. 25 ter O.P. prevedendo che l’amministrazione penitenziaria debba rendere disponibile a favore dei detenuti e degli internati un servizio di assistenza per l’espletamento delle pratiche idonee al conseguimento di prestazioni assistenziali e previdenziali e all’erogazione di servizi e misure di politica attiva del lavoro.

Da un prima analisi dello schema di decreto legislativo A.G. n. 16 emerge una voluntas legis che, prima di ogni altra cosa, prova a restituire quella precipua finalità risocializzante che il lavoro deve recare in re ipsa al fine di consentire la trasformazione del detenuto-lavorante in lavoratore-detenuto[11].

Sulla scorta delle European Prison Rules[12] che, senza alcun dubbio hanno segnato un forte momento di rottura nella normativa penitenziaria internazionale, il legislatore penitenziario sembra, non senza difficoltà, aver posto un importante tassello in favore dei diritti dei lavoratori detenuti.

4. A.G. n. 20, recante modifiche alla disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni.

Il secondo schema di decreto legislativo, dedicato alla disciplina dell’esecuzione penale nei confronti dei condannati minorenni (A.G. n. 20)[13], consta di ben 26 articoli suddivisi in quattro Capi: al Capo I si hanno le disposizioni generali; al Capo II vengono tratteggiati i principi dell’esecuzione penale esterna e delle misure di comunità; al Capo III si delinea la disciplina dell’esecuzione penale; al Capo IV si trovano le disposizioni in tema di intervento educativo e in materia di organizzazione degli istituti penitenziari per minorenni[14].

L’art. 1 delinea i principi fondamentali dell’esecuzione penale minorile, che – ai sensi del testo di riforma – dovrebbero favorire percorsi di giustizia riparativa e di mediazione con le vittime di reato. Dovrebbero, altresì, tendere ad agevolare la responsabilizzazione, l’educazione e il pieno sviluppo psico-fisico del minorenne, la preparazione alla vita libera, l’inclusione sociale e a prevenire la commissione di ulteriori reati, anche mediante il ricorso ai percorsi di istruzione, di formazione professionale, di educazione alla cittadinanza attiva e responsabile, e ad attività di utilità sociale, culturale, sportive e di tempo libero.

L’art. 2 del presente schema sancisce l’applicazione anche ai minorenni delle misure penali di comunità dell’affidamento in prova al servizio sociale (art. 4), dell’affidamento in prova con detenzione domiciliare (art. 5), della detenzione domiciliare (art. 6), della semilibertà (art. 7), dell’affidamento in prova terapeutico (art. 2, comma 1).

L’art. 8 reca disposizioni volte a razionalizzare e uniformare le procedure comuni a tutte le misure alternative alla detenzione, in considerazione del fatto che l’attuale disciplina risulta affrontata in modo disorganico, essendo contenuta in parte nella legge sull’ordinamento penitenziario e in parte nel regolamento di esecuzione della stessa.

Ai sensi dell’art. 10 viene delineato l’ambito applicativo della speciale disciplina in materia di esecuzione penale minorile, in particolare nell’ipotesi in cui siano in esecuzione pene concorrenti per fatti commessi da minorenne e da adulto.

Di particolare rilevanza è la disposizione di cui all’art. 12 che fissa le regole generali per l’esecuzione delle misure penali di comunità. Tale norma, se da un lato, riprende quanto già previsto dall’ordinamento penitenziario, dall’altro, introduce particolari previsioni che tengono conto delle speciali esigenze dei condannati minorenni e giovani adulti durante e al termine dell’esecuzione della pena.

Di rilievo anche le disposizioni delineate all’interno del Capo IV (artt. 14-26): ai sensi dell’art. 14, si prevede la necessità che la permanenza in carcere degli autori di reato minorenni venga accompagnata da un progetto educativo. Tale progetto, elaborato secondo i principi della personalizzazione delle prescrizioni e della flessibilità esecutiva, previo ascolto del condannato, deve tenere conto delle attitudini e delle caratteristiche della sua personalità[15].

Nell’assegnazione dei detenuti minorenni in istituto, deve essere assicurata la separazione dei minorenni dai giovani al di sotto dei venticinque anni e degli imputati dai condannati; le donne devono essere ospitate in istituti o sezioni apposite (art. 15).

L’art. 16, con riferimento alle camere di pernottamento, specifica che debbono essere adattate alle esigenze di vita individuale dei detenuti e devono ospitare di regola due persone, al massimo quattro.

All’art. 17, si delinea poi la permanenza all’aria aperta: ai detenuti minorenni è consentito di rimanere all’aperto per un tempo non inferiore alle quattro ore al giorno e tale periodo non può essere ridotto.   

L’art. 18, in linea con quanto previsto dal precedente schema di decreto legislativo, riconosce al lavoro una funzione primaria, prevedendo che i minorenni siano ammessi a frequentare corsi di istruzione, formazione professionale, previa intesa con istituzioni, imprese, cooperative o associazioni così da consentire agli stessi di perfezionare all’esterno le loro capacità in ragione dell’accesso al mondo lavorativo.

Fondamentale la previsione dell’art. 19 che incentiva la tutela dell’affettività dei minori reclusi[16], consentendo delle visite prolungate, le quali si svolgono in unità abitative appositamente attrezzate all’interno degli istituti, organizzate per consentire la preparazione e la consumazione di pasti e riprodurre, per quanto possibile, un ambiente domestico.

Ancora, di rilievo, l’art. 21 che disciplina la c.d. vigilanza dinamica[17], un modello di detenzione, richiamato peraltro nella normativa europea, il quale presuppone una modulazione e differenziazione del controllo da parte della polizia penitenziaria, da esercitare in base alle diverse situazioni concrete.

All’art. 22, si afferma come il regime della sorveglianza particolare di cui all’art. 14 bis O.P.[18] non trovi applicazione ai minori degli anni diciotto ed al successivo art. 23 viene sancito il principio della territorialità dell’esecuzione penale.

L’art. 24 ridisegna le sanzioni disciplinari da comminare ai minori, le quali consistono: nel rimprovero verbale e scritto del direttore dell’istituto; in attività dirette a rimediare al danno cagionato; nell’esclusione dalle attività ricreative per non più di dieci giorni; nell’esclusione dalle attività in comune per non più di dieci giorni.

Infine, gli artt. 25 e 26 sono dedicati, rispettivamente, alla fase di dimissione del detenuto minorenne ed alle disposizioni finanziarie.

Lo schema di decreto legislativo analizzato si propone di introdurre una normativa ad hoc per l’esecuzione della pena nei confronti dei condannati minorenni e dei giovani al di sotto dei venticinque anni (c.d. giovani adulti) al fine di adattare la disciplina dell’ordinamento penitenziario alle specifiche esigenze di tali soggetti, con particolare riguardo al peculiare percorso educativo e di reinserimento sociale di cui gli stessi necessitano in ragione della giovane età.

Apprezzabile, dunque, l’intento legislativo che, almeno sul piano formale, con una regolamentazione più avanzata ed aperta, distingue il detenuto adulto dal minore[19] al quale la funzione rieducativa della pena dovrebbe consentire, ceteris paribus, la possibilità di assecondare i bisogni particolari della propria personalità, così come previsto dall’art. 13 O.P.      

5. A.G. n. 29, recante disposizioni in materia di giustizia riparativa e mediazione reo-vittima.

Da ultimo, lo schema di decreto legislativo A.G. n. 29[20] si occupa, con ogni probabilità, di un aspetto troppo spesso trascurato: la mediazione tra l’autore del reato e la vittima.

Il presente schema si compone di tre Capi riguardanti, rispettivamente, le disposizioni generali, le modalità di accesso ai programmi di giustizia riparativa ed, infine, il procedimento di giustizia riparativa, per un totale di nove articoli.

L’art. 1 contiene la nozione di “giustizia riparativa”[21] definita come quel procedimento che coinvolge l’autore di reato, la vittima e, ove possibile, la comunità ed è diretto a comporre il conflitto generato dal reato e a ripararne le conseguenze. Tali procedimenti di giustizia riparativa, però, possono essere avviati esclusivamente con il consenso delle persone coinvolte (reso in forma scritta come previsto dal successivo art. 2).

All’art. 2 si precisa, altresì, che chiunque acceda ai programmi di giustizia riparativa debba essere informato in modo accurato sul significato, lo svolgimento ed il potenziale esito del programma, comprese le modalità dell’accordo di riparazione raggiunto.

L’art. 3 detta le linee guida per l’organizzazione dei servizi di giustizia riparativa che devono essere individuati sul territorio nazionale presso ogni distretto di corte di appello.

Gli artt. 4 e 5 chiariscono le modalità di accesso ai programmi di giustizia riparativa prevedendo che i condannati possano accedervi in qualsiasi momento con la collaborazione del magistrato di sorveglianza che, una volta ricevuta la richiesta di avvio, trasmette gli atti necessari per l’elaborazione del suddetto programma ai servizi di giustizia riparativa.

Nell’art. 6 è contenuto un elenco, non tassativo, dei principali programmi di giustizia riparativa che possono consistere in: mediazione reo-vittima, anche mediante il ricorso al mediatore; mediazione reo-vittima “aspecifica”, in cui l’autore incontra la vittima di un altro reato; incontro guidato dal mediatore tra gruppi di autori e di vittime aspecifiche dello spesso tipo di reato.

Degna di menzione è anche la disposizione contenuta nell’art. 8, ai sensi del quale viene precisato che i programmi di giustizia riparativa sono preceduti da colloqui preliminari con i mediatori penali, si svolgono nel rispetto della dignità della persona e tendono alla responsabilizzazione del reo con la partecipazione della vittima al procedimento penale. I medesimi programmi, poi, possono concludersi con un “accordo di riparazione”, che può avere un contenuto simbolico o materiale e può comprendere le scuse formali o attività socialmente utili.

L’art. 9, infine, detta la clausola d’invarianza finanziaria.

Dalla disamina dello schema di decreto legislativo analizzato emerge il ruolo chiave che la persona offesa dal reato deve ricoprire all’interno della vicenda penale.

Troppo spesso, infatti, a regnare è l’odio incontaminato di chi, vittima del delitto, intende ripristinare l’antica legge del taglione per azzerare ogni problema legato alla criminalità.

La prospettiva – forse un po' meno utopica alla luce del presente schema di decreto legislativo – di una giustizia che mette in relazione il reo e la vittima nella ricerca condivisa di un possibile accordo di riparazione potrebbe rappresentare l’aspetto fondamentale per la gestione degli effetti distruttivi di qualsivoglia fattispecie delittuosa.

E ciò almeno per due ordini di ragioni.

Da un lato, infatti, si tenderebbe alla responsabilizzazione dell’autore del reato attraverso un confronto diretto con la sofferenza della parte lesa e, dall’altro, in caso di esito positivo di un accordo riparativo, si ridurrebbe il livello di carichi procedimentali e delle relative spese giudiziarie.  

6. Un diverso approccio ai problemi di sempre.

È innegabile come la riforma abbia compiuto dei piccoli passi in avanti, colmando importanti vuoti legislativi[22]. Finalmente vi sono delle norme dedicate ai detenuti minorenni che mostrano una maggiore attenzione ai loro bisogni educativi; finalmente viene consentito un più ampio accesso alle misure alternative e di comunità; finalmente si attribuisce al lavoro quella finalità risocializzante e rieducativa che consente il recupero sociale del reo; finalmente si prova ad instaurare un dialogo tra la vittima e l’autore del reato al fine di evitare che la prima “renda la pariglia” al secondo.

Tuttavia, è bene precisare che il problema del sovraffollamento carcerario e tutte le conseguenze che ne derivano (condizione detentiva poco dignitosa ed elevato tasso di recidiva, solo per citarne alcune) richiede un impegno costante e maggiore di quello appena compiuto.

Nonostante alcune importanti statuizioni, la riforma penitenziaria non ha però inciso su altri aspetti della vita detentiva che non possono essere trascurati.

Mancano, ad esempio, tutte quelle norme che avrebbero favorito una carcerazione più moderna e aperta, un ampliamento delle misure alternative ed una tutela delle persone afflitte da problemi psichici[23].

Il quadro così delineato si completa, negativamente, con la mancata attuazione, da parte del Governo, della delega in materia di misure alternative e benefici penitenziari (A.G. n. 17), alla luce del parere contrario espresso dalle commissioni parlamentari.

Le misure alternative alla detenzione rappresentano la scelta normativa maggiormente rispondente al principio del finalismo rieducativo della pena e mostrano come la sanzione penale, extrema ratio, vada applicata unicamente quando costituisce l’unico rimedio per la tutela del bene giuridico offeso[24].

Inoltre, una serie di ricerche basate su osservazioni prolungate nel tempo sulla commissione di reati da parte di coloro che hanno usufruito di misure alternative alla detenzione in carcere, dimostrano come questi soggetti solo in una esigua percentuale di casi ritornano a delinquere[25].

In definitiva le modalità alternative di espiazione della pena riducono e non aumentano le ragioni dell’insicurezza sociale, come erroneamente si crede.

Alla base di ogni problema vi è sempre la mancata conoscenza di qualcosa.

In questo contesto, impregnato di insicurezza sociale e dominato dagli slogan “carcerocentrici”, è opportuno allontanare le paure proprio attraverso la consapevolezza di ciò che accade all’interno dei penitenziari italiani.

D’altronde il carcere, popolato da esseri umani, non è, e non sarà mai, un luogo dove rinchiudere tutti i nostri mali e le nostre angosce.

Emblematica, a tal proposito, un’espressione incisa qualche anno fa all’esterno del penitenziario romano di Rebibbia che aiuta a comprendere l’attuale situazione detentiva: “è inutile che vivi fuori se muori dentro”.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] V. Manca, Riforma penitenziaria: pubblicati tre schemi di decreti legislativi, 22 agosto 2018, in Il Quotidiano Giuridico.

[2] Come già accennato, infatti, la legge sull’ordinamento penitenziario è la n. 354 del 26 luglio 1975 “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà individuale”, più volte modificata soprattutto per effetto della l. 10 ottobre 1986, n. 663 (c.d. legge Gozzini) e della l. 27 maggio 1998, n. 165 (c.d. legge Simeone).

[3] G. Giostra, La riforma della riforma penitenziaria: un nuovo approccio ai problemi di sempre, in Costituzionalismo.it, fascicolo 2, 2015, pag. 4.

[4] I dati reperibili sul sito istituzionale del Ministero della Giustizia, aggiornati al 31 gennaio 2019, contano 60.125 detenuti dei quali 40.092 condannati definitivi e 947 detenuti in semilibertà. Un altro dato rilevante mostra una consistente presenza di stranieri reclusi: 20.309.

[5] E. Dolcini, Carcere, problemi vecchi e nuovi, in Diritto Penale Contemporaneo, 19 novembre 2018, pag. 2.

[6] Corte EDU, sentenza 8 gennaio 2013, causa Torreggiani e altri c. Italia in cui si afferma, tra l’altro, che: “Questi dati nel loro complesso rivelano che la violazione del diritto dei ricorrenti di beneficiare di condizione detentive adeguate non è conseguenza di episodi isolati, ma trae origine da un problema sistemico risultante da un malfunzionamento cronico proprio del sistema penitenziario italiano, che ha interessato e può interessare ancora in futuro numerose persone”.

[7] Si legge testualmente nel Contratto per il Governo del Cambiamento che: “Per far fronte al ricorrente fenomeno del sovraffollamento degli istituti penitenziari e garantire condizioni di dignità per le persone detenute, è indispensabile dare attuazione ad un piano per l’edilizia penitenziaria che preveda la realizzazione di nuove strutture e l’ampliamento ed ammodernamento delle attuali” ed ancora “È infine necessario riscrivere la c.d. ‘riforma dell’ordinamento penitenziario’ al fine di garantire la certezza della pena per chi delinque, la maggior tutela della sicurezza dei cittadini, valorizzando altresì il lavoro in carcere come forma principale di rieducazione e reinserimento sociale della persona condannata”.

[8] Il testo integrale è reperibile alla pagina internet del Senato.

[9] La puntualizzazione relativa agli ergastolani risponde all’esigenza di assicurare loro, a causa dell’entità della pena da espiare, condizioni di vita maggiormente compatibili a tutelare la loro salute fisica e mentale.

[10] L’acronimo indica la residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza che, previste dalla l. n. 81/2014 per accogliere le persone affette da disturbi mentali, autrici di reati, a cui viene applicata la misura di sicurezza detentiva del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o l’assegnazione a casa di cura e custodia, hanno sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) aboliti nel 2013 e chiusi definitivamente il 31 marzo 2015.

[11] G. Caputo, Detenuti-lavoratori o lavoratori-detenuti?, in Costituzionalismo.it, fascicolo 2, 2015, pag. 1.

[12] Consiglio d’Europa, European Prison Rules, raccomandazione Rec(2006)2 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa dell’11 gennaio 2006 le quali, sull’idea che i detenuti sono titolari di tutti i diritti fondamentali non incompatibili con la loro condizione, assurgono a radicale cambiamento di impostazione rispetto alla precedente condizione paternalistica della detenzione.

[13] Il testo integrale è reperibile alla pagina internet del Senato.

[14] V. Manca, Pubblicati gli schemi di decreto legislativo della riforma penitenziaria: facciamo il punto della riforma che sarà (?), in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 9, pp. 8 ss.

[15] V. Manca, Pubblicati gli schemi di decreto legislativo della riforma penitenziaria: facciamo il punto della riforma che sarà (?), op. cit.

[16] Sulla tutela dei legami affettivi si v. S. Talini, L’affettività ristretta, in Costituzionalismo.it, Fasciolo 2, 2015, pp. 4 ss., ove si afferma che: “La privazione della libertà personale, operata in ragione di esigenze di ordine e sicurezza, porta con sé un’ulteriore conseguenza idonea ad incidere sul ristretto: la perdita di una significativa parte del suo potere decisionale. Il detenuto non è libero di modellare autonomamente le relazioni interpersonali, è la legge a determinare quali legami siano meritevoli di tutela e, in relazione a tale scelta, a definirne tempi e modalità di godimento”.

[17] Sul concetto di vigilanza o sorveglianza dinamica si rimanda a La sorveglianza dinamica - Dispense ISSP n°1 (marzo 2013) a cura del Ministero della Giustizia-Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che riconduce tale nozione a “un modo diverso di fare sorveglianza” con il passaggio “dalla sorveglianza-custodia alla sorveglianza-conoscenza” attraverso la semplificazione, razionalizzazione e qualificazione dei carichi di lavoro.

[18] In base all’art. 14 bis possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare per un periodo non superiore a sei mesi (prorogabile più volte, ma ogni volta in misura non superiore a tre mesi) i detenuti che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza negli istituti penitenziari; quelli che con la violenza o la minaccia impediscono le attività degli altri detenuti; quelli che nella vita penitenziaria mettono in stato di soggezione altri detenuti.

[19] P. Gonnella, Le identità e il carcere: donne, stranieri, minorenni, in Costituzionalismo.it, fascicolo 2, 2015, pp. 18 ss.

[20] Il testo integrale è reperibile alla pagina internet del Senato.

[21] Per una definizione di giustizia riparativa si rinvia a La giustizia riparativa Profili definitori; tipologia e caratteristiche dei programmi di giustizia riparativa, Tavolo 13 – Giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittime Allegato 3 e A. Ceretti, Giustizia riparativa e mediazione penale. Esperienze pratiche a confronto, in F. Scaparro (a cura di), Il coraggio di mediare, Guerini e Associati, 2001, pp. 307 ss.

[22] Per un preciso commento alla riforma si v. T. Valiani, Riforma Ordinamento Penitenziario. Antigone: “Estendere le misure alternative”, 29 gennaio 2019.

[23] Si v. Antigone, Approvata la riforma dell'ordinamento penitenziario. Restano deluse le grandi aspettative, ma passi avanti su alcuni temi, 28 settembre 2018.

[24] M. Ruotolo, Il senso della pena. Ad un anno dalla sentenza Torreggiani della Corte EDU, Editoriale Scientifica, Napoli, 2015, pag. 81.

[25] F. Leonardi, Le misure alternative alla detenzione tra reinserimento sociale e abbattimento della recidiva, in Rassegna penitenziaria e criminologica, n. 2/2007, pp. 7 ss.