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Pubbl. Mar, 29 Gen 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

Rapporti fra prescrizione e giudicato: una lunga storia d´amore?

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Angela Cuofano


Con l´arresto in esame, le Sezioni Unite sposano l´orientamento maggioritario della Cassazione riguardo i rapporti fra effetto estintivo e giudicato, escludendo, ex art. 587 c.p.p., che il coimputato nello stesso reato che non abbia presentato gravame, possa avvalersi della pronuncia prescrittiva eventualmente emessa.


Sommario: 1) I termini della questione; 2) L’articolazione dualistica dell’effetto estintivo; 3) Effetto estensivo e giudicato; 4) Estensione dell’impugnazione e prescrizione del reato; 5) L’approdo delle Sezioni Unite.

1) I Termini della questione

La questione che ha occasionato la rimessione alle Sezioni Unite nasce da un procedimento che si è svolto cumulativamente in primo grado, ove vi era concorso di responsabilità fra i due imputati.

A seguito di sentenza di condanna, uno di essi ha proposto appello, chiedendo l'assoluzione per insussistenza del fatto. Il coimputato non appellante, dal canto suo, decide di partecipare al nuovo grado di giudizio in base a quanto disposto dall’art. 587 c.p.p. Succede però che, nelle more del processo d’appello, il giudice emetta sentenza ex art. 129 c.p.p. di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato, nei confronti di entrambi gli imputati. L’epilogo di proscioglimento è stato esteso a tutti e due, nonostante il termine di prescrizione fosse maturato successivamente alla formazione del giudicato sulla parte di sentenza relativa al non impugnante.

Il Procuratore generale presso la Corte d’Appello ha proposto ricorso in Cassazione avverso tale pronuncia, lamentando in particolare una violazione, a suo parere anche marcata, del principio di certezza del giudicato.

Della problematica, di enorme interesse, si è occupata in prima battuta la Quinta Sezione della Corte di Cassazione che ha finito per restituire gli atti ex art. 172 disp. att. c.p.p., sostenendo che le Sezioni Unite si fossero già pronunciate in precedenza sulla specifica questione[1] e non fossero presenti, nel caso di specie, elementi tali da giustificare un indirizzo diverso. Il contrasto è stato sottoposto nuovamente all’attenzione delle Sezioni Unite con ordinanza 17 maggio 2017[2].

Segnatamente, è protagonista della rimessione il seguente quesito: “se l’effetto estensivo ex art. 587 cod. proc. pen. della declaratoria di estinzione del reato per prescrizione operi in favore del coimputato non impugnante solo qualora detta causa estintiva sia maturata prima dell’irrevocabilità della sentenza nei confronti dello stesso, ovvero – fermo restando il presupposto che l’impugnazione non sia fondata su motivi esclusivamente personali dell’impugnante – anche nell’ipotesi in cui la causa di estinzione sia maturata dopo l’irrevocabilità della sentenza di condanna nei confronti del coimputato non impugnante”.

Nello stigmatizzare il problema, la sezione remittente opera una puntuale ricostruzione del panorama giurisprudenziale in materia, illustrando le questioni sottese e aderendo senza dubbio all’orientamento minoritario, che sposa la seconda delle soluzioni prospettate. In parole povere, la Quinta Sezione ha alcuni dubbi circa i limiti che l’art. 587 c.p.p. pone riguardo la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.

Sorvolando sulle peculiarità che caratterizzano il caso concreto, la problematica offre la possibilità di esaminare l’annoso dibattito riguardante i rapporti esistenti fra effetto estintivo ed effetto sospensivo dell’impugnazione. Sul punto, giurisprudenza minoritaria e granitica ritiene si possa configurare un giudicato parziale sul capo di sentenza relativo al non impugnante. La giurisprudenza maggioritaria non è della stessa opinione.

Ciò posto, l’analisi riguarda quanto incida l’intervenuta formazione del giudicato sulla possibilità di estendere i motivi di annullamento, con particolare riguardo all’ipotesi di sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione.

2) L’articolazione dualistica dell’effetto estintivo

Per comprendere meglio la questione in commento, appare utile una scorrevole ma completa disamina circa l’ubi consistam del fenomeno estintivo e dei suoi aspetti problematici, oggetto di varie querelle fra dottrina e giurisprudenza.

L’istituto è trattato principalmente dall’art. 587 c.p.p. che, rubricato “estensione dell’impugnazione”[3], costituisce il fondamento normativo di una materia di non agevole comprensione[4].

La norma disciplina il fenomeno in base al quale, nell’ambito di un processo che veda protagonisti più imputati, gli effetti in bonam parte che conseguono all’impugnazione proposta da uno solo dei coimputati si irradiano anche sulla posizione del non impugnante o la cui impugnazione sia stata dichiarata inammissibile[5].

Perché il meccanismo sia efficace è però necessario che esista un collegamento processuale fra le posizioni delle parti private, che può dipendere tanto da una responsabilità concorsuale[6] (art. 587, co. 1 c.p.p.) quanto da una intervenuta riunione di procedimenti che dipendono da notizie distinte di reato (art 587, co. 2 c.p.p.)[7].

Nel primo caso l’estensione dell’impugnazione sarà possibile nel momento in cui quest’ultima non sia fondata su ragioni esclusivamente personali[8], come tali non suscettibili di effetti nella sfera giuridica altrui.

Nell’ipotesi prospettata dal comma 2, invece, dato che il legame esistente fra le due posizioni è più labile, è necessario, per l’attivazione del meccanismo, che i motivi di impugnazione si realizzino durante il procedimento.

Nonostante la ratio dell’effetto estintivo sia individuata nella necessità di evitare giudizi contraddittori, è impossibile fotografare un orientamento unidirezionale al quale ricollegare le singole implicazioni sostanziali e processuali dello stesso[9].

L’art. 587 c.p.p. stabilisce che, nel rispetto delle condizioni su indicate “l’impugnazione proposta da uno degli imputati […] giova anche agli altri imputati”.

Nonostante il tenore della norma evochi una fattispecie sostanzialmente unitaria, in realtà, si discorre di estinzione dell’impugnazione in relazione a due casi precisi: da un lato, con riguardo a quella in senso stretto, dall’altro, si osservano i rapporti intercorrenti fra l’impugnazione e la sentenza che conclude il procedimento di grado successivo.

La duplice valenza dell’istituto, ammessa in dottrina e in giurisprudenza[10], diventa ancora più cristallina se esaminata in combinato disposto con quelle norme del codice di procedura penale che guardano con sfavore all’estensione.

Nel primo caso, infatti, il coimputato che non ha impugnato, se citato ritualmente ex art. 601 co. 1 c.p.p.[11], potrà in ogni caso prendere parte al giudizio e compiere attività processuale[12].

Il fatto che i motivi di grame non abbiano natura personale permette al coimputato di avvalersi di prerogative difensive che, altrimenti, gli rimarrebbero precluse dall’intervenuta decadenza del diritto di impugnazione.

Diversamente, l’effetto estensivo della sentenza, che opera in un momento successivo, si realizza permettendo alle conseguenze della stessa, se favorevoli per il non impugnante, di avere effetto sia quando vi sia accoglimento dei motivi di gravame sia nel caso di pronuncia d’ufficio ex art. 129 c.p.p.

Detto ciò, con specifico riferimento agli effetti del provvedimento operanti ex post, appare maggiormente corretto ritenere estensibili quelli relativi all’annullamento della sentenza, piuttosto che quelli relativi al giudizio di impugnazione, come precisato, nella sua formulazione letterale, dall’art. 627 c.p.p. riguardo al ricorso per cassazione[13].

I meccanismi sopra descritti possono, tra l’altro, operare separatamente, nel senso che il coimputato che non partecipa al processo può in ogni caso giovarsi della pronuncia favorevole, a patto che il capo di sentenza annullato sia ad esso comune[14].

Se questo quadro è di facile interpretazione, altrettanto non può dirsi riguardo la diversa ipotesi di impugnazione presentata per motivi esclusivamente personali, come tale non suscettibile di estensione. La querelle riguarda la possibilità, per tale tipo di impugnazione, di costituire presupposto di effetto estintivo nel caso in cui, nelle more del giudizio impugnatorio, intervenga una pronuncia ex petita che sia estensibile in astratto.

L’estensione dell’impugnazione, considerata quale presupposto per l’impugnazione dell’intero provvedimento del giudice, è infatti possibile solo allorquando vi sia perfetta coincidenza fra la motivazione estensibile alla base del gravame e quella alla base dell’annullamento dell’impugnata pronuncia.

Ciò posto, è prevedibile che il giudice in questione basi l’impugnazione su di una circostanza oggettiva, quindi estensibile ex art. 129 c.p.p. oppure avvalendosi della facoltà di cui all’art. 597, co. 5 c.p.p. oppure rilevando una nullità assoluta ex art. 179 c.p.p[15].

Nel caso in cui ricorra tale eventualità, è opportuno sottolineare che l’applicabilità dell’art. 587 c.p.p. è correlata alla natura data ai rapporti fra effetto estensivo e quello sospensivo ex art. 588 c.p.p.

3) Effetto estensivo e giudicato

Alla luce di quanto sopra esposto, la dottrina ha puntualmente osservato che le singole questioni che derivano dall’estensione soggettiva dell’impugnazione vanno in ogni caso analizzate correlativamente alla problematica principale, tesa ad individuare i rapporti intercorrenti fra l’ambito giudizio che si chiude con la decisione impugnata e quello che si apre con l’impugnazione[16].

In particolare, risulta essenziale stabilire la natura dei rapporti intercorrenti tra l’effetto estensivo e l’efficacia sospensiva dell’impugnazione che, per forza di cose, è connessa alla preposizione di una valida impugnazione, come disposto dall’art. 588 c.p.p.

In altre parole, considerando che il funzionamento del relativo meccanismo presuppone che il soggetto beneficiario non abbia proposto personalmente l’impugnazione, in assenza di disposizioni normative cristalline, diventa essenziale stabilire se l’effetto estensivo condizioni – e in quale misura – il passaggio in giudicato della sentenza nei suoi confronti, paralizzando in questo modo l’operatività  dell’art. 648 c.p.p. che stigmatizza l’interrelazione esistente fra l’omessa impugnazione e l’irrevocabilità della pronuncia.

D’altra parte, la ricostruzione specifica della questione ha finito per influenzare gli arresti giurisprudenziali in materia fino a giustificare il recente contrasto rimesso alle Sezioni Unite.

Sul punto, dottrina e giurisprudenza hanno sposato generalmente posizioni antitetiche, salvo eccezioni occasionali.

Da un lato, infatti, si trova giurisprudenza a dir poco granitica[17], che continua idealmente gli orientamenti maturati in seno al codice di rito abrogato[18], escludendo possibili interferenze tra effetto estensivo ed formazione del giudicato.  Tale impostazione apporta portata revocatoria alla fattispecie estensiva. Il meccanismo si configura, in questo senso, come rimedio di carattere straordinario risolutivo del giudicato medio tempore intervenuto sul capo di sentenza non impugnato[19].

E’ possibile, dunque, un parallelismo con l’istituto della revisione che allo stesso modo permette di risolvere il conflitto logico fra giudicati[20].

Le argomentazioni a sostegno di questo assunto sono diverse e formano ius receptum all’interno della Corte di Cassazione.

Si fa riferimento, in tal senso, alla tassatività ed eccezionalità delle ipotesi sospensive proposte dal legislatore che non possono essere oggetto di estensione analogica[21].

Inoltre, la necessità di prevenire contrasti fra giudicati o difformità di situazioni processuali emerge solo successivamente, in sede di giudizio conclusivo sul gravame e per effetto dell’accoglimento di motivi estensibili.

Dottrina conforme a questa ricostruzione ha puntualmente osservato come la tesi della necessaria estensione dell’esecutività pone ulteriori problemi poiché quel giudizio richiesto sulla natura personale dell’impugnazione trova serena esplicazione nel corso del dibattimento, dove il giudice può considerare gli elementi che, di volta in volta, emergono[22].

Quindi, è attribuibile piena esecutività alle statuizioni che riguardano la posizione processuale del non impugnante, anche e nonostante la validità dell’impugnazione proposta dall’altro soggetto ai sensi dell’art. 587 c.p.p.; si parla, a tal proposito, del giudicato come di fattispecie a formazione progressiva.

Riguardo alla posizione del coimputato non impugnante nell’ambito del processo ad quem, l’intervenuta formazione del giudicato impedisce di attribuirgli la qualifica di parte processuale e, in conseguenza, di esercitare le relative prerogative difensive[23].

Si deve dar conto, oltretutto, di un orientamento giurisprudenziale non coincidente, che attribuisce, in capo al giudice dell’esecuzione[24], il potere di disporre, a determinate condizioni, la sospensione del titolo esecutivo nella pendenza del giudizio di impugnazione promosso dal coimputato[25].

La dottrina prevalente ricostruisce il meccanismo in esame in maniera differente, sostenendo la necessità di escludere l’esecuzione parziale della sentenza in costanza di un’impugnazione estensibile.

Questa impostazione nasce dal tenore letterale dell’art. 587 c.p.p. che parla di “altri imputati”, a differenza dell’art. 632 c.p.p. che parla specificamente di “condannato”, portando quindi ad escludere la definitività delle statuizioni non impugnate[26].

Sul punto, è utile considerare che il legislatore colloca la disposizione prima dell’art. 588 c.p.p. che si occupa dell’effetto sospensivo dell’impugnazione[27]. Da ciò si evince come sia praticamente impossibile qualificare l’istituto nei termini di impugnazione straordinaria, se non esiste un’esplicita previsione in tal senso[28].

La disciplina appena affrontata si può confrontare con quanto disposto dall’art. 463, comma 1, c.p.p. che, riguardo all’opposizione al decreto penale di condanna pronunciato a carico di più imputati dello stesso reato, dispone la sospensione dell’esecuzione nei confronti dei coimputati non impugnanti[29].

Diversamente, parte della dottrina ha sostenuto che l’adesione della giurisprudenza alla tesi dell’irrevocabilità frazionata permette di creare un titolo di privazione della libertà personale sui generis, in quanto non risulterebbe coperto dalle garanzie della riparazione per ingiusta detenzione (artt. 314 e 315 c.p.p.) e dall’errore giudiziario (art. 643 c.p.p.)[30].

Inoltre, e non secondariamente, si evidenzia che è difficile armonizzare la tesi dell’intervenuta formazione del giudicato in capo ai coimputati non impugnanti e ai soggetti equiparati, con il diritto ad essi riconosciuto, ed in cui si sostanzia l’effetto estensivo dell’impugnazione nel senso sopra specificato, di partecipare attivamente al giudizio di gravame promosso dall’impugnante[31] .

E ciò, a maggior ragione precisando che l’opzione in tal senso esercitata dal coimputato, regolarmente citato ex art. 601 c.p.p., non è priva  di conseguenze sul piano applicativo, tanto da rendere necessaria la sospensione dell’esecuzione “quantomeno nei confronti del coimputato non appellante che, partecipando al giudizio, evidenzi un concreto, positivo, inequivocabile comportamento”[32] .

Sul punto, è sufficiente considerare che anche l’abrogazione, intervenuta da ultimo con il d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, della previsione di cui all’art. 595, comma 3, c.p.p., relativa all’appello incidentale del p.m., non ha eliminato le conseguenze potenzialmente pregiudizievoli sul piano della condanna solidale al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 592, comma 2, c.p.p.

Più radicalmente, parte della dottrina ha nuovamente sostenuto che la tesi del passaggio in giudicato dei capi di sentenza non impugnati importa come inevitabile conseguenza applicativa l’impossibilità di estendere al non impugnante la causa di non punibilità emessa ex art. 129 c.p.p., sulla base del rilievo per cui «l’obbligo dell’immediata declaratoria delle cause di non punibilità incontra nella formazione del giudicato penale il suo limite fisiologico»[33].

Ritenere  la posizione del non impugnante sub iudice fino all’esito del giudizio di impugnazione non può comportare, sul piano logico prima ancora che giuridico, che quest’ultimo possa in ipotesi beneficare di una pronuncia extra petita, concernente una nullità assoluta o una causa di non punibilità, che invalidi esclusivamente il relativo capo di sentenza[34].

In tal caso, infatti, “non c’è altra soluzione che ritenere l’art. 129 c.p.p. eccezionalmente derogato – e limitato nella sua piena operatività – dall’art. 587 c.p.p.”[35].

Ciò detto, le tesi che argomentano dall’assunto della sospensione del capo di sentenza non impugnato non convergono in ordine alla latitudine dell’effetto sospensivo e alle sue concrete coordinate operative.

L’impostazione più radicale è quella giusta, secondo cui, nelle ipotesi di processi plurisoggettivi, dato che non si può formare un giudicato soggettivamente parziale, la definitività investirà simultaneamente tutti i capi di sentenza, con la conseguenza che l’esecuzione della stessa, anche con riferimento alle statuizioni relative ai coimputati inerti, sia procrastinata al termine del giudizio instaurato con l’impugnazione validamente interposta, e ciò indipendentemente dal carattere personale o meno dei motivi di impugnazione[36] .

In un’ottica similare ma non sovrapponibile, la necessità di preservare la coincidenza dell’ambito soggettivo ed oggettivo del giudizio di impugnazione impone di circoscrive l’attitudine impeditiva del giudicato esclusivamente alle impugnazioni devolutive di questioni astrattamente suscettibili di estensione ex art. 587 c.p.p[37].

Da ciò consegue l’impossibilità di ritenere estensibili le ragioni di annullamento, quand’anche astrattamente involgenti la posizione del coimputato non impugnante, dichiarate oltre i limiti della devoluzione ad iniziativa di parte ed in quanto tali inidonee ad impedire la formazione del giudicato parziale sui capi non impugnati[38].

Quanto alle conseguenze connesse all’esecuzione, eventualmente intervenuta medio tempore, dei capi di sentenza non impugnati, la stessa è da considerarsi disposta sine titulo e conseguentemente idonea a radicare in capo agli interessati il diritto a promuovere apposito incidente di esecuzione[39].

4)Estensione dell’impugnazione e prescrizione del reato

Ricostruito, seppur sinteticamente, il quadro dogmatico in cui la problematica si iscrive, l’indagine si concentrerà, ora, sulla specifica questione devoluta alle Sezioni Unite e, in particolare, sugli indirizzi precedentemente recepiti in giurisprudenza circa l’estensibilità soggettiva della dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione[40].

Ebbene, è opportuno premettere fin da ora come il panorama giurisprudenziale in materia risulti così complesso da rendere poco agevole anche schematizzare i diversi orientamenti e indirizzi[41].

Posto, sul piano logico giuridico, il consolidamento del giudicato nei confronti del non impugnante, l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità ritiene di escludere che la declaratoria di prescrizione del reato, emessa nei confronti dell’imputato validamente impugnante, rivesta sic et simpliciter attitudine estensiva.

Più specificamente, da una disamina complessiva dei dicta giurisprudenziali, emerge come ai fini dell’operatività dell’effetto estensivo assuma valore dirimente l’accertamento in ordine al termine di maturazione della prescrizione in rapporto alla formazione del giudicato sul capo di sentenza non impugnato[42].

In questa impostazione, di fondamentale importanza diventa l’argomento teleologico,  nato dalla ratio che caratterizza l’art. 587 c.p.p., individuata nella necessità di evitare “contraddittori giudicati in causa unica”, eventualità che non si ritiene prospettabile nell’ipotesi di prescrizione “postuma”[43].

Ciò posto, la giurisprudenza di legittimità valuta, in ogni caso, le peculiarità proprie della casistica in esame, riguardo una fattispecie estintiva del reato, se rapportate alle ipotesi, di maggiore linearità applicativa, in cui la prognosi di estensibilità investe statuizioni di diritto sostanziale attinenti ai merita causae, “ovvero all’esistenza fenomenologica o no del fatto di reato”, o a vizi procedurali incidenti sulle posizioni di tutti i coimputati[44].

Per completezza, si rileva che, in tale ambito, possono  operarsi ulteriori sotto-distinzioni con riferimento alle singole ipotesi estintive contemplate dal codice, adeguatamente considerando le caratteristiche proprie di ciascuna di esse e l’eventualità che a venire in rilievo siano circostanze di carattere oggettivo o soggettivo.

In quest’ottica, in via esemplificativa, se da una parte è sicuramente ascrivibile natura personale alla causa estintiva della morte del reo (art. 150 c.p.) e del perdono giudiziale (art. 169 c.p.), dall’altra non può disconoscersi la caratura oggettiva, e quindi l’attitudine estensiva, dell’amnistia (art.151 c.p.) e della remissione di querela (art. 152 c.p.).

Per quanto concerne la prescrizione, se il legislatore, all’art. 161 c.p., ha statuito espressamente in merito all’efficacia soggettiva delle cause interruttive e sospensive, prevedendo da ultimo che la sospensione produca effetto “limitatamente agli imputati nei cui confronti si sta procedendo[45]”, altrettanto non è a dirsi quanto alla verificazione della causa estintiva.

Alla luce di tali considerazioni, appare evidente come le decisioni della Cassazione attribuiscano di volta in volta alla prescrizione una doppia interpretazione, nel senso che il carattere personale o comune della stessa dipende, nell’ottica della Suprema Corte, dall’eventualità che sia intervenuta o meno la formazione del giudicato.

In altri termini, relativamente a tale fattispecie, la giurisprudenza di legittimità sostiene l’impossibilità di considerarne automaticamente l’attitudine estensiva, atteso il rilievo rivestito, ai fini dell’integrazione dei relativi presupposti, dalle variabili connesse alle opzioni processuali praticate, e, più in generale, dalla condotta processuale del reo.

Pertanto, tale indirizzo ritiene sussistenti le condizioni per l’estensione quando i presupposti della causa estintiva preesistano alla formazione del giudicato in capo al non impugnante[46], “restandone altrimenti preclusa l’operatività dal passaggio in giudicato della decisione nei suoi confronti”[47] .

Un’altra corrente di pensiero ha statuito diversamente, optando per l’insussistenza di elementi preclusivi al funzionamento del meccanismo estensivo, diversi ed ulteriori rispetto a quello, espressamente menzionato all’art. 587 c.p.p., riguardante il carattere personale del motivo di ricorso[48].

Su queste basi, la dichiarazione di estinzione per sopravvenuta prescrizione, di valenza oggettiva, spiegherebbe effetti risolutivi indipendentemente dal termine di maturazione, sulla base della considerazione per cui è lo stesso presupposto della piena esecutività della sentenza non impugnata, in pendenza del giudizio di gravame, a implicare fisiologicamente che l’accoglimento dei motivi estensibili comporti la rimozione degli effetti del giudicato.

Al contrario, ritenere che la formazione del giudicato sia eventualità idonea ad incidere sulla natura personale o meno dei motivi di impugnazione indurrebbe alla radicale paralisi del meccanismo estensivo[49], obliterando “il senso di un meccanismo che è proprio quello di consentire all’imputato non impugnante di usufruire del trattamento più favorevole di quello della sentenza di primo grado che egli avrebbe potuto ottenere ove avesse, invece, proposto gravame”.

Alla stessa conclusione si perviene analizzando la pronuncia delle Sezioni Unite del 1995[50], intervenuta a dirimere la questione, di più ampia portata, relativa all’esecutorietà della sentenza non impugnata; circostanza che non smentisce il prospettato approdo esegetico.

Tesi affermativa, peraltro, sostenuta anche da quella corrente giurisprudenziale minoritaria che aderisce alla ricostruzione dottrinaria assertiva dell’efficacia sospensiva dell’art. 587[51], sulla base della considerazione per cui la possibilità di beneficiare della declaratoria di estinzione del reato, sia emessa ex officio o su richiesta di parte, “risulta piana solo quando si condivida che la sentenza cumulativa diventa irrevocabile simultaneamente per tutti i coimputati”[52].

Sotto questo aspetto, è appena il caso di sottolineare come, supponendo l’intervenuta sospensione dell’esecuzione del capo non impugnato, e pertanto la protrazione del rapporto processuale in essere, non residuano ostacoli di sorta alla ritenuta estensibilità della prescrizione, ricorrendo le condizioni di cui all’art. 587 c.p.p.

5) L’approdo delle Sezioni Unite

Nella sentenza in epigrafe[53] le Sezioni Unite aderiscono all’orientamento restrittivo. Preliminarmente, sul piano del diritto sostanziale, la Suprema Corte opera un sintetico excursus teso ad evidenziare la ratio dell’istituto della prescrizione, individuata “nella esigenza politica di soprassedere all’irrogazione di sanzioni penali” decorso un lasso temporale significativo dalla commissione del reato.

In particolare, l’accento è posto sull’interrelazione sussistente tra le scelte individualmente operate dall’imputato ed i termini di durata complessiva del processo, a sottolineare come la condotta del singolo sia idonea ad incidere sull’an e sul quando del fenomeno estintivo.

Quanto al meccanismo estensivo, in linea di continuità con i precedenti giurisprudenziali sul punto, si ritiene che la finalità precipua perseguita dall’istituto risieda nell’esigenza di “evitare disarmonie di trattamento tra soggetti in identica posizione”.

In primo luogo, a sostegno della tesi patrocinata, è riprodotto l’argomento letterale, peraltro scarsamente persuasivo[54], incentrato sulla ricorrenza del termine “imputati” in luogo di “condannati” nel corpo dell’art. 587 c.p.p.

Peraltro, gli ulteriori argomenti spesi dalla cassazione circa il funzionamento in concreto del meccanismo estensivo non presentano profili particolarmente innovativi, limitandosi ad avallare la ricostruzione operata dalla giurisprudenza maggioritaria in tema di rapporti tra art. 587 c.p.p. e giudicato.

Nel prosieguo, entrando in medias res, i giudici della Suprema Corte interfacciano i due istituti traendone la conclusione per cui “il tempo successivo alla pronuncia di una sentenza irrevocabile non può essere riqualificato e computato come tempo di prescrizione in suo favore per effetto della impugnazione altrui”.

In altri termini, l’attitudine estensiva della declaratoria di estinzione del reato per prescrizione non può essere improvvidamente affrancata dalla rilevanza dell’intervenuta irrevocabilità del capo di sentenza non impugnato.

La circostanza che l’epilogo prescrittivo dipenda dalle strategie processuali imbastite dal singolo, tra le quali si iscrive l’attivazione del rimedio impugnatorio, o comunque non sia avulso dalla relativa posizione individuale, potendo il tempo necessario a prescrivere variare in ragione dell’eventuale riconoscimento in capo agli imputati delle aggravanti di cui all’art. 157, comma 2, c.p.[55] , importa che la formazione di giudicati differenti non ne implichi per ciò stesso la contraddittorietà.

Non altrettanto è a dirsi per l’ipotesi in cui il termine di prescrizione sia spirato, per il coimputato simultaneamente giudicato, anteriormente al consolidamento del giudicato.

In tal caso, infatti, verrebbe meno ogni legame tra la maturazione della prescrizione e le scelte processuali praticate dal coimputato non impugnante, e con esso il carattere “esclusivamente personale” della causa estintiva.

Ciò detto, come già sottolineato, è il particolare atteggiarsi della causa estintiva della prescrizione, con le connesse difficoltà in punto di qualificazione sub specie di motivo oggettivo o soggettivo, ad occasionare la soluzione del caso specifico.

In un’ottica più generale, l’impressione che se ne trae è quella di una tendenziale artificiosità delle costruzioni operate in giurisprudenza in tema di effetto estensivo, anche in ragione dell’assenza di una regolamentazione sufficientemente puntuale della materia.

Le motivazioni alla base delle oscillazioni ermeneutiche sembrerebbero da ricercare, principalmente, nelle difficoltà riscontrate, sul piano processuale, nell’applicazione del congegno estensivo.

L’ubicazione della norma nel titolo I, rubricato “disposizioni generali”, se da un lato è elemento perspicuo nel senso di iscrivere il fenomeno estensivo nell’ambito dei principi generali che informano il sistema delle impugnazioni, dall’altro alimenta perplessità circa la qualificazione dell’istituto in termini di impugnazione straordinaria.

Tuttavia, ove si ritenesse, come sostenuto dalla dottrina maggioritaria, che la proposizione di un’impugnazione fondata su motivi non esclusivamente personali importi la sospensione ope legis dei capi di sentenza relativi ai coimputati non impugnanti giudicati in regime di simultaneità, emergerebbe con tutta evidenza la difficile praticabilità, anche in termini di tempistica processuale, di un sindacato preliminare, in capo al giudice ad quem, circa l’estensibilità dei motivi di gravame.

E ciò fermo restando che tale prognosi non rivestirebbe alcuna utilità ove si ritenesse che le due manifestazioni processuali dell’effetto estensivo, dell’impugnazione e della sentenza, non debbano necessariamente implicarsi vicendevolmente, e pertanto il non impugnante possa lucrare la sentenza favorevole emessa ex officio.

D’altronde, l’alternativa di ritenere l’effetto sospensivo sempre e comunque correlato, nell’ambito di un processo plurisoggettivo, alla proposizione di una valida impugnazione, indipendentemente dalla personalità dei motivi addotti, e quindi opinare nel senso dell’irrevocabilità necessariamente contestuale di tutti i capi della sentenza soggettivamente complessa, se da un lato consente di pervenire a conclusioni maggiormente coerenti sul piano dogmatico, dall’altro comporta criticità di non scarso rilievo, anche sul piano delle valutazioni di politica del diritto, quali quelle connesse alla possibilità che nelle more del processo maturino per il coimputato, che abbia prestato acquiescenza alla sentenza di condanna o abbia proposto impugnazione inammissibile, i termini massimi della custodia cautelare eventualmente disposta.

Sicuramente, sarebbe auspicabile un intervento del legislatore a disciplinare con maggiore compiutezza ed analiticità l’estensione dell’impugnazione, trattandosi di “elemento indispensabile della struttura processuale”[56].

De iure condendo, una soluzione praticabile potrebbe essere quella di introdurre una causa sospensiva dell’esecuzione ad hoc che consenta al giudice dell’esecuzione, ferma restando la consolidata impostazione giurisprudenziale in punto di irrevocabilità, di disporre, a determinate condizioni, la sospensione del capo di sentenza non impugnato.

In alternativa, sarebbe comunque indefettibile, attese le implicazioni in punto di libertà personale che la fattispecie involge, la previsione di un istituto con funzione riparatoria, sulla falsariga degli artt. 314 e 643 c.p.p., che preveda la corresponsione di un indennizzo per l’ipotesi in cui sia stata eseguita una pena detentiva successivamente revocata o comunque rimodulata in termini migliorativi[57].

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Cass., sez. un., 20 dicembre 2012, n. 19054, in CED Cass., n. 255297.
[2] Cass., sez. V, ord. 17 maggio 2017, n. 33324, con nota di P. Rivello, Effetto estensivo dell’impugnazione e declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, in www.penalecontemporaneo.it.
[3] Cfr. Rel. Prog. Prel. c.p.p., in Gazz.Uff., suppl. ord., II, n. 250, 128.
[4] “Discussissima materia” nella definizione datane da G. Conso, Questioni nuove di procedura penale (1955-1958), I, La parte generale del codice dopo le modificazioni del 1955, Milano, 1959, p. 197.
[5] È appena il caso di sottolineare come l’efficacia estensiva vada radicalmente esclusa nell’ipotesi in cui il coimputato potenzialmente beneficiario abbia interposto autonoma impugnazione, e questa sia approdata ad una soluzione difforme dopo essere stata esaminata nel merito. In questo senso, v. Cass., sez. VI, 6 febbraio 2008, n. 27701, in CED Cass., n. 240362.
[6] Il riferimento si intende effettuato a qualsiasi ipotesi di concorso: necessario, eventuale e finanche improprio. Sul punto, v. G. Tranchina, Impugnazione (dir. proc. pen.), in Enc. dir., XX, Milano, Giuffrè, 1970, p. 736.
[7] Per completezza, si aggiunga che, ai sensi dei successivi commi 3 e 4 dell’art. 587 c.p.p., dell’impugnazione proposta dall’imputato beneficiano il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, e l’impugnazione avanzata da questi ultimi giova all’imputato agli effetti penali, purché non fondata su motivi esclusivamente personali.
[8] In assenza di esemplificazioni da parte del legislatore, è deferito all’interprete il compito di esplicitare il contenuto di tale nozione. Per un approfondimento, v. R. Fonti, L’effetto estensivo dell’impugnazione, Padova, Cedam, 2013, p. 44.
[9] Con ogni evidenza, la funzione di prevenire la formazione di un conflitto logico tra giudicati, che consente di istituire un parallelismo tra la fattispecie de qua e l’istituto della revisione, non si attaglia alla casistica relativa alla riunione di procedimenti per reati diversi. Cfr. G. Lozzi, Conflitti di giudicati e favor rei, in Riv. it. dir. proc. pen., 1965, p. 1189. In argomento, si consideri inoltre che, ove tale finalità rivestisse carattere esclusivo, l’effetto estensivo dovrebbe ugualmente operare nelle ipotesi in cui ad interporre impugnazione sia il pubblico ministero. Sotto questo aspetto, sicuramente, non vanno esenti dall’interesse regolativo del legislatore istanze di favor rei, che pure costituiscono un’indispensabile chiave di lettura di diverse tra le questioni alimentate dalla pratica dell’istituto, in uno con l’opportunità di assicurare, a determinate condizioni, l’unitarietà del processo cumulativo penale.
[10] Cfr., inter alios, G. Leone, Sistema delle impugnazioni penali, Jovene, Napoli, 1935, p. 262. In giurisprudenza, cfr. Cass., sez. VI, 30 marzo 1998, n. 6558, in CED Cass., n. 210891.
[11] L’estensione del contraddittorio è disposta limitatamente al giudizio di appello e a quello di revisione, atteso il rinvio operato dall’art. 636 c.p.p. all’art. 601.
[12] Cfr. C. Massa, L’effetto estensivo dell’impugnazione nel processo penale, Napoli, Jovene, 1955, p. 123. Sulla latitudine delle facoltà ascritte al coimputato non impugnante nell’ambito del giudizio di impugnazione non si registra unanimità di vedute in giurisprudenza. L’indirizzo maggioritario è nel senso di consentire la possibilità di interloquire sulla questione devoluta e presentare memorie integrative, non anche di motivi nuovi ex art. 585 c.p.p.
[13] Cfr. A. Marandola, L’“effetto estensivo” dell’impugnazione: questioni applicative e sistematiche, in Dir. pen. proc., 2012, IV, p. 490.
[14] Cfr. A. Marandola, Effetti dell’impugnazione, in G. Spangher (a cura di), Impugnazioni (Trattato di procedura penale diretto da G. Spangher), V, Torino, Utet, 2009, p. 221. L’Autrice pone in luce l’esistenza di un rapporto di “complementarietà impropria” tra le questioni interpretative concernenti l’estensione dell’impugnazione e quelle relative all’estensione della sentenza, nella misura in cui la deduzione di motivi di carattere non esclusivamente personale costituisce presupposto perché si verifichi l’effetto estensivo della sentenza.
[15] Cfr. sul punto B. Lavarini, L’esecuzione della sentenza penale, Torino, Giappichelli, 2004, p. 51.
E’possibile che la sentenza sia stata emessa extra petita come indice di permanenza sub iudice dei capi di sentenza riguardanti i non impugnanti.
[16] A.Nappi, Ambito oggettivo ed estensione soggettiva dei giudici di impugnazione, in Cass. pen., 2009, p. 3239.
[17] In senso contrario, v. Cass., sez. III, 4 novembre 1997, n. 3621, in CED Cass. n. 209969. In quest’occasione la Cassazione afferma come “il giudicato non viene a formarsi fin quando il rapporto processuale è in discussione”.
[18] V. Cass., sez. un., 21 giugno 1989, Avdullahi, in Cass. pen., 1990, p. 24.
[19] La Cassazione ha peraltro escluso che debba procedersi alla revoca del giudicato qualora, essendo la riforma della sentenza circoscritta all’entità della pena comminata, sia sufficiente operare una rideterminazione percentuale della pena residua. Così, Cass., sez. I, 23 gennaio 1995, n. 347, con nota di I. Pileri, Natura ed implicazioni in executivis dell’effetto estensivo dell’impugnazione, in Giur. it., 1995, p. 11.
[20] Al contrario, parte della dottrina argomenta dal parallelismo con l’istituto della revisione, con particolare riferimento alla previsione dell’art. 630, l.a), per disconoscere la natura eliminativa dell’effetto estensivo. In quest’ottica, il rapporto tra i due istituti si spiegherebbe nel senso il congegno estensivo opererebbe in via preventiva quella riconduzione ad equità che la revisione è deputata ad effettuare ex post, con efficacia eliminativa. Cfr. B. Lavarini, L’esecutività della sentenza penale, cit., p. 47.
Peraltro, si opina in dottrina, il riconoscimento della natura straordinaria del rimedio in parola sembra soprassedere alla necessità che le impugnazioni straordinarie, e pertanto d carattere eccezionale, debbano essere oggetto di disciplina esplicita. Così, I. Pileri, Natura ed implicazioni in executivis dell’effetto estensivo dell’impugnazione, cit., p. 13.
[21] Sul punto, v. N. Serra, L’estensione dell’impugnazione penale, Bari, Cacucci, 2001, p. 108.
[22] Così, E.M. Mancuso, Il giudicato nel processo penale, Milano, Giuffrè, 2010, p. 197.
[23] Non assumendo la qualità di parte, non sarebbe pertanto legittimato ad eccepire l’omessa citazione da parte del giudice di appello ex art. 601 c.p.p., né a dedurre in cassazione il mancato accoglimento di motivi comuni. Sul punto, v. F. Caprioli, in F. Caprioli-D. Vicoli, Procedura penale dell’esecuzione, Torino, Giappichelli, 2011, p. 54.
[24] Organo al quale, come sottolineato in dottrina, competerebbe inoltre la modifica sostanziale del provvedimento per l’ipotesi di omissione in tal senso del giudice dell’impugnazione. Così, A. Marandola, L’”effetto estensivo”, cit., p. 493.
[25] V. in particolare, Cass., sez. I, 13 luglio 1994, n. 3517, con nota di P. Dubolino, Effetto estensivo dell’impugnazione e sospensione dell’esecuzione: una discutibile decisione della Cassazione, in Arch. n. proc. pen., 1994, p. 814. Conformemente a tale impostazione, il giudice dell’esecuzione dovrebbe disporre la sospensione dell’esecuzione ogni qual volta, sulla base di un giudizio prognostico, appaia verosimile che dall’accoglimento dei motivi di impugnazione possa conseguire una modifica sostanziale del giudicato relativo al non impugnante. Più di recente, Cass., sez. II, 28 marzo 1995, n. 1701, in CED Cass., n. 201360. Nello stesso senso, successivamente, Cass., 18 marzo 2003, n. 23251, in CED Cass., n. 226007.
In dottrina, G. Della Monica, Giudicato, in Dig. disc. pen., IV agg., Torino, Utet, 2008, p. 392, riconduce le questioni in materia di effetto estensivo a quelle sul titolo esecutivo prospettando l’azionabilità dell’art. 670 c.p.p. per consentire al giudice dell’esecuzione di sospendere discrezionalmente l’esecuzione.
[26] V., in particolare, F. Nuzzo, Appunti sull’effetto estensivo delle impugnazioni penali, in Arch. n. proc. pen., 2011, p. 92. In senso contrario E.M. Mancuso, Il giudicato nel processo penale, cit., p. 195. In particolare, l’Autore intende il riferimento all’imputato operato all’art. 587 c.p.p. come relativo “al momento dinamico della presentazione del gravame da parte di uno degli imputati”.
[27] Cfr. I. Russo, Titolo sui generis di privazione della libertà personale: l’esecuzione provvisoria della sentenza penale, in Riv. pen., 1996, p. 344
[28] V. C. Valentini, I profili generali della facoltà di impugnare, in A. Gaito (diretto da), Le impugnazioni penali, Torino, Utet, 1998, p. 267. In precedenza, v. C. Barbis, Effetto estensivo dell’impugnazione e passaggio in giudicato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1962, p. 1259.
[29] Cfr. G. Spangher, Impugnazioni penali, in Dig. disc. pen., VI, Torino, Utet, 1992, p. 230. In termini non sovrapponibili, v. A. Nappi, Ambito oggettivo, cit., p. 3251.
[30] Così, I. Russo, Titolo sui generis di privazione della libertà personale, cit., p. 337.
[31] Sul punto, v. G. Altieri, Estensione dell’Impugnazione. Breve commento all’art. 587 c.p.p., in Arch. n. proc. pen., 1998, p. 648.
[32] Così, A. Marandola, L’”effetto estensivo” dell’impugnazione, cit., p. 495.
[33] F. Caprioli, in F. Caprioli-D. Vicoli, Procedura penale dell’esecuzione, cit., p. 57.
[34] Sul punto, v. L. Scomparin, Il proscioglimento immediato nel sistema processuale penale, Torino, Giappichelli, 2008, p. 326.
[35] F. Caprioli, in F. Caprioli-D. Vicoli, Procedura penale dell’esecuzione, cit., p. 57.
[36] Nel senso che “anche le domande fondate su motivi personali impediscano la irrevocabilità della decisione rispetto al non impugnante”, v. F. Cordero, Procedura penale, Milano, Giuffrè, 2012, p. 960. Cfr. anche F. Nuzzo, cit., p. 92. Su queste basi, l’Autore stima sussistente in capo al non impugnante il diritto di impugnare autonomamente la pronuncia che “decidendo sul gravame degli altri imputati ometta di rilevare una nullità assoluta o una causa di non punibilità ex art. 129 c.p.p”. In questo senso v. anche F. Caprioli, in F. Caprioli-D. Vicoli, Procedura penale dell’esecuzione, cit., 56. Per l’Autore, “perché operi l’effetto estensivo non è dunque necessario – nonostante la lettera dell’art. 587 – che siano comuni i motivi di impugnazione: è sufficiente che lo siano i motivi di annullamento”.
[37] In questo senso, nel vigore del codice abrogato, v. Cass., sez. un., 18 giugno 1983, n. 7157, in CED Cass., n. 160067. In quell’occasione, le Sezioni unite ebbero a pronunciarsi sull’estensibilità dell’impugnazione al coimputato non impugnante, ai sensi dell’art. 203 c.p.p. abr., dell’amnistia sopravvenuta.
[38] A. Nappi, Ambito oggettivo ed estensione soggettiva dei giudizi di impugnazione, cit., p. 3245.
[39] I. Pileri, Natura ed implicazioni in executivis dell’effetto estensivo dell’impugnazione, cit., p. 14.
[40] Per una ricognizione complessiva degli orientamenti sul punto, cfr. P. Rivello, Effetto estensivo, cit.
[41] Sul punto,  v. R. Fonti, L’effetto estensivo, cit., p. 127.
[42] Così a far data da Cass., sez. un., 20 dicembre 2012, cit. Peraltro, nel caso di specie, all’esame delle Sezioni Unite è una questione di diritto sostanziale attinente il delitto di peculato, mentre quella relativa all’art. 587 c.p.p. è oggetto di un mero obiter dictum. In precedenza, v. Cass., sez. VI, 18 marzo 2003, n. 23251, in CED Cass., n. 226007.
[43] Così, Cass., sez. un., 24 marzo 1995, n. 9, con nota di R.M. Sparagna, In tema di effetto estensivo dell’impugnazione, in Cass. pen., 1995, p. 2497.
[44] Cass., sez. V, 27 gennaio 2016, n. 15623, in CED Cass., n. 266551.
[45] Art. 1, comma 13, l. 23 giugno 2017, n. 103.
[46] V. da ultimo Cass., sez. II, 25 novembre 2016, n. 9731, in CED. Cass., n. 269219. In precedenza, v. Cass., sez. I, 23 ottobre 2000, n. 12369, in Cass. pen., 2001, p. 3471.
[47] V. Cass., sez. II, 25 novembre 2016, n. 9731, in CED Cass., n. 269219; Cass. sez. II, 20 maggio 2009, n. 26078, in CED Cass., n. 244664; Cass., sez. VI, 18 marzo 2003, n. 23521, in CED Cass., n. 226007.
[48] Cass, sez. III, 5 novembre 2011, n. 3621, in CED Cass., n. 209969; Cass., sez. IV, 11 novembre 2004, n. 10180, in CED Cass., n. 231133.
[49] In questi termini, Cass., sez. III, 24 gennaio 2012, n. 10223, con nota adesiva di F.R. Mittica, Operatività della prescrizione “postuma” nei confronti dell’imputato non appellante, in Proc. pen. giust., 5, 2013, p. 73. Successivamente, v. Cass., sez. II, 12 maggio 2015, n. 33429, in CED Cass., n. 264139.
È opportuno evidenziare come, tuttavia, la tesi patrocinata dal contrario orientamento giurisprudenziale non si sia limitata ad escludere tout court l’operatività dell’effetto estensivo per l’ipotesi in cui si sia formato il giudicato sul capo non impugnato, ma perviene alla conclusione negativa, nel caso di specie, valorizzando le peculiarità proprie dell’istituto della prescrizione.
Non è inutile sottolineare come le citate pronunce circoscrivano la possibilità di applicazione estensiva dell’intervenuta prescrizione all’eventualità che i motivi di impugnazione non fossero esclusivamente personali, escludendo quindi l’operatività disgiunta dell’effetto estensivo dell’impugnazione e della sentenza.
[50] Cass., sez. un., 24 marzo 1995, cit.
[51] Cass., sez. III, 4 novembre 1997, n. 3621, in Arch. n. proc. pen., 1998, p. 74.
[52] Così, C. Valentini, I profili generali, cit., p. 268.
[53] Cfr. anche S. Felicioni, L’estinzione del reato per intervenuta prescrizione non si estende al coimputato non impugnante, in www.penalecontemporaneo.it.
[54] Cfr. A. Marandola, Estinzione del reato per prescrizione – declaratoria di estinzione del reato per prescrizione ed effetto estensivo: le Sez. Un. Cercano (invano) di mettere un punto, in Giur. it., 2018, 3, p. 758.
[55] Si tratta delle aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e di quelle ad effetto speciale, ricorrendo le quali si tiene conto, ai fini del computo del tempo necessario a prescrivere, dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante.
[56] Così, G. Altieri, Estensione dell’impugnazione, cit., p. 647.
[57] Cfr., R. Fonti, L’effetto estensivo dell’impugnazione, cit., p. 126.

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