Pubbl. Mer, 23 Gen 2019
Amministratore di fatto e reati tributari: la temperata irrilevanza degli atti gestori
Modifica paginaCommento alla sentenza n. 41259/2018, con cui la Cassazione, pur dando seguito all’orientamento tradizionale, secondo cui i destinatari del D.Lgs. 74/2000 vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, ha aperto ad una possibile estensione “per via giurisprudenziale” delle posizioni soggettive attive nei reati tributari.
Sommario: 1. Massima – 2. La vicenda e le questioni giuridiche – 3. Il ruolo dell’amministratore di fatto nei reati tributari – 4. Osservazioni conclusive - Bibliografia.
1. Massima.
Nei reati puniti dalle norme di cui al D.Lgs. 74/2000, gli autori delle condotte criminose devono essere individuati avuto riguardo delle concrete funzioni esercitate, desumibili da particolari indici sintomatici, e non solo sulla base delle mere qualifiche formali da essi possedute, né della rilevanza degli atti posti in essere e a detta qualifica ascrivibili.
2. La vicenda e le questioni giuridiche.
Un soggetto amministratore di fatto di una società era destinatario di un provvedimento di sequestro, preordinato alla confisca per equivalente, per il reato di omesso versamento di Iva di cui all’articolo 10-ter D.Lgs. 74/2000.
Contro lo stesso egli ricorreva presso il Tribunale del riesame, il quale procedeva a confermare il decreto e, per l’effetto, a rigettare l’istanza del reo.
Contro detto provvedimento lo stesso ricorreva in Cassazione per violazione ed erronea applicazione degli articoli 321 e 322-ter c.p. e per inesistenza del fumus del reato disciplinato dall’articolo 10-ter D.Lgs. 74/2000.
Quanto a quest’ultimo motivo di doglianza, il reo avrebbe addotto che al 27 dicembre 2014, data stabilita dall’ordinamento per il versamento dell’Iva per l’anno d’imposta 2013, era già cessato dall’incarico di amministratore ed era stato rimpiazzato da un nuovo legale rappresentante, nominato in data 11 dicembre.
Secondo tale ricostruzione, dunque, sarebbero mancati gli estremi per disporre il sequestro delle somme evase.
Per quanto concerne, invece, la supposta violazione degli articoli 321 e 322-ter c.p., il ricorrente denunciava l’omissione di un preventivo tentativo di sequestro sui beni societari.
Secondo il proprio iter argomentativo, infatti, il giudice del riesame avrebbe errato nel non considerare la perizia di stima allegata, la quale evidenziava un patrimonio capiente e assoggettabile a sequestro, e nell’aggredire, dunque, preventivamente quello personale del reo.
Senza ulteriormente dilungarsi su detto ultimo motivo di doglianza, i Supremi giudici, pur avendo rigettato il gravame per difetto di motivi di legittimità, hanno rivolto ancora una volta l’attenzione sulla parificazione della carica di amministratore di fatto a quello di amministratore di diritto, ai fini della repressione dei reati fiscali di cui al D.Lgs. 74/2000.
3. Il ruolo dell’amministratore di fatto nei reati tributari.
Il diritto penale dell’economia fa del principio di effettività il proprio baluardo, atteso che, sebbene l’ordinamento preveda numerose fattispecie delittuose di carattere proprio, ossia realizzabili solo da soggetti qualificati[1], capita sovente che soggetti non dotati di cariche formali gestiscano nella sostanza la società e realizzino atti di rilevante portata per la stessa[2].
Il legislatore, dunque, interiorizzando le istanze giurisprudenziali e dottrinali del tempo[3], ha modificato l’articolo 2639 c.c. apponendo al comma 1, secondo periodo, una clausola di allineamento (“è equiparato”), nei reati societari, della figura dell’amministratore di fatto a quello di diritto.
In particolare, se in passato il primo non era diretto responsabile della condotta, ma poteva diventarlo a titolo di extraneus (rectius come concorrente nel reato ai sensi dell’articolo 110 c.p.), in seguito alla riforma della disciplina l’amministratore de facto risponde ora della condotta in via diretta e a titolo di intraneus. L’amministratore di diritto, in ogni caso, non è esentato dalla commissione del reato ma vi risponde a titolo di concorso omissivo ex articolo 40, comma 2 c.p., per omessa attivazione nell’impedimento della condotta.
Affinché il soggetto gestore di fatto possa rispondere a titolo di reato, l’articolo 2639 c.c. presuppone, tuttavia, il ricorrere di due circostanze: una negativa, rappresentata dal difetto di investitura formale, e una positiva che presuppone la continuità e la significatività dell’esercizio dei poteri gestori.
Al difetto di investitura è equiparato anche l’esercizio di poteri da parte di un soggetto, pur ritualmente nominato, dopo l’esaurimento degli effetti dell’atto di nomina per revoca, rinuncia, decadenza e scadenza fuori dal regime di prorogatio[4].
È amministratore di fatto anche chi esercita atti gestori in base a una nomina nulla e ad una annullabile, successivamente alla pronuncia di un provvedimento di annullamento, destinato a produrre effetti ex nunc[5].
Quanto, invece, ai requisiti di continuità e di significatività dell’esercizio gestorio, la dottrina tradizionale è orientata a interpretarli in maniera tendenzialmente elastica, in quanto, seppur in presumibile spregio del principio di determinatezza del diritto, l’interpretazione secondo dei rigidi criteri paralizzerebbe l’individuazione dei soggetti apicali di fatto e sarebbe evidentemente slegata dalla realtà dei fenomeni societari[6].
In questo ordine concettuale, dunque, il requisito di continuità atterrebbe al piano quantitativo dell’ingerenza e sarebbe ravvisabile ogniqualvolta il soggetto partecipi sistematicamente alla gestione sociale, con conseguente esclusione di quanti pongano in essere degli atti isolati[7].
La significatività della partecipazione, rivestendo il suo aspetto qualitativo, esenterebbe da rimproverabilità le condotte di fatto non speculari a quelle di un soggetto ritualmente investito del ruolo di amministratore. Ad ogni buon conto, è d’uopo precisare che non è richiesto l’esercizio di tutti i poteri astrattamente devoluti alla carica impersonata, ma solo di quelli che ne rivestono il nucleo essenziale[8].
Sebbene quanto sinora statuito sia limitato alla mera repressione di reati societari, la dottrina ha allargato, pur arduamente, l’applicazione di tali concetti alla materia fallimentare e tributaria, connotate da numerose fattispecie di reato proprie[9].
La maggiore difficoltà di estensione della normativa extra moenia è ravvisabile, infatti, nel divieto di analogia in malam partem[10], confermata inoltre dall’esplicito intento del legislatore di dar rilievo alle qualifiche di fatto, nell’intervento settoriale del D.Lgs. 81/2008 dedicato alla sicurezza sui luoghi di lavoro.
Nonostante le difficoltà ermeneutiche registrate da detti Autori, ha prevalso l’orientamento di quanti hanno optato, in linea con le indicazioni dei giudici di legittimità, per l’estensione dell’articolo 2639 c.c. ad altre fattispecie di reato, tra cui quelle di cui al D.Lgs. 74/2000, dando seguito alla teoria funzionale della qualifica soggettiva[11].
In questo senso si pone, venendo al caso di specie, l’intervento chiarificatore dei Supremi giudici, i quali dovendo deliberare sul reato proprio di omesso versamento di Iva, di cui all’articolo 10-ter D.Lgs. 74/2000, hanno costantemente attinto da precedenti giurisprudenziali, tra i quali quello relativo al reato di omessa dichiarazione di cui all’articolo 5 D.Lgs. 74/2000 (cfr. Cass. 38780/2015).
Detta ultima fattispecie di reato va, infatti, coordinata con quella relativa all’obbligo di presentazione delle dichiarazioni fiscali che, relativamente alle persone giuridiche, è affidato ai soggetti descritti dall’articolo 1, comma 4 D.P.R. 322/1998, ossia al rappresentante legale.
Laddove costui non sia presente, in quanto non nominato o cessato dall’incarico, la norma prosegue nel trasferire l’obbligo dichiarativo in capo all’amministratore di fatto e all’eventuale rappresentante negoziale, in aderenza al principio di effettività della condotta[12].
Dal combinato disposto delle due norme deriva che, in via principale, risponde del reato fiscale l’amministratore di diritto e, solo in via subordinata ed eventuale, laddove il primo non esista o non sia individuabile, colui che esercita di fatto funzioni gestorie e, quale extraneus e a titolo di concorso eventuale, il prestanome[13]. Questo riparto di responsabilità, inoltre, si riverbera, a parere dello scrivente, anche sull’obbligo di versamento, la cui omissione è sanzionata ai sensi dell’articolo 10-ter D.Lgs. 74/2000.
Nulla di nuovo, quindi, rispetto a quanto già statuito a più riprese dal Supremo Consesso.
Elemento di rottura e di novità rispetto al passato è però la previsione di un ulteriore requisito fondante l’addebito di responsabilità, ossia l’individuazione dei destinatari delle norme di cui al D.Lgs. 74/2000 sulla base dell’esercizio in concreto delle funzioni di amministratore. Ciò si traduce, a livello processuale, nella possibilità di valorizzare infiniti indici sintomatici primo visu irrilevanti, desumibili caso per caso e ad una conseguente estensibilità in via giurisprudenziale delle posizioni soggettive attive di rilievo ai fini dei reati tributari.
Quanto appena riportato è stato dapprima preannunciato dai giudici di vertice in relazione ai reati fallimentari, i quali, nella sentenza 41793/2016, hanno precisato che l’individuazione degli indici sintomatici deve essere tesa al disvelamento del ruolo di gestione o cogestione della società, risultanti dall'organico inserimento del soggetto, quale intraneus che svolge in maniera continuativa e per tutto l’iter di organizzazione, produzione, commercializzazione dei beni e servizi e nei rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti, funzioni gerarchiche e direttive.
L'accertamento degli elementi sintomatici di tale gestione o cogestione societaria, inoltre, costituirebbe oggetto di apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, laddove fosse sostenuto da motivazione congrua e logica (Cass., 22413/2003; Cass., sent. 18464/2006).
4. Osservazioni conclusive.
Riportando l’ampia argomentazione dei giudici di legittimità nell’alveo dei reati tributari è possibile concludere che la loro tendenza nella sentenza in rassegna sia stata quella di agevolare l’individuazione dei responsabili di violazioni penali-tributarie, dando rilievo a circostanze quali la cessazione della carica di amministratore a pochi giorni dalla data di versamento del tributo, la nomina di una testa di legno che non frequenta i locali aziendali, è sconosciuto sul territorio nazionale e detiene altre cariche in altre società riferibili al reo.
Resta, dunque, impregiudicata la responsabilità dell’amministratore di diritto prestanome, a titolo di dolo eventuale, per omessa attivazione nell’impedimento dell’evento, ex articolo 40, comma 2 c.p.; mentre viene estesa, in applicazione del principio di effettività uniformante l’intero diritto penale dell’economia, la rilevanza degli atti gestori anche a comportamenti apparentemente irrilevanti ma che celano la partecipazione attiva dell’amministratore di fatto nella commissione del reato, aumentando considerevolmente le chances per gli organi inquirenti di individuare quei soggetti che amministrano nell’ombra le società.
Bibliografia.
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P. Veneziani, “Sub art. 2639, I nuovi reati societari”, a cura di Lanzi-Cadoppi, Padova, 2007.
[1] Le norme, pur prevedendo letteralmente che la fattispecie di reato è integrabile da “chiunque”, individuano una classe di soggetti che, in quanto qualificati, possono porre in essere le condotte illecite.
[2] Non è possibile effettuare una elencazione casistica esaustiva, in quanto nella realtà fenomenica attuale detta ipotesi può estendersi dalla classica nomina di una testa di legno, al fine di eludere il “rischio di amministrazione, sino a forme più artate di trasferimento di poteri gestori a soggetti extraistituzionali, quali patti di sindacato, vincoli contrattuali o creazione di centri decisionali atipici per effetto dei rapporti tra la società controllata e la controllante (V. Napoleoni, “Sub art. 2639 c.c.”, in Commentario romano al nuovo diritto delle società, diretto da D'Alessandro, III, I reati e gli illeciti amministrativi societari, coordinato da Napoleoni, Padova, 2010, p. 439).
[3] La dottrina era unanimemente schierata a favore della responsabilità diretta dell’amministratore di fatto nei reati propri degli amministratori (su tutti: L. Conti, “I soggetti”, in Trattato di diritto penale dell'impresa, diretto da Di Amato, I, Padova, 1990, 155; L. Conti, E. Bruti Liberati, “Esercizio di fatto dei poteri di amministrazione e responsabilità penali nell'ambito di società irregolari”, in Il diritto penale delle società commerciali, a cura di Nuvolone, Milano, 1971; F. M. Iacoviello, “La prova della responsabilità dell'amministratore di diritto e dell'amministratore di fatto nella bancarotta fraudolenta”, in Fallimento, 2005, 636). Detta asserzione poggiava principalmente sulla natura realistica del diritto penale, la quale imponeva di adeguare il precetto penale alla realtà fenomenica, e sulla minaccia criminogena che avrebbe preso piede allorché si fossero lasciati impuniti i soggetti non dotati di qualifiche formali e che avrebbero potuto agevolmente utilizzare come via di fuga alla pena un qualsiasi prestanome. Conferme di tale approccio sono arrivate anche in sede giurisprudenziale, dove solo raramente si è riscontrato un approccio più cauto al problema, ravvisandosi la responsabilità dell’amministratore di fatto solo laddove fosse provata l’estraneità dell’amministratore di diritto alla gestione della vita societaria (cfr. Cass. 6 novembre 1994).
[4] Cfr. N. Abriani, “Gli amministratori di fatto nelle società di capitali”, Milano, 1998, p. 174 ss.; S. Ricci, “I criteri per l'individuazione del soggetto responsabile in ambito societario: l'estensione delle qualifiche soggettive, Diritto penale delle società”, a cura di Cerqua, I, Padova, 2009, p. 61.
[5] N. Abriani, op. cit.; Conti, op. cit.; V. Napoleoni, op. cit.; contra E. Musco, “Diritto penale societario”, Milano, 1999, secondo cui si sarebbe, in ogni caso, in presenza di un soggetto amministratore di diritto, per presenza di una nomina, ancorché viziata.
[6] L. Conti, “Disposizioni penali in materia di società e di consorzi”, Com. S.B., Bologna-Roma, 2004; F. Giunta, “Lineamenti di diritto penale dell'economia”, Torino, 2004.
[7] F. Caringella, S. Mazzamuto, G. Morbidelli, “Manuale di diritto penale – parte speciale”, Roma, 2015, p. 1646; G. Bersani, “Amministratore di fatto e reati tributari”, in il Fisco, 47, 2005 – parte 1, p. 7411.
[8] Basti pensare che il ruolo di fatto può essere desunto dal compimento di un’apprezzabile attività gestoria o anche di una sola funzione, purché dominante rispetto agli altri compiti devoluti alla carica ricoperta (Cfr. Cass. 8/5/2018, n. 27163). Secondo la dottrina, inoltre, basterebbe anche lo svolgimento della funzione perseguita dalla norma penale (A. M. Castellana, “L'equiparazione normativa degli autori di fatto agli autori di diritto per i reati del riscritto titolo XI, libro V c.c.”, in IP, 2005, p. 1067).
[9] Sull’allargamento della disciplina in ambito fallimentare, I. Caraccioli, “Sul continuo allargamento della figura dell'amministratore di fatto", I 2005, p. 503; A. Manna, “Lineamenti generali del diritto penale dell'impresa, Corso di diritto penale dell'impresa”, a cura di Manna, Padova, 2010, p. 3; V. Cardone, F. Pontieri, “Bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale: responsabilità penale dell'amministratore di diritto per gli illeciti commessi dall'amministratore di fatto”, in Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell’Economia, 2010, p. 286.
[10] I. Caraccioli, op. cit.; V. Cardone, F. Pontieri, La responsabilità penale dell'amministratore di diritto per il reato di bancarotta fraudolenta, in il Fisco, 2006, I, p. 701.
[11] Secondo l’approccio ermeneutico di detti autori, infatti, la clausola posta dall’articolo 2639 c.c. svolge un ruolo definitorio e non incriminatore e, pertanto, la sua operatività non dovrebbe trovare come limite il divieto di analogia in malam partem. Al contrario, essendo applicabile indiscriminatamente ad ogni tipologia di fattispecie penale, detta norma si porrebbe come disposizione di sistema e, dunque, norma di carattere generale, idonea ad essere applicata anche a fatti commessi prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 61/2002, di modifica dell’articolo 2639, come lex mitior (P. Palladino, “L'amministratore di fatto tra reati fallimentari e reati societari”, in CP 2005, p. 3088; P. Veneziani, “Sub art. 2639, I nuovi reati societari”, a cura di Lanzi-Cadoppi, Padova, 2007; I. Merenda, "Esercizio dei poteri tipici" e amministrazione 'di fatto' nel nuovo diritto penale societario”, Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell’Economia 2004, p. 925).
A livello giurisprudenziale, invece, la teoria è stata confermata ed ampiamente argomentata in Cass. 23425/2011, con commento di F. Consulich, “Poteri di fatto ed obblighi di diritto nella distribuzione delle responsabilità penali societarie”, in Le Società, 5, 2012, p. 553.
[12] G. Antico, M. Conigliaro, “La configurabilità dell’associazione per delinquere nei delitti fiscali”, in il Fisco, 42, 2018, p. 4039.
[13] F. Fontana, “L’amministratore di fatto risponde dell’omessa dichiarazione”, in Corriere tributario, 33, 2011, p. 2622.