La tassa automobilistica sulle auto ultraventennali
Modifica paginaThe fundamental principles about taxation manage the theory of fiscal federalism. The principle of equity expresses the idea that taxes should be fair. Instead, looking at the annual tax for over twenty-vehicles, the Italian tax system applicable turns out divided in many sub-systems on a regional basis.
Sommario: 1. La disciplina attuale. 2. L’illegittimità costituzionale della normativa regionale successivamente intervenuta nella materia. 3. Una prospettiva de iure condendo.
1. La disciplina attuale
Il motorismo storico[1] ha assunto, nel corso degli anni, un valore economico, sociale, culturale nonché artistico di livello notevole. Il “mantenimento in vita” delle auto storiche[2] contribuisce alla salvaguardia del cultural heritage dell’industria automobilistica italiana.[3]
L’art. 1, comma 666, lettera b), della l. 23 dicembre 2014, n. 190 (Legge di Stabilità 2014), ha previsto nuove disposizioni per il pagamento del bollo auto a far data dall’anno 2015, estendendo l’applicazione della tariffa piena alle auto di età compresa tra 20 e 29 anni, anche se inserite nelle liste di interesse storico riconosciute dai registri dell’automobilismo storico.[4] L’art. 63, l. 21 novembre 2000, n. 342, esentava dal pagamento del bollo i veicoli immatricolati (costruiti)[5] da oltre trent'anni e gli autoveicoli di particolare interesse storico o collezionistico, costruiti tra 20 e 29 anni. I proprietari delle “vecchie auto” erano tenuti solamente al pagamento di un bollo forfettario; in sostanza, l’intestatario del veicolo era beneficiario di un favor quale possessore di auto di pregio.
La norma giuridica sopracitata è senz’altro legittima, poiché basata sul consenso sociale del Parlamento eletto secondo il criterio rappresentativo (auctoritas) e risponde nel complesso a parametri di legalità basati su valori e principi costituzionali prestabiliti (ratio). Per facta concludentia gli effetti che la norma realizza appaiono ingiusti e determinano uno spostamento delle collezioni motoristiche verso le Regioni italiane storicamente dotate di maggiori risorse economiche.
Il risparmio d’imposta è un comportamento legittimo; l’elusione,[6] viceversa, può essere definita come la messa in atto di meccanismi, da parte del contribuente, volti ad evitare il prelievo fiscale a suo carico[7]: nel caso di specie non si rinvengono le caratteristiche tipiche del comportamento evasivo o dell’abuso del diritto tributario al mero fine di eludere le norme fiscali, si tratta di un semplice risparmio d’imposta del tutto legittimo. Analizzando gli effetti dal punto di vista del gettito fiscale, invece, si segnala un notevole numero di demolizioni di veicoli che impedisce un cospicuo incremento delle entrate erariali[8], diversamente dalle intenzioni paventate dal legislatore. I veicoli rottamati, seppur non in buono stato, qualora fossero stati restaurati, avrebbero potuto avere un valore nell’ambito di un mercato, quello degli autoveicoli d’epoca, in forte ascesa negli ultimi anni.
La tassa di possesso sugli autoveicoli risulta inquadrata nel novero dei tributi regionali in relazione al nuovo art. 119 Cost., che ha rafforzato l’autonomia finanziaria ed impositiva degli Enti territoriali sulla base del principio costituzionale di pariteticità tra lo Stato e gli stessi Enti territoriali.
Questi ultimi, hanno la possibilità di stabilire e riscuotere tributi ed entrate proprie, nel rispetto dei vincoli costituzionali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, superando definitivamente la vecchia formulazione dell’art. 119 Cost. e del concetto connesso di autonomia finanziaria condizionata, ammessa esclusivamente nelle forme e dai limiti stabiliti dal legislatore nazionale.
La finalità specifica del raccordo è quella di realizzare un’armonizzazione dei sistemi tributari locali, in maniera speculare all’ambito comunitario, al fine di evitare la frammentazione e la diversità del prelievo fiscale su base territoriale. Nel caso di specie, invece, si verifica l’esatto opposto, la legge statale determina un’eterogeneità territoriale che sfocia nel paradosso di un’ingiusta differenziazione.
In relazione alla potestà attribuita alle Regioni si può affermare che il principio di equi-ordinazione sia tautologicamente pieno; è riconosciuta alle stesse la possibilità di istituire tributi propri attraverso una normazione primaria (ai sensi del combinato disposto degli artt. 23 e 117, comma 4, Cost.). La situazione per gli Enti Locali appare diversa, poiché viene riconosciuta agli stessi solamente una potestà di tipo regolamentare.
Il prelievo così delineato, si allontana dai principi di capacità contributiva e di progressività, pertanto, sembra violare l’art. 53 Cost. che informa l'intero sistema tributario. Nell’ambito della potestà legislativa di esercizio dell’autonomo potere di imposizione, spetta alle Regioni improntare il prelievo a criteri di progressività in funzione delle politiche economiche e fiscali prescelte. Il sistema attuale non appare corrispondente al principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., al principio della capacità contributiva ex art. 53 Cost, alla solidarietà giusta di cui all’art. 2 della Carta costituzionale.
2. L’illegittimità costituzionale della normativa regionale successivamente intervenuta nella materia
La Corte Costituzionale, 21 luglio 2016, n. 199, è repentinamente intervenuta in subiecta materia. L’anzidetta pronuncia rappresenta il punto di snodo dell’articolato sistema sulla potestà legislativa regionale in materia di tassa automobilistica; la Consulta ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 2, 3 e 4, della legge della Regione Basilicata 31 marzo 2015, n. 14 (Disposizioni in materia di veicoli ultraventennali), in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 119, secondo comma, Cost.”.
L’orientamento del Giudice delle leggi sul punto è da sempre restrittivo. La vexata quaestio si inquadra nella difficile attuazione dei nuovi artt. 117 e 119 della Costituzione nella parte riguardante l'estensione della potestà legislativa delle Regioni in materia tributaria.[9] La giurisprudenza costituzionale si fonda sul corretto utilizzo della prudenza interpretativa (in relazione al federalismo fiscale) che determina un’ermeneutica riduttiva, poiché incardinata su intenti e valori cautelativi, nel generale quadro della sua funzione nomofilattica e del rispetto della legalità costituzionale. Il federalismo fiscale[10] risulta fortemente limitato per quanto concerne l’autonomia tributaria delle Regioni a statuto ordinario: l’esegesi costituzionale rimane fortemente vincolata dal principio di coordinamento della finanza pubblica.
Si assiste al progressivo revirement delle posizioni giuridiche che hanno portato al federalismo fiscale sulla scorta della nuova ottica neocentralista e del predominio della finanza statale nella ripartizione della potestà legislativa, così come stabilita dalla riforma del Titolo V della Costituzione, avvenuta con legge costituzionale, 18 ottobre 2001, n. 3, nonché dai provvedimenti legislativi successivi e conseguenti. Il principio di coordinamento della finanza pubblica (potestà legislativa concorrente ai sensi dell’art 117 terzo comma Cost.) limita l’attuazione del federalismo fiscale.
La suddetta riforma avrebbe dovuto comportare una vera e propria rivoluzione della potestà legislativa e del diverso riparto tra Stato e Regioni: difatti, l’art. 117 Cost., secondo comma, stabilisce che la potestà legislativa esclusiva in materia di sistema tributario attiene allo Stato. In materia di autonomia di entrata delle Regioni a statuto ordinario, il d.lgs. 6 maggio 2011, n. 68, “Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle Regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario”, all’art. 8, comma 2, così dispone: “Fermi restando i limiti massimi di manovrabilità previsti dalla legislazione statale, le Regioni disciplinano la tassa automobilistica regionale”.
Dal dettato normativo emerge in maniera ovvia e lapalissiana che la tassa automobilistica non possa essere classificata come un tributo proprio in senso stretto o come tributo proprio derivato delle Regioni, la definizione che maggiormente si attaglia è quella di tributo proprio derivato speciale: “Alle Regioni a statuto ordinario è stato attribuito dal legislatore statale il gettito della tassa, unitamente all’attività amministrativa connessa alla sua riscossione, nonché un limitato potere di variazione dell’importo originariamente stabilito con decreto ministeriale, restando invece ferma la competenza esclusiva dello Stato per ogni altro aspetto della disciplina sostanziale della tassa stessa” (C. Cost, 26 settembre 2003, n. 296).
Una risalente giurisprudenza costituzionale già individua le peculiarità della tassa automobilistica, difatti, la Consulta, con sent. 11 dicembre 2012, n 288, ha dichiarato incostituzionale l’art. 10 della legge della Regione Marche 28 dicembre 2011, n. 28, che determinava l’esclusione dell’esenzione dall’obbligo del pagamento della tassa automobilistica in caso di fermo amministrativo o giudiziario di beni mobili registrati nei pubblici registri, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione. Da questo arresto della Corte Costituzionale emergono in maniera incontrovertibile e inconfutabile le caratteristiche peculiari, si passi il termine “speciali” del tributo de quo, che, seppur caratterizzato dalla distinzione rispetto dagli altri tributi propri derivati, resta vincolato alla legge statale per la diposizione sopra richiamata, nella parte in cui recita: “fermi restando i limiti massimi di manovrabilità previsti dalla legislazione statale”.
Rebus sic stantibus, i residenti della Regione Lombardia[11] e della Regione Emilia Romagna, in forza di leggi regionali previgenti rispetto all’impianto della riforma federalista, sono sottratti al pagamento della tassa automobilistica sulle auto ultra-ventennali iscritte nei registri storici riconosciuti dalle Regioni anzidette. Anche la Provincia di Trento adotta una scelta politica identica su presupposti giuridici e amministrativi diversi in quanto dotata di autonomia speciale.[12] Sulla stesse basi logico-giuridiche la Provincia autonoma di Bolzano attua una riduzione del 50%.[13] In questa maniera si è creata una differenziazione tributaria tra residenti di regione diverse, una frammentazione di posizioni ope legis. Al contribuente non rimane altro che adeguarsi, obtorto collo, all’intervento normativo.[14] Dura lex, sed lex.
3. Una prospettiva de iure condendo
Nella prospettiva del contribuente la tassa automobilistica sulle auto ventennali rappresenta un fatto sgradevole nella percezione del soggetto imposto, purtuttavia, da un punto di vista generale, bisognerebbe prestare maggiore attenzione ai servizi pubblici che si ricevono in cambio.
Il sistema tributario italiano appare nel complesso qualificabile come late comer: raggiunge più tardi lo stadio evolutivo dei Paesi più avanzati, adattando in ritardo l’assetto dei tributi sulla base dell’evoluzione economica della società. Nell’attuale fase di profonda crisi economica, i tributi appaiono maggiormente vessatori, iniqui ed intrusivi nella libertà economica.
Ciò che lascia perplessi è la valutazione complessiva del tributo in relazione allo specifico mercato di settore dell’economia italiana. L’effetto che la tassa automobilistica sulle auto ventennali realizza è contraria al principio del federalismo fiscale e determina una frammentazione dell’ordinamento tributario nazionale in tanti ordinamenti regionali. Il prelievo sulle auto è vissuto con particolare insofferenza dai proprietari che sono al contempo amatori e collezionisti dei beni soggetti a tassazione. Oltretutto, all’interno dello stesso Paese, si crea una sperequazione che condiziona il mercato del settore delle auto d’epoca in forte crescita negli ultimi decenni.
In un periodo di recessione economica lo Stato ricentralizza tributi che sono effettivamente regionali, più per incrementare il gettito derivante dalla scarsità di risorse che per esercitare d’imperio una potestà legislativa in larga parte ceduta alla Regioni a statuto ordinario e speciale.
L’automobile è uno dei beni che subisce una tassazione maggiore. Gli automobilisti europei pagano circa 413 miliardi di euro all’anno per l’intera tassazione del settore auto, secondo quanto rilevato dai dati censiti nell’edizione 2018 dello studio sulla tassazione dell’ACEA (European Automobile Manufacturers’ Association).[15]
Secondo gli ultimi dati forniti dall’Agenzia delle Entrate il totale delle tasse automobilistiche ammonta a 572 milioni di euro (- 27 milioni di euro, pari a - 4,5%). [16] Chiaramente il dato è globale e tiene conto del mercato di riferimento, quindi delle immatricolazioni dei veicoli nuovi nel mercato italiano e delle importazioni di veicoli in Italia provenienti da Paesi intra UE e extra UE.
Il gettito derivante dalla tassazione automobilistica è attribuito alle Regioni e alle Province Autonome, unitamente all'attività amministrativo-tributaria connessa alla sua riscossione; sul tema, si segnala (in allegato) un sintetico report comparativo relativo alle risorse incamerate, ripartite per Regioni in base all’elaborazione sui rendiconti consuntivi 2016 e bilanci preventivi 2017 de Ministero delle Finanze.[17]
In base agli studi effettuati, il maggior gettito previsto era stato stimato in 78,5 milioni di euro a decorrere dal 2015.[18] La maggiore entrata prevista, derivante dall’estensione del tributo in esame, è difficilmente monitorabile, difatti, dall'Amministrazione finanziaria acquisisce i dati degli introiti complessivi relativi alla tassa auto. Per verificare la correttezza dell’analisi si dovrebbe monitorare il pagamento del singolo veicolo ultratrentennale.
La curva di Laffer dimostra che non sempre aumentando le tasse si ottiene un maggior gettito. Al contrario, diminuendo la pressione fiscale particolarmente alta, si può aumentare l’efficienza economica e generare maggiori entrate.[19]
Sulla base dell’excursus sopra esposto, non si può che concludere per una rivisitazione della normativa da parte del legislatore, auspicata da più interlocutori istituzionali,[20] che abbia lo scopo di promuovere e tutelare il motorismo storico come forma d’arte. Le suddette considerazioni, però, non rappresentano una facile conclusione, evidenziano, altresì, la necessità di una riflessione complessiva sulla fragilità della partecipazione alle possibilità del sistema di iniziativa legislativa disancorata dai partiti politici,[21] sui gruppi di interessi e in generale sull’attività di lobbying.[22]
In altri ordinamenti giuridici, le lobbies (gruppi di interessi) che esercitano pressioni per ottenere interventi legislativi per ottenere gli obiettivi prefissati rappresentano una costante nel mondo politico, abituato a fare i conti con questo tipo di interventi esterni. Tutto questo gioco politico di spinte e influenze, però, avviene alla luce del sole ed è chiaramente regolamentato da leggi specifiche.[23]
In buona sostanza, si tratta di dare maggiore importanza al coinvolgimento popolare nei processi decisionali. Sebbene sia allettante pensare all’efficacia della tattica esercitata dai rappresentanti dei gruppi di pressione, la realtà è certamente diversa e la nostra democrazia non sembra pronta per un effettivo coinvolgimento dei gruppi portatori di interessi nell’attività legislativa parlamentare. Nonostante tutto questo, si avverte nell’opinione pubblica la crescente necessità di partecipazione e si realizzano concretamente mobilitazioni popolari nei settori più svariati per rivendicare interessi diffusi. Il fenomeno del lobbying, quindi, deve essere ancorato ai principi di partecipazione e trasparenza, proprio per evitare fenomeni di corruzione.
Il 26 marzo 2016 la Camera dei deputati ha approvato il “Regolamento dell'attività di rappresentanza di interessi nelle sedi della Camera dei deputati”, entrato in vigore il 10 marzo 2017. Una legge organica sul lobbysmo permetterebbe una maggiore partecipazione democratica ed eviterebbe di alimentare la cultura del sospetto verso forme di ingerenza e controllo degli istituti democratici che, in altre parti del mondo, sono ampiamente riconosciuti e regolamentati.
Appare necessario sottolineare la contrarietà di parte della dottrina politica[24] all’azione di lobbying: da un lato il potere capitalistico viene valutato di per sé corruttore della sfera politica, dall’altro, in ordinamenti diversi dal nostro, come quello degli Stati Uniti d’America, solo le grandi corporation possiedono le risorse finanziarie e la forza politica per esercitare effettivamente l’attività lobbistica, mentre gli interessi di soggetti meno influenti vengono trascurati. Nei prossimi mesi potrebbero esserci una serie di importanti novità legislative[25] inerenti al settore automotive;[26] il dibattito politico sull’argomento è molto accesso.[27]
“Ai posteri l’ardua sentenza”.
[1] Il sondaggio condotto dall’Istituto Piepoli afferma che il motorismo storico in Italia vale 2,2 miliardi l'anno: Ricerca n. 179-2018 del 20 Settembre 2018 (Link).
[2] La Suprema Corte di Cassazione con l’Ordinanza del 26 giugno 2017, n. 15899, ha stabilito che le auto d’epoca costituiscono validi indici presuntivi ai fini dell’accertamento sintetico effettuato dall’Agenzia delle Entrate, basato su indici presuntivi quali immobili, automobili, motocicli, auto storiche, discostandosi dalla decisione della CTR del Piemonte. Il cosiddetto redditometro, costituisce una presunzione di “capacità contributiva” ai sensi dell'art. 2728 cc. Un veicolo potrebbe essere occultato mediante intestazione a un soggetto diverso dal reale proprietario, per nasconderlo all’Erario o semplicemente per evadere il bollo intestandolo ad una testa di legno. Qualora il conducente abituale del veicolo non coincidesse con il proprietario (persona fisica), sarebbe opportuno verificare il reddito complessivo dichiarato dal “possessore” del veicolo (e dal suo nucleo familiare) e in caso di incompatibilità dei redditi dichiarati dal “possessore” rispetto alla disponibilità (di fatto) dell’auto di lusso segnalare il “soggetto interponente”. Diversamente, nel caso in cui il proprietario del veicolo risultasse una persona giuridica, sussistendo anomalie in relazione al giorno (festivo, prefestivo o feriale), bisognerebbe segnalare la persona giuridica qualificandola come “soggetto interposto”.
[3] Si rende necessaria una precisazione preliminare: le auto d’epoca, radiate dal pubblico registro degli autoveicoli (P.R.A.), possono circolare esclusivamente durante gli appositi raduni; le auto storiche, caratterizzate da alcuni privilegi e diritti speciali, possono circolare normalmente sulle strade pubbliche. Nel gergo comune si tende a confondere i due termini.
[4] In Italia esistono diversi registri storici. Il Codice della strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285) all’art 60, comma 4, specifica che: “Rientrano nella categoria dei motoveicoli e autoveicoli di interesse storico e collezionistico tutti quelli di cui risulti l'iscrizione in uno dei seguenti registri: ASI, Storico Lancia, Italiano FIAT, Italiano Alfa Romeo, Storico FMI.”
Sul punto è opportuno evidenziare che l’attestato di storicità rilasciato dall’ASI non comporta alcun pagamento di iscrizione ad uno dei suoi club affiliati, secondo quanto precisato dall’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione 112/E del 29 novembre 2011, sulla base di quanto stabilito dalla Suprema Corte, 15 febbraio 2013, n. 3837: “La disciplina di legge che qui rileva non impone certo ai cittadini l’iscrizione all’ASI come presupposto per beneficiare dell’esenzione, (…) sicché suonerebbe assolutamente estranea al precetto normativo la pretesa che esenzione e vincolo associativo costituiscono un binomio necessario”.
[5] L'anno di costruzione si presume coincidente quello di prima immatricolazione in Italia o in uno Stato estero; si tratta di una presunzione juris tantum, per cui è ammessa la prova contraria.
[6] In ambito tributario prevale il principio della prevalenza della sostanza sulla forma (substance over form), pertanto, operazioni che hanno una validità civilistica sotto il profilo tributario possono essere elusive dell’imposta.
[7] Gli elementi distintivi del comportamento elusivo erano precedentemente indicati nell’art. 37 bis d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, articolo abrogato dal d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128. Allo stato attuale la disciplina antielusiva è contenuta nell’art. 10 bis della l. 27 luglio 2000, n. 212 come modificato dall’art. 7 del d.lgs. del 24 settembre 2015 n. 156. Si riporta per esigenze di sintesi solamente il comma 1 del suddetto articolo: “Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all'amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.”
[8] Sulle riviste di settore si è molto discusso del boom di “scassoni” tax free. Una definizione che indentifica in maniera iperbolica il “genio italico” volto ottenere un trattamento fiscale più favorevole. Proprio per questo motivo è necessario distinguere tra auto e moto d’epoca, iscritte nei registri autorizzati, dai veicoli semplicemente vetusti e fortemente inquinanti che sono pericolosi per la collettività e per i conducenti stessi.
[9] Sul tema cfr: F. GALLO, Attualità e prospettive del coordinamento della finanza pubblica alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, RIVISTA AIC n. 2/2017. (Link)
[10] Cfr: A. D'ATENA, Tra autonomia e neocentralismo. Verso una nuova stagione del regionalismo italiano?, Giappichelli, 2016; M. CARLI, Diritto regionale. Le autonomie regionali, speciali e ordinarie, Giappichelli, 2018.
[11] La disciplina regionale precedente alla normativa statale, cioè il comma 4, art. 48 della l.r. 14 luglio 2003, n. 10, conforme alle norme precedentemente vigenti: art. 5, comma 34 del d.l. 30 dicembre 1982, n. 953, non risulta abrogata dalle nuove disposizioni. Difatti, la Regione Lombardia ha adottato con Deliberazione n. X /3103, del 30 gennaio 2015, una formale presa d’atto sull’intervenuta normativa statale in materia. La Regione Lombardia ha inteso ricondurre l’esenzione per i veicoli di interesse storico e collezionistico ai soli veicoli iscritti nei registri riconosciuti dalla legge statale, nello specifico dall’art 60 comma 4 del summenzionato Codice della Strada. Tale impostazione risulta condivisibile, poiché è ancorata al dato normativo e, sul piano pratico, evita che veicoli obsoleti possano godere delle agevolazioni.
[12] Corte Costituzionale, 22 maggio 2017, n.118: sulla potestà della Provincia autonoma di Trento quale autonomia speciale di stabilire agevolazioni nella materia di tassa automobilistica. L’art. 73 comma 1 dello Statuto del Trentino Alto Adige, come modificato dalla l.r. 191/2009, stabilisce che “La regione e le province hanno facoltà di istituire con leggi tributi propri in armonia con i principi del sistema tributario dello Stato, nelle materie di rispettiva competenza. Le tasse automobilistiche istituite con legge provinciale costituiscono tributi propri”.
[13] “Per i veicoli di età compresa tra 20 e 29 anni (dall’immatricolazione o dalla costruzione) è dovuta la tassa di proprietà. La tariffa annua è ridotta del 50% rispetto a quella prevista per i veicoli con meno di venti anni”. (Link)
[14] Benjamin Franklin, “Al mondo di sicuro ci sono solo la morte e le tasse”.
[15] La cifra tiene conto dell’Iva sui veicoli a motore, sui ricambi, le gomme e la manutenzione, delle accise su carburanti e lubrificanti, delle tasse di vendita e d’immatricolazione, di quelle sul possesso, sulle patenti, sulle assicurazioni, sui pedaggi e di eventuali dazi doganali. (Link)
[16] (Link)
[17] (Link)
[18] Sul punto vi veda: Atto della Camera dei Deputati - Interrogazione a risposta immediata in commissione 5-04816 presentato da BERNARDO Maurizio testo di martedì 24 febbraio 2015, seduta n. 380 (Link).
La suddetta interrogazione muove dall’assunto principale di garantire la parità di trattamento fiscale tra cittadini all’interno dello stesso Paese, indipendentemente dalla Regione di residenza.
[19] (Link)
[20] Dal punto di vista penalistico, si può distinguere l’attività di lobbying lecita dal traffico di influenze illecite, previste dall’art. 346 bis c.p., introdotto con l. 6 novembre 2012, n. 190 (cosiddetta “Legge Severino”), in conformità alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla corruzione del 31 ottobre 2003, cosiddetta “Convenzione di Merida”, ratificata con la legge 3 agosto 2009, n. 116 e alla Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa del 27 gennaio 1999 (Convenzione di Strasburgo), ratificata dall’Italia con la legge 28 giugno 2012, n. 110. I tratti essenziali di tale nuovo reato sono costituiti dallo sfruttamento, dalla strumentalizzazione delle relazioni con pubblici ufficiali, riguardanti rapporti realmente esistenti, nonché dal pactum sceleris. Il reato ha una derivazione sovranazionale ed è fondamentalmente estraneo alla tradizione giuridica italiana, non abituata a prendere in considerazione questa tipologia di comportamenti che, precedentemente, erano considerati “borderline”.
[21] In Italia gli istituti di democrazia diretta sono stati utilizzati in maniera minoritaria rispetto a quelli di democrazia rappresentativa. Nella vicina Svizzera, invece, la democrazia diretta è maggiormente radicata e utilizzata, come negli Stati americani fautori della popular legislation. Nei Paesi dell’Europa occidentale, invece, l’excursus prende l’abbrivio con il costituzionalismo francese, passando per la Costituzione di Weimar, fino alla più recente definizione a livello comunitario nel Trattato di Lisbona. Le forme di iniziativa popolare non sempre sfociano in un successo, lo scopo secondario è quello di implementare la discussione sul tema e coinvolgere le Istituzioni democratiche a prendere coscienza delle problematiche proposte ed a lavorare per migliorare la legislazione vigente.
[22] Sul concetto di lobby (gruppo di pressione) e attività di lobbying si veda: G. PASQUINO, Gruppi di pressione, in Bobbio N., Matteucci N., Pasquino G. (a cura di), Dizionario di politica, Milano 2004.
[23] Negli Stati Uniti, già nel 1946 il Congresso ha approvato la prima legge organica, finalizzata a regolamentare il fenomeno in questione: il Federal Regulation of Lobbying Act. Secondo la Suprema Corte degli U.S.A., l’influenza che le lobbies esercitano sugli attori politici non consiste in una fattispecie di corruzione, se non nell’ipotesi del puro scambio (do ut des), come chiaramente esposto nella motivazione dei casi Citizens United v. FEC e Green Party of Connecticut v. Garfield.
[24] M. MAIELLO, Corruption, American Style, Forbes, 22 gennaio 2009; L. DRUTMAN, What we get wrong about lobbying and corruption, Washington Post, 16 aprile 2015.
[25] (Link)
[26] (Link)
[27] (Link)