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Pubbl. Lun, 30 Mar 2015

Intervista a Sabino Basso, presidente di Confindustria Campania

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Matteo Consiglio


Il presidente di Confindustria Campania, Sabino Basso, risponde ad alcune domande della redazione di Cammino Diritto.


In occasione del convegno, organizzato dalle associazioni Agora e Yes, tenutosi presso l'Aula Cilento dell’Università degli Studi di Salerno, si è discusso della sentita tematica relativa alla commercializzazione e alla diffusione dei prodotti del territorio campano. Purtroppo, negli ultimi tempi l’immagine della Campania è stata compromessa dalla triste vicenda della “Terra dei fuochi”, che ha fortemente intaccato la rinomanza dei prodotti agroalimentari locali. L’obiettivo dei lavori era quello di tentare di fornire un forte sostegno alla ripresa economica e reputazionale della Regione. Interessante, in tal senso, è stato l’intervento d'apertura di Antonio Mazza, rappresentante dell’associazione Yes, che ben ha inquadrato la tematica: “la Terra dei fuochi, così come è stata ribattezzata la Regione Campania, è un marchio che non ci appartiene e siamo convinti che solo una parte di essa sia compromessa da illegalità e speculazioni anche a discapito della salute dei cittadini. (...) Noi crediamo di poter avere ancora un futuro radioso scevro da pregiudizi e compromessi, un futuro prospero in questa terra dove vogliamo rimanere e resistere per lasciare qualcosa di buono ai nostri figli e a chi verrà dopo di noi, un futuro fatto di donne e di uomini onesti, mossi da sentimenti di passione e amore verso la propria terra, che non saranno mai più costretti ad abbandonare senza altra scelta.”.
A margine dei lavori la nostra redazione ha avuto l'oppotunità di intervistare il dr. Sabino Basso. Fondatore di un'azienda impegnata nel settore vinicolo, Villa Raiano srl, il Presidente Basso è impegnato anche nei settori dell'energia e della cosmesi con le aziende Basso Energia e Basso Beauty, di cui è Amministratore Unico. Attualmente è al vertice di Confindustria Campania.
 
Queste le domande che Cammino Diritto ha rivolto al Presidente di Confindustria Campania
 
Cosa pensa del Jobs Act? 
“Sicuramente è un’opportunità, poichè è cambiato il mondo dei rapporti di lavoro. Erano quasi quaranta/cinquant’anni che esisteva quella formula che non consentiva di poter licenziare i dipendenti nelle aziende il cui organico superasse le quindici unità.”.
 
Secondo lei può essere un’agevolazione?
“La crisi ha spazzato via tantissime imprese che non hanno avuto la fortuna di superare questo momento, facendo sì che rimanessero le sole eccellenze sul territorio, le quali sono il punto da cui dobbiamo ripartire. Per farlo, queste imprese hanno necessità di crescere, e per crescere hanno bisogno di capitale umano. Il capitale umano deve essere di qualità, e con questa legge riesce a mettersi al centro del progetto il merito. Un’azienda se ha dei collaboratori validi non se ne disfarrebbe mai. Invece, una che ha nel proprio organico un collaboratore che non vuole fare nulla e che non ha voglia di lavorare, oggi, può licenziarlo.”.
 
Il contratto a tutele crescenti pensa possa essere una spinta ad assumere entro il periodo in cui le tutele sono inferiori, per poi mandare via il lavoratore in un secondo momento prima che scattino certi tipi di tutele?
“No! Queste agevolazioni valgono per tre anni ed è chiaro che un imprenditore che ha avuto nel proprio organico un lavoratore, casomai anche neolaureato, arrivato in azienda solo con tanta teoria e pochissima pratica, ma che ha fatto formazione ed è meritevole perché bravo, per quale motivo dovrebbe disfarsene?”.
 
Secondo lei l’attuale efficacia della normativa penale quanto incide nel contrasto alle frodi alimentari, che sono un problema di vaste dimensioni, soprattutto, in Campania?
“Il problema è serio e ritengo che i prodotti italiani siano eccellenti. Il vero nemico non è in Italia ma fuori dei nostri confini. Ci sono due tipi di contraffazione: quella delle industrie che sono fuori dal nostro Paese, che utilizzano i nostri marchi, i nostri prodotti senza nessuna difficoltà e senza nessun ostacolo, e poi ci sono le aziendine di nicchia che fanno piccoli volumi ma di altissima qualità e che, purtroppo, non sono organizzate per poter affrontare i mercati internazionali. In mezzo a questo limbo ci sono le industrie agro-alimentari, e cioè le industrie che fanno occupazione, fatturato, e che sono organizzate per aggredire i mercati e catene importanti come Walmart, Cosco, che sono diffusissime. Con la sola microazienda, l’industria italiana agroalimentare ha la possibilità di affrontare questo mercato. Chiaramente, queste industrie spesso sono additate come il male di questo Paese ed io, essendo un industriale del settore, dissento totalmente da questa teoria perché le Istituzioni tutte ci devono dire se queste industrie devono rimanere in Italia o se ne devono andare, perché noi le stesse produzioni possiamo farle in Italia, in Spagna, in Grecia, ovunque noi vogliamo, con lo stesso livello qualitativo in quanto abbiamo dei know-how che ci permettono di farlo. Bisogna capire se queste aziende debbano rimanere o meno. Ove rimangano non possono essere continuamente subissate da controlli e violentate con norme che prevedono addirittura il carcere. Ad esempio, oggi, sbagliare un’etichetta su una bottiglia di olio, nel mio settore, potrebbe essere penalmente sanzionato.”.
 
Quindi, secondo lei, non dovrebbero essere sanzionate in questo modo violazioni di tal genere?
“Si è alzata tantissimo l’asticella per evitare che ci possano essere truffe, frodi. Si parla tantissimo dell’organolettico su tanti prodotti ma il problema  è che da noi la materia prima non c’è più. O le aziende chiudono, mandano a casa i dipendenti e si trasferiscono all’estero oppure esse devono essere accompagnate in un processo di sviluppo in cui le regole vengano rispettate e questo è il primo principio.”.
 
Per ciò che riguarda il Fisco, in questo periodo storico, quanto frena l’elevata tassazione nei confronti degli imprenditori?
“Se paragoniamo l’Italia a Dubai, il differenziale è compreso tra lo 0% ed il  70%; quindi sicuramente l'imposizione fiscale italiana, diretta ed indiretta, è molto pressante ed elevata. Noi siamo un Paese dove se Tizio porta a casa cento milioni di reddito lordo, quarantacinque se li prende lo Stato e , quindi, ciò significa che sui cinquantacinque rimanenti io dovrei già aver pagato le tasse. Invece no! I cinquantacinque rimanenti servono per andare a fare la spesa, per mettere la benzina e ci sono le tasse indirette e computo, in questo’ambito, gli alimentari, l’abbigliamento sui quali, ad esempio, agisce l’Iva. C’è un’altra tassazione, che è quella indiretta, che raggiunge in alcuni casi il 25% o il 30%. Dunque, essa è certamente troppo elevata.”.
 
Questa tassazione è o non è compensata da "vantaggi" da parte dello Stato?
“I vantaggi dovrebbero riverberarsi su: infrastrutture, trasporti, scuola, sanità. Questi, però, sono settori -ritornando al discorso sul Jobs Act- utilizzati dalla politica per fare clientelismo. Viene dato accesso, cioè, a persone talora senza meriti che fanno diventare tutto ciò che è ordinario, straordinario.”.