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Pubbl. Sab, 10 Nov 2018

La riforma della prescrizione

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Nicola Galati


Fondamento dell´istituto e conseguenze della probabile riforma.


Pochi giorni fa è stato presentato in Commissione Giustizia alla Camera un emendamento al disegno di legge n. 1189 (recante “Misure per il contrasto dei reati contro la Pubblica Amministrazione”) riguardante la prescrizione dei reati.

Dopo le prime critiche riguardanti la compatibilità dell’emendamento con l’oggetto del ddl, l’emendamento è stato ritirato e ripresentato con il medesimo testo ma con la modifica della rubrica del ddl, a cui è stata aggiunta l’espressione “nonché in materia di prescrizione del reato”.

L’emendamento introduce alcune modifiche agli artt. 158, 159 e 160 c.p. Varia in primis il termine da cui decorre la prescrizione per il reato continuato ma la novità principale è la sospensione del corso della prescrizione dalla pronunzia della sentenza di primo grado o dal decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o della irrevocabilità del decreto di condanna.

La norma ha suscitato vibranti polemiche, non solo politiche, ed ha scatenato un acceso dibattito tra gli operatori del diritto. La norma, infatti, sta dividendo la Magistratura e l’Accademia mentre ha incontrato il netto dissenso dell’Avvocatura.

Proviamo a fornire una prima analisi della ratio e dei possibili effetti della riforma.

Innanzitutto appare criticabile il metodo seguito. La modifica della disciplina della prescrizione merita un’attenta e ponderata analisi, preceduta dall’interlocuzione con tutti gli operatori del diritto. Il legislatore ha invece proceduto presentando un emendamento dell’ultima ora. Inoltre, la novella è stata inserita in un testo di legge riguardante una materia differente, come ormai da criticabile prassi.

Quanto al merito della norma è difficile definire sospensione l’ipotesi prevista, in quanto la sospensione della prescrizione prevede la ripresa del corso della prescrizione.

L’effetto sarà sicuramente quello di rendere più rara la prescrizione dei reati. Dalle dichiarazioni dei proponenti e del Ministro della Giustizia appare essere proprio questo l’intento perseguito. La prescrizione è stata infatti dipinta come un escamotage a cui ricorrono i colpevoli per “farla franca”, una denegata giustizia che indigna i cittadini e che va per questo eliminata.

Per i critici della riforma, invece, la sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado porterà ad un’inevitabile prolungamento dei tempi processuali, in quanto il venir meno dell’incombenza della prescrizione potrà dilatare sine die i processi.

Urge fare chiarezza sulla natura e le funzioni dell’istituto in oggetto. La prescrizione è istituto di natura sostanziale (come recentemente ribadito dalla Corte Costituzionale nella nota vicenda Taricco) tipico della nostra tradizione giuridica: è una causa di estinzione del reato legata al decorso del tempo.

Diverse sono le ragioni giustificative.

Innanzitutto, il trascorrere del tempo attenua l’allarme sociale provocato dal reato e fa venir meno l’interesse punitivo dello Stato.

Inoltre, non si può sottoporre un individuo, da presunto innocente, alla macchina della Giustizia per un tempo eccessivo. Né è ammissibile punire l’eventuale colpevole dopo un ampio lasso di tempo: il soggetto che espierà la pena sarà sicuramente una persona diversa rispetto a quella che ha commesso il reato. Ciò svilirebbe la finalità rieducativa della pena sancita dall’art. 27 Cost.

Il decorso del tempo, inoltre, implica difficoltà probatorie, rendendo più arduo raccogliere le prove del reato.

Nel tempo, però, la prescrizione ha assunto anche una funzione deflattiva del carico giudiziario. Le difficoltà organizzative, legate al numero eccessivo di procedimenti ed alle carenze di personale e mezzi, han fatto nascere l’esigenza di lasciar prescrivere i casi meno gravi o più risalenti. La prescrizione è de facto il contraltare dell’obbligatorietà dell’azione penale.

Conclusione confermata dall’analisi dei dati forniti dal Ministero della Giustizia (link qui ai dati completi) secondo cui la maggior parte delle prescrizioni (circa il 60%) matura durante la fase delle indagini preliminari.

Il dato smentisce inoltre la vulgata (infondata ed ingenerosa nei confronti della categoria degli Avvocati) per cui siano gli avvocati ad attuare strategie difensive finalizzate a raggiungere la prescrizione del reato. Durante la fase delle indagini preliminari i difensori non possono intervenire in alcun modo. In realtà neppure nelle fasi successive la prescrizione può essere addebitata alle tecniche dei difensori degli imputati: gli impedimenti dell’imputato o del difensore sospendono la prescrizione. I tempi lunghi dei procedimenti sono addebitabili esclusivamente al carico eccessivo di processi ed alle disfunzioni del sistema. 

Sempre dai dati forniti dal Ministero emerge come si prescrive entro la sentenza di primo grado la maggior parte dei procedimenti: i numeri dimostrano, quindi, la scarsa efficacia della riforma.

Altro dato significativo che emerge è la diversa incidenza della prescrizione da un distretto all’altro, a riprova delle disfunzioni organizzative che ne sono la causa.

L’incidenza totale della prescrizione sul numero di procedimenti (circa 9%) è fisiologica ed è in calo nell’ultimo decennio, a dimostrazione di come non vi è alcuna reale emergenza né alcuna urgenza nel riformare l’istituto.

Si dimentica, poi, che già nella scorsa legislatura la c.d. riforma Orlando ha modificato la disciplina della prescrizione, con le medesime finalità dell’attuale intervento. La novella ha introdotto un’automatica sospensione del corso della prescrizione, per un tempo non superiore ad un anno e sei mesi, dopo la condanna in primo grado e, per lo stesso tempo, dopo la condanna in secondo grado,nei soli casi in cui sia intervenuta una condanna.

La riforma, criticabile anch’essa perché inutile e controproducente, è quanto meno più logica della recente proposta di modifica: la sospensione opera solo in caso di sentenza di condanna (a differenza della proposta attuale che opera anche in caso di assoluzione) e per un tempo limitato.

Sul piano metodologico è deprecabile il continuo intervento del legislatore, a breve distanza, sul medesimo istituto, senza lasciare tempo alla riforma precedente di dispiegare i propri effetti.

Gli effetti degli interventi sulla prescrizione, infatti, non potendo essere retroattivi, si manifestano solo dopo diversi anni.

Risulta inoltre fondata la critica secondo cui la riforma allungherà inevitabilmente i tempi processuali, in violazione del principio della ragionevole durata del processo sancito dagli artt. 111 Cost. e 6 CEDU.

L’incombere della prescrizione induce a trattare con priorità i procedimenti. Una volta venuto meno questo stimolo i tempi dei processi (già eccessivi) si protrarranno ulteriormente, con ricadute negative anche sulle vittime dei reati, che dovranno attendere tempi ancora più lunghi per vedere riconosciute le proprie richieste risarcitorie (contrariamente all’intento del legislatore che con la riforma vorrebbe garantire le esigenze delle vittime dei reati).

La riforma risulta pertanto criticabile perché inefficace ed ingiusta: non risolve il problema dei tempi processuali ma lo peggiora, minando i diritti dell’individuo indagato/imputato.

L’equivoco di fondo consiste nel considerare la prescrizione quale un’inaccettabile via di fuga in favore dei colpevoli. L’istituto, invece, è un caposaldo del diritto penale liberale, una garanzia in favore dell’indagato e dell’imputato (presunto innocente) nei confronti del potere punitivo dello Stato e del suo possibile abuso.

Un cittadino non può rimanere sospeso per anni ed anni nel limbo di un processo in corso, con tutte le conseguenze pregiudizievoli che ne derivano. Così come resterebbero insoddisfatte le esigenze della vittima. Il processo è esso stesso una pena come già teorizzato dal Carnelutti.

Se la priorità è avere un processo giusto in tempi ragionevoli la riforma della prescrizione non è certo quel che serve.

Considerate le cause del malfunzionamento della Giustizia, il rimedio è la diminuzione del carico dei procedimenti e dei processi: procedendo ad una incisiva depenalizzazione, incentivando il ricorso ai riti alternativi al dibattimento, migliorando e razionalizzando la macchina organizzativa.