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Pubbl. Lun, 19 Nov 2018

Il divieto di geoblocking

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Giovanni De Bernardo


Novità per il libero mercato: dal 3 dicembre 2018 entrerà in vigore il divieto di Geoblocking.


Entro la fine del 2018 è prevista l’entrata in vigore del Regolamento Comunitario n° 302/2018. Questo ha l’obiettivo di “contribuire al buon funzionamento del mercato interno, impedendo i blocchi geografici ingiustificati e altre forme di discriminazione basate, direttamente o indirettamente, sulla nazionalità, sul luogo di residenza o sul luogo di stabilimento dei clienti” (cfr. Art. 1).

1. Cosa si intende per Geoblocking

Il Geoblocking è quel fenomeno che ha consentito, in base ad una vera e propria suddivisione in blocchi dei singoli stati, una diversificazione dei prezzi e delle offerte a seconda del paese da cui proviene la domanda, grazie all’esistenza di software che permettono di identificare il luogo di stabilimento del cliente, ove collegato ad un dato sito. Può, infatti, frequentemente accadere che molti siti consentano l’acquisto di prodotti soltanto ai consumatori dello stesso Paese da cui proviene l’offerta o anche l’imposizione di prezzi maggiorati per i consumatori esteri.

Tali restrizioni violano, secondo il Parlamento Europeo ed il Consiglio, il principio del libero mercato e della uguaglianza del consumatore.

Margrethe Vestager, commissario europeo per la concorrenza, già da tempo ha avviato delle indagini, ed il Parlamento Europeo ha già approvato l’adozione di tale misure per rendere finalmente libero e senza frontiere il mercato ed il commercio tra tutti gli Stati appartenenti all’Unione Europea e non, bloccando il cd. “Geoblocking”.

Il tema della liberalizzazione dei servizi all’interno dell’Unione Europea ha destato rinnovato interesse all’inizio del nuovo secolo con il varo da parte del Parlamento europeo della direttiva 2006/123/CE, la cosiddetta direttiva Bolkenstein, il cui procedimento di adozione ha avuto inizio proprio nel 2000. Il termine liberalizzazione si è imposto agli inizi degli anni Novanta ed è da allora prevalentemente utilizzato per indicare l’apertura del mercato attraverso la progressiva riduzione dei vincoli al suo funzionamento e la rimozione di barriere all’entrata dello Stato, soprattutto per quanto riguarda lo svolgimento di attività di carattere economico[1].

2. Obiettivi del Regolamento n° 302/2018

Il Regolamento, che dal 3 dicembre 2018 entrerà in vigore, mira a combattere, in particolare, talune pratiche esempio di chiara trasgressione dei principi comunitari in materia di concorrenza e di libero mercato. Tra queste vi sono il blocco dell’accesso a un sito web estero o il reindirizzamento automatico verso un sito web nazionale, l’applicazione di condizioni di vendita ingiustificatamente diverse a seconda della nazionalità, del luogo di stabilimento o di residenza del cliente, e, ancora, discriminazioni legate al mezzo di pagamento utilizzato.

Lo scopo principale dell’attuazione del divieto del Geoblocking è quello di rendere più facilmente fruibili i servizi ed i beni sia per i consumatori che per le imprese.

Già le prime indagini, come è emerso dalla “Relazione finale dell’indagine settoriale sul commercio elettronico” della Commissione Europea pubblicata nel 2017, hanno esortato molte imprese (Mango, Oysho, Pull and Bear, ed altri) a rivisitare le loro strategie commerciali, adeguandosi autonomamente a quanto disposto dal Regolamento.

Destinatari del Regolamento saranno tutte le imprese che vendono beni o servizi nel territorio dell’Unione Europea.  Non si applicherà, tuttavia, “a situazioni puramente interne, nelle quali tutti gli elementi rilevanti della transazione siano limitati ad un solo Stato membro, (...) alle attività di cui all'articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2006/123/CE (in riferimento ai servizi di trasporto e portuali)” (art. 1 Reg.).

La nuova previsione normativa vieterà qualsiasi blocco geografico e discriminazione nell’acquisto di beni ma anche di servizi immateriali come cloud e spazio web per siti Internet. Medesima disciplina sarà prevista per quanto attiene biglietti di concerti, ingressi a mostre, noleggio auto e parchi divertimento.

Anche le condizioni di spedizione verranno uniformate a livello internazionale, applicando le medesime condizioni di consegna ai fruitori dello stesso servizio.

3. La normativa precedente al nuovo Regolamento n° 302/2018. La direttiva “Bolkestein”

È noto che la liberalizzazione comporta la deregolamentazione, ovvero l’eliminazione di tutte quelle disposizioni che garantivano diritti speciali ed esclusivi a pochi soggetti. Dall’altro lato, però, è anche certo che nei settori di servizi liberalizzati sono intervenute nuove regolamentazioni o sono rimaste le vecchie, come indica l’esempio delle discipline assai rigide fissate per la protezione degli utenti e dei consumatori.

La direttiva n° 123/2006, più nota come direttiva Bolkenstein, dal nome dell’allora commissario europeo al mercato interno Frits Bolkenstein, contiene disposizioni di carattere orizzontale in merito alla libera prestazione dei servizi all’interno del mercato comune. Infatti, come definito nella relazione di accompagnamento, la direttiva-quadro sulla liberalizzazione dei servizi “non mira a dettare norme specifiche per la regolamentazione della materia dei servizi, ma tratta le questioni fondamentali in un approccio orizzontale al fine di gettare le basi per una completa armonizzazione della materia”. I quattro obiettivi principali della direttiva sono: facilitare la libertà di stabilimento e la libertà di prestazione di servizi all’interno dell’Unione Europea; rafforzare il diritto dei destinatari dei servizi in quanto utenti degli stessi; promuovere la qualità dei servizi; stabilire una cooperazione amministrativa effettiva tra gli Stati membri.

4. L’Europa Unita anche nei fatti

Il processo volto ad eliminare le discriminazioni di qualsiasi tipo nasce, in realtà, anni fa. Passo dopo passo, nuovi tasselli venivano aggiunti per il perseguimento di un’uguaglianza di trattamento tra gli stati dell’Unione Europea.

Già durante il 1970, nel Regno Unito, l’Equal Pay Act sancì il principio della parità retributiva tra il lavoro delle donne e quello degli uomini ed il Sex Discrimination Act del 1975 vietò le discriminazioni fondate sul sesso, regolando l’accesso, le promozioni, la formazione professionale e le altre condizioni di lavoro.

In Francia, nel 1972, si raggiunse un importante traguardo nel diritto del lavoro. Si inserì nel codice del lavoro l’art. L 140-2, secondo cui tutti i datori di lavoro sono tenuti ad assicurare l’eguaglianza di remunerazione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o un lavoro di valore uguale. Per rafforzare il divieto di discriminazione, la legge n. 75-625 dell’11 luglio 1975 sur le travail des femmes modificò l’art. 416 del codice penale, proibendo ai datori di lavoro di redigere offerte di impiego sessiste, cioè riservate all’uno o all’altro sesso, rifiutare un’assunzione o licenziare in ragione del sesso o della situazione familiare se non “per motivi legittimi”. Da ultimo è intervenuta la legge n. 2006-340 del 23 marzo 2006 relative à l’égalité salariale entre les femmes et les hommes.

In Italia la parità di retribuzione, già imposta dall’art. 37 della Costituzione, fu finalmente assicurata, proprio per effetto della normativa comunitaria, dalla legge 9 dicembre 1977, n. 903, sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro[2].

E così via, con il passare degli anni, la battaglia per le parità di trattamento e l’abolizione delle discriminazioni compie passi in avanti, ma c’è ancora molta strada da fare.

 

[1] Si veda “Liberalizzazione dei servizi dell’Unione Europea” da Enciclopedia Treccani, 2009
[2] Da “Dal Trattato costituzionale al Trattato di Lisbona. Nuovi studi sulla Costituzione Europea”, a cura di A. Lucarelli-A. Patroni Griffi, Edizioni Scientifiche Italiane, 2009